Giacomo Poretti, del trio Aldo, Giovanni e Giacomo “spiega” sulla rivista Popoli il senso dei 10 comandamenti nella rubrica Scusate il disagio: i primi 4 comandamenti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 26 /01 /2014 - 15:09 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Popoli quattro brevi articoli di Giacomo Poretti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (26/1/2014)

1/ Come è libera la libertà!

Non è cambiato molto rispetto a quel vecchio film di Cecil B. DeMille, I dieci comandamenti, quando Charlton Heston, nei panni di Mosè, scendeva dal Sinai con le tavole della legge e trovava il suo popolo adorante un vitello luccicante artefatto lì per lì dagli artigiani orafi.

«Non avremo altro dio all’infuori dei nostri idoli»: così sembra recitare il primo comandamento del nostro vecchio, caro, adorante Occidente. E soprattutto: «Non avrai altro dio all’infuori della libertà». Nessuno tocchi la libertà, nessuno si permetta di giudicare le scelte della mia libertà, la libertà deve essere libera, appunto, altrimenti che libertà sarebbe? Una libertà zimbello? Una libertà che si fa mettere i piedi in testa sarebbe come un padrone che non comanda in casa sua; la libertà deve essere libera di posare il suo sguardo dove vuole, non deve avere limitazioni, perché altrimenti si sentirebbe frustrata, limitata, non incoraggiata nel suo slancio vitale verso l’infinito e oltre, come anela Buzz Lightyear.

E quindi, se nessuno deve intromettersi nella mia libertà, allora io sono libero di avere tutti gli iPhone che voglio, quello da 32Gb, quello bianco, quello nero e il modello low cost (meglio averne tanti piuttosto che uno, così se si impianta la batteria del 32Gb puoi usare il modello bianco; se ti cade quello nero puoi usare il low cost; e se fai il bagno in mare col modello nero sei proprio un pirla).

Come è bella la libertà! È proprio come cantava Giorgio Gaber: «La libertà è partecipazione», e io voglio partecipare al concorso «Chi mangia più hamburger» e dopo la vittoria, per averne mangiati 15 in 10 minuti, posso anche aver voglia di una lavanda gastrica e nessuno me la può negare. E se supero indenne la lavanda gastrica l’anno prossimo parteciperò al concorso «Chi mangia più scarafaggi» e cercherò di battere il record di quello che ha vinto l’anno scorso mangiandone 32 e poi è morto. Sì, perché uno deve essere libero di morire se ne ha voglia, e anche di scegliere la morte che più gli piace (detto per inciso nessuno avrebbe voglia di morire, ma quella impertinente della morte è l’unica che non si adatta al nostro concetto di libertà, e allora almeno si possa decidere il modo, che sia scarafaggio, hamburger o clinica svizzera!).

Come è libera la libertà! La libertà mi può portare a Zurigo in una boutique del centro per comprare una borsetta da 35.000 euro e nessuno mi porterà mai in manicomio; anzi, se ho la pelle nera e la commessa non me la vende, lo Stato dei Grigioni mi porgerà le scuse per l’imbarazzante incidente: com’è giusta la libertà, come non è razzista la libertà!

Ma come si fa a desiderare un altro dio all’infuori della libertà?

© FCSF – Popoli, 7 ottobre 2013

2/ Se Dio ha i tappi nelle orecchie ci sarà un motivo

«Non nominare il nome di Dio invano»: così recita il secondo comandamento. In quest’epoca superpostmoderna verrebbe da dire, invece, che qualcuno dovrebbe pur trovare il coraggio di pronunciare, invocare, sussurrare o semplicemente pensare quel nome.

In quest’epoca ipertecnologica, il concetto di Dio è da considerarsi assolutamente vintage, roba da antiquariato che al massimo può interessare i rigattieri dello spirito. A volte si ha l’impressione che sia rimasto solo il suo involucro vuoto, che risuona in forma di regola, divieto, dottrina, liturgia, richiamo all’identità, all’appartenenza, e che nessuno sappia più qual è il modo corretto per pronunciare quel nome.

Certo, esistono ancora quelli, e sono tanti, che il suo nome lo urlano a squarciagola se c’è da fare una guerra, che sia santa, di principio, con o senza armi; quando salgono indignati sulle barricate per difendere un simulacro appeso nei nostri uffici, oppure quando ricevono proposte irricevibili o principi, a detta loro, non negoziabili.

O quelli, meno colpevoli, che lo nominano quando la loro squadra di calcio deve affrontare una partita importante (sono molto più numerosi gli interisti, mentre gli juventini non hanno bisogno di Dio, loro hanno secolarizzato le richieste d’aiuto...); o quando il figlio deve sostenere l’esame di Strategia del Marketing o devono ritirare l’esame della prostata. O, ancora, quelli che si ricordano di Dio dopo avere investito tutto il loro patrimonio in Buoni del tesoro ciprioti o quando devono uscire con una ragazza conosciuta su internet (in questi casi la richiesta è spesso così formulata: «Fa che non mi abbia mentito e sia davvero una femmina»).

E poi ci sono quelli dignitosi, o se volete orgogliosi, che non chiedono mai niente perché non vogliono disturbare («Però, Dio, almeno fai che il giudice non mi inibisca dai pubblici uffici»), o quelli permalosi: «Com’è che il vicino, che non va mai in chiesa, può comprare l’iPhone5 per tutta la famiglia, e io che faccio tutti gli anni il pellegrinaggio Macerata-Loreto ho ancora il guscio della Motorola?»).

A volte me lo immagino là in alto, da qualche parte, che se ne sta con i tappi nelle orecchie, sì proprio quelli che usano le nostre mogli per non sentirci russare. Tanto a Lui basta guardarci per capire se siamo davvero interessati o se abbiamo lo stesso tono di quando chiamiamo la colf.

Non trascorriamo il nostro tempo invano, non dimentichiamoci di pensare a quel nome.

© FCSF – Popoli, 1 novembre 2013

3/ Buone feste!

Ed eccoci al comandamento più amato, più seguito, più venerato: «Ricordati di santificare le feste». Al punto che alcuni credenti, non proprio ortodossi per la verità, forse neanche tanto credenti per la verità, ma noi chi siamo per giudicare del resto, avrebbero proposto agli organi ecclesiali una riforma radicale delle Tavole della legge, ove al posto dell’inutile e prolisso Decalogo, il fedele possa riferirsi al solo terzo comandamento, concentrando così il meglio del proprio anelito spirituale.

Questa corrente ha addirittura stilato un calendario alternativo a quello Gregoriano, in vigore, secondo loro, da troppo tempo. Prima festa dell’anno rimarrebbe comunque Capodanno, che altro non è che il prolungamento dell’Ultimo dell’anno. Desiderio dei riformatori sarebbe prolungare i festeggiamenti fino al 5 gennaio. In questo modo - attaccandosi alla Befana - si combinerebbe un ponte fantastico.

Ogni città, poi, dovrà festeggiare non solo un patrono, ma anche un vicepatrono, che dovrà cadere obbligatoriamente di venerdì. Ma per non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge anti-discriminazioni, si propone di rendere festivi tutti i santi del calendario. Lo spirito dei riformatori è quello di estendere il più possibile il sentimento della gioia e dell’ebbrezza che tanto viene sacrificato dalla nostra civiltà della rinuncia e della fatica. Gli eventuali problemi derivanti dalla scarsa produttività, con conseguente flessione del Pil, verranno affrontati da un’apposita commissione parlamentare.

Si propone altresì di aggiungere una festività, il 27 dicembre, per consentire la completa digestione dei pranzi pantagruelici dei giorni 25 e 26. Le Regioni a statuto speciale hanno completa autonomia in materia e teoricamente potrebbero rendere festivi anche il 23 e il 24, per consentire il necessario approvvigionamento di materie prime quali mascarpone, cappone e agnolotti.

Qualche falco in seno al movimento riformista vorrebbe addirittura modificare il nome delle festività: 6 gennaio, Festa della vecchia carampana; 25 dicembre, Giornata nazionale del Pil; 15 agosto, Festa del melone alla vodka; Pasquetta verrebbe ribattezzata Giornata della coda in Tangenziale, con buffet a ogni autogrill. Culmine di tutte le feste del calendario riformato sarà naturalmente Halloween, che verrà festeggiato per tutto il mese di novembre.

Certo non sarà facile giudicare la liceità teologica delle nuove proposte, perché oggi è diventato difficile comprendere la differenza di significato tra «festeggio per celebrare un’alleanza» (con Dio) e «devo proprio dipendere da Dio per far baldoria?».

© FCSF – Popoli, 12 dicembre 2013

4/ Onora il genitore 1 e il genitore 2

A un certo punto l’essere umano ha cominciato a parlare e a dare nomi alle cose e agli oggetti, così che tutti intendessero la stessa cosa e non succedessero guai. Infatti poteva capitare che un marito desiderasse un risotto per cena, ma lo chiedeva con un grugnito inarticolato, così che la moglie capiva minestrina in brodo: quando portava in tavola la brodaglia il marito spaccava tutto con la clava. Oppure magari c’era un dinosauro dietro a un cavernicolo e il suo amico con frasi sconnesse cercava di farlo scappare, al che quell’altro gli ripeteva: «Ma perché non ti applichi nella grammatica?». Alla fine veniva inghiottito da un Triceratopo.

Così, dopo tutti questi equivoci spiacevoli, gli umani hanno deciso di chiamare le cose con i loro nomi. Per esempio, fin dal principio, «zanzara» era quell’animale fastidioso che tutti cercavano di sfracellare contro le pareti della caverna senza riuscirci. «Flatulenza» era il fuggi fuggi che accadeva nella caverna quando qualcuno mangiava il Tirannosauro rex cucinato in fricassea con purea di castagne. O, ancora, con la parola «papà» si definiva il genitore maschio e «mamma» la genitrice femmina, e questo da molto molto prima che Charlton Heston, il mitico Mosè nel film I dieci comandamenti, scendesse dal Sinai con le Tavole della Legge.

Oggi, in un Paese vicino al nostro, giusto per svecchiare la lingua e i concetti, il papà e la mamma si è deciso di rinominarli «genitore 1» e «genitore 2». Resta da definire se il maschio indosserà la maglietta numero 1, o se invece verrà attribuita alla femmina; ancora più complessa è la vicenda di quando i genitori saranno entrambi maschi o entrambi femmine: forse si deciderà ai rigori o, più democraticamente, 6 mesi a testa, come per la presidenza Ue.

Abolite, perché sorpassate, la festa della mamma e del papà, al loro posto verranno istituite la «festa del genitore 1», che verrà celebrata il 2 novembre al posto dei morti che fa un po’ tristezza, e la «festa del genitore 2» il 25 aprile, al posto dell’inutile «festa della liberazione». I primi anni potrà capitare che i bambini sbaglieranno e regaleranno una cravatta al genitore femmina e un paio di orecchini al genitore maschio, ma dopo qualche decennio di assestamento i bambini, per non sbagliare, regaleranno in entrambe le occasioni una trousse di trucchi.

E i nonni, se non verranno aboliti, come li chiameremo? «Colei che vizia 1» e «Colui che porta sempre i regali 2»? Io, che non ho studiato le lingue, continuerò a parlare la lingua delle caverne e a onorare gli unici mamma e papà che conosco.

© FCSF – Popoli, 15 gennaio 2014