I francescani giunsero in Cina ben prima dei gesuiti e prima ancora di Marco Polo, preparandone anzi la venuta dei Polo! (Giovanni Ricciardi e José Rodriguez Carballo)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /11 /2013 - 14:14 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati:
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

1/ Un francescano alla corte del Gran Khan, di Giovanni Ricciardi

Riprendiamo dal sito della rivista 30giorni un articolo di Giovanni Ricciardi pubblicato sul numero 10/2003. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (3/11/2013)

Aa.Vv., I francescani e la Cina. 800 anni di storia, Edizioni Porziuncola, Assisi 2001.

Non furono i gesuiti, a metà del Cinquecento, i primi missionari cattolici a giungere in Cina. Due secoli e mezzo prima di loro un gruppo di francescani era riuscito nell’impresa di raggiungerla e predicarvi la fede. Un recente volume, che raccoglie gli Atti di un convegno tenuto a Santa Maria degli Angeli ad Assisi nel 2000: I francescani e la Cina. 800 anni di storia, edizioni Porziuncola, riscopre queste figure spesso dimenticate, che risalgono alla prima generazione dei frati minori.

Alla morte di Francesco, nel 1226, la Cina era poco più di un nome nella memoria degli eruditi o nei racconti dei mercanti veneziani di ritorno dal Vicino Oriente. Per l’Occidente, l’islam rappresentava ancora il principale termine di confronto e il pericolo più incombente. Francesco stesso aveva tentato l’avventura di convertire gli infedeli, e su quella scia molti frati partivano, in quegli anni, alla volta del Marocco, dove avrebbero trovato la gloria del martirio.

Il flagello dei Tartari

Ma Francesco non poteva prevedere che in poco tempo altri orizzonti si sarebbero aperti alla cristianità e al suo giovane ordine. Era passato solo un anno dalla sua morte che, all’altro capo del mondo, si spegneva Gengis Khan, fondatore dell’impero mongolo, e il figlio Ogodai si apprestava a colpire il cuore dell’Europa con le orde dei suoi Tartari. Cavalieri spietati e feroci, essi conquistarono gli altipiani iranici, annientarono i principati russi e comparvero improvvisi, nel 1241, alle porte di Cracovia.

Per un anno intero Polonia, Ungheria e Balcani, fino alle coste dell’Adriatico, furono devastati dalle truppe del generale Batu. Poi, improvvisamente, alla notizia della morte di Ogodai, si ritirarono, per essere di nuovo inghiottiti dalle steppe eurasiatiche e ritrovarsi a Karakorum, capitale di un impero immenso, dal Pacifico agli Urali.

Lo sgomento in Europa fu grande, temperato però dalle notizie delle sconfitte subite dai musulmani ad opera dei mongoli. Innocenzo IV, aprendo nel 1245 il Concilio di Lione, pose la questione del remedium contra Tartaros. Fu deciso di inviare a Karakorum un legato pontificio, per chiedere al Khan la conversione dei Tartari e la rinuncia alla conquista dell’Europa in vista di una possibile alleanza contro l’islam.

La scelta cadde sul francescano Giovanni da Pian del Carpine. Percorrendo più di 10mila chilometri «per poter portare a compimento la volontà di Dio, secondo l’incarico del signor papa e per essere in qualche modo d’aiuto ai cristiani», Giovanni raggiunse la Syra Orda, la tenda del nuovo imperatore Guyuk, il 22 luglio del 1246. Recava con sé due lettere papali. Fu il primo occidentale a ritrovarsi faccia a faccia col sovrano più temuto della terra, quindici anni prima dei fratelli Matteo e Niccolò Polo. La sua missione costituì il primo, esile filo di contatto tra l’Occidente e quel mondo così distante.

Quanto alle offerte di pace e agli inviti alla conversione, fra Giovanni trovò ostinato il cuore di Guyuk, ma fu trattato, personalmente, con grande deferenza, come era accaduto a Francesco con il sultano.

Nuove opportunità

Quando tornò sano e salvo in Europa nel 1247 fu accolto con stupore. Per quanto temibile e ostile, su quel mondo era stato tolto il velo dell’ignoto che lo rendeva ancora più spaventoso. E quando i Polo, poco dopo il 1260, giunsero alla corte del Khan, trasferita nel frattempo a Khambaliq (Pechino), vi trovarono un imperatore curioso e ben disposto, Qubilai. Ai mercanti veneziani il Kahn «dimandò di messere il papa e di tutte le condizioni della Chiesa romana e di tutte le usanze dei latini». Il ritorno dei Polo, nove anni dopo, fu foriero di buone nuove per il Pontefice. Qubilai aveva chiesto loro di tornare accompagnati da uomini di scienza che istruissero i tartari sulla religione cristiana e, per sé, desiderava un po’ dell’olio che ardeva nella lampada del sepolcro di Cristo.

Ma i Polo tornarono soli in Cina. I domenicani che il Papa aveva inviato con loro non giunsero sino a Pechino. Il giovane Marco, figlio di Niccolò, rimase al servizio di Qubilai per diciassette anni, ma non fece in tempo a vedere insediato nella Città proibita il primo vescovo cattolico di Pechino, il francescano Giovanni da Montecorvino.

L’inculturazione tra i Mongoli

Della memoria di questo straordinario personaggio, che visse alla corte dei Khan per 34 anni, molto si è perduto. E questo perché la Chiesa nata per la sua attività missionaria non resistette alla cacciata dei Mongoli e all’insediamento della dinastia Ming (1368) che chiuse il Paese alle influenze straniere. Inoltre Giovanni non fece mai ritorno in Europa, e le fonti storiche sulla sua attività sono scarse e frammentarie.

Era partito nel 1287 in seguito a una nuova ambasceria inviata da Qubilai al Papa per rinnovare la richiesta di missionari. Fu allora che Nicolò IV, primo papa francescano, decise di inviare al Khan questo dotto ed esperto confratello.

Giovanni da Montecorvino viaggiò per anni, recando con sé 26 lettere papali da consegnare ai sovrani e ai vescovi delle Chiese d’Oriente che avrebbe incontrato sul cammino. Attraversando il Vicino Oriente, la Persia, e l’India, approdò infine, nel 1294, sulle coste della Cina in compagnia del mercante genovese Pietro Lucalongo. L’imperatore Timur, succeduto nel frattempo a Qubilai, gli concesse di annunciare liberamente il Vangelo in mezzo ai Tartari.

Straordinaria fu la portata dell’azione missionaria di frate Giovanni e la sua capacità di adattamento alla cultura locale: egli celebrava la messa in lingua tartara e fece grandi sforzi per approntare una traduzione del salterio, del Nuovo Testamento e del messale. Un’attività notevole, se si pensa che Giovanni visse da solo in Cina per undici anni, dimenticato da tutti, finché arrivò presso di lui frate Arnaldo di Colonia. Quando riuscì a far pervenire sue notizie in Europa, con una lettera dell’8 gennaio 1305, tutti ormai lo credevano perduto.

Arcivescovo di Pechino

Nonostante le difficoltà e le invidie suscitate a corte, Giovanni riuscì a conservare la fiducia del Khan e a convertire alla fede cattolica il principe di Tenduk, Giorgio, con molti dei suoi sudditi.

Ma la sua azione missionaria non poteva estendersi se non fosse sopraggiunto un aiuto dalla cristianità. Alla sua seconda lettera, del 13 febbraio 1306, Clemente V rispose inviando in Cina un gruppo di frati francescani, tra cui sette vescovi, perché raggiungessero fra Giovanni e lo consacrassero arcivescovo di Pechino. Il gruppo giunse a destinazione verso il 1310 e Giovanni diede inizio a una vera e propria organizzazione ecclesiastica.

Alla sua morte, avvenuta nel 1328 all’età di 81 anni, fu venerato come santo. La Chiesa cinese gli sopravvisse per soli quarant’anni, anche perché la peste nera del 1348 aveva decimato i frati minori, impedendo così l’invio di nuovi missionari. Ciononostante, la sua memoria non scomparve del tutto. Giovanni era riuscito, con l’aiuto di Dio, in modo insperato e inaspettato, a deporre un seme che sarebbe rimasto sepolto per oltre due secoli, fino all’arrivo dei gesuiti e alla ripresa dei rapporti tra Occidente e Cina nell’epoca delle grandi colonizzazioni.

2/ I Frati Minori in Cina, di Fr. José Rodriguez Carballo, ofm

Riprendiamo dal sito della Pontificia Università Antonianum un testo pubblicato il 15/1/2010). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (22/9/2013)

Oggi, 15 gennaio 2010 la PUA celebra il giorno del Grande Cancelliere e dell’Università. In questo contesto si è celebrato una giornata di studio sulla Chiesa in Cina, per celebrare l’VII Centenario dell’ordinazione episcopale di Fr. Giovanni da Montecorvino, primo vescovo in China. Fr. José Rodriguez Carballo, Ministro generale, ha tenuto il seguenti discorso:

Sono ancora ben presenti in noi i momenti di riappropriazione della “grazia delle origini” che abbiamo appena celebrato in occasione dell’VIII centenario dell’approvazione della prima “forma vitae” di san Francesco da parte del Papa Innocenzo III. Agli inizi, Francesco ebbe la rivelazione fondamentale che per essere fedele discepolo del Signore doveva vivere il Vangelo integralmente e poi andare ad annunciarlo alla gente del suo tempo. Come ci ha ricordato il Capitolo generale di Pentecoste del 2009, «Francesco e i suoi fratelli della prima ora furono particolarmente colpiti dai testi evangelici dell’invio in missione dei discepoli, che ispirarono il loro andare per il mondo sprovvisti di quanto poteva dar loro sicurezza» .

La chiamata ad essere annunciatori ed evangelizzatori, Francesco e i suoi Frati la compresero come un atto dovuto di restituzione al Signore del dono del Vangelo ricevuto. L’ultimo Capitolo di Pentecoste descrive i Frati Minori come coloro che sanno «imparare ad ascoltare la parola di Gesù e a restituirla agli uomini e alle donne di oggi, nello spirito del Vangelo, camminando per le strade del mondo come Frati Minori evangelizzatori con il cuore rivolto al Signore» .

Un’esemplare espressione storica di tale ispirazione carismatica sono state le prime missioni francescane che, iniziate con Francesco stesso, si sono estese prima dall’Umbria all’Italia, poi all’Europa del nord, per oltrepassare le frontiere della cristianità medioevale, sia culturalmente con l’andata verso i Musulmani, sia geograficamente con l’arrivo di Frati della seconda generazione in India e in Cina. Ed è proprio di quest’ultima missione che noi facciamo memoria celebrando il VII centenario dell’ordinazione di fra Giovanni da Montecorvino a Vescovo di Pechino e Patriarca di tutto l’Oriente, avvenuta tra il 1309 e il 1310.

Le prime missioni francescane in Cina, e in particolare la figura di fra Giovanni da Montecorvino, sono state recentemente oggetto di nuove ricerche ed oggi ne abbiamo ascoltato una pregevole e approfondita presentazione dal parte del Prof. Francesco D’Arelli (che ringrazio vivamente, anche a nome del Definitorio generale). Le missioni in Cina hanno continuato nei secoli successivi, tra interruzioni, persecuzioni e nuovi inizi, fino alla costituzione della Chiesa gerarchica. Chiesa che è tuttora viva e che sta riscoprendo la propria identità e la sua grande attualità, come ci ha egregiamente mostrato il confratello Verbita, Prof. W.K. Müller.

Nella Chiesa di oggi che è in Cina ben viva è ancora la presenza dei Frati Minori, una presenza che è iniziata appunto nel XIII secolo e che ha continuato, con alterne vicende, lungo i secoli fino ad arrivare ai nostri giorni.

Vorrei cogliere questa occasione per ripercorrere rapidamente le tappe essenziali di questa storia francescana in Cina, ritrovarne i caratteri peculiari e così raccogliere alcune sfide per il prossimo futuro.

Le missioni francescane in Cina

Possiamo ricostruire le missioni francescane in Cina in 5 periodi, ognuno dei quali presenta alcuni aspetti particolari.

Nel primo periodo, che va dal 1245 – anno della partenza da Lione di fra Giovanni da Pian del Carpine – fin verso il 1370, quando la dinastia mongola Yuan terminò e con essa l’impero dei Tartari in Cina, i Frati Minori vennero inviati in estremo Oriente come Ambasciatori di pace e Ambasciatori della fede. Ciò rientrava nella politica dei Papi di fronte al pericolo incombente dei Mongoli che si erano affacciati ai confini dell’Europa cristiana, minacciando di conquistarla. Nello stesso tempo i Frati avevano una missione “esplorativa” riservata di raccogliere il massimo d’informazioni sui capi, sulle loro intenzioni reali e sul loro modo di fare la guerra.

Tali compiti affidati ai Francescani non impedirono loro di essere anche annunciatori del Vangelo, secondo la Regola di san Francesco. Di particolare rilievo fu l’opera educativa di fra Giovanni da Montecorvino e il suo sforzo di inculturare la liturgia traducendo il Salterio e il Nuovo Testamento nella lingua dei Tartari, che erano i dominatori del momento. Secondo un calcolo, forse da verificare ulteriormente, sarebbero andati in Cina in questo periodo circa 242 Frati Minori, tra i quali vi furono 3 Arcivescovi e 11 Vescovi.

La prima missione francescana era stata possibile per il fatto che la dinastia mongola Yuan era interessata al fatto religioso e trattava tutte le religioni come altrettante possibilità di successo. La presa del potere da parte della dinastia cinese dei Ming (1368-1644) cambiò completamente la politica religiosa. I Mongoli furono cacciati perché “stranieri”, oltre che per aver disprezzato il popolo cinese sottomesso e aver avuto una collusione con i Lama tibetani. Così la religione cristiana introdotta dai Francescani venne rifiutata soprattutto in quanto dottrina straniera.

La nuova dinastia cinese al potere restaurò l’ortodossa visione confuciana e promosse un tempo di primavera culturale. Per la diffusione del cristianesimo, però, bisognerà attendere due secoli prima che la fede cristiana potesse essere nuovamente proposta nell’Impero Celeste. Solo il clima successivo di “rinascenza” intellettuale poté favorire l’incontro dell’umanesimo cinese con l’umanesimo occidentale attraverso i missionari gesuiti, in particolare Matteo Ricci.

«È sotto il regno dell’imperatore Wan Li (1573-1620) che il cristianesimo, cacciato dalla Cina dopo la caduta dei Mongoli, vi penetrò di nuovo con i Portoghesi». All’inizio del XVII secolo vari francescani tentarono di entrare in Cina, ma vennero sempre respinti.

Con la nuova dinastia al potere dei Qing (1644-1912), che veniva dalla Manciuria, gli Imperatori considerati come dei “Dèspoti illuminati”, tolleravano i missionari. Così nella seconda metà del XVII secolo le condizioni per le missioni divennero favorevoli. Nel frattempo la Santa Sede tentava di sganciare l’attività missionaria dall’attività commerciale e coloniale dei portoghesi e degli spagnoli, e nel 1662 costituì la Sacra Congregazione di Propaganda Fide, per coordinare le missioni anche in Cina e iniziare l’avvio della gerarchia cattolica.

Questo si può considerare il secondo periodo delle missioni francescane in Cina. Vennero aperte diverse postazioni missionarie specialmente al sud, e poi venne nominato anche un Prefetto Apostolico per le missioni francescane nella persona di fra Antonio Caballero de Santa Maria (1643) rimpiazzato dopo la sua scomparsa nel 1675 da fra Agostino de San Pascual. Finalmente, nel 1690 fra Bernardino della Chiesa venne nominato vescovo di Pechino.

Il periodo si caratterizza per due aspetti molto diversi tra loro. Il primo fu il problema dell’inculturazione, che venne concretizzato nella famosa controversia dei riti cinesi. L’altro invece toccava la vita stessa dei missionari e dei cattolici cinesi, i quali dovettero affrontare con eroico coraggio diverse persecuzioni. Il cambiamento nella politica religiosa venne in seguito al decreto del Papa Benedetto XIV che nel 1742 condannava definitivamente i riti cinesi. Ciò fece passare la Chiesa cattolica agli occhi dell’assolutismo imperiale come una sètta sovversiva, e con questo si apriva un’èra di persecuzioni che avrà ondate successive nella seconda metà del XVIII secolo fino ai primi decenni del secolo XIX, con variazioni locali secondo le Province.

Da ricordare che solo nel 1939 il Papa Pio XII riconoscerà il carattere civile, e non religioso, dei riti cinesi condannati. Gli imperatori proscrissero il cristianesimo perché temevano di veder passare i loro sudditi divenuti cristiani sotto una giurisdizione straniera, e ciò rappresentava un pericolo che minacciava la Cina. I missionari francescani, insieme ai domenicani, combattevano le pratiche magiche e superstiziose che chiamavano idolatria, e per questo s’impegnavano molto nella evangelizzazione delle popolazioni meno colte, nella diffusione delle pratiche della pietà cristiana, e così favorirono la nascita di un’autentica forma di santità cinese, semplice e solida, a volte anche eroica fino al martirio.

Il terzo periodo è quello dell’epoca del neo-colonialismo ottocentesco. Le missioni cristiane ritrovarono la libertà perduta grazie alla scandalosa guerra dell’oppio (1840-1847) tra la Cina e l’Inghilterra, grazie ai “Trattati ineguali” che vennero stipulati separatamente tra 11 Stati d’Europa e dell’America con la Cina e nei quali spesso si inserivano garanzie per la protezione dei missionari. Così la seconda metà del secolo XIX vide una rinascita anche delle missioni francescane in Cina. Numerosi Frati Minori dall’Europa partirono per diffondere il Vangelo in Cina, dove si dedicarono con grande generosità anche ad opere umanitarie come l’educazione dei giovani, gli istituti per salvare ed educare le ragazze abbandonate e sfruttate, gli orfanotrofi per i neonati abbandonati, l’educazione contro l’uso eccessivo dell’oppio, la cura dei malati.

Però la protezione diplomatica dei missionari faceva passare la Chiesa per uno strumento al servizio dell’espansionismo occidentale. I partigiani del movimento anti-cristiano attizzarono l’odio contro gli stranieri tra la popolazione e provocarono sommosse, omicidi, distruzioni in varie parti della Cina. Il culmine della xenofobia anti-occidentale si ebbe con la rivolta dei Boxers nel 1900, i quali uccisero centinaia di cristiani, religiosi e francescani – canonizzati nel 2000 da Giovanni Paolo II – al grido: “Proteggiamo il Paese, distruggiamo gli stranieri!”.

Nonostante le ripetute e ricorrenti persecuzioni, agli inizi del secolo XX i Frati Minori avevano la cura di 10 Vicariati apostolici che andavano dal nord al sud della Cina, con moltissime comunità cristiane e tante postazioni missionarie.

La rivolta di Wuchang nel 1911 portò alla fine della dinastia Qing e alla proclamazione della Repubblica di Cina. Questo può essere considerato il quarto periodo delle missioni francescane con la massima fioritura e con la partecipazione di un gran numero di missionari provenienti da 25 Province dell’Ordine. I Frati Minori erano presenti e avevano la responsabilità dei Vicariati Apostolici nelle Province dello Shandon (con 6 missioni particolari), Shaanxi (con 6 missioni), Shanxi (con 5 missioni), Hubei (con 7 missioni), Hunan (con 5 missioni).

Al Concilio plenario celebrato a Shanghai nel 1924 vi parteciparono 25 Frati Minori, tra Vicari Apostolici e Superiori di missioni. Di particolare importanza in questo periodo è stata l’opera del Venerabile fra Gabriele Maria Allegra (1907-1976), il quale era andato in Cina “per tradurre la S. Scrittura” che cominciò nel 1935 e terminò l’Antico Testamento, da solo, nel 1944, e poi continuò con lo Studium Biblicum che egli stesso fondò a Pechino.

Tale fioritura missionaria, che vedeva tra l’altro l’apertura di nuovi lebbrosari, non si svolse senza difficoltà. Le lotte tra i vari comandanti militari all’interno della giovane Repubblica e la diffusione del brigantaggio, uniti ad un persistente spirito anti-occidentale, provocarono sofferenze, uccisioni e distruzioni. Durante la seconda guerra mondiale (1939-1945) che vide il Giappone invaderela Cina, vennero coinvolte anche le missioni cattoliche, per cui «alcuni confratelli furono uccisi, altri imprigionati, molti insieme ai Vescovi e alle Suore, quali cittadini stranieri, consegnati alla pubblica vigilanza in domicilio coatto».

Questo fu il periodo della nascita della Chiesa cattolica in Cina che ebbe il suo atto ufficiale nella costituzione della Gerarchia episcopale cinese per disposizione di Pio XII nel 1946.La Costituzione Apostolica del Papa affidava «all’Ordine Serafico cinque Archidiocesi, tredici Diocesi e nove Prefetture Apostoliche. Nel 1948 vi erano in Cina 706 frati minori, dei quali 150 indigeni, e 28 conventi oltre le Case di Missione e alle Residenze dei Vescovi».

L’ultimo periodo è quello della Repubblica Popolare Cinese (dal 1949 ad oggi). Con la presa del potere del regime marxista-maoista, le missioni cattoliche furono fatte oggetto dell’ira antistraniera e denunciate come strumenti dell’imperialismo occidentale. In nome del patriottismo, le autorità pretesero che venissero rotti tutti i legami con l’esterno e il governo comunista usò tutti i mezzi per staccare i cattolici cinesi dalla Chiesa universale. Progressivamente tutti i missionari stranieri vennero espulsi e si instaurò un sistema di persecuzione sistematica contro i cattolici (vescovi, sacerdoti, religiosi e laici) che non ottemperassero alle disposizioni governative.

Gli anni più difficili furono quelli della Rivoluzione Culturale, dal 1966 al 1976, con il tentativo ideologico di distruggere tutto ciò che veniva dalla tradizione cinese. È seguito un periodo di progressiva, anche se timida, apertura che ha permesso di ricostituire anche la presenza francescana in Cina. Secondo il Necrologio dei Frati cinesi, dal 1200 al 1977 si registrano 1.162 Frati Minori vissuti in Cina.

Le caratteristiche principali

L’evangelizzazione in genere, e quella francescana in particolare, in Cina ha attraversato periodi e condizioni diverse lungo i secoli. Alcuni caratteri generali, tuttavia, sia pure vissuti storicamente in maniera diversa, hanno come accompagnato questa lunga e sofferta storia, e sono adeguati per restituirci le caratteristiche delle missioni cattoliche e francescane in Cina.

Le vie umane della missione

Un primo aspetto che risalta è quello dell’utilizzo da parte dei missionari delle “vie umane” che si presentavano loro e che divenivano i canali attraverso i quali entrare ed operare. Sin dall’inizio, fra Giovanni da Pian del Carpine e poi fra Giovanni da Montecorvino, e con loro altri francescani, potettero arrivare nell’estremo oriente, alla corte dei Mongoli, grazie all’incarico ricevuto dai Papi di Ambasciatori di pace. Il loro itinerario seguiva il cammino dei mercanti, soprattutto i veneziani. Potettero restare e agire in Cina fino a quando i Mongoli dominatori, che li avevano accolti, restarono al potere.

Cambiato il regime con l’avvento della dinastia Ming, il dominatore straniero venne cacciato e con esso anche i missionari stranieri. Questi potettero rientrare in Cina grazie agli esploratori e colonizzatori portoghesi che nell’epoca delle grandi scoperte (sec. XVI) arrivarono fino all’estremo oriente. Con l’arrivo dei portoghesi e degli spagnoli fu introdotto il sistema del “protettorato” che condizionava moltissimo la libertà dei missionari e della Chiesa, tanto che i missionari che partivano per il lontano Oriente dovevano prima prestare giuramento nella capitale portoghese! Se si aggiungono i saccheggi e i massacri ai quali si lasciarono andare gli europei, si può capire perché anche i missionari europei venissero rifiutati come “diavoli stranieri”. Altri favori ebbero i missionari nel periodo del neo-colonialismo di fine Ottocento dagli Stati europei e parallelamente ci fu un’altra ondata di persecuzioni per cacciare gli stranieri e la loro religione. Tutta questa storia può aiutare a capire in parte il principio anche attuale dell’autonomia cinese e del rifiuto di tutto ciò che viene dall’esterno, compresala Chiesa cattolica di Roma .

La promozione umana e culturale

Una volta arrivati nel territorio, i missionari si concentravano sullo svolgimento della loro missione. Nei rapporti con le autorità e con le élites culturali, non pochi Francescani si dedicarono alla lingua cinese, redigendo anche Dizionari e Grammatiche adatte agli europei, come quelle del sinologo fra Basilio Brollo da Gemona nel XVII secolo e di mons. Eligio Cosi nel XIX secolo, oppure la scuola di lingua cinese aperta a Pechino nel XX secolo, e ancora diversi scritti francescani sulla cultura cinese.

In favore della gente delle campagne e dei piccoli villaggi, dove prevalentemente operavano di Francescani, vennero costituite molte opere di carattere umanitario e caritativo. Basti pensare alla cura dei lebbrosi e di altri malati, all’accoglienza degli orfani e delle bambine sfruttate, al recupero dei neonati abbandonati o «esposti», alle scuole per educare i ragazzi poveri. Una cura particolare venne riservata ai ceti popolari che usavano l’oppio che mieteva numerose vittime. Le attività in favore dei poveri e della dignità umana hanno sempre accompagnato l’opera di evangelizzazione.

L’annuncio esplicito del Vangelo

L’attività principale era comunque la diffusione del Vangelo, far conoscere la persona di Gesù Cristo, provocare e accompagnare le conversioni al cristianesimo e offrire la grazia di Dio con l’amministrazione dei Sacramenti. Presso le popolazioni delle campagne in particolare, i missionari francescani diffondevano una spiritualità devota affidata alle pratiche delle devozioni cristiane, perché potessero rimpiazzare le pratiche di carattere superstizioso e per dare ai cristiani una formazione che fosse semplice e solida nello stesso tempo. Questa opera specificamente missionaria venne svolta sempre, anche nei periodi difficili, ma soprattutto nei tempi di pace o di maggior tranquillità socio-politica.

Scriveva dalla Cina fra Alfonso Maria Di Donato nel 1845 al Ministro generale: «Le conversioni tra i gentili sono frequenti, massime nelle donne; e ogni anno non battezziamo meno di un duecento adulti; i fanciulli poi battezzati in punto di morte sono sempre un tre o quattro mila».

Insieme al primo annuncio del Vangelo, i missionari francescani lavoravano anche per fondare la Chiesa locale con l’apertura dei seminari per la formazione del clero indigeno. Questi due scopi fondamentali delle missioni ad gentes sono stati sempre praticati. Il contributo dei Francescani si è espresso poi con la cura di diversi Vicariati Apostolici e Prefetture Apostoliche.

La diffusione del Libro sacro

La parola ha un ruolo molto importante nella cultura cinese e nell’annuncio missionario. Giovanni da Montecorvino aveva già tradotto nella lingua dei dominatori Tartari il Salterio e il Nuovo Testamento. Altre parziali traduzioni vennero fatte lungo i secoli. Nel secolo scorso fra Gabriele M. Allegra (1907-1976) decise di tradurre tuttala Bibbia in cinese dai testi originali.

Egli cominciò il suo lavoro nel 1935 e terminò l’Antico Testamento, da solo, nel 1944. Fu un lavoro da pioniere, che lo portò nel 1945 a fondare lo Studium Biblicum a Pechino, trasferito poi a Hong Kong nel 1948, assieme alla Domus Franciscana, che era la scuola di lingua per i nuovi missionari. Tuttala Bibbia in cinese venne pubblicata in un solo volume nel 1968 e nel 1975 – un anno prima della sua morte – usciva l’ormai famoso Dizionario Biblico cinese.

Per Padre Allegra il Vangelo era il suo programma di vita e di missione. Lo confidava egli stesso ad un confratello con queste parole: “Predicate il Vangelo. Vivete il Vangelo. Soffrite per il Vangelo”. La traduzione della Bibbia del Padre Allegra è quella ancora preferita e usata nei Seminari, e lo Studium Biblicum di Hong Kong ha il compito di continuare a rendere accessibile al popolo cinese il Libro sacro della Bibbia, a promuoverne la diffusione e ad offrire strumenti biblici per la formazione dei cristiani, dei religiosi e dei sacerdoti.

La testimonianza del martirio

La lunga e sofferta storia della Chiesa e del francescanesimo in Cina è ricca in modo speciale della testimonianza dei martiri, che hanno imporporato ogni periodo storico e ogni regione.

Dai martiri del primo periodo (fra Giacomo da Padova e fra Pietro da Siena nel 1321) a quelli dei secoli XVI (fra Pietro Alfaro nel 1580 e fra Antonio Caballero di S. Maria), XVII, XVIII, fino ai martiri del 1900 a causa della rivoluzione dei Boxers, e ad altri caduti sotto la persecuzione del regime maoista.

Ma della storia dei martiri francescani in Cina fanno parte anche tanti altri frati, rimasti senza nome, che hanno dato la loro vita a causa degli stenti o delle sofferenze di vario genere o del carcere, dove vennero rinchiusi come in una tomba. Scriveva fra Bernardino da Portogruaro ai missionari in Cina: «Noi siamo lieti di poterci santamente gloriare in Gesù Cristo anche di voi, a’ quali, se mancò l’occasione, non manca certo la volontà ed il merito del martirio, dappoiché allo spargimento non impetrato del sangue sostituite un martirio incruento, ma quotidiano di stenti, di desolanti angustie».

Tante eroiche testimonianze di dedizione e fedeltà che ci hanno lasciato missionari e cristiani cinesi – come si espresse il Papa – “sono un esempio di coraggio e di coerenza per tutti noi e fanno onore al nobile popolo cinese”.

Alcune sfide

Gli aspetti della storia francescana in Cina, di cui siamo gli eredi e i discepoli, non li ho richiamati per suscitare in noi sentimenti di vana gloria o di vacuo compiacimento, ma per rinnovare in ciascuno l’impegno a costruire noi stessi la nostra storia francescana nel presente e nel futuro.

Già nel 1982 – quando la società cinese cominciava ad aprirsi all’Occidente – l’Ordine si è interessato in maniera esplicita alla nostra presenza francescana, nominando una “Commissione per la Cina”. Questa elaborava alcune linee di condotta in favore dei frati che erano nella Cina continentale, nel senso di un sostegno a vari livelli. Intanto continuava la pubblicazione di Sinica Franciscana, la quale contribuiva a diffondere la memoria delle missioni francescane in Cina.

Nel 1989, la lettera del Ministro generale, fra John Vaughn, indirizzata a tutto l’Ordine, rinnovava la solidarietà della fraternità universale con i confratelli che vivevano e operavano nella Cina continentale ed elevava la casa di Hong Kong sede della Procura e del China Desk dell’Ordine. I Frati hanno avuto anche l’incoraggiamento personale dei successivi Ministri generali che hanno voluto incontrarli nei luoghi della loro vita quotidiana.

La società cinese sta vivendo un periodo storico di transizione verso una collaborazione sempre più ampia con il mondo occidentale, specialmente a livello economico. I giovani non hanno più gli ideali marxisti propagati al tempo di Mao e la corsa al benessere non offre altri ideali sostitutivi. Anche in Cina, la gioventù appare vuota di valori, e tra i più sensibili appare la ricerca di una nuova spiritualità che possa dare un senso alla loro vita. In questo senso, il cristianesimo, in quanto religione straniera, appare a molta gente (a differenza della considerazione delle autorità) come quella che può offrire qualcosa di nuovo e di più rispetto alle religioni o ideologie già conosciute o sperimentate in Cina. E questo spiega in parte la relativa crescita dei cristiani nel continente, e la partecipazione anche dei buddisti alle celebrazioni più importanti della Chiesa cattolica. In questo contesto, la sfida perla Chiesa cinese e per noi Francescani è come essere di aiuto alla società in questo tempo di transizione.

Un primo impegno dovrà essere quello dell’inculturazione. I padri sinodali dell’assemblea speciale per l’Asia hanno voluto incoraggiare un nuovo processo d’inculturazione ampio e profondo, ed “hanno identificato alcune aree bisognose di particolare attenzione: la riflessione teologica, la liturgia, la formazione dei sacerdoti e dei religiosi, la catechesi e la spiritualità”.

Per noi francescani, la prima forma di inculturazione è la implantatio Ordinis in Cina. Formare veri Frati minori autoctoni vuol dire incarnare il nostro carisma nella religiosità e cultura cinesi, e di conseguenza offrire alla Chiesa un modello vissuto d’inculturazione.

Una seconda sfida soprattutto per noi, che siamo figli del Santo della riconciliazione e della pace, è quella di contribuire in maniera importante alla comunione interna all’unica Chiesa che è in Cina. Noi dobbiamo essere i primi a seguire fedelmente le indicazioni che il Papa Benedetto XVI ha dato nella Lettera ai Vescovi e fedeli cattolici cinesi (27 maggio 2007) in favore della comunione disciplinare e sacramentale, in modo che tutto sia «vissuto nella comunione e nella comprensione fraterna, evitando giudizi e condanne reciproche” (n 7).

Un altro impegno costante, che continua la lunga tradizione missionaria, sarà anche quello delle opere sociali e della promozione umana. Oggi ancora l’evangelizzazione in Cina passa attraverso le attività sociali e caritative, dove la testimonianza silenziosa ma viva di tanti religiosi si fa messaggio eloquente dei valori del Vangelo di Gesù Cristo.

Infine, non possiamo dimenticare l’ampia Famiglia francescana già presente nelle sue varie diramazioni religiose, apostoliche e secolari. Una recente indagine interna ha rivelato la presenza in Cina di varie Congregazioni francescane femminili e di almeno 4.000 membri dell’Ordine Francescano Secolare. Il nostro impegno primario sarà quello di accompagnare e formare tanti fratelli e sorelle nello stesso carisma di Francesco d’Assisi, e – dove è possibile – lavorare insieme per la costruzione del Regno di Dio e della dignità della persona umana.

A modo di conclusione

Dire vocazione francescana significa dire impegno per uscire da sé, volontà di decentrarsi da noi stessi […], essere meno autoreferenziali”. Dire vocazione francescana e mettersi in cammino, per le strade del mondo, per annunciare il Vangelo, come fratelli e minori, e sempre con il cuore rivolto al Signore. Dio ci chiama e ci invia. “Il Vangelo è un dono destinato ad essere condiviso” . È l’ora di rispondere, con fantasia e creatività , a questa esigenza della nostra vocazione. Come? Donandosi completamente alla causa del Vangelo, vivendo “la logica del dono come alternativa alla logica del prezzo, del guadagno, dell’utilità e del potere” Dove? Nei luoghi di frontiera, come la Cina, nei nostri paesi tradizionalmente cristiani, ma anche ad gentes, dove si deve impiantare ancora o rafforzare la presenza della Chiesa e dell’Ordine. L’Ordine, il primo Ordine propriamente missionario della Chiesa, non può rinunciare a obbedire il mandato di Gesù: Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). In questa obbedienza ci giochiamo la fedeltà alla nostra vocazione e missione di Portatori del dono del Vangelo.