Carnali come sempre…, di Annalisa Teggi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /04 /2014 - 17:06 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal blog Capriole cosmiche di Annalisa Teggi un suo articolo pubblicato il 4/4/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (20/4/2014)

A. Rodin – La Danaide

Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre
…eppure sempre in lotta
T.S. Eliot

Più o meno dovrebbe essere questo il momento in cui comincia ad affacciarsi il pensiero della fantomatica “prova costume” estiva ed è dunque il periodo in cui, di conseguenza, noi donne (perché io mi ci metto dentro, assolutamente) cominciamo a pensare alle varie diete.

C’è modo e modo. E comunque non voglio mettermi a parlare di diete, ma del corpo. Se c’è una cosa che, puntualmente, la spiaggia frantuma è l’idea del corpo perfetto. Finalmente (… verrebbe da dire!) in spiaggia tutti noi ci rendiamo conto che il mondo non è Vogue o Vanity Fair. Il corpo è un allegro sembiante della nostra buffa e variegata presenza nel mondo. Filiformi, obesi. Teste grosse, gambe lunghe. Seni abbondanti, schiene curve.

Che il corpo venga idolatrato nel nostro tempo è un effetto indesiderato di un desiderio buono. Il corpo nella sua scandalosa forma particolare ha una grande dignità: la dignità di ricordarci che noi siamo una presenza. Sarebbe bello essere solo i nostri pensieri (le attese grandi, i progetti importanti, i proponimenti ambiziosi); sarebbe brutto essere solo i nostri pensieri (le meschine ripicche, i pregiudizi taglienti, le colpe non perdonate). Per questo siamo anima e corpo: perché lo spirito sia ospitato nell’agone della realtà, di un posto particolare e unico dove le tue forme imperfette e uniche “fanno e disfano”.

All’idolatria dell’estetica del corpo, che ci circonda ovunque, vorrei contrapporre la cura dei cadaveri, proprio per esaltare la dignità del nostro corpo. È qualcosa di tutt’altro che macabro, penso infatti alla madre di Cecilia nei Promessi sposiCecilia è una bambina uccisa dalla peste, possiamo immaginare quanto il suo corpo portasse i segni deturpanti di questa malattia. Eppure tutti ce la immaginiamo bellissima e tragicamente dolce, tra le braccia della madre che la consegna ai monatti, deponendola però lei sul carro:

«Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno [...]. Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, “no!” disse: “non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro” [...] Poi continuò: “promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciare che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così”. » (I promessi sposi, cap. 34)

Dall’amore materno ci si aspetta gesti di così grande dedizione, amore e pietà; e anche se non li aspettiamo, sono comunque un gigantesco monumento di umanità. Forse, proprio per contrapposizione a quest’immagine così grande e commovente, ho pensato a un personaggio opposto e cattivo, che pure non può fare a meno di provare un briciolo di rispetto per il cadavere della donna che ha appena ucciso. La morte della prostituta Nancy in Oliver Twist era una delle scene a cui Dickens era più legato, la leggeva in pubblico con un’enfasi esasperata. In questo brano, c’è da dire, Dickens non risparmia dettagli orribili: Bill Sikes uccide la donna che ama a sfrutta con una violenza improvvisa e brutale, Nancy prova a convincere il suo amante di risparmiarla per riuscire, insieme, a uscire dalla vita di malaffare che hanno condotto fino a quel momento. Invano.

«Sikes non si era mosso; aveva avuto paura di muoversi. Vi erano stati un gemito e un lieve movimento della mano di Nancy e lui, terrorizzato oltre a essere infuriato, aveva colpito ancora e ancora. A un certo momento, aveva gettato sul corpo un tappeto; ma era stato ancora peggio immaginare quegli occhi volgersi verso di lui anziché vederli fissi verso l’alto. Egli si era affrettato a togliere il tappeto, ed ecco il cadavere, ormai niente altro che una massa di carne e sangue … ma fino a qual punto sfigurata, e quanto sangue!
Fino a questo momento Sikes non aveva mai una sola volta girato le spalle al cadavere; no, nemmeno per un attimo». (Oliver Twist, cap 48)

C’è una madre che cura il cadavere di sua figlia con premura indicibilmente amabile e c’è un assassino che non riesce a dare le spalle al cadavere della donna che ha massacrato. Nel bene o nel male, il corpo ci chiede di fare i conti con una presenza che solo corporea non è. L’amore ha per noi un volto, ma anche l’odio ha un volto.

Egon Schiele – Il ballerino

Il corpo è un po’ il “reagente” della nostra anima, permette alle grandi questioni che attraversano la mente di accadere dentro un luogo e un tempo; ci pone a tu per tu con la contraddizione della finitezza e ci chiede la fatica di piegare la perfezione dei nostri pensieri all’imperfezione della materia. Il nostro corpo è la nostra anima messa alla prova. Dentro e attraverso la prova.

Sul fronte di guerra, dopo una notte intera vicino al cadavere di un compagno ” massacrato, bocca digrignata”, Ungaretti ci dice di aver scritto “lettere piene d’amore” e di non essere mai stato “tanto attaccato alla vita”. Non dice – genericamente – di aver imparato l’amore alla vita; usa il verbo “attaccato”, un verbo di contatto fisico. Non sfiora l’idea, si aggrappa alla materia così sfigurata e mortale. E Ungaretti  intitola questa poesia Veglia.

Eh, già. Che altro è la vita se non questa veglia, che c’impone la sfida di aggrapparci a segni carnali e tangibili nel tentativo di aggrapparci, al contempo, all’irriducibile certezza che il grumo delle nostre attese non perisca?

«Perché l’Uomo è corpo e spirito congiunti,
e quindi deve servire come corpo e spirito.
Visibile e invisibile, due mondi s’incontrano nell’Uomo;
visibile e invisibile si devono incontrare nel Suo Tempio.
Non rinnegate il corpo». (T.S. Eliot, La rocca)