Niente è ovvio e quel “tumpf” dolce e possente è un miracolo, di Marina Corradi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /10 /2013 - 14:09 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Marina Corradi pubblicato il 20/10/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (27/10/2013)

L’altra sera uno dei figli tornava da un breve viaggio. L’ho abbracciato, lui ormai di tanto così più alto di me. Nello stringerlo ho appoggiato per un momento la testa al suo petto. Allora ho sentito il battito del cuore: regolare, quasi lento, possente. Tumpf, tumpf, tumpf: come un motore diesel, costruito per marciare per molti e molti anni.

Non so perché, ma quel battito mi è rimasto addosso, come se non fosse qualcosa di scontato. Pensa, mi sono detta, che mistero questo impulso costante, nell’antro oscuro del petto. Ancora più misterioso mi è parso che quel battito sia nato in me, diciotto anni fa, in un istante in cui io non ne ero nemmeno conscia. Eppure nel buio due cellule si sono unite, e una scintilla è scoccata: “tumpf”, avrebbe potuto registrare in quell’istante uno strumento finissimo. E poi, quando a una primissima ecografia mi dissero: «Eccolo, è lungo sei millimetri», quel cuore già batteva, l’ho sentito, già aveva iniziato la sua corsa. E nelle ore del parto, un monitor disegnava un tracciato irregolare e veloce – come se nel nascere si provasse paura.

E ora eccolo, quel figlio, alto, forte, con il suo sorriso quasi insolente; sempre in giro, tanti amici, torna tardi – si affaccia sulla vita con impazienza, come se spettasse a lui mettere il mondo in ordine. Ma quel “tumpf” colto in un raro attimo cui si è concesso alla mia materna tenerezza, mi resta in mente. Pensa, mi ripeto, che macchina straordinaria è un uomo, e che superba geometria di ossa e viscere e nervi e neuroni lo tiene in vita. (Che un simile ingranaggio si sia formato in me, dal mio corpo, più ci penso e più mi pare sbalorditivo). Ma, mi morde l’ansia adesso, sapranno i geni controllare e condurre, di questa macchina che sostiene mio figlio, uno sviluppo ordinato? Nella complessità infinita che è l’organismo di un uomo, chi garantisce che nessuna cellula muti, che nessuna impazzisca? Vertigine, a pensarci: come di un acrobata che sia sospeso su un filo, in alto, e sotto il nulla.

Eppure mi pare così ovvio, ogni mattina, che i figli si sveglino e aprendo gli occhi ritrovino la memoria di sé. Che si alzino, che vadano a scuola, sulle loro giovani gambe; che nel centro del petto quel battito serenamente marchi il tempo, appena increspandosi nell’esultanza di un gol del Milan – o, magari, di fronte alla faccia di qualcuno di improvvisamente caro.

Ma niente è ovvio, e tutti stiamo ogni giorno in piedi sopra a un miracolo. Distratti, magari discorrendo del niente; ma il centro di noi è in quel “tumpf” dolce e possente, nelle tenebre del petto, che spinge il sangue, e regge il respiro. Se potessimo vedere che miracolo è semplicemente un uomo vivo, e stupircene, forse il resto, gli idoli che ogni giorno rincorriamo, si svuoterebbe, come una pura apparenza. Reale, prima di ogni altra cosa, il mistero che come dal nulla sorge, e governa il respiro di un uomo.