Dall’islam al cristianesimo: le conversioni di Ali Mehmet Mulla Zade, Mohammed Abd el-Jalil, Afif Osseiran ed il “mistero” del fascino cristiano, di Maurice Borrmans

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /11 /2013 - 14:15 pm | Permalink | Homepage
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Trascriviamo per il nostro sito una relazione di p. Maurice Borrmans tenuta per un Seminario di studi sul catecumenato intorno all’anno 2010 – non è stato possibile reperire esattamente il luogo ed il motivo dell’incontro. Il testo non è stato ovviamente rivisto dall’autore. Anche il titolo è nostro, così come i sottotitoli. La trascrizione della relazione è di Giulia Balzerani che ha provveduto anche a rendere il senso italiano di molte espressioni francesi. Presentiamo tale trascrizione nonostante le incertezze di cui sopra, per l’interesse degli argomenti affrontati. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (10/11/2013)

Indice

1/ Le diverse visioni dell’islam e dei rapporti con i diversi stati esistenti nel mondo musulmano

I nostri lavori pastorali in Francia sono simili a quelli italiani e non è un caso se spesso i documenti vengono tradotti l’uno dall’altro. Catecumeni provenienti dall’Islam è la traduzione italiana, aggiornata e contestualizzata, del documento Catéchumènes venant de l'Islam. È importante per noi sentirci solidali su scala europea, la proposta pastorale delle nostre chiese deve essere armonizzata da Lisbona a Varsavia, da Dublino ad Atene e, forse, domani fino ad Ankara.

Vado spesso in Turchia ed è diventata un territorio di attrazione per me. Ormai in Europa ci troviamo di fronte a comunità musulmane di origini molto variegate. L’albanese di tradizione musulmana, ridotta quasi a zero da cinquant’anni di marxismo, non è come il marocchino che viene da un Paese ancora strettamente legato a tradizioni musulmane. Vorrei insistere sulla grande diversità esistente tra i nostri amici musulmani perché questo è utile per il dialogo, ce ne accorgiamo in Francia, soprattutto, dove grazie al ministro degli Interni di allora, l’attuale presidente Sarkozy, tutte le associazioni e federazioni di musulmani di varie origini, hanno dovuto mettersi d’accordo tra di loro per procedere ad elezioni di consigli regionali del culto musulmano.

Ne abbiamo ormai venticinque in Francia ed è importante per decentralizzare le problematiche, perché il dialogo e quindi i problemi della pastorale a Marsiglia, non sono gli stessi che possiamo avere a Parigi o in Bretagna. I documenti non mancano. Si parlava poco fa della Carta dei valori del ministero dell’Interno, ma con il cambio di governo è stato interrotto ogni tipo di rapporto con una posizione piuttosto dura. Proprio in questi giorni il ministro sta ripensando all’opportunità di riprendere i contatti con queste diverse organizzazioni, forse con lo stesso gruppo lasciato dal precedente ministro. Sono notizie di uno o due giorni fa, per ora è tutto sospeso.

In Francia, all’epoca del governo socialista c’era come ministro dell’Interno Jean-Pierre Chevènement che aveva proposto ai partecipanti di tutte le organizzazioni musulmane presenti in Francia una carta di intesa. Naturalmente lui aveva inserito un articolo in cui i musulmani riconoscevano a ognuno il diritto, in Francia, musulmano o non musulmano, di cambiare religione, tenendo conto dell’articolo 18 della Carta universale dei diritti dell’uomo. Questo allora è stato un grande ostacolo, quasi tutte le organizzazioni musulmane hanno rifiutato questo documento.

Ci fu un passo indietro di Chevènement, una nuova stesura del documento in cui questo articolo era scomparso. Naturalmente questo fatto è stato criticato da molti fondamentalisti cristiani, sia protestanti che cattolici che affermavano che il governo non ha il coraggio, sul suo territorio, di difendere i valori della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Era opportuno metterlo per iscritto in una intesa globale? Non si sa. Questo vi fa capire come anche in Francia le organizzazioni musulmane sono ipersensibili su questo argomento.

Contemporaneamente abbiamo nell’Africa del Nord la “caccia alle streghe” del proselitismo evangelico. Ho qui un documento di venti pagine sul sequestro, da parte dei servizi di sicurezza del Marocco di  tanti documenti e video di “pubblicità evangelizzatrice”. L’Algeria da due anni ha una legge anti proselitismo resa vigente a febbraio dell’anno scorso da un decreto di applicazione. Anche un prete che non aveva nemmeno celebrato una messa, ma aveva visitato un campo di profughi dell’Africa nera nel dipartimento di Orano è stato processato e condannato.

In Algeria la situazione è molto delicata perché la legge prevede che sia vietato ogni tipo di culto non musulmano al di fuori dei locali riconosciuti dalla legge dello Stato. Questo significa che un’eucarestia in una casa privata con venti persone è già illegittima. È una situazione paradossale ma molto dura e dobbiamo pregare per questi confratelli cristiani che mantengono una presenza e una testimonianza anche con molta sofferenza.

2/ I diversi motivi per i quali un musulmano si avvicina al cristianesimo

Non mancano le ricerche sulle motivazioni che spingono ad un desiderio di avvicinarsi alla fede cristiana ed alla domanda del battesimo. Ci sono motivazioni culturali, la scoperta di un mondo italiano con tutte le sue ricchezze in questo campo. Ricordo che anni fa a Roma ho seguito per alcuni mesi una coppia di Teheran con i figli. Lui era un direttore d’orchestra cacciato da Khomeini, si preparavano al battesimo e poi sono emigrati negli USA. Talvolta la prima motivazione è culturale e poi si sviluppa nelle dimensioni religiose.

Molte unioni matrimoniali permettono al partner musulmano di avvicinare il mistero cristiano e a volte lo incoraggiano a farlo, anche sotto forma di cripto cattolicesimo. Abbiamo anche uomini cristiani che si fanno musulmani per poter sposare una donna musulmana pur rimanendo qui in Italia. Esistono quindi poi soprattutto le motivazioni personali e sarebbe interessante vedere specificamente come qui in Italia si possano rintracciare, valutare e poi inquadrare.

Riprendendo il libro di padre Jean Marie Gaudeul, che in italiano reca il titolo Vengono dall’Islam chiamati da Cristo, mi sembra utile sintetizzare cinque tipi di motivazioni, per quanto sia possibile stilare una tipologia delle motivazioni dei convertiti. Padre Jean Marie Gaudeul è stato a lungo professore nel Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica di Roma, prima era stato anche alcuni anni in Tanzania, poi per sei anni aveva ricoperto a Parigi il ruolo di responsabile del Service National pour les Relations avec l'Islam. Tutt’ora provvede alla pubblicazione del mensile Se Comprendre (Capirsi). Nel suo libro lui ha raccolto diverse biografie di cristiani venuti dall’Islam, che siano cattolici, protestanti, anglicani e così via. Ha raccolto soprattutto molti testi in inglese che lui ha analizzato e tradotto talvolta in francese.

Si possono indicare cinque vie diverse che emergono dall’esperienza e dalla riflessione:

1/ Il fascino di Cristo. Rimandiamo per ora questo spetto perché fra poco ne vedremo ampiamente l’importanza.

2/ Il Gesù coranico come via per giungere al Gesù dei Vangeli: basta sapere che il Corano parla abbastanza bene di Gesù pur negando di lui molte cose. I musulmani di buona volontà non sono ignoranti di Gesù Cristo e se loro riflettono a lungo sui privilegi particolari che questo profeta, figlio di Maria, ha nel Corano, si possono porre tante domande in proposito. Io sono convinto che l’amicizia dei cristiani, la testimonianza di famiglie cristiane e l’opera dello Spirito, permettono ai musulmani sinceri, di porsi tante domande.

Di questo Gesù parlano le pubblicazioni cristiane o le manifestazioni culturali, basta pensare alle nostre cattedrali, ai nostri musei, a tutta il nostro patrimonio artistico legato all’iconografia biblica, sia quello italiano, sia quello francese, tedesco o spagnolo. Dovremmo pensarci più a lungo e io penso che le persone incaricate di guidare le visite alle nostre chiese o musei, dovrebbero avere non un atteggiamento di proselitismo, ma dovrebbero saper presentare ampiamente e con grande semplicità il messaggio che sta dietro a tutto questo patrimonio artistico. Io ricordo che a Tunisi, nella cattedrale, con regolarità, abbiamo dei gruppi di cristiani, talvolta suore, che accolgono i giovani musulmani che vengono a vedere che cos’è una chiesa, cosa si fa in una chiesa, cosa rappresentano tutti i simboli religiosi. Questo si fa in forma molto semplice, rispettosa dei visitatori, ma anche a casa nostra è molto importante farlo. In Francia, in molti luoghi di pellegrinaggio, tante persone sono impegnate in questo senso. Dal culturale al religioso cioè. Padre Georges Anawati, un domenicano che a lungo ha lavorato a Il Cairo, mi diceva che non c’è cultura senza religione e non c’è religione senza cultura. Non possiamo mettere tra i due settori una frontiera, un muro, anzi è il contrario. Nel racconto di molti di questi convertiti si passa spesso da un discorso su Gesù, informativo, ad una parola indirizzata a Gesù. Gesù non è più una terza persona, diventa una seconda persona con la quale si entra in dialogo e poi in preghiera. Fino al momento di decidere di seguirlo e fare la sua volontà, anche senza diventare subito cristiano, e qui sarebbe bene analizzare il caso dei cosiddetti cripto cristiani, ne abbiamo molti, i “proseliti” che noi abbiamo negli Atti degli Apostoli. Da qui la domanda per noi, per le nostre comunità, per i nostri cristiani: “Sappiamo parlare di Gesù Cristo tenendo conto di quanto dice il Corano in proposito?”

3/ Un altro aspetto è la ricerca di una comunità che si scopre poi essere la Chiesa. La Umma musulmana non viene sempre apprezzata dalle persone singole che cercano la comunità ideale dove poter vivere gli ideali proposti falla fede. Perché il Corano, la Sunna e tutta la tradizione spirituale dell’Islam, non l’Islam giuridico, civile e politico, ma l’Islam religioso e spirituale, sviluppano nella coscienza spirituale dei suoi seguaci un insieme di valori che sono paraevangelici. Alcuni anni fa, nel 2004, per il 40° anniversario della Ad Gentes, all’Urbaniana ho tenuto una conferenza sul tema Un vangelo fruibile da tutti i musulmani e mi sono permesso di ricordare appunto che i nostri amici musulmani, quando sono di quel gruppo che tenta di superare l’aspetto giuridico o formalistico per avvicinare la realtà spirituale, non sono insensibili ai valori del Vangelo. Qui sarebbe il caso di prendere in considerazione diversi hadith. Se noi siamo a conoscenza delle prime tappe del percorso di spiritualità sviluppato dai cosiddetti sufi, possiamo forse trovarvi delle preparazioni indirette a una comprensione e a una sensibilità di tipo evangelico. Vi leggo alcuni di questi hadith che ci fanno riflettere.

Dio ha detto: io ero un tesoro nascosto, ma ho voluto essere conosciuto, così io ho creato le creature e mi sono fatto conoscere da esse.

Dio ha detto: io sono vicino al mio servitore che pensa a me. Se egli si avvicina a me di una spanna, io mi avvicinerò a lui di un gomito. Se egli si avvicina a me di un gomito, io mi avvicinerò a lui di un braccio e se egli viene a me marciando, io andrò a lui correndo.

Dio ha detto: se il mio servitore si avvicina a me con delle opere supererogatorie subito io lo amo e se io lo amo io divento il suo orecchio con il quale egli intende, il suo occhio con il quale egli vede, la sua mano con la quale egli tasta, il suo piede con il quale egli cammina. Se egli chiede io gli do, se egli cerca rifugio presso di me io lo proteggo.

E poi questo famoso hadith che assomiglia al capitolo 25 del vangelo di Matteo:

Dio dirà nel giorno del Giudizio: ‘O figlio di Adamo, ero ammalato e non Mi hai visitato’; l’uomo dirà: ‘O Signore, e come avrei potuto visitarTi quando Tu sei il padrone dei mondi?’. Egli dirà: ‘Non sapevi che il tale Mio servo era ammalato e non l’hai visitato? Non sapevi che se tu l’avessi visitato Mi avresti trovato presso di lui? O figlio di Adamo: ti ho chiesto da mangiare e non Mi hai dato da mangiare’; l’uomo dirà: ‘O Signore, e come avrei potuto darTi da mangiare quando Tu sei il padrone dei mondi?’. Egli dirà: ‘Non sapevi che il tale Mio servo ti ha chiesto da mangiare, e non gli hai dato da mangiare? Non sapevi che se tu gli avessi dato da mangiare avresti trovato che ciò era per Me? O figlio di Adamo, ti ho chiesto da bere e non Mi hai dato da bere’; l’uomo dirà: ‘O Signore, come avrei potuto darTi da bere quando Tu sei il padrone dei mondi?’. Egli dirà: ‘Il tale Mio servo ti ha chiesto da bere e non gli hai dato da bere; non sapevi che se tu gli avessi dato da bere avresti trovato che ciò era per Me?’”.

E infine:

Allâh ha detto: ‘Ho preparato per i Miei servi devoti ciò che nessun occhio ha visto e nessun orecchio ha udito e non è sovvenuto ad anima d’uomo’.

Io penso che la ricerca di valori di quel tipo, già favorito da questa sequela sufi, da una prima ascesi di tipo musulmano, non è senza interesse nel poter portare avanti un discorso di approccio ai valori del vangelo. Da qui la scoperta delle Beatitudini che sono sulla scia di questi hadith, di questi detti attribuiti a Maometto. La Umma sembra non rispondere a questa domanda di compimento di quanto vi ho detto e le persone cercano una comunità, naturalmente lasciando il loro milieu di origine. Allora se la Chiesa ha dei testimoni affascinanti, che riescono a dare risposte, senza fare proselitismo, le persone scoprono un popolo di Dio. C’è la ricerca di un cristianesimo integrale vissuto in comunità. Donde la nostra domanda: le nostre comunità sono davvero evangeliche? Non parlo di testimonianza individuale, ma siamo solidali nel bene - purtroppo, lo siamo anche nel male - o solo nel silenzio e nel disinteresse?

4/ C’è anche il bisogno di salvezza, tanto più che nella prospettiva musulmana di salvezza non si parla, ma si parla soprattutto di successo, una prospettiva che non è consona al Vangelo. Come passare dalla legge alla grazia: è un discorso che molti convertiti hanno tentato di sviluppare nelle loro ricerche, accettando, lo vedremo nel caso di padre Afif Osseiran, l’umiltà o anche l’umiliazione, anziché il successo, perché la Salvezza richiede un Salvatore. C’è anche la sete di verità, tanto più che l’Islam si presenta tramite i suoi attuali araldi, come religione razionale, naturale, una religione che va di pari passo con la filosofia per quanto riguarda il rapporto con Dio, ciò che nella nostra tradizione è la teodicea.

Spesso i musulmani cominciano questo percorso con la ricerca di una polemica, leggeremo un testo di padre Jean-Mohammed Abd el-Jalil a questo proposito. All’inizio loro vorrebbero polemizzare, dimostrare la superiorità razionale dell’Islam e non si rendono conto che non si tratta più di ragione, ma di fede, di scoperta di segni di un intervento di Dio nella storia umana e soprattutto nella storia personale di chi cerca una risposta alle sue domande. Attraverso questo sforzo polemico avviene la scoperta di una certa coerenza del cristianesimo, parlo degli intellettuali, e della sua capacità di rispondere alle sfide della vita moderna, tante volte ci hanno chiesto come siamo riusciti a superare tutte le sfide dell’ateismo o dell’agnosticismo. Non è che le nostre risposte abbiano sempre generato dei battesimi, ma ogni tanto hanno generato dei cripto cristiani. Dobbiamo superare ogni tipo di polemica o di apologetica per metterci insieme serenamente e scientificamente alla ricerca di una verità sulle religioni.

5/ Poi naturalmente il quinto tipo di motivazioni: la ricerca spirituale mistica. Qui padre Christian de Chergé, il priore dei trappisti di Tibhirine in Algeria potrebbe dirci tante cose, ma lui e i suoi confratelli non sono più di questo mondo. Però potremmo leggere alcune sue lettere su questo tema, alcune che ha scritto anche personalmente a me. Fatto sta che i musulmani sensibili alla ricerca del mistero ultimo del loro essere esseri umani nelle mani di un Creatore Onnipotente e provvidente possono andare ad interrogare tramite tutta la tradizione del sufismo il partner cristiano per sapere un po’ di più come si può, non soltanto avvicinare il mistero di Dio, ma esservi coinvolto. L’ultima tappa della scala di progresso ascetico-mistico del sufismo è essere vicini a Dio.

Ora, a conclusione delle considerazioni fatte fin qui ci sono delle osservazioni complementari di cui dobbiamo tener conto.

La prima è che spesso quando il musulmano si mette a leggere la Bibbia lo fa come se leggesse il Corano, considera il testo come direttamente dettato da Dio alla comunità cristiana. Sarà quindi difficile per lui passare attraverso la ricerca dei generi letterari, del linguaggio simbolico e quant’altro. L’ultima manifestazione che ho trovato in materia è quella del mio vecchio amico tunisino Mohamed Talbi che ha lavorato a lungo con noi, è stato Presidente del Consiglio culturale nazionale tunisino, al quale avevamo sottoposto la lettura di Orientamenti per un dialogo tra cristiani e musulmani di cui aveva fatto l’elogio. Ha un modo di leggere. Il suo libro “Affinché il mio cuore sia sereno”[1] finisce con tre capitoli che sono una polemica che intende mostrare l’erroneità del cristianesimo a partire da una lettura letterale dei testi dell’Antico Testamento. La linea che quel volume rappresenta è quella di una lettura dell’Antico Testamento portata avanti in modo letteralistico che stupisce in uno storico, al corrente di tutte le nostre metodologie, delle nostre letture della Bibbia. È una realtà di cui dobbiamo tener conto perché si ripresenta sempre. Occorre avere la pazienza di spiegare che la lettura di un testo suppone sempre il passare attraverso la lettura di una comunità. Un musulmano colto lo riconosce, se è a conoscenza di quanto tanti commentatori del Corano si sono rivelati contrastanti nelle loro opinioni per spiegare alcuni passi del Corano.

I fattori culturali non possono essere sottovalutati. Un vero dialogo in materia di spiritualità dovrebbe, credo, superare tutte le tentazioni della polemica e dell’apologetica. Questo suppone che da parte nostra ci sia una trasparenza che definirei evangelica. Per fortuna ormai nei nostri incontri a livello accademico tra esponenti musulmani e cristiani possiamo ascoltare le loro relazioni e sappiamo sempre di più del loro patrimonio culturale e loro ascoltano noi per sapere un po’ di più sulla realtà del nostro cristianesimo che non è esattamente quello presentato dal Corano e dalla loro tradizione. Per loro la fatica è maggiore che per noi. Tante volte però durante le pause alcuni “Nicodemo” mi vengono a trovare per chiedermi se davvero credo in tutto quello che ho detto del Cristianesimo. In un discorso interpersonale, uno ad uno, senza altre presenze, non chiedono più la presentazione di un contenuto, ma la confessione di fede. In tal caso bisogna rifare o ridire le cose in un modo più adatto al loro vocabolario religioso. Qui subentra la nostra capacità di rispondere alle loro domande nella misura in cui siamo preparati a livello di islamistica, per sapere dove stanno gli ostacoli, quali sono le parole da usare e i vocaboli da evitare perché ambigui, indovinare in anticipo le loro domande, perché ci sono domande silenziose che la nostra sensibilità potrebbe cogliere.

3/ Le storie della conversione di Ali Mehmet Mulla Zade e Mohammed Abd el-Jalil

In questi ultimi tempi ho voluto approfondire un po’ nel concreto alcune esperienze personali di persone che sono arrivate al cristianesimo provenendo dall’islam. Nel 1905 a Aix-en-Provence, in Francia, un turco, figlio di un medico di Creta,all’epoca ancora ottomana, fu mandato in Francia per fare studi di filosofia, divenendo discepolo di Maurice Blondel, il filosofo dell’Azione. Si chiamava Ali Mehmet Mulla Zade e, successivamente, chiese il battesimo, scegliendo il nome di San paolo: Paul. Divenuto poi prete nella diocesi di Aix-en-Provence, nel 1924, con la creazione del Pontificio Istituto di Studi orientali dei gesuiti, venne invitato da papa Pio XI a venire a Roma ad insegnare arabo, greco, turco e Islamistica, divenendo poi consigliere personale di Pio XII su questi temi fino alla sua morte.

Nel 1925 Louis Hubert Gonzalve Lyautey, governatore generale in Marocco, mandò a Parigi un gruppo di giovani studenti marocchini per fare studi superiori, perché auspicava un Marocco indipendente e voleva preparare i futuri ministri. Tra questi c’era Mohammed Abd el-Jalil. Mohammed si ritrovò a vivere a Parigi in una famiglia cattolica. All’inizio non volle studiare solo lingua e letteratura arabe, ma anche filosofia. Fu il primo musulmano iscritto alla facoltà di teologia dell’Istituto cattolico di Parigi. Lui volle prepararsi il più possibile per polemizzare con il cattolicesimo e poterlo criticare avendone gli strumenti.

Succederà il contrario: colui che lo seguiva gli consigliò di scrivere a monsignor Ali Mehmet Mulla Zade che viveva a Roma. Vi leggo alcuni passi delle loro prime due lettere. Ho pubblicato tutta la loro corrispondenza in un volume che è stupendo, per fortuna abbiamo potuto ritrovare tutte le lettere che i due si sono scambiati. Per me è un modo di vedere come due preti venuti dall’Islam hanno superato alcuni ostacoli originari per loro e tutti e due non hanno mai espresso la minima critica nei riguardi dell’islam della loro fanciullezza e della loro adolescenza. Per loro diventare cristiani è realizzare in pienezza quanto hanno imparato dall’islam spirituale della loro giovinezza. Vi leggo alcuni paragrafi della prima lettera di Mohammed Abd el-Jalil - non si chiama ancora Jean, come si chiamerà poi - del 1 ottobre 1927:

Prima del 30 gennaio di questo anno, pensavo che nessun musulmano avesse alcun motivo di cambiare religione, ma dopo questa data ho percorso molte tappe, mi sono impegnato nello studio della religione cattolica e nella lettura dei suoi testi sacri e poi mi sono ritrovato a perdere le mie convinzioni musulmane e a dare tutta la mia simpatia alla causa cattolica. Ecco cosa mi ha portato a cambiare atteggiamento, senza parlare dell’intervento sovrannaturale che credo di aver toccato con mano parecchie volte. L’autenticità dei Vangeli è la prima cosa che mi ha preoccupato. Ho fatto molte letture in proposito: Gratry, Mgr. Dogaud, P. de Grandmaison, Duplessy. Per me non si può più sostenere il loro tahrîf (falsificazione). Ma allora cosa pensare delle affermazioni coraniche e di quelle delle autorità più competenti del mondo musulmano? Cosa ne pensano i moderni? Le mie letture mi hanno condotto a una seconda conclusione, eccola: il Cristianesimo è superiore alla religione che praticavo io da due punti di vista che posso, credo, valutare con certezza: la morale e la santità del fondatore. Se quindi le cose stanno così, se viene ammessa l’esistenza di un Dio personale e del tutto perfetto, sembra impossibile che Egli abbia permesso un errore così bello come il cattolicesimo. Sarebbe contrario alla sua Saggezza, alla sua Bontà e alla sua Giustizia. Da parecchi mesi questo modo di pensare e di sentire mi ritorna sempre in mente e mi porta a sentirmi sempre di più vicino al cattolicesimo. Tuttavia non si tratta di una certezza, devo arrivare a dimostrarlo a me stesso e anche agli altri. Tale dimostrazione riuscirà ad attuarsi soltanto se riesco a credere all’Uomo-Dio.

Mohammed Abd el-Jalil scrive ancora:

La prima questione che mi preoccupa è quella dell’Uomo-Dio, o piuttosto di Dio. Come lei è passato dalla concezione musulmana di Dio alla concezione cristiana del Dio unico in tre Persone. Devo confessare subito che la Trinità non comporta alcun ostacolo per me, ma non posso dire che io ci credo.

La seconda questione che mi interessa è quella della missione di Mohammed. Sebbene non abbia più la mia preferenza, Mohammed mi sembra essere sincero, non lo si può accusare di essere un impostore o vittima di allucinazioni. Chi sarebbe Mohammed? Ci sarebbe un intervento divino nella sua missione? Qualcosa di quasi soprannaturale, come suggerisce uno dei miei maestri di Parigi?

(Qui si riferisce a Louis Massignon). Nella sua risposta Mulla-Zadé, il 15 ottobre 1927, scrive:

Come lei, giovane musulmano venuto a cercare in Europa scienza e diplomi, vi ho incontrato Dio; come lei ho scoperto l’altra Francia, quella degli universitari credenti, della gioventù cattolica, delle famiglie cristiane, dei santi; mi sono commosso leggendo gli scritti di Paolo e i Vangeli. Come lei ho provato il bisogno di una riforma morale e di un direttore spirituale. E prima che venissero meno le mie credenze musulmane e che si affermasse la mia decisione di entrare nella Chiesa, sono passato come lei su vette altissime tra due mondi o tra due abissi, per mesi di attesa e anche di angoscia […] Prima di scriverle ho voluto raccogliermi e pregare, leggere di nuovo la descrizione veritiera che lei mi ha fatto del suo stato d’animo e di spirito, capire le sue difficoltà e i suoi bisogni e meditare la mia risposta davanti a Dio […] Ciò che mi stupisce profondamente della sua lettera è che lo studio del Cristianesimo non è per lei una semplice questione di curiosità teorica, ma un problema morale, una questione di spirito in cui tutto il suo essere viene coinvolto. Il contatto con il cattolicesimo ha smosso ciò che di più puro, di più intatto era nel più profondo della sua anima, svegliando in lei il desiderio di una perfezione spirituale autentica […].

La purezza, la sublimità della legge di perfezione proclamata nel Discorso della montagna e il volto affascinante di colui che l’ha emesso e proposto prima di darne con la sua vita e la sua morte il commento incomparabile, sono in effetti i due motivi di credibilità che hanno sempre colpito le anime attente e di retta condotta, questi sono, infatti, due “motivi di credibilità” che hanno sempre colpito le anime attente alla verità e di retta condotta […].

Queste ulteriori meditazioni di Paul-Mehmet Mulla-Zadé per me sono stupende:

Lei deve anche aggiungere alla santità della Legge dell’amore e del suo Autore, la santità comunemente realizzata dai suoi fedeli, individui, famiglie e società. Lei ha certamente notato che il Cristianesimo non soltanto promulga dei precetti e propone dei consigli, ma dà anche i mezzi per compierli; senza dubbio la Chiesa è apparsa a lei in questo mondo come l’organizzazione sistematica e metodica della santificazione collettiva a disposizione di tutti, oppure come il focolare in cui si accende e si mantiene per l’umanità intera il fuoco dell’amore divino […]

Tutto questo mi fa considerare come problema secondario lo studio del carattere di Mohammed, della sua psicologia, del suo grado di sincerità e dell’idea che egli stesso si è fatta della sua missione.

E più avanti:

Oggi ancora non posso dirvi che sono arrivato in questi problemi così controversi tra scienziati, a una conclusione decisamente chiara e sicura.

E poi

Non mi sono mai rifiutato di accettare le ipotesi più favorevoli in tal proposito, non ammetto e non ho mai ammesso le concezioni sommarie che vedono in Mohammed un furbo ed un impostore, oppure un allucinato o un epilettico. Concezioni che testimoniano il marchio di pregiudizi volgari e pseudo-scientifici che ne sono all’origine. Mi è bastato allora e mi basta che la sua vita e la sua dottrina, anche così come sono ammesse dai suoi fedeli, non abbiano i caratteri di santità trascendenti che appaiono chiaramente nella vita e nella dottrina di Cristo per far sì che come dice lei non abbia il nostro consenso e la nostra adesione.

E allora ecco le ipotesi che Paul Méhémet ha meditato a lungo:

Che si parli in un senso che resta da determinare in comprensione e in estensione – di una “missione” che avrebbe ricevuto, che si presti attenzione agli elementi dottrinali, morali, cultuali, i quali dall’origine, e nel corso della storia dell’Islam sono stati per le innumerevoli anime musulmane, nell’invincibile ignoranza della verità religiosa totale, veicoli della grazia e della salvezza e talvolta per alcune anime prescelte da Dio, gli elementi di una vita di alta contemplazione e di carità eroica, e che si proponga per designare questa presenza e azione divina nelle anime che stanno al di fuori dell’appartenenza al corpo della Chiesa, delle espressioni come quelle di stato semi soprannaturale o che se ne cerchino altre più esatte - io non vi vedo a priori alcun inconveniente, anzi, al contrario, né dal punto di vista storico, né dal punto di vista cattolico.

La copertina del libro nel quale abbiamo raccolto la corrispondenza tra Jean-Mohammed Abd el-Jalil e Mulla-Zadé mostra una foto del battesimo di Jean-Mohammed, il sabato santo del 1928, con accanto Mons. Mulla-Zadé (Jean-Mohammed Abd-el-Jalil - Paul-Mehmet Mulla-Zadé, Deux frères en conversion du Coran à Jésus. Correspondance 1927-1957, rassemblée, introduite et annotée par Maurice Borrmans, Cerf, Paris, 2009). Il padrino è Louis Massignon e in un altro libro abbiamo raccolto la corrispondenza tra Jean-Mohammed Abd el-Jalil e Louis Massignon[2].

Abbiamo due espressioni del percorso di un convertito venuto dall’Islam. Jean Mohammed non è mai diventato cittadino francese, a differenza di Mulla-Zadé.

4/ La storia della conversione di Afif Osseiran

C’è poi la storia di uno sciita libanese, Afif Osseiran, che apparteneva a una delle famiglie più conosciute - tanti membri della sua famiglia sono stati deputati o addirittura ministri a Beirut.

Ad un certo punto della sua vita Afif perde la fede musulmana, studia all’università americana filosofia, lettere arabe. Poi ha una conversione, cerca il mistero di Dio tramite filosofia, teologia, etc. e ritrova la fede musulmana diventando un musulmano praticante, ma continua a cercare fino a scoprire che il mistero del Dio musulmano non lo soddisfa.

Chiede il battesimo e ciò comporta la rottura con la sua famiglia, si accontenta di lavorare, lui, un intellettuale, come operaio. Consapevole delle sofferenze della sua famiglia va a inginocchiarsi davanti alla porta della casa dei suoi genitori, chiedendo perdono per il disonore inflitto alla sua famiglia, ma allo stesso tempo dice ai suoi che non può tradire la sua coscienza. Busserà alla porta dei Piccoli Fratelli di Gesù dai quali sarà accolto, farà il noviziato nel Sahara algerino, andrà a lavorare a Tabriz, in una casa per lebbrosi, farà studi di filosofia a Teheran e andrà anche in Afghanistan. Farà un dottorato di filosofia a Lovanio e tornerà in Libano e finalmente, su suggerimento dei Piccoli Fratelli, diventerà prete maronita.

Infatti è ordinato a Beirut e crea il Focolare della Provvidenza per la formazione professionale dei ragazzi più poveri musulmani e cristiani. Aveva intorno a sé una piccola comunità tutta di cristiani venuti dall’Islam, con preghiere speciali aggiunte alle preghiere comuni della messa cattolica, di espressione araba.

Un mio amico, Jacques Keryell, che ha lavorato molto con lui, ha raccolto i suoi scritti e raccontato la sua biografia[3]. Anche qui possiamo vedere cosa si può raccogliere delle confidenze di un prete che viene dall’Islam e che è rimasto nel suo Paese. Per lui il motivo ultimo e decisivo della credibilità del Cristianesimo è l’amore per i nemici. Ha delle pagine stupende su questo argomento.

5/ Uno sguardo sintetico sulle tre conversioni di Ali Mehmet Mulla Zade, Mohammed Abd el-Jalil e Afif Osseiran

Tutti questi autori ci fanno pensare. Vorrei leggere ancora con voi alcuni testi di Mulla-Zadé e Abd-el-Jalil.

Il 15 ottobre 1927 Mulla-Zadé scrive:

Non dimenticherò mai la gioia stupenda che ho provato nell’udire, un giorno del 1901, il mio professore di filosofia, Maurice Blondel, che divenne più tardi il mio padrino di battesimo, spiegare la dottrina cattolica sulla distinzione tra il “corpo” e l’“anima” della Chiesa e il mio sentimento di gratitudine e di affetto quasi filiale per una società che mi contava, anche se ero musulmano, tra i suoi figli, in quanto ritenuto lontano da essa per ignoranza o errore invincibile, non peccavo io contro la luce interiore che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. E potevo capire allora che, se c’è un’“anima” della Chiesa, che abbraccia tante persone al di fuori, è perché c’è anche un corpo dove scorre la grazia di Cristo per raggiungere tutti. Si può anche pensare che le altre religioni testimoniano della verità della religione cristiana, grazie alle loro verità frammentarie e le loro efficienze limitate: paragonate ad essa non sono forse come lo schizzo paragonato al quadro del pittore? O il pallido riflesso alla luce piena? O la contraffazione all’originale, o la “figura” o l’ombra alla realtà?

Nel 1928, l’anno successivo, precisamente il 10 gennaio 1928 spiega:

Musulmano credevo nell’unicità di Dio, ma in un’unicità numerica, astratta, fredda, inerte. Cristiano credo ancora nell’unicità di Dio, ma una unicità personale, concreta, vivente, ricchezza di vita nel seno del Dio unico perché unicità cosciente, percepita, amata.

E alcuni giorni dopo aggiunge (18 gennaio 1928):

La religione musulmana mi è apparsa come una parte della verità religiosa capace di bastare per le anime di buona fede alle quali mancano le luci superiori, ma incapace di soddisfare i desideri delle anime dai fabbisogni intellettuali e spirituali superiori.

Mulla-Zadé rimane convinto della salvezza dei credenti di buona volontà, lo pensa anche dei membri della sua famiglia. E lo stesso per Mehemet Abd-el-Jalil, che ama suo padre due volte di più e non riesce a fargli capire quello che succede. Per fortuna suo fratello Omar che ogni anno si reca a Parigi per problemi politici, lo va a visitare perché l’amore fraterno ha superato l’abisso che separava ormai i due.

Mulla-Zadé dice di sua madre:

Con timore alle sue deficienze davanti alla giustizia del tre volte Santo, ed anche, con fiducia, alle sue ignoranze invincibili e alla sua fede retta vissuta con spontaneità e costanza.

Lui è riuscito dopo il battesimo a vivere sei mesi nella sua famiglia nell’isola di Creta, prima di tornare a Aix-en-Provence, nell’ambiguità delle sue scelte personali. Nessuno poneva le domande che avrebbero chiarito le cose. Lui ha una frase stupenda:

Ho voluto far conoscere ai miei la ricchezza del mio Cristianesimo nascosto tramite le virtù della perfezione naturale.

Ci fa molto riflettere.

Il padre Abd-el-Jalil scrive nel suo libro Aspects intérieurs de l’Islam[4], che purtroppo non è stato tradotto in italiano, alcune espressioni che subito leggeremo.

Questi convertiti hanno tre caratteristiche comuni:

1. L’assenza di critiche nei confronti dell’Islam.

2. La solidarietà totale con i credenti nella loro religione di origine. Sono solidali al massimo e trovano tutte le ipotesi più favorevoli: l’anima della Chiesa, le verità limitate, ma positivamente interpretate.

3. L’intercessione per i loro familiari. Questi convertiti si fanno mediatori culturali e religiosi per far capire ai nuovi fratelli e le nuove sorelle cristiani, le ricchezze, certo limitate, dell’Islam.

Un vero convertito diventa un ponte di intercomprensione, una passerella di reciproca emulazione e solidarietà a tutti i livelli. Per me è un criterio di autenticità di un battesimo vissuto nello Spirito. Vi leggo allora due cose di padre Jean Mohamed Abd-el-Jalil.

Lui nella prefazione al suo libro Aspects intérieurs de l’Islam, parlando di se stesso dice:

L’autore, che pensa di conoscere abbastanza bene, dal di dentro, le due religioni, spera che un giorno gli saranno dati l’onore e la gioia di spiegare a lungo, in uno sguardo sintetico e vivo, i problemi che pongono le similitudini e differenze tra loro.

Purtroppo il tempo e la salute sono venuti a mancargli. Nonostante questo l’analisi dei suoi scritti permette di pensare che il suo discernimento teologico coerente con quello della Chiesa e quasi simile a quello di mons. Mulla-Zadé l’avvicina un po’ a quello di Louis Massignon, pur non accettandone le espressioni profetiche o poetiche, e soprattutto la sua ipotesi di una via parallela di salvezza, per la stirpe spirituale di Ismaele.

Lui è convinto che il Cristianesimo non è una religione come le altre, donde le sue difficoltà e la sua pura trascendenza, egli insiste sulla responsabilità dei cristiani nei riguardi dei valori religiosi diffusi nel mondo. E questo proprio perché depositari di questa trascendenza superiore.

Per padre Abd-el-Jalil l’Islam è la religione più universale dopo il Cristianesimo, nata dopo di lui e contestandolo nei suoi dogmi essenziali. Religione che gli sembra più vicina dell’ebraismo, dando a Gesù e Maria un posto dei più rilevanti e allo stesso tempo più lontana a causa del suo rifiuto intransigente dei misteri cristiani. Gli riconosce il suo culto per la trascendenza e la sua paura per Dio. È una frase che ho trovato tante volte nelle lettere di Abd-el-Jalil, il musulmano ha paura di Dio. Come George Anawati, Louis Gardet e altri, padre Abd-el-Jalil ha pensato che i tempi non erano maturi per tentare una teologia cattolica dell’Islam come religione. Vi leggo allora una parabola che lui ci ha dato in una lettera del 4 gennaio 1979 e indirizzata a Louis Gardet

Raccontava che suo fratello Omar era venuto a trovarlo e avevano discusso per tre ore tra di loro sul mistero di Dio.

Tre ore di conversazione su Dio e sul suo Regno tra gli uomini. Conclusione di mio fratello Omar: sono felice di constatare che non hai rinunciato alla ragione per credere ai misteri cristiani, malgrado ciò tra di noi c’è un muro. Io allora gli ho ricordato i muri che circondano i giardini della nostra città, Fes, costruiti per far sì che le donne fossero libere da entrambi i lati di togliersi il velo e stare all’aria aperta senza essere viste e ho avuto l’ispirazione di aggiungere che questi muri non impedivano al profumo delle rose da entrambe le parti di incontrarsi più in alto al di sopra dei muri.
Il cardinal Journet voleva che trasformassi questo racconto in un articolo per la rivista Nova et vetera, ma era impossibile nei confronti di mio fratello. Comunque padre Henry de Lubac lo ha trovato teologicamente esatto.

La conclusione è una frase stupenda:

chiunque faccia la volontà di Dio, così come la conosce, e si applichi per meglio conoscerla è una rosa dal profumo meraviglioso che se ne va oltre tutti i muri ad incontrare un altro profumo che origina anch’esso dalla fedeltà al dono e all’esigenza di Dio così come vengono percepiti.

Io la chiamo la parabola dei profumi delle rose che si incontrano al di là dei muri di separazione e noi uomini ne stiamo costruendo ancora tanti in alcuni Paesi.

Tornando alla Francia, dopo aver permesso ai nostri tre testimoni di parlarci, vorrei insistere su questo fatto. Massignon e tanti altri hanno una conoscenza approfondita di quanto dice il Corano su Gesù e Maria e non mancano libri in proposito. Lo stesso padre Abd-el-Jalil ha scritto un libro dal titolo Maria e l’Islam[5]. Io ho pubblicato diversi anni fa un libro dal titolo Gesù Cristo e i musulmani del XX secolo[6]. La tradizione musulmana ha attribuito a Gesù non dico degli hadits, perché questi appartengono solo a Maometto, ma dei detti. Gesù è un maestro di spiritualità. Tarif Khalidi, storico,Islamista e arabista palestinese che attualmente ricopre la cattedra di Arabistica e Islamistica nell'Università americana di Beirut, ha scritto un libro dal titolo The Muslim Jesus[7], poi tradotto in francese (Un musulman nommé Jésus), che è una raccolta di questi detti attribuiti a Gesù dalla tradizione musulmana, che possono essere per noi l’anticamera di un approfondimento.

6/ La questione coranica e politica della conversione dall’islam al cristianesimo

Come sono considerati i neo-cristiani da parte dei musulmani e da parte dei cristiani? Da parte dei cristiani le nostre comunità a volte fanno fatica ed è opportuno raggruppare tra di loro i convertiti venuti dall’Islam a causa di un background religioso specifico, un problema di pastorale che bisogna valutare nelle comunità locali, in parrocchia o in diocesi per esempio.

Naturalmente tutto dipende da come questi neocristiani si considerano ancora legati alla loro società di origine, per esempio quella araba, tunisina, egiziana, o se hanno deciso di tagliare culturalmente in modo definitivo questo legame.

Voi sapete che da parte musulmana alcuni versetti coranici dichiarano che le opere compiute da coloro che lasciano l’Islam sono prive di validità giuridica e che i convertiti sono destinati all’inferno. Un detto di Maometto condanna a morte tre tipi di crimini e uno di questi è lasciare l’Islam.

Ci troviamo dinanzi a questa doppia affermazione: niente costrizione in religione è la famosa frase della sura numero 2 di cui aveva parlato Benedetto XVI a Ratisbona e dall’altra parte c’è questa posizione chiara: dall’Islam non si esce. Praticamente non è soltanto un peccato, è anche un tradimento in quanto l’Islam si considera allo stesso tempo religione-società.

Mustafa Mahamoud propose poco più di venti anni fa all’assemblea nazionale egiziana un codice penale di stampo coranico, con un capitolo sulla pena di morte per chi è colpevole di riddah, apostasia. Un’apostasia vista in tutte le sue dimensioni anche per chi non diventa cristiano, ma per chi bestemmia il Corano o maltratta il profeta.

Il popolo egiziano ha rifiutato questo progetto di legge, ma in Marocco è stato elaborato da parecchi anni un codice penale unificato dei Paesi arabi che è stato anche redatto, ma per fortuna mai promulgato, in cui c’è un capitolo sul reato di riddah, punito con la pena di morte.

Dovremmo essere attenti perché alcune scuole canoniche musulmane riconoscono la possibilità di un pentimento, cioè chi lascia l’Islam potrebbe pentirsi di averlo fatto. Alcune scuole danno un periodo di trenta o sessanta giorni per tornare indietro, l’istitaba.

Alcuni dotti musulmani dell’Egitto, molto intelligenti, per mettere in accordo le loro leggi in materia con la Dichiarazioneuniversale dei diritti dell’uomo hanno detto che si potrebbe ipotizzare che il periodo dell’istitaba duri tutta la vita delle persone. Sarebbe una scappatoia giuridica se i governi la accettassero, ma ancora non è avvenuto.

Nella maggior parte dei Paesi Islamici, soprattutto di tradizione arabo-musulmana è praticamente impossibile diventare esplicitamente cristiani. Tanto più che in alcuni Paesi l’appartenenza religiosa viene messa per iscritto sui documenti delle persone. Anche nella nostra Grecia europea esisteva qualcosa di analogo, dobbiamo quindi essere molto cauti nel nostro modo di valutare le cose.

Nei Paesi dell’Africa sub sahariana la situazione è diversa, la libertà di scelta e di cambiamento esiste dappertutto, anche se sociologicamente talvolta ci sono problemi. In Pakistan i cristiani e gli appartenenti alla setta degli Ahmadi costituiscono un corpus elettorale particolare. Cambiare religione significa quindi cambiare anche corpus elettorale. Quando il politico, il culturale, il religioso, l’amministrativo si mescolano, vengono a crearsi delle difficoltà. In Turchia, nelle grandi città come Istanbul è possibile, andando in Comune, far cambiare l’appartenenza religiosa sulla carta di identità.

In conclusione direi che pur tenendo conto dei grandi principi generali della libertà religiosa e della reciprocità che non tocca a noi esigere, perché questo attiene alle istanze politiche, giuridiche e amministrative, io penso che queste testimonianze, queste valutazioni, ci permettono di intravedere che da noi, in Europa, le libertà noi le dobbiamo difendere e promuovere, con gentilezza, ma a tutti i costi.

Perché spesso i nostri immigrati pensano che in Europa si sia come a casa loro, vale a dire che a casa nostra è difficile o impossibile cambiare religione come a casa loro, allorché la situazione è completamente diversa. Se noi accettiamo che i cristiani sociologicamente aderenti alla tradizione culturale cristiana diventino musulmani a casa nostra, dobbiamo anche far rispettare la stessa libertà di scelta per chi, a casa nostra, ritiene doveroso per il proprio cammino spirituale, bussare alla porta della Chiesa, naturalmente tenendo conto delle tappe della catechesi e soprattutto, come avete visto attraverso i tre esempi fatti, di un rinnovamento spirituale che esige anche una coerenza morale sulla via di una imitazione autentica del vangelo delle beatitudini.

7/ Risposte alle domande dei partecipanti al Seminario  

Mi avete chiesto del Gesù escatologico nel Corano. Innanzitutto bisogna dire – perché molti lo ignorano - che Gesù per il Corano non è morto sulla croce, ma qualcuno simile a lui è stato crocifisso al suo posto. C’è un versetto in cui si dice: Dio ha messo fine alla sua vita, senza precisare il come, e poi è stato esaltato.

Per la maggioranza delle opinioni della ortodossia musulmana Gesù non è nemmeno mai morto, (per una minoranza è morto, ma non si sa come o dove, o quando), ma è stato esaltato ed è asceso al terzo cielo, poiché la cosmologia coranica prevede sette cieli, senza mai essere morto.

Nella sua ascensione notturna (mi?raj), Maometto avrebbe incontrato Gesù nel terzo cielo, dove aspetta di tornare sulla terra. Secondo gli hadit il ritorno di Gesù avverrà all’inizio di un’era quasi messianica, per il modo musulmano, cioè un mondo fatto di giustizia, bellezza e pace universale, un po’ come le nostre visioni millenaristiche.

Ci sono dei detti attribuiti a Maometto nella Sunna che riprendono interi capitoli di Isaia: il bambino potrà giocare con la vipera, il leone mangerà della paglia o dell’erba come la mucca. Secondo questa tradizione di maggioranza Gesù tornerebbe come uno dei dieci segni escatologici della fine dei tempi come profeta musulmano, facendo la preghiera musulmana dietro a Maometto nelle vicinanze di Gerusalemme, anzi il minareto dell’angolo sud-est della moschea degli Omayyadi, si chiama minareto di Gesù, perché da lì dovrebbe chiamare alla preghiera musulmana.

Quando alcuni mi dicono che i musulmani credono in un ritorno di Gesù, bisogna eliminare l’ambiguità di questa affermazione: non è un ritorno di Gesù risorto come crediamo noi, ma un ritorno al modo musulmano. Naturalmente in tal caso siamo ben lontani da un’escatologia cristiana.

Per quanto riguarda, invece, la domanda sulla persona di Maometto, bisogna ricordare che la prima stesura degli Orientamenti per un dialogo tra cristiani e musulmani, fatta da mons. Rossano, dal card. Marella, da Louis Gardet e da Jean-Mohammed Abd-el-Jalil quasi quarant’anni fa, non diceva nulla sulla persona di Maometto.

Ci fu quasi subito, per tanti motivi, una lunga recensione critica di un prete libanese maronita, Joachim Moubarak, il quale disse che il testo non aveva affrontato i problemi più scottanti, tra i quali quello del ruolo di Mohammed, tanto è vero che, quando con mons. Rossano, nel 1981, abbiamo tentato di fare una nuova redazione di quel libro elogiando il profilo profetico di Abramo, di Mosè, di Gesù, abbiamo dedicato alcune pagine alla spiegazione della devozione affettuosa che i musulmani nutrono per Maometto.

Naturalmente non abbiamo potuto dare una valutazione teologica cristiana esaustiva, in quanto le nostre teologie delle religioni e soprattutto dell’islam, in questo campo seguono una via di mezzo. Ci vorrebbe molto tempo per parlare della teologia della religione dei musulmani, non dico dell’islam perché il termine islam è ambigua. La questione di Mohammed si presenta come un tabù e bisogna capirlo - io penso che nel sottofondo della psiche del musulmano intelligente ci sia una gelosia fondamentale. Penso che il musulmano molto colto che ha studiato le nostre cose, si rende conto che il profilo morale, spirituale e mistico di Gesù, supera infinitamente quello di Mohammed. È ovvio che un musulmano non potrà mai ammettere questo e nella storia dell’islam devozionale si è sviluppato un culto di Maometto, si è festeggiata la sua nascita, il Mawlid al-Nabi, che i Wahabiti rifiutano, si sono festeggiate le fasi importanti della sua vita, addirittura alcune confraternite hanno voluto festeggiare anche le donne e alcuni membri della sua famiglia. In Turchia festeggiano addirittura la concezione di Maometto, nove mesi prima del Mawlid al-Nabi.

Tutto questo a somiglianza dello schema cristiano, c’è stata una forma di emulazione devozionale, quasi liturgica delle feste. Tutto questo spiega perche è difficile dare un giudizio teologico. Il cardinale Vicente Enrique y Tarancón ad un incontro che noi abbiamo avuto a Cordova nel 1977, diceva che non possiamo negare che nell’insegnamento di Maometto ci sono accenti di tipo profetico, a favore di un monoteismo intransigente, rifiuto assoluto dell’idolatria dell’uomo.

Invece di criticare come ha fatto la polemica orientalistica e cristiana nel Medio Evo soprattutto le debolezze o le esagerazioni belliche, sessuali o giuridiche di Maometto, cercherei di vedere l’aspetto positivo di quello che lui ha portato. Tutto sommato bisogna riconoscere che se oggi abbiamo un miliardo di musulmani nel mondo che pretendono, a ragione, di adorare Dio, e quel Dio che loro pregano è il nostro Dio, nascosto dietro un velo islamico di credenze, in cui è molto difficile operare un discernimento a seconda delle varie scuole teologiche e spirituali dei musulmani, in quanto lui è stato trasmettitore e apportatore di valori fondamentali di culto - il musulmano pratica il digiuno, l’elemosina e la preghiera, tre pilastri del discorso della montagna.

Basta ricordare l’insegnamento di Gesù in proposito. I musulmani dicono che bisogna praticare questo per Dio, non per farsi vedere dalla gente, come spesso accade. Dobbiamo essere molto modesti e prudenti nel dare una valutazione definitiva del personaggio. I musulmani sanno benissimo che nel corso della storia i nostri antenati hanno raccontato tante cose non del tutto giuste e per questo il magistero ha suggerito più volte di purificare la nostra memoria rileggendo il passato.

D’altronde noi siamo chiamati a parlare di questi problemi attorno al mistero della personalità di Maometto in quanto il musulmano che bussa alla nostra porta chiede un chiarimento in proposito.

A volte nel rispondere, quando un musulmano mi chiede di Maometto, preferisco dire che mi manca il tempo per parlare abbondantemente di Dio stesso, della sua ricchezza, delle sue manifestazioni, mi manca il tempo di parlare di Gesù Cristo, del suo Regno, in modo soddisfacente, e quindi mi manca il tempo per parlare di Maometto. Maometto per me è l’ultimo degli argomenti da trattare, io non prenderei mai l’iniziativa di parlare di lui con un musulmano.

Se in pubblico un musulmano mi pone una domanda in merito io rispondo che è noto ciò che i cristiani pensano di Maometto, pensano di avere tutta la pienezza non solo della Rivelazione, ma della santità che lo Spirito di Dio ci propone in Cristo. C’è posto per tanti profeti nella storia, che per noi sono sempre limitati, che preannunziano Gesù, che gli preparano la via, e in quanto preparano la via a Gesù io accetto che tanti abbiano una dimensione profetica, senza precisare come Maometto prepara la via, lasciando aperte le prospettive, senza mai, come dice Isaia, spegnere la piccola luce che potrebbe dare una fiamma. Io non ho mai parlato in pubblico ai musulmani di Maometto, mai, perché so che è un tabù di fronte al quale la loro sensibilità è grande.

Quando il musulmano affascinato da Gesù Cristo mi chiede come valutare Maometto, avendo come parametro Gesù Cristo, allora posso parlare diffusamente. Come diceva padre Jean-Mohammed Abd-el-Jalil, il cristiano non è mai contra, ma sempre pro. Dobbiamo trovare le cose positive, abbiamo nel discorso di Giovanni Paolo II a Casablanca, davanti a centomila musulmani marocchini, un testo stupendo che spesso dimentichiamo, ma nel quale troviamo tutto, o il messaggio dell’1 gennaio 2001 sul dialogo tra le culture, i diritti della cultura maggioritaria e delle culture minoritarie.

Mi chiedete anche di approfondire qual è la condizione del convertito nel milieu islamico? Secondo i codici penali  delle scuole giuridiche canoniche dell’islam classico, sunnita o sciita che sia, chi lascia l’islam è condannato a morte. Morte giuridica sicuramente, morte fisica dipende dai governi. Da alcune scuole canoniche è previsto che prima di eseguire la sentenza, cioè uccidere l’apostata, venga proposto un periodo di pentimento e qualche imam lo incoraggia a pentirsi.  Secondo alcune scuole questo periodo dovrebbe essere di 30 giorni, secondo altre di 60. Come vi ho già detto alcuni dotti musulmani, non rappresentativi dell’istituzione, in Egitto, forse d’accordo con un governo, che tenta di trovare delle scappatoie, hanno cercato una soluzione che conciliasse le esigenze giuridiche della sharia e le richieste della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la libertà di scelta e di cambiamento. Loro proponevano così di allungare quel periodo, l’istitaba, a tutta la vita. Non sono riuscito a sapere quanto siano rappresentativi questi pochi dotti e d’altronde è un fatto nuovo e non è facile trovare elementi al riguardo. Potrebbe essere una soluzione che permetterebbe al codice musulmano di mantenere la sua esigenza senza condannare a morte il musulmano che cambia religione perché finché vive può ancora pentirsi. Un compromesso che potrebbe soddisfare tutti, ma non credo che questa soluzione venga accettata a breve.

Nell’Africa del nord e altrove alcuni movimenti di origine americana passano, fanno soggiorni molto brevi e battezzano rapidamente (evangelici, metodisti). Abbiamo così piccole comunità di battezzati che non trovando più il “pastore” che li aveva accompagnati fino al battesimo, vivono un cristianesimo alla buona, non vogliono essere né cattolici, né protestanti, ma cercano un aiuto e finiscono per bussare alla porta dei nostri parroci in Tunisia, in Algeria, in Marocco. Questi nostri preti non possono pubblicamente dirlo, ma la realtà è quella di piccole comunità cristiane locali che cercano di crescere. In Tunisia a volte queste comunità si riuniscono in alberghi, la polizia lo sa più o meno, e finché il fatto non diventi sociologicamente una provocazione all’opinione pubblica va tutto bene. L’anno scorso a Tunisi in un incontro lo ha detto Mohamed Haddad, che ha una cattedra UNESCO di religioni comparate all’università La Manouba. Lui diceva che in Tunisia la situazione attuale permette delle scelte personali, ma quando questo diventa un fatto sociologicamente provocatorio, l’opinione pubblica spalleggiata dal governo, dice di no, perché è un problema di identità nazionale

Avevo suggerito a mons. Henri Tessier (arcivescovo di Algeri), di riunire i suoi vescovi e di tentare di elaborare un piccolo documento in cui si distingua tra cultura islamica e fede musulmana. George Khodr, vescovo ortodosso del Monte Libano, afferma che lui è vescovo cristiano-ortodosso, ma la sua cultura è islamica. Distinguere tra aspetto culturale e religioso può sbloccare la situazione. Non è stato fatto nulla perché forse nella situazione attuale anche un piccolo passo come questo può creare problemi e io credo sia giusto lasciare la responsabilità di decisione come questa ai vescovi locali con i quali sono solidale.

Note al testo

[1] Mohamed Talbi, Afin que mon cœur se rassure, éd. Nirvana, Tunis, 2010.

[2] Françoise Jacquin, (éd.), Massignon-Abd el Jalil. Parrain et filleul, 1926-1962. Correspondance, Préface par Maurice Borrmans. Paris, Éditions du Cerf, 2007.

[3] Cfr Jacques KeryellAfif Osseiran (1919-1988). Un chemin de vie, Paris, Éditions du Cerf, 2009.

[4] J.-M. Abd-el-Jalil, Aspects intérieurs de l’Islam, Seuil, Paris, 1949.

[5] Jean-Mohammed Abd-el-Jalil, o.f.m., Maria e l'Islam (traduzione dal francese di p. Marco Voerzio, o.p., Padova, Presbyterium, 1961).

[6] Jésus et les musulmans d’aujourd’hui, Desclée, Paris, 1996 (trad. it. Gesù Cristo e i musulmani del XX secolo, San Paolo, Milano 2000).

[7] The Muslim Jesus. Sayings and Stories in Islamic Literature, Cambridge,Mass., Harvard University Press, 2001.