1/ Prima di Raffaello l’era di Antoniazzo [Antoniazzo Romano. Pictor Urbis 1435/1440-1508, La mostra aperta a Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini], di Marco Bussagli 2/ La Vergine che distribuisce la dote alle ragazze povere. Nell’Annunciazione di Antoniazzo Romano conservata nella chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /06 /2014 - 14:58 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 5/11/2013 un articolo scritto da Marco Bussagli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. 

Il Centro culturale Gli scritti (2/6/2014)

1/ Prima di Raffaello l’era di Antoniazzo [Antoniazzo Romano. Pictor Urbis 1435/1440-1508, La mostra aperta a Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini], di Marco Bussagli

Fu un mese di trambusto per la storia della pittura a Roma quell’aprile del 1508 di cui, però, in quel momento non si accorse nessuno, se non i diretti interessati, ciascuno per se stesso, e coloro che lavoravano nell’ambito delle varie committenze della città papale. Così, nel 'Catasto delle case' della confraternita del Gonfalone a Roma, grazie alla recente trascrizione di Anna Esposito, si può leggere: «Recordo come mastro Antoniazo pentore morse a dì 17 aprile e lasò per li aniversari a la Compagnia del Confalone fl. (fiorini) 25…».

Quattro giorni dopo, a Firenze, il 21 aprile, Raffaello scriveva allo zio Simone Ciarla, per dolersi della scomparsa del duca di Urbino Guidobaldo da Montefeltro e (firmata la Grande Madonna Cowper ) si apprestava a recarsi a Roma per offrire i suoi servigi a papa Giulio II. Era quello un passaggio epocale. La presenza di Raffaello a Roma, infatti, avrebbe cancellato la fama e il ricordo di quel 'mastro Antoniazo', al secolo Antonio Aquili, che ebbe gloria e ricchezza con l’appellativo di 'Antoniazzo Romano'. A poco a poco, il suo nome cadde nell’oblio. Invece Antoniazzo era stato uno snodo fondamentale nello sviluppo della vicenda artistica romana e adesso, finalmente, una bella mostra monografica gli restituisce il ruolo e l’importanza che gli compete.

Curata da Anna Cavallaro e Stefano Petrocchi, l’esposizione (la prima dedicata interamente all’artista romano) raccoglie quasi tutta la produzione dell’Aquili che esercitò la propria arte non solo a Roma, ma anche nel territorio che dalla città papale dipendeva, realizzando opere monumentali di alta qualità. Così, delle grandi imprese decorative come quelle della Cappella del Cardinal Bessarione in Santi Apostoli, oppure dell’abside con le Storie della Vera Croce in Santa Croce in Gerusalemme, o, ancora, di quella di Tivoli, dove affrescò, dopo il 1481, il presbiterio della chiesa di San Giovanni Evangelista, si dà conto nel bel catalogo edito da Silvana Editoriale.

Antoniazzo, infatti, era a capo di una grande bottega che costituì un punto di riferimento della pittura del secondo Quattrocento, sulla scia di Gentile da Fabriano (cui si doveva la decorazione di San Giovanni in Laterano, scomparsa sotto i marmi borrominiani), di Piero della Francesca che lavorava in Vaticano e a Santa Maria Maggiore, di Perugino e della sua bottega che affrontò la grande impresa della Cappella Sistina, di Benozzo Gozzoli e di Melozzo da Forlì che lavorò nella stessa chiesa dei Santi Apostoli, dove Antoniazzo dipinse per Bessarione. In altre parole, fu un protagonista della pittura a Roma, prima di Raffaello.

Nata da un’idea di Rossella Vodret e realizzata grazie alla sensibilità dell’attuale Soprintendente Daniela Porro, la mostra si avvantaggia di piccole sezioni che mettono a fuoco specifici argomenti, come quella su I primi pittori romani che ruota intorno alla tavola a olio di Antonio da Viterbo dedicata a San Vincenzo Ferrer. Ci si addentra, poi nelle vicende dell’Aquili con alcune delle prime committenze provenienti da Rieti, da Subiaco o da Civita Castellana, come la Natività realizzata per l’Episcopio della città. Un momento felice della carriera di Antoniazzo Romano, fu nel rapporto con la famiglia Caetani, dimostrato dalla presenza di Onorato e Bernardino rispettivamente nelle tavole di Fondi e di Roma (Galleria d’Arte Antica, Palazzo Barberini). Seguono i capolavori, le grandi pale d’altare come quella che proviene da Montefalco con San Vincenzo, Santa Caterina d’Alessandria e Sant’Antonio da Padova che subì una nuova dedicazione con pesanti rifacimenti, già segnalati nella mostra che ebbi il piacere di curare insieme a Claudio Strinati ('Il ’400 a Roma') nel 2008.

Ci sono però due aspetti centrali che emergono da questa importante e bella rassegna di Palazzo Barberini: il rapporto con la scultura, curata da Carlo La Bella e il ruolo di Antoniazzo come legislatore. In particolare, la sezione dedicata alle immagini mariane, documenta il successo dell’iconografia della Madonna del davanzale di scuola verrocchiesca, tradotta più volte in pittura da Antoniazzo. Infine, il pittore romano contribuì anche alla normativa che doveva regolare le attività di bottega, come testimonia il codice con gli Statuta Artis Picturae, conservati nell’Archivio storico dell’Accademia di San Luca, la cui scena dedicatoria, miniata da Jacopo Ravaldi, lo mostra con i pittori Cola Saccocci, Giovanni Antonio Mancini e Antoniazzo Romano che consegnano il libro a San Luca. La mostra si conclude con gli epigoni di Antoniazzo, a cominciare da quel Marcantonio Aquili che era il figlio del maestro e al quale furono affidati i destini della bottega che, però, dovette misurarsi con gli splendori di Raffaello.

2/ La Vergine che distribuisce la dote alle ragazze povere. Nell’Annunciazione di Antoniazzo Romano conservata nella chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma

Riprendiamo dal sito Aleteia un articolo di Giulia Spoltore pubblicato il 16/7/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (10/11/2013)

Antonio Aquili detto Antoniazzo Romano[1], pittore poco noto ai più, fu con la sua impresa familiare uno dei dominatori della cultura artistica romana della seconda metà del Quattrocento. Copista di icone, esponente notabile dell’accademia di S. Luca, ma soprattutto pittore preferito dell’élite romana, delle confraternite, della diplomazia spagnola e dei nobili della campagna laziale, aveva esordito sotto Paolo II Barbo (1464-1471) e lavorò mentre la Cappella Sistina veniva decorata dalle maestranze fiorentine chiamate nella capitale da Sisto IV Della Rovere (1471-1484).

Mentre le committenze pontificie erano quasi tutte sbrigate da pittori stranieri (preferibilmente di nazionalità toscana e umbra), a Roma Melozzo da Forlì e il nostro Antoniazzo si dividevano le committenze per opere mobili e per cicli di affreschi in cappelle e palazzi. Il monopolio di tali commissioni cadde nelle mani di Antoniazzo e la sua cerchia alla morte di Melozzo (1494).

Questa raffinatissima Annunciazione fu dipinta e lavorata da Antoniazzo tra il dicembre 1499 e il marzo 1500 in vista del Giubileo dello stesso anno indetto da Alessandro VI Borgia (1492-1503). La confraternita dell’Annunziata, fondata dal cardinal Torquemada, al fine caritativo di dotare le giovani fanciulle povere, la commissionò per la sua cappella in S. Maria sopra Minerva, chiesa domenicana di Roma. Dotare le giovani povere era un atto di carità di grande impatto sociale: la dote garantiva alle fanciulle l’opportunità di trovare un consorte evitando loro di doversi autosostentare attraverso attività non dignitose, ma molto comuni, come la prostituzione.

L’iconografia dell’Annunciazione di Antoniazzo è “disturbata” da alcune varianti: la Vergine non è in alcun modo interessata alla presenza dell’angelo annunciante e dalla discesa dello Spirito Santo, inoltre sembra aver interrotto da molto la lettura dell’Antico Testamento come dimostra la distanza dal leggìo e il corpo completamente ruotato. La Madonna è altresì occupata a consegnare la dote alle giovani vestite di bianco e ordinatamente acconciate che le vengono presentate dal cardinal Torquemada. Il gruppo delle giovani accompagnate dal cardinale (abbigliato con l’abito domenicano, ma la cui carica curiale è segnalata dal galero cardinalizio) è proposto secondo una scala proporzionale più piccola, escamotage medievale per differenziare l’ordine umano da quello divino.

Non si rifà all’eredità medievale il fondo oro, punzonato come se fosse un drappo damascato, ma si ricollega piuttosto al gusto per l’opulenza decorativa interpretata in senso anticlassico[2] in voga negli anni del papato Borgia. Antoniazzo da un canto sembra aggiornarsi sui modelli fiorentini come lo stesso collega Melozzo (e forse anche tramite lui) per quanto riguarda i tipi dell’angelo e della Vergine, ma appare legato ad un retaggio attardato, addirittura medievale, nella composizione. Tuttavia si fa inventore di un’iconografia nuova espressa in termini di gusto apprezzabili dalla cultura del suo tempo e che i suoi successori (dediti ad una pittura umanistica e filoclassicista) avrebbero considerato provinciali.

Il rapporto tra l’iconografia, luogo di collocazione e committente sembra ben palesato: la confraternita dell’Annunziata, istituto che si occupa di dotare le fanciulle povere, commissiona un quadro con l’Annunciazione che mostri anche l’opera caritativa della confraternita nella cappella patrocinata dallo stesso istituto. La confraternita è qui rappresentata sinteticamente dall’effige del suo fondatore, Juan de Torquemada, defunto nel 1468.  Ma qualcosa nei soggetti non torna. Non era la confraternita a raccogliere e distribuire l’elemosina? Qui, di fatto, è la Vergine a consegnare il sacchetto con il denaro, mentre il Torquemada (ovvero la confraternita) presenta semplicemente le fanciulle.

Molto comune in quei tempi è un’analogia che oggi a noi sfugge: la Vergine spesso nei dipinti è metafora della Chiesa fondata da Cristo e così come la Vergine nell’annunciazione riceve lo Spirito Santo affinché il Verbo si faccia carne (Gv 1, 14), così la Chiesa riceve lo Spirito Santo per poter operare nel mondo e compiere la sua missione[3]. Il dipinto va letto nella prospettiva della Provvidenza: “l’uomo propone e Dio dispone” recita un vecchio modo di dire ed è proprio quello che troviamo in questo dipinto. L’uomo propone di fare l’elemosina, ma solo Dio, tramite la Grazia che passa attraverso la Chiesa può trovare i mezzi materiali e spirituali per compiere la proposta dell’uomo. La Chiesa in quanto investita dello Spirito Santo è mediatrice presso il Padre (ed in questo ritroviamo un’altra analogia con la Vergine) e ad essa l’uomo si rivolge ed in essa agisce affinché le sue opere di beneficenza divengano opere di carità.

Note al testo

[1] Per approfondire si può consultare Cavallaro Anna, Antoniazzo Romano e gli antoniazzeschi, Udine, 1992; Paolucci Antonio, Antoniazzo Romano, Firenze, 1992; Rossi Sergio, Valeri Stefano, Le due Rome del Quattrocento, Roma, 1997; Bernardini Maria Grazia, Il ‘400 a Roma. La rinascita delle arti da Donatello a Perugino, Milano, 2008.

[2] Strinati Claudio, Le stelle d’oro in Piermatteo D’Amelia, in Le due Rome del Quattrocento, Roma, 1996.

[3] Si pensi alla Madonna del parto di Piero della Francesca indagata in Calvesi Maurizio, Nel grembo dell’arca, in Art e dossier, 33, 1989.