Betlemme, Cafarnao, Nazaret, Gerusalemme: note storiche e archeologiche sugli edifici cristiani (da Michele Piccirillo)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 25 /05 /2014 - 14:09 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da M. Piccirillo (a cura di), Il viaggio del Giubileo, Editrice Custodia Terra santa, Gorle (BG), 2000, alcuni testi relativi alla storia degli edifici cristiani dei luoghi di Terra Santa. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori approfondimenti, vedi la sezione I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa.

Il Centro culturale Gli scritti (25/5/2014)

Indice

1/ Betlemme. La caverna della vita. Una grotta piena di luce (pp. 56-59)

"A proposito della nascita di Gesù - scriveva Origene nel III secolo - se qualcuno dopo il vaticinio di Michea e la storia scritta nel Vangelo dai discepoli di Gesù, desidera altre prove, sappia che oltre a quello che è raccontato nel Vangelo sulla sua nascita, si mostra a Betlem la grotta nella quale è nato, e nella grotta la mangiatoia dove fu avvolto in fasce. E quello che si mostra è così conosciuto in questi luoghi, che anche gli estranei alla nostra fede sanno come Gesù, che i cristiani adorano e ammirano, è nato in una grotta".

Su questa tradizione, che per il grande esegeta era un fatto incontrovertibile perché a tutti noto, bisogna riandare per seguire lo sviluppo monumentale del santuario della Natività a Betlemme costruito dall'imperatore Costantino che 'onorò' - nel vocabolario di Eusebio vescovo di Cesarea - la grotta ponendola sullo stesso piano della tomba della Resurrezione a Gerusalemme: "Scegliendo in quella regione tre luoghi che avevano l'onore di possedere tre mistiche grotte, [l'imperatore] li ornò di ricche costruzioni stabilendo alla grotta della prima manifestazione [la Natività] la venerazione che le era dovuta, onorando nell'altra sulla sommità del monte Oliveto la memoria dell'ultima Ascensione, esaltando nella grotta intermedia [Sepolcro] le vittorie con le quali il Salvatore coronò tutto il suo combattimento. L'imperatore abbellì tutti questi luoghi facendo risplendere dappertutto il segno della salvezza".

Sempre secondo il vescovo metropolita della Provincia di Palestina, l'ispiratrice dell'ordine fu Elena madre dell'imperatore: "La piissima imperatrice ornò con magnifici monumenti il ricordo del parto della Madre di Dio, avendo cura di far risplendere in ogni maniera la grotta del parto, e poco dopo, l'imperatore onorò lo stesso ricordo con offerte regali aggiungendo alla liberalità di sua madre dei vasi d'oro e d'argento e tappezzerie ornate".

Sono la basilica e la grotta che conobbe san Girolamo, il quale trascorse circa quarant'anni della sua vita in una celletta del monastero fatto costruire per lui e i suoi monaci a nord del santuario da santa Paola Romana, trasferitasi, per amore di Cristo, con la figlia Eustochio e altre nobildonne romane, nel villaggio di Giudea.

Attento "ai vagiti del Bambino", che la Grotta vicina gli ricordava, Girolamo spesso nelle sue lettere scrive del mistero della Natività abbandonandosi sia a liriche effusioni sia a sfoghi passionali di riprovazione per quello che avveniva sotto i suoi occhi: "Ci sono delle espressioni con cui poter illustrare la grotta del Salvatore e quella stessa mangiatoia dove lui bambino ha vagito? Non è meglio onorarla con il silenzio piuttosto che dire parole inadeguate? Oh se potessi vedere quella mangiatoia dove giacque il Signore! Ora noi, come per onore di Cristo, abbiamo tolto quella di fango e messo quella di argento. Ma è per me più preziosa quella che è stata tolta. L'oro e l'argento sono per i pagani; per la fede cristiana conviene quella mangiatoia di fango. Chi è nato in questa mangiatoia disprezza l'oro e l'argento. Io non voglio biasimare coloro che lo fecero per devozione, ma ammiro il Signore che pur essendo il creatore del mondo non nacque fra l'oro e l'argento ma nel fango".

A lui dobbiamo la meditazione che ancora oggi viene cantata dai Francescani, custodi del santuario a nome della Chiesa cattolica, durante la processione giornaliera: "Ave Betlem casa del pane, dove è nato quel Pane che discende dal cielo. Ave Efrata, terra felicissima e fruttifera: Dio stesso è il frutto della tua fertilità... Betlem, ecco, in questo pertugio della terra è nato il creatore dei cieli. Qui fu avvolto in panni. Qui adagiato nel presepio. Qui visto dai pastori. Qui mostrato dalla stella. Qui adorato dai magi. Qui gli angeli cantarono dicendo Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà".

Gli scavi archeologici condotti all'esterno e all'interno della basilica della Natività nel 1932 e nel 1934 da R. W. Hamilton hanno permesso di ritrovare le tracce della basilica constantiniana di cui conosciamo sicuramente parte del nartece con le soglie delle tre porte in facciata spostate verso l'interno dell'attuale basilica all'altezza della prima fila di colonne. Nel presbiterio resti di un muro poligonale rimandano forse a un monumento isolato costruito sulla grotta sul prolungamento della chiesa. Alla basilica constantiniana appartengono gli stralci di mosaico oggi conservati a circa un metro di profondità che rimandano a una composizione consistente in un grande tappeto chiuso in una fascia di acanto e decorata con motivi geometrici e vegetali.

La basilica attuale fu costruita nel VI secolo dall'imperatore Giustiniano, il quale, secondo una tradizione raccolta dal Patriarca Eutichio di Alessandria nel IX secolo, aveva inteso ingrandire 'la piccola chiesa' di epoca precedente: "Il re ordinò di abbattere la chiesa di Betlem che era piccola e di rifarla imponente grande e bella sì che non ce ne fosse di più bella a Gerusalemme". Con la chiesa della Trasfigurazione nel monastero di Santa Caterina al Sinai, è l'unica basilica del VI secolo in Palestina giunta intatta fino ai nostri giorni, salvata, secondo un anonimo documento greco del IX secolo, da un mosaico: "Quando i Persiani devastarono tutte le città dell'impero romano e della Siria, misero a fuoco Gerusalemme e fecero prigioniero il patriarca Zaccaria... al loro arrivo a Betlem con stupore videro le immagini dei Magi persiani, osservatori degli astri loro compatrioti. Per rispetto e affetto per i loro antenati, venerandoli come se fossero vivi, risparmiarono la chiesa che è giunta fino ai nostri giorni".

La basilica, con presbiterio trilobato che copre la grotta sottostante, è a cinque navate ritmate dalle quattro serie di colonne monolitiche di pietra rossastra di 5.47 metri di altezza. L'edificio si sviluppa per una lunghezza di 54 metri per 26 metri di larghezza, preceduta in facciata da un atrio colonnato di 42 metri di lunghezza e 30 metri di larghezza dal quale si entrava nel nartece attraverso tre porte monumentali di cui restano visibili gli architravi in parte coperti da murature posteriori, che hanno
lasciato libero solo una piccola e bassa apertura nella porta centrale. L'accesso alla grotta, allora come oggi, avveniva attraverso due scale laterali sotto il presbiterio.

I crociati fortificarono gli edifici monastici che circondavano la basilica, aggiunsero un chiostro a nord e un campanile sulla facciata. Tra il 1165 e il 1169, come segno dell'armonia ritrovata tra la chiesa latina e quella greca, con la collaborazione tra Amalrico re latino di Gerusalemme e l'imperatore Manuele Porfirogenito di Costantinopoli, le pareti della basilica furono decorate a mosaico. L'Albero di Jesse, padre del re Davide e progenitore di Gesù, decorava la parete interna della facciata. La decorazione delle pareti della navata centrale era spartita su tre piani. In alto tra le finestre una teoria continua di Angeli rivolti verso la Grotta. In basso, al di sopra dell'architrave, gli antenati di Gesù secondo la genealogia conservata nel vangelo di Luca e di Matteo.

Al centro iscrizioni in greco e latino, inserite in un motivo architettonico e spaziate da un cespo di acanto con candelieri e incensieri, ricordavano sette concili ecumenici, insieme a quattro concili e ad altri due sinodi provinciali. Due grandi croci gemmate dividevano al centro delle pareti le due composizioni dove si alternavano anche testi del Vangelo.

Le pareti del transetto trilobato erano decorate con scene del Vangelo. Oggi restano stralci dell'Incredulità di san Tommaso, dell'Ascensione, dell'Ingresso di Gesù a Gerusalemme, e della Trasfigurazione. La scena della Natività era inserita nella lunetta che si trova sopra l'altare nella grotta sottostante. Iscrizioni in greco, in latino e in siriaco hanno conservato il nome del diacono Basilio e di Efrem "monaco, pittore e mosaicista", come autori dell'opera.

Sempre in periodo crociato furono decorate a encausto i fusti delle colonne. Sono ancora in gran parte riconoscibili figure dell'Antico e del Nuovo Testamento con santi di oriente e di occidente identificati con scritte in greco e in latino. Notevole la Madonna in trono Auxilium Christianorum con fedeli in ginocchio sui lati, e una Madonna con Bambino datata al 1130 dell'Incarnazione con la doppia scritta in latino: "Vergine celeste consola gli afflitti. Figlio che sei vero Dio ti prego di aver pietà di questi fedeli". Tra i santi occidentali sono dipinti alcuni santi contemporanei delle crociate, come il re Canuto di Danimarca, il re Olaf di Norvegia, e i santi venerati da una particolare nazione, come Santa Fosca e Santa Marina dei Veneziani, San Cataldo dei Tarantini, San Giacomo il Maggiore e San Vincenzo degli Spagnoli, e San Leonardo degli Inglesi.

Nell'intimità e nel silenzio della Grotta, dove resta davvero molto poco dello splendore di epoca bizantina e crociata, alla luce delle fiammelle delle lampade ad olio brilla solo l'argento della stella posta nel 1717 dai Francescani sotto l'altare che i crociati adattarono in un'absidiola della parete orientale. Sulla stella levigata dal tocco commosso di migliaia di mani e di labbra, i Francescani incisero in latino una semplice iscrizione in ricordo della nascita miracolosa: Hic de Maria Virgine Jesus Cnristus natus est.

2/ Cafarnao. La città di Gesù (pp. 94-97)

"E lasciata Nazaret - scrive il Vangelo di Matteo - venne a stabilirsi a Cafarnao, che era in riva al mare, nella regione di Zabulon e di Neftali" (Mt 4,13). Riprendendo questo testo e data la notorietà del villaggio, Eusebio vescovo di Cesarea nell'Onomasticon dei Luoghi Biblici si limita a scrivere: "Cafarnao presso il lago di Genezaret fino a oggi è una città nella Galilea delle Genti...".

Della seconda metà del IV secolo è la testimonianza di Epifanio, nato in Palestina ed eletto vescovo di Salamina nell'isola di Cipro, che ricorda il tentativo del conte Giuseppe di Tiberiade - ebreo convertito al tempo dell'imperatore Costantino - di costruire chiese cristiane a Tiberiade, a Seforis-Diocesarea, a Nazaret e a Cafarnao, località della Galilea abitate soltanto da Ebrei.

Il villaggio fu visitato da santa Paola Romana e dalla figlia Eustochio, ma Girolamo che le accompagnava non spende una parola in più oltre il nome. Preziosa è la testimonianza di Egeria conservata nelle citazioni dell'Itinerarium utilizzate da Pietro Diacono nell'opera De Locis Sanctis scritta nell'Abbazia di Montecassino, dove esisteva una edizione completa delle memorie della pellegrina del IV secolo: "A Cafarnao, della casa del principe degli Apostoli hanno fatto una chiesa. I muri restano fino ad oggi come erano all'origine, lì il Signore guarì il paralitico. Là si trova anche la sinagoga nella quale il Signore guarì un ossesso e vi si accede per molti gradini. La sinagoga è fatta di blocchi squadrati".

L'Anonimo Pellegrino di Piacenza è il primo a ricordare sulla casa di Pietro una basilica: "Giungemmo nella città di Tiberiade... poi giungemmo a Cafarnao nella casa di san Pietro che è ora una basilica".

Qualche decennio prima, l'arcidiacono Teodosio, al suo solito, precisa anche le distanze per raggiungere il villaggio: "Da Tiberiade a Magdala... due miglia; da Magdala alle Sette Fonti (Eptapegon/Tabgha)... due miglia. Dalle Sette Fonti fino a Cafarnao due miglia".

Due erano i santuari più visitati del villaggio: la Casa di Pietro e la Sinagoga. Di entrambi i luoghi si parla nel racconto evangelico. Il Vangelo di Marco nel capitolo primo mette in relazione l'una con l'altra in una sequenza temporale e topografica: "E giunsero a Cafarnao, e subito il sabato entrò nella sinagoga e si mise a insegnare... si trovava nella sinagoga un uomo posseduto da uno spirito immondo... (che Gesù guarì)... E subito uscito dalla sinagoga entrò in casa di Simone e di Andrea con Giacomo e Giovanni".

Nel capitolo sesto del Vangelo di Giovanni la sinagoga di Cafarnao diventa il luogo privilegiato del Discorso del Pane di Vita: "Questo disse Gesù insegnando in una sinagoga a Cafarnao".

Furono le imponenti e belle rovine della sinagoga sempre visibili sulla sponda del lago a riportare l'interesse degli studiosi e dei Francescani sul sito di Tell Hum, dove nel 1894 i frati riuscirono ad acquistare dai beduini quella che al tempo era solo una pietraia bruciata dal sole. Nel 1921 vi ritornò, al termine dei suoi studi in Europa, padre Gaudenzio Orfali, un giovane francescano di famiglia armena originario di Nazaret intenzionato a restaurare anche solo in parte quella che i confratelli gli indicavano come la sinagoga nella quale Gesù aveva predicato.

Ad una decina di metri a sud della scala di accesso alla sinagoga, padre Gaudenzio scoprì un edificio ottagonale di cui restavano solo le creste dei muri di fondazione. Bisogna attendere il 1925 perché un altro francescano, padre Gassi, pensasse di mettere in relazione l'edificio ritrovato con la basilica costruita sulla casa di Pietro ricordata dall'Anonimo Pellegrino di Piacenza.

I lavori di scavo per una verifica furono ripresi il 16 aprile 1968, dichiarato da Papa Paolo VI Anno Santo straordinario in ricordo del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. La Custodia di Terra Santa affidò lo scavo ai padri Virgilio Corbo e Stanislao Loffreda.

Si iniziò con il riesame dell'edificio sacro ottagonale all'interno del quale era ancora al suo posto il pavimento mosaicato decorato con motivi nilotici nell'ottagono esterno e con un pavone circondato da un motivo a squame nell'ottagono centrale. Un dettaglio archeologicamente importante, in quanto il mosaico sigillava quanto era stato coperto nella costruzione della chiesa. Tolto il mosaico, lo scavo continuò in profondità con il ritrovamento nella riempitura di intonaci colorati sui quali, con fiori e frutti, erano chiaramente visibili segni di graffiti incisi dai pellegrini cristiani. Su uno degli intonaci i due archeologi lessero una invocazione in greco: "Signore Gesù Cristo soccorri...".

L'ottagono centrale della chiesa risultava costruito sopra una stanza quadrata di circa 6 metri di lato. Sulle pareti degli angoli di nord e sud ovest che erano restati fuori dell'ottagono restavano ancora gli intonaci della stessa natura dei frammenti ritrovati nella riempitura i due archeologi francescani identificarono nella stanza intonacata e visitata dai pellegrini che vi avevano lasciato i loro graffiti la "domus ecclesia" nella quale era entrata a pregare la pellegrina Egeria, dopo aver visitato la sinagoga.

La continuazione dello scavo nel pavimento della casa-chiesa e fuori dell'insula sacra condusse ad altri importanti risultati. La casa di Pietro, abitata da Gesù durante la sua permanenza in Cafarnao, era stata costruita nel II secolo a.C. in prossimità della sponda del lago, sul fianco settentrionale della strada principale che attraversava il villaggio da nord a sud. La casa a conduzione plurifamiliare era composta da piccoli vani intorno a cortili centrali dove si trovavano i focolari.

L'unico vano che subì dei mutamenti speciali fu quello che poi diventò la sala di preghiera e sulla quale fu innestato l'ottagono centrale della chiesa. Nel IV secolo, l'insula fu chiusa all'interno di un muro di cinta con due porte di entrata e di uscita sulle pareti di sud e di nord. La stanza venerata, introdotta da un piccolo atrio a est, fu divisa in due ambienti da un arco che sorreggeva il tetto. Il pavimento in battuto di calce del primo secolo fu sostituito da un nuovo battuto di colore rossiccio. L'intonaco delle pareti fu ricoperto da un nuovo strato di calce che venne decorato con motivi vegetali di fiori e frutti, sui quali i pellegrini incisero i loro nomi e le loro invocazioni, prima che la sala fosse distrutta al momento della costruzione della chiesa ottagonale.

In successive campagne lo scavo fu esteso anche all'interno della sinagoga, in parte restaurata dal padre Orfali negli anni Venti, composta dalla sala di preghiera colonnata con i banchi perimetrali, dall'atrio in facciata e da un cortile balconato a est. Risultò che l'edificio in pietra bianca riccamente scolpito con simboli giudaici e il repertorio usato nelle sinagoghe contemporanee di Galilea era stato costruito sopra una piattaforma artificiale che copriva alcune abitazioni del villaggio del III-IV secolo con al centro un pavimento lastricato del I secolo che potrebbe essere appartenuto alla sinagoga del tempo di Gesù e visitata dai pellegrini fino alla costruzione della sinagoga monumentale nel IV secolo.

Anche per la sinagoga, come per il santuario vicino costruito sulla casa di Pietro, si era passati da un modesto edificio ad una monumentalizzazione posteriore. Dallo scavo risultava che entrambi gli edifici sacri monumentali che svettavano sulle povere case di Cafarnao, così come la chiesa cristiana e la sinagoga giudaica, erano stati costruiti in epoca bizantina.

Lo studio delle fonti letterarie giudaiche del I-IV secolo porta alle stesse conclusioni dello scavo, chiarendo che a Cafarnao, come in altre località della Galilea, vivevano gomito a gomito due comunità di origine giudaica divise solo dall'accettazione o meno della messianicità di Gesù di Nazaret che aveva scelto come nuova patria il villaggio sulla sponda del lago, scegliendo tra i pescatori i suoi primi discepoli i quali ne avrebbero continuato l'opera per le strade del mondo.

3/ Nazaret. Dove abitavano i parenti del Signore (pp. 106-111)

Eusebio vescovo di Cesarea nell'Onomasticon dei Luoghi Biblici fissa la posizione geografica del villaggio: "Nazaret, per cui Cristo fu detto Nazareno e noi, anticamente, Nazareni ma adesso Cristiani, è ancora oggi in Galilea di fronte a Legio, al 15° miglio verso oriente, vicino al monte Tabor".

Tra i primi seguaci e continuatori dell'opera di Gesù le fonti ricordano i fratelli del Signore (Atti 1,14; 1 Cor 9,5) [Nota bene de Gli scritti: Per meglio comprendere le affermazioni di Piccirillo bisogna ricordare ciò che lo studioso afferma in altri suoi studi: nel linguaggio ebraico del tempo con il termine fratelli si indicavano non solo i fratelli di sangue, ma anche tutti i parenti stretti, come i cugini. La tradizione ortodossa, invece, a partire dagli apocrifi, ha sempre ipotizzato un primo matrimonio di Giuseppe, divenuto poi vedovo prima di sposare Maria, come afferma, ad esempio, il Vangelo dello pseudo-Matteo: «XLII 1. Quando Giuseppe si recava a un pranzo con i suoi figli: Giacomo, Giuseppe, Giuda e Simeone e le sue due figlie, c'erano sempre anche Gesù e la madre con la sorella di questa, Maria di Cleofa].

Per i legami di sangue essi ebbero un posto di responsabilità e di rispetto nella chiesa primitiva palestinese. Giacomo diresse la chiesa di Gerusalemme come raccontano autonomamente gli Atti (21,8) e lo storico Giuseppe Flavio (AJ XX, 197-203). A Giacomo successe Simeone "cugino del Signore" martirizzato al tempo di Traiano.

Lo storico giudeo-cristiano Egesippo (seconda metà del II secolo) ricorda alcuni parenti di Gesù, nipoti di Giuda, in occasione di una persecuzione al tempo dell'imperatore Domiziano (81-96 d.C.). Il testo è riportato dallo storico Eusebio nella Storia Ecclesiastica (III,19,20,1-6): "Domiziano comandò che fossero uccisi quelli di stirpe davidica. Un'antica tradizione racconta che degli eretici denunziarono i discendenti di Giuda, fratello del Signore secondo la carne, rilevando la loro derivazione genealogica da Davide e la loro parentela con Cristo".

Egesippo stesso mette in chiaro tutto ciò esprimendosi in questi termini: "In quel tempo vivevano ancora i parenti del Salvatore, vale a dire i nipoti di Giuda, che fu detto fratello di Lui secondo la carne. Denunziati come discendenti di Davide, dal funzionario furono condotti davanti a Domiziano, il quale al pari di Erode paventava la venuta di Cristo. L'imperatore cominciò a domandare loro se provenissero dalla stirpe di Davide e quelli risposero di sì.

Domandò loro quante possessioni avessero e quanto denaro. Risposero che tutti e due assieme possedevano novemila denari, metà ciascuno; aggiunsero però che non li avevano in contanti, ma in terre dell'estensione di trentanove pletri, da essi lavorate per pagare i tributi e per il necessario alla vita. E gli mostrarono le mani e, a prova della loro personale fatica, gli facevano vedere le membra rudi e le callosità delle ruvide palme a causa del continuo lavoro. Interrogati intorno al Cristo e al Suo regno, intorno alla natura, al tempo, e al luogo della Sua venuta, risposero che l'impero di Cristo non è mondano e terreno, ma celeste e angelico... Udito questo, non li condannò: ebbe invece un pensiero di sprezzo per la loro condizione così bassa, li rimise in libertà e con un editto fece cessare la persecuzione contro la chiesa. Essi poi liberati furono posti a capo delle chiese, come martiri (testimoni) e parenti del Signore e, venuta la pace, vissero fino ai tempi di Traiano".

Altri dettagli li tramanda Giulio Africano, palestinese vissuto nel III secolo. Lo scrittore ricorda che i discendenti di Gesù, "sparsi nelle varie regioni dai villaggi giudaici di Nazaret e di Cocaba", conservavano gelosamente i ricordi di famiglia (passo conservato in Eusebio, Storia Ecclesiastica 1,7,13-14).

Durante la persecuzione di Decio (249-251) Conone, portato in giudizio in Asia Minore perché cristiano, dichiarò in tribunale: "Sono della città di Nazaret in Galilea, sono della parentela di Cristo a cui presto culto fin dai miei antenati".

La letteratura apocrifa cristiana aggiunge altri particolari accolti dalla tradizione cristiana riguardanti la famiglia di Gesù. Il Protovangelo di Giacomo ricorda Gioacchino e Anna, i genitori di Maria. La Storia di Giuseppe Falegname racconta della fine di Giuseppe morto e sepolto a Nazaret. L'Autore anonimo descrive Gesù al capezzale del padre moribondo che racconta in prima persona: "È giunto per mio padre il tempo di morire, come è destino di tutti gli uomini. Entrai dal buon vecchio e lo salutai con affetto, facendogli coraggio. La mia visita lo rese felice e lo rasserenò. Poi mi posi a sedere ai suoi piedi e lo guardavo... Gli tenni le mani per un'ora: ed egli voltando la faccia verso di me mi indicava di non abbandonarlo... Così serenamente spirò... Piansi il buon vecchio con Maria mia madre e i parenti... Fui io a chiudergli gli occhi...".

La memoria dell'origine di Gesù e del mistero dell'Incarnazione fu tenuta viva dai pellegrini. A Nazaret, "fiore della Galilea", vennero "con passo svelto" Paola e Eustochio accompagnate da Girolamo. L'Anonimo di Piacenza nel VI secolo scrive di aver visto in Nazaret "molte cose meravigliose", di aver visitato la sinagoga con alcuni ricordi dell'infanzia di Gesù e aggiunge: "La casa di santa Maria è ora una basilica e molti sono i benefici effetti che vengono a chi riesce a toccare le vesti di lei. Nella città è tanto grande l'avvenenza delle donne ebree che in quella terra non si potrebbero trovare donne più belle e dicono che questo è stato concesso loro da Santa Maria; infatti affermano che fu loro antenata".

Quando vi giunsero i Crociati, Tancredi, che aveva ricevuto in feudo la Galilea, si prese premura di restaurare il santuario, come si evince dagli storici e dal pellegrino inglese Sewulfo che vi venne nel 1102: "La città di Nazaret è completamente devastata e diroccata dai Saraceni però il luogo dell'Annunciazione del Signore mostra un monastero assai bello". Nel 1106 vi giunse l’Abate russo Daniele che scrisse: "Sulla [grotta] è stata costruita una chiesa dedicata all'Annunciazione. Quel luogo santo era stato precedentemente abbandonato, ora i Franchi hanno rinnovato quel luogo e lo hanno splendidamente abbellito... Una grande e alta chiesa a tre altari si eleva nel mezzo del villaggio. Entrandovi si vede a sinistra davanti ad un piccolo altare, una grotta piccola e profonda che ha due piccole porte, una a oriente e una a occidente, dalle quali si discende nella grotta. Penetrando per la porta occidentale a destra si ha una celletta, con entrata esigua, nella quale la santa Vergine viveva con Cristo. Egli fu allevato in questa sacra celletta che contiene il letto sul quale Gesù si riposava. In questa stessa grotta, presso la porta occidentale, si trova il posto ove la Santa Vergine era seduta presso la porta e filava la porpora, cioè il filo scarlatto, quando le si presentò l'arcangelo Gabriele, l'inviato di Dio. Egli apparve davanti ai suoi occhi non lontano dal luogo dov'era seduta la santa Vergine".

La chiesa dell'Annunciazione restò fino ai nostri giorni la meta più importante del pellegrinaggio cristiano in Galilea. "Vogliamo cominciare questa descrizione [dei Luoghi Santi] - scrive Giovanni di Würzburg (1165) - dalla città di Nazaret, perché in quella città, distante da Gerusalemme quasi 60 miglia, ebbe inizio la nostra redenzione mediante l'Incarnazione del Signore".

Nazaret divenne sede episcopale arcivescovile con potere esteso a tutta la Galilea, avendo come suffraganei il vescovo/abate del Monte Tabor e quello di Tiberiade, con diverse proprietà anche nell'Italia meridionale dove almeno 16 chiese gli appartenevano.

Il santuario era officiato dai canonici regolari di sant'Agostino. La chiesa/cattedrale di 68 metri di lunghezza per 30 metri di larghezza era una delle chiese più grandi costruite dai crociati in Terrasanta, "una chiesa venerabile risplendente per l'onore di essere sede episcopale e per essere dedicata alla Madonna Santa Maria", scrisse Teodorico.

Trovandosi Nazaret nella zona delle operazioni militari che precedettero la disfatta di Hattin, il santuario ne subì per primo i contraccolpi. Nei pressi della chiesa furono seppelliti nel maggio del 1187 i corpi dei cavalieri Templari caduti nella battaglia nei pressi della sorgente di Cresson. Triste preludio a quella che sarà la sorte anche degli abitanti della cittadina rifugiatisi in chiesa dopo la battaglia di Hattin e lì uccisi per ordine dell'Amir Muzaffar al-Din Kukburi che lo stesso giorno della sconfitta occupò la località.

Il cronista Raoul di Coggeshall racconta "Altri [Saraceni] salirono nella città di Nazaret e insanguinarono la chiesa, ammazzando i cristiani che si erano rifugiati lì per motivo delle sue fortificazioni, parlo della chiesa santa nominata in tutto il mondo e dai fedeli ornata in omaggio al Verbo Incarnato...".

La chiesa non fu distrutta se Saladino nel 1192 permise di officiarla a due sacerdoti e a due diaconi su richiesta del vescovo di Salisbury, dando concessioni anche per quanto riguardava la visita dei pellegrini al santuario. Nella tregua del 1229 tra Federico II e il sultano al-Malik al-Kamil,  Nazaret con il santuario e la strada che lo collegava a San Giovanni d'Acri che era ancora in mano crociata furono ceduti ai cristiani.

Il 24 marzo 1251 San Ludovico IX re di Francia partecipò alla Messa celebrata dal suo cappellano nella Grotta dell'Annunciazione. La basilica fu distrutta sistematicamente nel 1263 per ordine del sultano Baybars: "Durante un soggiorno sul monte Tabor, un distaccamento della sua armata si portò a Nazaret per suo ordine e distrusse la chiesa di questa città", scrive lo storico arabo Abu el-Fada nei suoi Annali.

Fu risparmiata la grotta dell'Annunciazione sacra a cristiani e musulmani, che continuò ad essere officiata e visitata dai pellegrini. I pochi pellegrini che si avventurarono in oriente dopo la perdita del Regno Latino, ricordano un povero villaggio abitato da musulmani e da alcune comunità di monaci orientali.

I Francescani che annualmente si recavano in pellegrinaggio al santuario, nel 1620 ottennero in dono la Grotta e le rovine della chiesa dall'Emiro Druso di Sidone Fakhr ed-Din che comandava la montagna libanese e la Galilea. Della basilica restava visibile e abbastanza ben conservata la parete nord alla quale era unita l'abitazione del vescovo diventata con opportune aggiunte e restauri il convento dei Frati Minori intorno al quale si installarono alcune famiglie di cristiani Maroniti e di Greci Melchiti.

Giustiziato Fakhr ed-Din nel 1635, iniziarono i soprusi delle autorità turche per estorcere denaro ai religiosi "Franchi". Il cronista francescano padre Verniero racconta: "Il 19 novembre 1637, con la scusa che il convento e la chiesa fusse fondato in una loro antica moschea" incarcerarono i frati e solo pagando una forte somma fu sospeso il decreto del cadì "che il convento e la chiesa fussero spianati e li frati bruggiati".

Per ovviare a una situazione insostenibile per i frati e per i cristiani del villaggio, i religiosi di san Francesco decisero nel 1696 di prendere la responsabilità giuridica del villaggio, così che il padre Guardiano divenne il capo e il giudice di Nazaret in cambio di una somma annuale al Pascià di Sidone e a quello di Acri. Al villaggio di Nazaret si aggiunsero nel 1753 i villaggi di Jafa, Mujeidel e Khuneifs che formarono il principato francescano che durò fin verso il 1789. Nel 1730, i frati poterono coprire con una modesta chiesa la Grotta venerata.

Le ricerche archeologiche moderne iniziate nel 1890 e riprese da padre Bellarmino Bagatti dello Studium Biblicum Franciscanum nel 1955, in occasione della costruzione della basilica moderna inaugurata nel 1969, hanno definitivamente precisato la pianta della grande basilica crociata, e chiarito la storia del villaggio di Nazaret abitato almeno dal secondo millennio a.C. e ubicato sullo sperone della collina sulla quale sorge il santuario.

Lo scavo ha riportato alla luce le testimonianze pre-crociate della venerazione della Casa di Maria. La basilica crociata era stata costruita sulla chiesa di epoca bizantina che a sua volta copriva un edificio di forma sinagogale. Sugli intonaci dei conci architettonici di questo primo edificio monumentale costruito davanti alla Grotta venerata, seppelliti sotto i pavimenti mosaicati, gli archeologi lessero l'Ave Maria in greco graffita da un pellegrino e una invocazione scritta "sul santo luogo di Maria".

La Grotta faceva parte di una casa del villaggio abitata nel primo secolo della nostra era, come mostravano i silos scavati nella pietra tenera della collina. Le testimonianze letterarie dei primi secoli che ricordano a Nazaret i familiari di Gesù danno a queste preziose testimonianze archeologiche un valore storico per il Luogo Santo da due millenni venerato dai cristiani nel villaggio legato indissolubilmente al nome di Gesù.

È "Gesù di Nazaret" che viene accolto nei villaggi (Mc 10,46ss). È "Gesù il Nazareno" che il manipolo di soldati cerca nell'orto del Getsemani (Gv 18,5). Come "Gesù il Nazareno il re dei Giudei" viene condannato alla morte in croce dal procuratore Ponzio Pilato (Gv 19,19). È "Gesù di Nazaret" che Pietro e gli Apostoli predicano risorto il terzo giorno (Atti 10,38ss).

4/ Gerusalemme. Il Cenacolo. La Madre di tutte le chiese (pp. 76-81)

"Sappiamo che lo Spirito Santo parlò per bocca dei profeti e nel giorno di Pentecoste discese sugli Apostoli in figura di lingue di fuoco qui a Gerusalemme, nella chiesa degli Apostoli che si trova più in alto. Noi abbiamo qui tutti i luoghi privilegiati: qui Cristo discese dal cielo e qui discese pure dal cielo lo Spirito Santo. In verità sarebbe assai più conveniente che, come in questo luogo del Golgota abbiamo parlato delle verità che riguardano Cristo e il Golgota, così parlassimo dello Spirito Santo nella chiesa superiore del Sion" (Cat 16,4).

Così parlava nel IV secolo Cirillo vescovo di Gerusalemme ai catecumeni radunati nella basilica del Santo Sepolcro con un riferimento diretto agli episodi raccontati nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli. La "Chiesa degli Apostoli" sul Sion cristiano risulta perciò una delle prime chiese costruite a Gerusalemme dopo la basilica del Santo Sepolcro e la chiesa dell'Eleona sul Monte degli Olivi.

Per quanto riguarda la "Basilica della Santa Sion", non si possono avanzare che delle congetture, stando ai pochi resti venuti alla luce negli scavi dell'area, fuori della Porta di Sion, che oggi comprende la basilica della Dormizione, e l'area del Cenacolo con il convento francescano antico e moderno oggi occupato da una yeshiva ebraica.

Per la ricostruzione della struttura del santuario, ci si basa sulla descrizione dei pellegrini, sullo schizzo lasciato da Arculfo che all'interno di un rettangolo (chiesa) pone il Cenacolo e il luogo della Dormitio Virginis, e sulle misure fornite dalla Descrizione Armena del VII-X secolo (58,80 metri per 38,36 metri), e il Commemoratorium de Casis Dei del IX secolo (57,91 metri per 38,61 metri), avendo infine come punto di partenza la facciata identificata con lo spezzone di muro in direzione nord-sud ritrovato a livello di fondazione nel corso della costruzione della moderna basilica della Dormizione.

Tenendo presenti i muri provenienti da est perpendicolari al muro di facciata nei quali sono stati identificati gli stilobati, l'edificio è immaginato come una basilica triabsidata, con un portico in facciata di 55 metri di lunghezza per 28 metri di larghezza. Della basilica faceva parte il Cenacolo al piano superiore all'esterno dello spigolo di sud-est.

Durante l'epoca crociata i pellegrini visitavano il Cenacolo nella chiesa ricostruita diventata la "Basilica di Santa Maria", all'interno del complesso monastico fortificato affidato ai canonici di Sant'Agostino. Teodorico ne sottolinea il carattere di fortilizio: "Il Monte Sion si trova per la maggior parte fuori le mura della città; ha una chiesa dedicata alla Madonna Santa Maria, ed è fortificata da muri, torri, bastioni contro gli agguati dei nemici...".

Nella nuova basilica la priorità veniva data al ricordo della morte o Dormitio della Vergine affrescata o mosaicata nell'abside centrale. La cappella alta del Cenacolo che ricordava l'Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli la si visitava a destra rispetto alla navata meridionale della chiesa. "Quando entrerai - spiega Teodorico ai suoi lettori - troverai nell'abside centrale verso sinistra il venerabile luogo ornato esternamente con marmo prezioso e all'interno con mosaico. Là nostro Signore Gesù Cristo prese l'anima della sua diletta Madre, Madonna Santa Maria, e la trasportò in cielo. Quest'edificio in basso è quadrato, in alto reca un ciborio rotondo. Dalla parte destra si sale per circa trenta scalini al Cenacolo che è posto nell'estremità dell'abside; in esso si vede la mensa su cui Nostro Signore cenò con i suoi discepoli, e dopo l'uscita del traditore, affidò ai suoi discepoli il mistero del suo Corpo e del suo Sangue. Nel medesimo Cenacolo, muovendosi da quel luogo verso sud per lo spazio di oltre trenta piedi, vi sta un altare nel posto dove lo Spirito Santo venne sugli Apostoli".

La cappella superiore del Cenacolo con due navate ad archi ogivali sorrette da tre colonne ha nell'angolo di sud ovest un ciborio con cupola sorretto da colonne in relazione con la scala di discesa al piano inferiore che i pellegrini chiamavano la Galilea, per una iscrizione ricordata da Giovanni di Würzburg che sottolineava il ricordo evangelico dell'apparizione di Gesù agli apostoli: "Cristo risorto apparve qui ai discepoli Galilei, perciò questo luogo è detto Galilea". Sul capitello di una delle colonnine del ciborio è scolpito il simbolo eucaristico del pellicano che dà da bere il suo sangue ai suoi piccoli.

Il Cenacolo, dove Papa Paolo II ha celebrato la mattina del quarto giorno del suo pellegrinaggio, si è salvato ed è giunto fino ai nostri giorni essendo stato inglobato nel convento dei Frati Minori costruito nei pressi del santuario nel 1333, grazie a una transazione politica ed economica tra i re di Napoli Roberto e Sancia di Angiò e il sultano di Egitto Muhammad al-Nasir. La presenza fu ufficializzata da parte musulmana con il permesso di proprietà concesso ai Frati Minori, e da parte della Chiesa Cattolica con la creazione della Custodia di Terra Santa nel 1342 con la bolla papale Gratias agimus.

"Rendiamo grazie al Dispensatore di tutte le grazie innalzandogli degne lodi perché accese tale fervoroso zelo di devozione e di fede nei nostri carissimi figli in Cristo, il re Roberto e Sancia regina di Sicilia illustri nell'onorare il Redentore e Signore Nostro Gesù Cristo, che non cessano di operare con instancabile amore ciò che conviene a lode e gloria di Dio e a venerazione ed onore del Santo Sepolcro del Signore e di altri Luoghi d'Oltremare. È da poco tempo che al nostro soglio apostolico giunse la gradita notificazione del re e della regina, come essi con grandi spese e faticose trattative ottennero dal sultano di Babilonia [il Cairo] che occupa il Sepolcro del Signore e altri Luoghi Santi d'Oltremare, santificati dal sangue dello stesso Redentore, con grande vergogna dei cristiani. Che i frati del vostro Ordine possano dimorare continuamente nella chiesa del detto Sepolcro, e celebrare pure solennemente là dentro Messe cantate e Divini uffici, come già si trovano in quel posto alcuni frati del detto Ordine; e oltre ciò il medesimo sultano concesse al re e alla regina il Cenacolo del Signore... e come la regina costruì un luogo (convento) sul Monte Sion... poiché da parecchio tempo ella ha inteso mantenervi continuamente a sue spese dodici frati del vostro Ordine per compiere la divina ufficiatura nella chiesa del Santo Sepolcro...".

Con la bolla emanata in Avignone il 21 novembre 1342, anno primo del suo pontificato, Papa Clemente VI ratificava il buon esito della trattativa diplomatica condotta al Cairo da fra Roger Guerin o Guarinus, frate minore della provincia di Aquitania, e la costruzione del convento del Sion. Il Papa si felicitava con i frati perché i reali di Napoli con 'grandi spese e faticose trattative' avevano raggiunto un successo vanamente sperato dal partito della riconquista armata dei Luoghi Santi ancora molto forte nella cristianità. I Reali di Napoli, alcuni terziari francescani e fra Roger saggiamente avevano seguito la strada già tentata con il sultano del Cairo da Giacomo II d'Aragona, la strada cioè della trattativa, che avrebbe evitato nuove vittime e lo spreco di ingenti fortune economiche.

In cambio della libera navigazione commerciale nel Mediterraneo, il sultano mamelucco assicurava la riapertura delle chiese e il permesso per alcuni frati domenicani aragonesi di rientrare nella basilica del Santo Sepolcro dove già vivevano due monaci georgiani. L'esperienza durò un anno, perché i frati di San Domenico non resistettero a una vita di stenti all'interno della basilica. A qualche anno di distanza i Frati Minori ritentarono la difficile avventura. Questa volta con una base logistica importante. I Frati, infatti, avevano anche ottenuto la facoltà di comprare dei terreni nei pressi del santuario del Cenacolo e di potervi costruire un convento.

Questo dava la possibilità di un necessario ricambio ai membri dell'Ordine rinchiusi nella basilica. Il superiore della nuova comunità eretta a entità giuridica di Custodia all'interno della Provincia francescana di Soria, che si estendeva territorialmente a tutto il Vicino Oriente, ebbe il titolo di Guardiano del Sacro Monte Sion. Dal sultano i frati ottennero, oltre al permesso di abitare nel Santo Sepolcro, le chiavi dell'edicola costruita sulla Tomba di Gesù, la cappella del Golgota, il Cenacolo, la Tomba della Madonna nella valle del Getsemani, e la Grotta della Natività a Betlemme.

"Qui [nella basilica del Santo Sepolcro] uffiziano i Latini, cioè i Frati Minori, ch'è di noi, Christiani latini; perché in Jerusalem e in tutto Oltremare, cioè in Siria e in Israel e in Arabia ed in Egitto, non ci è altri religiosi, né preti, né monaci, altro che Frati Minori e questi si chiamano Christiani Latini", scrisse fra Nicolò da Poggibonsi, che si trovava a Gerusalemme in quegli anni. L'autore di una fortunata guida d'Oltremare (di cui si conoscono più di sessanta edizioni!), quando fu richiesto del tributo che i pellegrini dovevano pagare entrando a Gerusalemme, fece spiegare dall'interprete "che noi eravamo poveri, che non avevamo danari, e come i frati di Monte Sion non portavamo né oro né argento".

Un risultato che veniva a coronare un interesse e un amore per la terra nella quale Gesù e la Vergine Maria erano nati e vissuti dimostrato da Francesco e dai suoi seguaci fin dall'inizio dell'Ordine. La costruzione del convento sul Monte Sion a Gerusalemme fu il punto di arrivo di una presenza e di un interesse che andava oltre la contingenza del momento. Le fonti francescane si dilungano a raccontare, forse con poca verosimiglianza secondo gli storici moderni, di un pellegrinaggio di Francesco ai Luoghi Santi facilitato per lui e per i suoi frati da un salvacondotto del sultano Malik al-Kamil: "Il sultano... lo invitò con insistenza a prolungare la sua permanenza nella sua terra, e diede ordine che lui e tutti i suoi frati potessero liberamente recarsi al sepolcro di Cristo, senza pagare nessun tributo".

Il convento del Sion fu la base operativa di importanti missioni papali per la riunione delle chiese. Qui giunsero i frati e i nunzi papali, come il Beato Alberto da Sarteano, Commissario Apostolico, che prepararono e resero possibile il Concilio di Firenze che si concluse il 6 luglio 1439 in Santa Maria del Fiore con la proclamazione dell'unione della chiesa greca con la chiesa latina alla presenza del papa e dell'imperatore bizantino.

"AI Guardiano e al convento dell'Ordine dei Frati Minori e agli altri fedeli cristiani presso il Monte Sion in Siria" è indirizzata la bolla Gloria in Altissimis di Papa Eugenio IV, datata 7 luglio, nella quale si annuncia il lieto evento vissuto dalla Chiesa, avvertendo che seguirà l'invio del decreto dell'Unione in greco e in latino, "affinché se ne possano rendere conto più compiutamente". Il Padre Guardiano del Monte Sion, al tempo padre Gandolfo di Sicilia, fu una delle 14 personalità alle quali fu inviata la Bolla, anticipando il titolo che de facto gli fu dato nel novembre del 1444 di "Commissario Apostolico nelle parti orientali, dell'India, Etiopia, Egitto e Gerusalemme".

Padre Felice Fabri, domenicano, che giunse a Gerusalemme verso il 1480, poté scrivere che "il Papa suole frequentemente istituire il Guardiano del Monte Sion quale provveditore di tutto l'Oriente per la Chiesa Latina che ivi si trova". Al padre guardiano del convento giunsero successivamente il decreto in latino dell'unione con gli Armeni Exultate Deo emanato a Firenze il 22 novembre 1439, la bolla Per haec proxima emanata a Firenze il 16 dicembre 1441, con la quale Papa Eugenio IV invita i Nestoriani all'unione con la chiesa romana e presenta i suoi due legati, padre Antonio di Troia e padre Pietro di Ferrara, Frati Minori, Commissari Apostolici in Oriente, e il decreto in latino dell'unione con i Copti Cantate Domino del 4 febbraio 1442, missione felicemente compiuta dal Beato Alberto da Sarteano con il quale collaborò come interprete padre Pietro Cathelano guardiano del convento di Beirut.

Guardiano del convento del Monte Sion, perciò Custode di Terra Santa, fu padre Francesco Suriano, veneziano, in un periodo particolarmente difficile vissuto dalla comunità francescana in Terra Santa. Da un testimone oculare che viveva in quel convento, raccolse il racconto della prima missione dei Frati Minori di Terra Santa in Abissinia.

Il suo compito principale fu quello di assicurare alla comunità dei frati la protezione delle autorità mamelucche egiziane, approfittando della sua amicizia personale con l'Amir Isbek presso il sultano Kaietbei del Cairo. Fu un periodo di relativa calma che terminò tragicamente nel 1510, quando una piccola flotta dei Cavalieri di Rodi riuscì a sconfiggere pesantemente nel porto di Giaffa la flotta egiziana e turca.

Il sultano Kansu per rappresaglia gettò in prigione tutti i frati e i mercanti occidentali presenti nel suo territorio, confiscandone i beni, le navi ai mercanti, i conventi ai frati. Fra Francesco si trovò tra i frati che scontarono due anni di duro carcere al Cairo. Dopo un po' di tempo quattro frati furono inviati dal sultano come ambasciatori, due alla corte di Francia, due a Rodi presso i Cavalieri per chiedere la restituzione delle navi e dei prigionieri. Dopo un vano tentativo della diplomazia francese, l'ambasciatore veneto riuscì ad ottenere la liberazione dei prigionieri e la restituzione dei conventi saccheggiati.

In questo convento abitò per lunghi anni fra Giovanni di Prussia, cavaliere tedesco che viveva con i frati, descritto da padre Felice Fabri come "un uomo rispettabile, procuratore dei frati del Monte Sion, vestito dell'abito del terzo ordine di San Francesco, nobile di origine, di alta statura, con barba, e venerando di aspetto che ha autorità dal signor papa e dall'imperatore di creare cavalieri i nobili pellegrini al Santo Sepolcro. Una persona nota anche al sultano che lo ha in grande venerazione". Da fra Giovanni la facoltà più o meno arbitraria di creare i Cavalieri del Santo Sepolcro, passò, successivamente ufficializzata dal papa, al Padre Guardiano del Monte Sion al quale restò fino al 1848.

Nel convento i frati ospitavano i pellegrini di ogni condizione che si recavano a Gerusalemme accompagnandoli nella visita dei Luoghi Santi. Il convento dei Frati della Corda restò fuori delle mura della città ricostruite da Solimano il Magnifico nel 1542, dopo che dal dominio mamelucco di Egitto la Terrasanta era passata sotto la dominazione turca. Del convento faceva parte, sotto la chiesa del Cenacolo, la cappella sottostante nella quale era mostrato dai frati un cenotafio indicato come la Tomba del Re Davide, che fu all'origine delle malversazioni che condussero all'espulsione dei frati dal convento.

Le Cronache di Terra Santa così raccontano uno degli episodi più dolorosi della presenza francescana a Gerusalemme, la cacciata dal convento del Sion nel 1551: "Essendo andato il Padre Guardiano nella città di Aleppo per far confermare alcune scritture dal Gran Visir che ivi risiedeva, dubitando il Santone che fusse andato contro di lui, volse con molta sollecitudine prevenire. Onde informato i più principali della città di Gerusalem come habitando i Frati fuor di essa, in Monte Sion, la città se ne stava in molto pericolo d'essere da loro un giorno tradita e data in mano ai Franchi, accertandoli aver con li suoi propri occhi più volte veduto non pochi personaggi grandi d'Europa, vestiti da peregrini e ben'armati, quali erano ivi non per devozione ma per spiare e ben informarsi da qual luogo si potesse agevolmente prendere la città; e che forse di notte avevano introdotto nel convento armi e provvisioni per tal effetto. Oltre al poco rispetto e riverenza che al santo Profeta Davide portavano passando e passeggiando avante quella sepoltura, in dispregio di quel Santo e dei Turchi. Con queste e altre apparenti ragioni, talmente le dispose, che ottenutone da loro sufficienti scritture, conforme al suo desiderio, e inviatosi a Costantinopoli, ottenne in virtù di quelle un rigorosissimo comandamento, diretto al Cadì e al Sangiacco di Jerusalem con ordine che in riceverlo, avessero tosto senza dimora e tergiversazione veruna scaciati via i Frati dal convento e chiesa di Monte Sion e l'avessero provvisti di altra abitazione dentro la città, se pur non si fusser contentati abitar nella chiesa del Sepolcro o in quella di Betlemme.

Furono i frati chiamati in divano [cioè in giudizio], i quali inteso il tenor del comandamento, pregarono il Cadì a differire la sua esecuzione sin al ritorno del loro padre Guardiano, poiché non stava bene far notabile novità in sua assenza. Aspettò volentieri il Cadì il ritorno del Guardiano, qual benché si fatigasse al possibile con grosse profferte di denaro d'impedire tale esecuzione, fu nondimeno nell'anno 1551 promulgata la finale e definitiva sentenza che li frati consignassero al Santone del Monte Sion tutta la chiesa e il convento e si ritirassero nel Santo Sepolcro e in Betlemme, in sin che si fussero provvisti d'altra abitazione dentro la città. Chi potria mai spiegare a sufficienza le lagrime, i singulti, e cordoglio dei proveri frati? Quali furono contro lor voglia sforzati sbrigar il convento e ritirarsi con le loro robbe in una picciola e stretta abitazione ivi vicina, chiamata da Neemia Torre del Forno, dove abitaron con molte pene e angustie per spazio di otto anni, finché non si procurarono a loro spese il convento di San Salvatore, dove al presente dimorano. E quel Santo Luogo in sin al presente se ne sta moschea e abitazione dei Turchi... né si permette che li frati e pellegrini vi entrino più per visitarlo, riverirlo e adorarlo, conforme quel sacro luogo richiede".

Questo trasloco forzato avvenne al tempo del padre Bonifacio da Ragusa (Dubrovnik) in Dalmazia, che fu custode di Terra Santa per undici anni, dal 1551 al 1560 e poi dal 1562 al 1564. Di lui si ricorda, in quegli stessi anni di tribolazione, il restauro dell'edicola del Santo Sepolcro, portato a termine nel 1555 dopo un intenso impegno diplomatico condotto di persona con viaggi in Europa, a Costantinopoli e in Persia, per avere aiuti economici dalle potenze occidentali, e i necessari permessi delle autorità turche.

La visita di Papa Giovanni Paolo II con la celebrazione pubblica della Santa Messa nella chiesa arbitrariamente convertita in moschea, apre uno spiraglio di speranza per la restituzione ai legittimi proprietari di una casa sempre desiderata. Nei primi decenni del XX secolo, padre Girolamo Golubovich, lo storico più insigne della Terra Santa, si fece promotore di una associazione giuridicamente riconosciuta per il riscatto del Santo Cenacolo. Per i Frati Minori sarebbe veramente il regalo del Giubileo.

5/ Gerusalemme: Getsemani. Dove il Signore fu tradito (pp. 116-119)

Fuori della Porta Orientale della città di Gerusalemme, i pellegrini, sulle tracce della "memoria del glorioso passaggio" di Gesù nella città santa, visitano ai piedi del Monte Oliveto, all'inizio della valle di Giosafat al di là del torrente Cedron, tre santuari: la tomba della Madonna, la grotta del tradimento di Giuda e la chiesa dell'Agonia.

Il ricordo più antico è chiaramente quello del tradimento di Giuda sul quale insiste con dettagli particolareggiati il vangelo di San Giovanni. Non meraviglia che Eusebio, nell'Onomasticon dei Luoghi Biblici, citi il Getsemani, scrivendo che si trova ai piedi del monte Oliveto, "dove ora i fedeli si affrettano a fare preghiere". Luogo mostrato al Pellegrino Anonimo di Bordeaux nel 333 che così ricorda la visita: "Dove ci sono delle vigne, c'è una pietra dove Giuda Iscariota tradì Cristo".

Nella seconda metà dello stesso secolo, la pellegrina Egeria si accompagna alla comunità di Gerusalemme che nel pomeriggio del Giovedì Santo inizia nella basilica dell'Eleona sul Monte Oliveto la liturgia stazionale del Triduo Pasquale. Dall'Eleona, al primo canto del gallo, si reca all'Imbomon sulla cima della montagna, da cui in processione con il vescovo discende al luogo della preghiera di Gesù nell'orto dove nota una chiesa elegante nella quale tutti entrano per leggere il vangelo e pregare. "Poi da lì con inni, tutti, fino al bambino più piccolo, scendono a piedi al Getsemani con il vescovo... si va lentamente, lentamente al Getsemani cantando inni. Più di 200 fiaccole di chiesa sono disposte in modo da fare luce a tutto il popolo. Giunti al Getsemani, prima si fa un'orazione appropriata, poi si dice un inno, per poi leggere quel passo del Vangelo dove il Signore viene arrestato... Poi si va a piedi verso la città cantando inni, e si giunge alla porta nell'ora in cui si comincia a riconoscersi l'un l'altro".

I tre santuari nella valle furono ricostruiti dagli architetti crociati e di conseguenza visitati durante il sacro circuito che portava i pellegrini sul monte degli Olivi. "La distinzione di questi luoghi, cioè dove i discepoli restarono e dove il Signore pregò - scrive Giovanni di Würzburg - appare chiara nella valle di Giosafat: infatti vicino alla chiesa maggiore, dove c'è la Tomba della Madonna... ancora oggi a destra dell'ingresso c'è una cappella rupestre nella quale i discepoli tristi e appesantiti dal sonno rimasero quando il Signore per tre volte si allontanò e ritornò da loro. Questo è ancora indicato dalla pittura che vi si trova. Il luogo invece dove il Signore pregò, è circondato con una nuova chiesa che si chiama la chiesa del Salvatore...".

Lo storico Guglielmo di Tiro scrive che dopo la presa di Gerusalemme, Goffredo di Buglione affidò il santuario della Tomba della Vergine ai monaci di san Benedetto che tanto avevano cooperato alla buona riuscita della crociata. L'abbazia detta di Santa Maria in Valle Josafat fu costruita a ovest del santuario. Giovanni di Würzburg annota: "Tutta la valle appartiene al convento posto in cima alla medesima valle, vicino al torrente Cedron, presso l'orto in cui il Signore soleva spesso incontrarsi coi suoi discepoli Nella cripta di questo convento ancora oggi si mostra il sepolcro della Beatissima Vergine Maria".

Da un anonimo pellegrino francese, sappiamo che i musulmani, dopo la disastrosa battaglia di Hattin nel 1187, distrussero l'abbazia e risparmiarono la chiesa inferiore per devozione alla Madre di Gesù. Ancora oggi, l'austera facciata e la monumentale scala di accesso, seppure privata della luce e degli affreschi che la decoravano, resta una delle opere principali dei maestri architetti crociati.

Solo pochi metri dividono la facciata della Tomba della Madonna dalla Grotta del Tradimento. L'Abate russo Daniele che la visitò verso il 1106 la qualifica come "la
grotta in cui fu consegnato da Giuda ai Giudei per 30 denari. E quella grotta è al di là del torrente Cedron ai piedi del monte degli Olivi". La grotta cambiata in cappella rupestre fu affrescata in epoca crociata con un cielo di stelle e con scene evangeliche. Giovanni di Würzburg notò l'Orazione di Gesù nell'orto. Un pellegrino del 1474, Alessandro Rinuccini, riuscì ancora a identificare la figura di Gesù: "In sulla parete della quale [grotta] è dipinta la figura del Salvatore nostro genuflexo con le mani giunte volto fra oriente et mezzo giorno con gli occhi alquanto elevati".

In relazione con l'altare ancora oggi si può leggere nell'affresco della volta un'iscrizione metrica in latino aggiunta in un secondo tempo sulla scena originale: "Qui Cristo re sudò sangue. Spesso Cristo Signore [qui] dimorava. Padre mio, se vuoi passi questo calice da me".

In occasione del Grande Giubileo del 2000, la Custodia di Terra Santa ha deciso di restaurare la volta affrescata affidandola ad esperti italiani. "A mezzogiorno di quella grotta, distante quanto un uomo lancia una piccola pietra c'è il luogo in cui Cristo pregò suo Padre nella notte in cui fu tradito... Ora in quel luogo è costruita una piccola chiesetta", annota l'Abate Daniele. Quando vi venne Teodorico, gli architetti crociati erano impegnati nella ricostruzione della chiesa che fu dedicata a San Salvatore: "Ed Egli si staccò da essi quanto un tiro di sasso. Infatti un po' più in alto verso il Monte Oliveto, a sud, vi fece la triplice orazione, nel qual luogo adesso stanno edificando una nuova chiesa".

Le fondazioni della chiesa furono ritrovate dagli archeologi francescani all'inizio del secolo ventesimo in un terreno a sud dell'Orto degli Olivi che finalmente erano riusciti a riscattare, dopo che per secoli erano venuti a fare memoria della preghiera di Gesù e del tradimento di Giuda nei pressi di un rocchio di colonna.

La chiesa triabsidata con absidi poligonali, che misurava 25 metri di lunghezza per 16 metri di larghezza con i muri di 2,35 metri di spessore, aveva il presbiterio esteso nella navata centrale chiuso da un muretto con un ingresso centrale e due laterali. Al centro sporgeva per una decina di centimetri al di sopra del pavimento un banco di roccia di 75 centimetri di lunghezza per 60 centimetri di larghezza, roccia naturale visibile anche nelle due absidi laterali.

Giovanni di Würzburg e Teodorico le mettono in relazione con i tre momenti di preghiera di Gesù. "Nel pavimento [della chiesa del Salvatore] - scrive Giovanni - emergono tre rocce non lavorate, come delle piccole rupi, sulle quali si dice che il Signore pregò tre volte cadendo in ginocchio. Pietre che sono venerate grandemente".

Della decorazione ad affresco delle pareti si è salvata la testa di un Angelo e parte dell'aureola cruciforme della testa di Cristo, che era raffigurato al centro della scena. La riscoperta della chiesa crociata di San Salvatore spinse la Custodia di Terra Santa a ricostruire il santuario. Durante lo scavo delle fondamenta della nuova basilica, venne alla luce anche la chiesa di epoca bizantina con l'asse leggermente spostato verso nord-est in rapporto a quella di epoca crociata che gli era stata sovrapposta. Il santuario moderno, costruito dall'architetto Antonio Barluzzi e dedicato nel 1924, fu perciò ricostruito, in asse con la chiesa primitiva.

Della visita all'orto del Getsemani, Burcardo di Monte Sion ricorda un piccolo dettaglio come risultato della sua esperienza devozionale e osserva che “da quella roccia non si riesce a prendere, per così dire, nemmeno la polvere, sebbene mi sia affaticato molto con strumenti di ferro per portarmi via qualche cosa".

6/ Gerusalemme. Il Sepolcro della vita (pp. 132-137)

Come nei due millenni cristiani che ci hanno preceduto, il cuore della città cristiana di Gerusalemme resta ancora oggi la basilica del Santo Sepolcro, verso la quale si muovono le processioni che animano le strade affollate dai turisti e pellegrini Più di otto secoli di rioccupazione islamica, a partire dal 1187, non hanno quasi in nulla attutito la forte impronta cristiana della Città Santa con le sue chiese e monasteri costruiti in periodo bizantino e restaurati in epoca medievale e moderna. Secondo una statistica pubblicata nel 1995, su 561.000 abitanti, (400.000 ebrei, 149.000 musulmani) i cristiani sarebbero 12.000 tra cattolici e ortodossi suddivisi nei diversi riti (Latini, Greci, Maroniti, Armeni, Siriani, Copti, Caldei, Abissini e Protestanti).

All'interno della basilica del Santo Sepolcro sono oggi rappresentate sei Comunità: la greca ortodossa che fa capo al Patriarca di Gerusalemme; l'armena ortodossa anch'essa guidata da un suo Patriarca che ha sede nel monastero armeno di San Giacomo; la comunità latina rappresentata dai Francescani della Custodia di Terra Santa; la Comunità siriana; la Comunità copta e la Comunità abissina. La presenza della Comunità cristiana diventa più appariscente per le vie della città vecchia durante la Quaresima e il periodo pasquale. È un via vai di processioni o di semplici spostamenti, che acquistano un carattere di solennità e di ufficialità con giannizzeri e polizia.

Durante tutto l'anno le strade di Gerusalemme sono affollate dai gruppi di pellegrini impegnati nel santo circuito della visita ai diversi santuari della città compresi nell'orbita della basilica costruita sulla Roccia del Calvario e sulla Tomba testimone della Resurrezione. È un cammino obbligato che ha la sua origine nelle pagine del Vangelo, che troviamo testimoniato nei ricordi scritti dai pellegrini a cominciare dai primi decenni del IV secolo, e nell'ordine dato dall'imperatore Costantino a Draciliano vicegerente dei prefetti e governatore della provincia di Palestina di provvedere tecnici, operai e tutto il necessario per la costruzione, a spese dell'erario, di "un edificio degno di Dio" sulla Roccia del Calvario e sulla Tomba di Gesù nel cuore di Gerusalemme.

Eusebio di Cesarea vescovo, scrittore e metropolita di Palestina, contemporaneo della costruzione del complesso sacro, ci ha conservato ampi dettagli di ciò che avvenne in città a cominciare dal 325, anno di inizio dei lavori che cambiarono per sempre la fisionomia del luogo che era noto ai cristiani della città. Lo stesso Eusebio lo conosceva. Prima dell'ordine imperiale, del Golgota aveva scritto nell'Onomasticon dei Luoghi Biblici: "Golgota, luogo del Calvario, nel quale il Salvatore fu crocifisso per la salute di tutti. Fino ad oggi lo si mostra in Aelia (il nome romano di Gerusalemme) a nord del monte Sion".

Per costruire "il monumento della vittoria del Salvatore sulla morte", i due architetti incaricati, Zenobio e Eustazio, dovettero prima distruggere il tempio fatto edificare nell'area 180 anni prima, precisa san Girol.amo, dall'imperatore Adriano fondatore della colonia romana di Aelia Capitolina Girolamo, citando Eusebio, scrisse al prete Paolino: "Dai tempi di Adriano fino all'impero di Costantino per circa 180 anni si venerava sul luogo della resurrezione la statua di Giove e sulla roccia della croce una statua in marmo di Venere posta dai Gentili. Nelle intenzioni degli autori della persecuzione ci avrebbero tolto la fede nella resurrezione e nella croce se avessero profanato con gli idoli i luoghi santi".

"L'imperatore - si legge nella Vita di Costantino scritta da Eusebio - non trascurò affatto quell'area che tanti materiali impuri mostravano occultata... e diede ordine di sgombrarla... Dato l'ordine, venivano subito demolite da cima a fondo le invenzioni dell'inganno e venivano distrutti e abbattuti gli edifici dell'errore con tutte le statue e le divinità... Comandò di portare via e scaricare lontanissimo dal luogo il materiale di pietre e di legno degli edifici abbattuti... Volle dichiarare sacro lo stesso suolo e comandò di fare nell'area uno scavo molto profondo e di trasportare la terra scavata in un luogo lontano e remoto... E quando, [rimosso] elemento dopo elemento, apparve l'area al fondo della terra, allora contro ogni speranza appariva anche tutto il resto, ossia il venerando e santissimo testimonio della resurrezione salvifica e la Grotta più santa di tutte riprendeva la stessa figura della resurrezione del Salvatore".

L'imperatore - sempre nel racconto dello storico contemporaneo dei fatti - diede l'ordine "di costruire una casa di preghiera degna di Dio con una magnificenza sontuosa e regale... una basilica non solo migliore di tutte le altre ma che pure il resto sia tale che tutti i monumenti più belli di ogni città siano superati da questo edificio".

Fu il complesso visitato dai pellegrini per secoli, arricchito dai doni degli imperatori cristiani. Gli architetti isolarono dalla montagna il dado di roccia con la tomba di Gesù ritrovata sotto il podio del tempio pagano e la circondarono con una larga esedra triabsidata che successivamente fu coperta con una cupola a cielo aperto sostenuta da colonne e pilastri.

L’Anastasis, o Resurrezione, come fu chiamato il monumento, aveva una facciata a oriente di fronte all'ingresso della tomba, con otto porte, quattro per parte, che si aprivano su un cortile triporticato. Nell'angolo di sud-est del cortile, sub divo, cioè a cielo aperto, si innalzava per sei metri di altezza la Roccia del Golgota/Calvario che l'imperatore Teodosio fece ornare con una croce d'oro. Proseguendo verso oriente ma con l'abside rivolta verso occidente, cioè verso la Tomba della Vita, si sviluppava l'aula delle celebrazioni, la basilica a cinque navate chiamata Martirium che con un nartece colonnato si affacciava sulla strada principale, il cardo colonnato che attraversava da nord a sud la città. "Così presso lo stesso testimonio salvifico - scrive Eusebio a conclusione del suo racconto sulla costruzione della basilica del Santo Sepolcro - veniva edificata la nuova Gerusalemme di fronte all'altra ben nota dell'antichità".

In questa basilica predicò Cirillo vescovo di Gerusalemme che spesso invita i suoi ascoltatori a cogliere il messaggio che proveniva dai ricordi: "La passione è reale: [Gesù] fu veramente crocifisso... anche se lo negassi io, me ne rimprovererebbe questo Golgota vicino al quale tutti ci troviamo; me ne rimprovererebbe il legno della croce che da qui è stato distribuito in frammenti per tutto il mondo... Non rinnegare il Crocifisso, perché se lo rinneghi hai molti contraddittori. Ne è testimone il Getsemani ove avvenne il tradimento. Non parlo ancora del monte degli Olivi in cui pregarono in quella notte i presenti al tradimento... Ti contraddice la casa di Haifa... il pretorio di pilato che recentemente è stato distrutto dalla forza di colui che allora fu crocifisso… Ti contraddice questo santo Golgota che s’innalza e che è ancora visibile e mostra ancora come le pietre si sono spaccate a causa di Cristo; il vicino Sepolcro in cui fu deposto e la pietra che fu collocata all'ingresso e che ora si trova accanto al sepolcro (Cat XIII,38-39). Sono molti i testimoni della resurrezione... la pietra del sepolcro che lo ricevette e la roccia stessa... anche la pietra rotolata via e che è ancora per terra testimonia la resurrezione... questo luogo ancora visibile e questo edificio della santa chiesa costruita dall'affettuosa devozione dell'imperatore Costantino di felice memoria, e così ornata come tu vedi... hai quindi molti testimoni: questo luogo lo è della Resurrezione; hai a oriente quello dell'Ascensione (Cat XIV,22)".

La distruzione dello splendido edificio iniziò nel 614, quando i Persiani, dopo la presa della città lo spogliarono dei doni più preziosi e appiccarono il fuoco alle strutture in legno. I danni furono riparati da Modesto, abate del monastero di San Teodosio e poi patriarca di Gerusalemme, negli anni precedenti l'arrivo degli Arabi nel 638. Il califfo Omar, secondo la testimonianza di Eutichio Patriarca di Alessandria, rispettò il monumento che decadde però progressivamente per mancanza di manutenzione appropriata da parte della popolazione cristiana impoverita dopo i terremoti che ne minarono la struttura, finché nel 1009 il califfo fatimita al-Hakim non diede l'ordine di distruggerla dalle fondamenta. Un ordine che ferì la comunità cristiana i cui echi giunsero lontano.

Dopo undici anni di interdetto, i cristiani della città potettero riprendere possesso del monumento che fu restaurato dagli imperatori bizantini Romano Argyropulos e Costantino Monomaco. I lavori furono eseguiti tra il 1042 e il 1048. Gli architetti inviati da Costantinopoli decisero di non ricostruire il Martirium e di concentrare il restauro sull'Anastasis con la Tomba e sul Triportico con il Calvario con l'aggiunta di cappelle sparse nell'area del complesso dell'Invenzione della Santa Croce.

L'Anastasis con le pareti mosaicate fu descritta dall'Abate russo Daniele. "La chiesa della Resurrezione è di forma circolare e ha dodici colonne monolitiche e sei pilastri. È pavimentata con belle lastre di marmo. Ha sei entrate e tribune con dodici colonne. Sotto il soffitto, al di sopra della tribuna, sono rappresentati in mosaico i santi Profeti come se fossero viventi. L'altare è sormontato da una immagine di Cristo in mosaico. Nel grande altare si vede un'esaltazione di Adamo in mosaico, e il mosaico della volta rappresenta l'Ascensione di Nostro Signore. Una Annunciazione in mosaico occupa due pilastri ai lati dell'altare. La cupola della chiesa non è chiusa da una volta in pietra...".

È il Sepolcro dove entrarono il 1 luglio del 1099 i cavalieri crociati di Goffredo di Buglione dopo la presa della città. Dai pellegrini sappiamo che il primo intervento degli architetti crociati riguardò l'edicola sulla tomba ornata di marmi, di scritte in latino e di una statua di Cristo risorto in argento dorato. Solo dopo qualche decennio, iniziarono la ristrutturazione del monumento aggiungendo all'Anastasis bizantina un transetto a croce con cupola centrale costruito nell'area del cortile triporticato e spostando la facciata del santuario a sud, dove edificarono la torre campanaria alta 58 metri. Un deambulatorio aggiunto al transetto dava la possibilità di raccordare con l'Anastasis il Calvario e le altre cappelle preesistenti. Le pareti delle nuove strutture aggiunte furono decorate con mosaici e le scene accompagnate da iscrizioni metriche in latino che ne spiegavano il significato.

Programma iconografico e scritte che ci sono state tramandate da Teodorico e Giovanni di Würzburg, da pellegrini tedeschi di epoca medievale, e dagli antiquari francescani del XVI secolo che le descrissero e copiarono. Sull'arcone di facciata della cappella del Calvario si leggeva in caratteri d'oro l'iscrizione che dava il senso del lavoro intrapreso: "Questo santo luogo è stato consacrato dal sangue di Cristo, perciò la nostra consacrazione niente aggiunge alla sua santità. Ma l'edificio eretto attorno e al disopra di questo santuario è stato consacrato il 15 luglio dal patriarca Fulcherio e da altri prelati nel quarto anno del suo patriarcato e nel cinquantesimo anniversario della presa della città che allora risplendeva simile a purissimo oro. Era l'anno 1149 dalla nascita del Signore".

Un incendio nel 1808 mise in pericolo la stabilità della basilica. Il restauro fu affidato nel 1810 a un capomastro greco che in sei mesi di lavoro riuscì a sfigurare il monumento. Il restauro moderno per riportare il santuario alle sue linee di epoca crociata deciso insieme dalle Comunità greca, francescana e armena, è stato il grande avvenimento dell'ecumenismo moderno, come sottolineò Paolo VI che visitò il cantiere durante il pellegrinaggio in Terrasanta del 1964: "È altamente simbolico che malgrado il peso della storia e delle numerose difficoltà, i cristiani, disgraziatamente separati, lavorino insieme a restaurare questo tempio che essi avevano costruito nell'unità e che le loro divisioni lasciarono rovinare". Il lavoro non è ancora finito, e molto resta da fare con coraggio e professionalità perché il monumento principe della fede cristiana riprenda la sua dignità offesa da secoli di abbandono e di interventi sbagliati.

N.B. de Gli scritti: per approfondimenti, vedi il sito ufficiale della Custodia di terra Santa Il Santo Sepolcro http://www.santosepolcro.custodia.org/

7/ Gerusalemme. San Giacomo degli Armeni, sede del Patriarca armeno ortodossi (pp. 138-141)

“Abbiamo trovato qui i più illustri personaggi del mondo", scriveva nel IV secolo da Betlemme Girolamo a Marcella. "Vi si ammiravano soprattutto quelli che sono il fiore e grande ornamento della Chiesa, la schiera dei monaci e delle vergini. Dalla Gallia vengono qui i più celebri personaggi. Il Bretone, appena ha fatto qualche passo nella religione, volta le spalle al suo sole d'Occidente e viene a visitare i luoghi che non ha conosciuto se non per mezzo della fama delle Scritture. E cosa diremo dell'Armenia, della Persia, dell'India, dell'Etiopia, del Ponto e della Cappadocia, delle terre fertili per il monachesimo quasi come l'Egitto, della Siria, della Mesopotamia, di tutto lo sciame di solitari che vengono dall'Oriente e che danno un variopinto spettacolo di tutte le virtù? Le lingue sono differenti, ma la pietà è la stessa. Di tante nazioni che vi sono nel mondo, troviamo quasi altrettanti cori che salmodiano a Gerusalemme".

Che san Girolamo non esagerasse, lo sappiamo da Eusebio di Cesarea e dal contemporaneo Rufino di Aquileia che abitava sul Monte degli Olivi a Gerusalemme. Entrambi scrivono della conversione al cristianesimo dei due stati caucasici dell'Armenia e della Georgia, al tempo di Costantino, e degli stretti rapporti di queste nuove popolazioni cristiane con Gerusalemme.

Monaci e pellegrini armeni presenti in Terrasanta si organizzarono in comunità autonoma nel VI secolo a seguito della disputa teologica sulla natura di Cristo. Il vescovo di Gerusalemme divenne un suffraganeo del Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni che risiedeva a Etchmiadzin, la città santa in Armenia.

Il rifiuto da parte del clero di Gerusalemme di accettare le decisioni del sinodo pro-latino tenutosi in Cilicia nel 1307 portò alla creazione del Patriarcato armeno di Gerusalemme, sanzionato da un editto del sultano mamelucco Nasir Muhammad nel 1311.

In periodo crociato, grazie all'alleanza e collaborazione militare tra i re latini di Gerusalemme con il regno armeno di Cilicia, la comunità visse un periodo di agiatezza economica e di sviluppo culturale. A questo periodo risale la costruzione della cattedrale di San Giacomo. La chiesa era già costruita nel 1165 quando fu visitata dal pellegrino Giovanni di Würzburg che così la descrisse: "Vi è una grande chiesa costruita in onore di San Giacomo il Maggiore, dove abitano i monaci armeni, e hanno là un grande ospedale per raccogliere i poveri della loro lingua. Ivi si conserva ancora in grande venerazione il capo dello stesso apostolo; egli infatti fu decollato da Erode e i suoi discepoli recarono il suo corpo sopra una nave trasportandolo da Giaffa fino alla Galizia, mentre il suo capo restò in Palestina. Quel capo viene mostrato in quella medesima chiesa ai pellegrini che vengono a vederlo".

La costruzione è messa in relazione con due avvenimenti storici per la comunità: la visita del Catholicos di tutti gli Armeni Gregorio Bhalavuri nel 1142, e la visita di re Toros II di Cilicia nel 1163. Peculiarità architettoniche della chiesa rimandano a maestranze locali armene che la costruirono tenendo presenti gli stilemi della grande tradizione sviluppatasi in Armenia nel secolo precedente. Notevole la cupola costruita con sei nervature incrociate a formare un esagono. La chiesa ricorda la decapitazione di san Giacomo Maggiore, fratello di san Giovanni, nel 44 d.C. per ordine del re Erode Agrippa I (At 12,1-2).

L'edificio originario sembra di forma quadrangolare coperto da una cupola. Vi si entrava dal portale sulla parete meridionale. Le absidi perciò sarebbero una aggiunta del XIII-XIV secolo. Sulla parete nord si aprono gli ingressi alla cappella di San Mena, e della cappella martiriale con la reliquia della testa di San Giacomo. Nel Medio Evo, le reliquie dell'Apostolo fecero di san Giacomo di Compostella in Galizia uno dei santuari più venerati del Medio Evo.

Il portico attuale in facciata fu costruito nel XVII secolo. Sulle pareti sono stati murati numerosi Khatchk'ar, croci votive in pietra ex-voto dei pellegrini lungo i secoli. La chiesa deve il suo aspetto attuale al restauro condotto nel XVII secolo dal patriarca Gregorio detto il Portatore di catene (Shghthayagir in armeno). Per raccogliere gli 800 denari d'oro di cui aveva bisogno la comunità armena di Gerusalemme per pagare i debiti e così evitare che la chiesa di Santo Stefano e altre cappelle passassero ai Musulmani, il patriarca Gregorio andò a Istanbul, e ogni domenica, per quattro anni, dal 1717 al 1721, si mise a chiedere l'elemosina sulla porta della chiesa della Santa Madre di Dio portando sul collo una pesante catena di ferro finché non raggiunse la somma.

Nella navata centrale si fa notare il grande trono episcopale, denominato il Trono di San Giacomo, un lavoro del 1656. Il Patriarca vi si siede nell'anniversario della festa dell'Apostolo. A destra, nella navata meridionale, si entra nella cappella di Etchmiadzin attraverso il portale originale della chiesa. Le pareti della cappella sono decorate con maioliche di Kütahya, in Turchia, del XVIII sec. Alcune sono decorate con scene dell'Antico e del Nuovo Testamento originariamente prodotte per decorare la Basilica del Santo Sepolcro. Nella cappella si conservano tre pietre provenienti dal Monte Sinai, dal Monte Tabor e dal fiume Giordano.

All'interno del monastero, nella biblioteca di San Toros, sono conservati preziosi manoscritti miniati del X-XIII secolo tra i quali il Secondo Vangelo di Etchmiadzin del X secolo; il Vangelo di re Gagik di Kars della metà dell'XI secolo; il Vangelo di Metilene del 1041; il Vangelo di Shukhr Khandara del 1064; il Vangelo di Teodoro delle scuole di Hromkla e Skevra in Cilicia del XII secolo.

L'antico seminario è ora sede del Museo Armeno con alcune opere di interesse di epoca romano-bizantina e crociata. Sempre all'interno del monastero sorge la cappella medioevale di Deir al-Zeitun. Il convento prende il nome dall'olivo al quale Gesù sarebbe stato legato quando fu portato da Anna ex sommo sacerdote ebreo. Dai pellegrini, la chiesa è conosciuta con il nome di Casa di Anna.

Nei pressi della chiesetta ricevettero ospitalità i Frati Minori nel 1551, quando furono cacciati dal loro convento nei pressi del Cenacolo che sorge ad un centinaio di metri ma all'esterno delle mura della città. La presenza della comunità armena in epoca bizantina fuori delle mura del monastero è attestata dal ritrovamento di diversi mosaici con iscrizioni in lingua armena, sul Monte degli Olivi e fuori Porta Damasco, nel quartiere di Musrara.

Sul Monte degli Olivi le iscrizioni furono scoperte in un contesto funerario all'interno della proprietà del monastero russo dell'Ascensione. "Questa è la tomba della beata Susanna madre di Artavan, il 18 del mese di Hori (mese dell'antico calendario armeno)". "Questo è il monumento (tomba) del signore (Vescovo) Giacobbe, fatto su sua richiesta", si legge in una seconda iscrizione. Nel pavimento mosaicato di un'altra tomba si legge: "Avendo come intercessori presso Dio Sant'Isaia e i venerabili Padri, io Varhan, ho fatto costruire questo monumento (tomba) per il perdono dei miei peccati". Probabilmente i mosaici sono da mettere in relazione con il monastero di San Giovanni abitato da monaci armeni ricordato dal Commemoratorium de casis Dei al tempo di Carlo Magno. Due monasteri armeni sono ricordati nell'XI secolo dal monaco Anastasio sul Monte degli Olivi. Ad uno di tali monasteri fa riferimento un'iscrizione in greco: "Tomba del santissimo Charati, abate del monastero dell'Annunciazione degli Armeni".

Fuori la porta Damasco già dal secolo scorso era stata individuata, a ovest del complesso della basilica e del monastero di Santo Stefano Protomartire costruito dall'imperatrice Eudocia (attuale Ecole Biblique dei Padri Domenicani), la presenza di un complesso monastico. Del complesso faceva parte una cappella mosaicata con l'iscrizione in armeno: "In ricordo e per la salvezza di tutti gli Armeni i cui nomi il Signore conosce". La costruzione dello snodo viario nord-sud (Road Number One) che, per una scelta alquanto discutibile, in questo punto si sviluppa proprio nei pressi delle mura della città, ha chiarito ulteriormente l'estensione del complesso monastico, con la scoperta di almeno quattro monasteri con cappelle, due ostelli per i pellegrini, una vasta area cimiteriale. Nel mosaico di una stanza si trova anche una nuova iscrizione in armeno: "Il prete Ewstat fece fare questo mosaico. Tu che entri in questa casa ricordati di me e di Luca mio fratello in Cristo". Il tutto seppellito sotto il manto stradale.

8/ Gerusalemme. Al-Haram al-Sharif, Templum Domini, Spianata del Tempio (pp. 142-147)

Al-Haram al-Sharif (il Nobile Recinto, il Santuario Nobile) indica in Gerusalemme l'area sacra musulmana all'interno della quale sorgono la Qubbat al-Sakhrah (la Cupola della Roccia) e la Moschea al-Aqsa, un'area proibita a qualsiasi attività profana. Tutta la spianata di 281 metri a sud, 310 metri a nord, 462 metri a est, e 491 metri a ovest è considerata dai musulmani un immenso luogo per la preghiera (masjid/moschea). Questo spiega perché le madaris o scuole coraniche, gli edifici dell'amministrazione, i bagni ecc., siano normalmente costruiti all'esterno del recinto sacro.

A sud, a est, e a ovest, il recinto costruito in epoche diverse, poggia sulle fondazioni del temenos del tempio erodiano costruito con grandi blocchi di pietra calcarea bianca.

Bloccata a est la porta dorata (Bab er-Rahmah o Porta della Misericordia) e le tre porte a sud (porta singola, doppia e tripla), restano transitabili quattro porte sul lato nord (Bab al-Asbat, Bab al-Hitta, Bab al-Atm, Bab al-Ghawanima) e sette porte sul lato occidentale (Bab al-Saray, Bab al-Nazir, Bab al-Hadìd, Bab al-Qattanin, Bab al-Mutawadda o Bab al-Mathara, Bab al-Silsila e Bab al-Maghariba), che oggi restano gli unici punti di accesso per i non musulmani.

Già gli archeologi del XIX secolo erano riusciti a rendersi conto che gran parte dell'area oggi occupata dall'al-Haram al-Sharif era un enorme terrapieno artificiale sostenuto da sottostrutture ciclopiche che poggiavano sulla roccia viva della montagna di Gerusalemme.

L'immensa spianata chiusa in un muro di cinta, era stata iniziata dal re Erode all'apice della sua potenza verso il 18 a.C. "Nel diciottesimo anno del suo regno, Erode, concepì un progetto che superava di molto gli altri, quello di costruire un Tempio a Dio, più grande e più alto di quello esistente... Radunato il popolo, espose il progetto ambizioso in questi termini: ‘Ora che mi trovo debitore a Dio della corona che porto, della pace di cui godo, delle ricchezze che possiedo, e, ciò che è molto più importante, dell'amicizia dei Romani che oggi sono i padroni del mondo, mi sforzerò di testimoniargli la mia riconoscenza per tanti benefici, con il portare a termine un'opera così grandiosa’" - scrive lo storico Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche.

Quando Gesù vi venne con i suoi discepoli in pellegrinaggio una cinquantina d'anni dopo, ancora si lavorava all'opera che rivaleggiava con i migliori edifici contemporanei dell'impero romano. Il Vangelo e Giuseppe Flavio raccontano in pagine di drammatica potenza la distruzione del Tempio che sorgeva sul punto più alto, al centro di portici colonnati che correvano lungo il perimetro interno della spianata, sotto i quali gli evangelisti ricordano Gesù discutere con i presenti del Regno di Dio prima della sua cattura e morte.

Prima fu presa e smantellata la fortezza Antonia che sorgeva sull'angolo di nord-ovest della spianata, poi furono bruciati i portici e infine, davanti all'ostinata resistenza dei difensori zeloti, il generale romano diede ordine di appiccare il fuoco alle porte del Cortile delle Donne e del Cortile di Israele davanti all'altare dei sacrifici. Nella furia della battaglia, un soldato romano - racconta lo storico - afferrò un tizzone ardente e fattosi sollevare da un commilitone, lo scagliò dentro il santuario attraverso una finestra... e così contro il volere di Cesare, il Tempio fu distrutto dalle fiamme. Era il 29 agosto del 70 d.C.

L'arco di Tito a Roma ancora testimonia con le sue sculture, il candelabro a sette bracci (la menorah), che fu recuperato come bottino del vincitore, l'altare d'oro dei pani della proposizione e le trombe sacre. Nel trionfo a Roma fu mostrato anche un rotolo della Legge.

Sulle rovine del Tempio, l'imperatore Adriano diede ordine di costruire nel 130 un tempio a Zeus Capitolino, profanazione che provocò la seconda guerra giudaica capeggiata da Simone Bar Kosiba. Il pellegrino di Bordeaux (333 d.C.) scrive che una volta all'anno (probabilmente il 9 di Ab, verso la fine di luglio, data della distruzione del Tempio, secondo il calendario giudaico) i Giudei venivano a venerare e a far cordoglio su una roccia con un incavo. Gli storici cristiani ricordano che al tempo dell'imperatore Giuliano l'Apostata (360-363) ci fu un tentativo degli Ebrei di ricostruire il Tempio, connivente l'imperatore. Fiamme sprigionatesi dal sottosuolo impedirono la ricostruzione.

Ai pellegrini cristiani l'area lasciata deserta veniva mostrata come prova dell’avveramento della profezia di Gesù. All'arrivo degli Arabi, secondo un racconto di Eutichio Patriarca di Alessandria, Sofronio Patriarca di Gerusaleme lasciò la spianata a 'Umar Ibn al-Khattab al quale la Città Santa si era arresa. Il califfo vi fece costruire un rudimentale luogo di preghiera che fu visto dal pellegrino Arculfo verso il 670.

Verso la fine del VII secolo il califfo ommaiade Abd al-Malik fece costruire la Qubbat al-Sakhrah, seguita dalla moschea al-Aqsa che fu terminata dal califfo al-Walid all'inizio dell'VIII secolo. Dopo la conquista del 1099, i crociati trasformarono la moschea della Roccia in chiesa dedicata alla Madre di Dio (Templum Domini) e la moschea al-Aqsa divenne la dimora dei re latini di Gerusalemme e successivamente dei Cavalieri Templari (Palatium Salomonis). "Sappi, o Sultano, che noi siamo in questa città in gran numero... se vedremo inevitabile la morte, noi uccideremo i nostri figli e le nostre donne, e bruceremo le nostre robe... Ciò fatto, ridurremo in rovina il Santuario della Roccia e la Moschea al-Aqsa, e gli altri luoghi santi... "Come racconta lo storico musulmano Ibn al-Athir, fu soltanto davanti a questa minaccia che Saladino decise di cedere e di lasciar partire la popolazione cristiana assediata in Gerusalemme e oramai alla sua mercé dopo la battaglia di Hattin del 1187.

"Al sommo della Cupola della Roccia c'era una gran croce dorata. Quando i Musulmani il venerdì entrarono nella città, alcuni si arrampicarono in cima alla cupola per svellerne la croce. Saliti che furono, tutti levarono a una voce un grido, dalla città e da fuori, Musulmani e Franchi: i Musulmani gettarono un Allah akbar di gioia, i Franchi gridarono di costernazione e di dolore, e ne risultò un grido che fece tremare la terra, tanto fu alto e possente". Un gesto liberatorio atteso da 91 anni, dal giorno in cui i Crociati entrati nella Città Santa nel luglio del 1099 avevano preso possesso del luogo più santo dei Musulmani dopo la Mecca e Medina nella penisola arabica.

Malgrado il rispetto e la venerazione sempre mostrata dai cristiani per il luogo santo carico di ricordi biblici ed evangelici, la decisione di trasformare in chiesa e in abitazione uno dei luoghi più santi dell'Islam fu considerata come la massima offesa arrecata dai Franchi alla religione musulmana. La riconquista e purificazione dell'Aqsa e della Qubbat al-Sakhrah fu la bandiera ideale che tenne viva la resistenza e la lotta contro i Cavalieri Crociati fino alla vittoria di Hattin. Saladino si premurò di far venire da Damasco un'ingente quantità di acqua di rose con la quale purificare il luogo santo musulmano e riaprirlo al culto.

La Qubbat al-Sakhra (cupola della Roccia), chiamata comunemente Moschea di Omar, sorge al centro di una piattaforma sopraelevata raggiungibile tramite 8 rampe di scale distribuite sui quattro lati. La roccia del Moriah della tradizione ebraica, sulla quale Abramo venne da Hebron per sacrificare l'unico figlio Isacco, nella tradizione musulmana divenne il punto di partenza del mi'raj, l'ascensione di Maometto. L'edificio ottagonale con un doppio deambulatorio di colonne alternate ai pilastri d'angolo, è dominato dalla cupola in legno dorato di 20,44 metri di diametro innestata su un alto tamburo che copre la Roccia. Quattro ingressi preceduti da un portico si aprono sui quattro punti cardinali. L'interno è decorato con marmi e splendidi mosaici di epoca ommaiade che ripetono motivi floreali variati con un virtuosismo impressionante e con l'aggiunta di una iscrizione araba in caratteri cufici scritti con tessere d'oro su banda scura che decora la doppia faccia dell'ottagono centrale per una lunghezza totale di 240 metri (Corano, Sura IV,171).

In periodo crociato, quando la moschea fu trasformata in chiesa, l'ottagono centrale fu chiuso con una cancellata in ferro battuto, che vi è restata fino ai nostri giorni quando fu rimossa nel restauro degli anni Sessanta del XX secolo. Oltre all'arredo liturgico all'interno e alla croce dorata all'esterno, i Crociati aggiunsero fuori e dentro iscrizioni in latino, per lo più citazioni bibliche riferite alla santità del luogo. Sul luogo della Roccia ricordavano principalmente la Presentazione di Gesù al Tempio. L'episodio era ricordato da una iscrizione metrica: "Qui fu offerto a Dio il Re dei Re nato da una Vergine per tale motivo il luogo è ornato e giustamente è chiamato santo".

Nei pressi della porta orientale del Templum Domini, la Qubbat es-Silsila (Cupola della Catena), monumento di epoca ommaiade che ne ripete la forma ottagonale, bayt al-mal (casa della moneta), dove veniva conservato il tesoro pubblico, divenne una cappella dedicata a San Giacomo il Minore, primo vescovo di Gerusalemme precipitato all'esterno dall'alto del recinto del Tempio erodiano. All'esterno della porta occidentale fu costruito il probabile battistero, oggi Qubbat al-Mi'raj (Cupola dell'Ascensione di Maometto).

I pellegrini crociati normalmente entravano nell’Haram attraverso la Porta Speciosa o Porta Bella, un portale doppio costituito da Bab al-Silsilah (Porta della Catena) e da Bab al-Sakinah (Porta dell'Arco detta anche Bab al-Salam, Porta della Pace). Vi giungevano da Porta di Davide (Porta di Giaffa attuale) percorrendo la Strada di Davide e la Strada del Tempio che ne era la continuazione orientale. La doppia porta è ancora decorata con colonne e capitelli di epoca crociata.

La Domenica delle Palme veniva aperta la Porta Dorata nel muro orientale del recinto per lasciare entrare la Processione guidata dal Patriarca che vi giungeva dal monte degli Olivi. La porta a doppio ingresso di Bab al-Rahmah (la Porta della Misericordia) o di Bab al-Taubah (Porta della Penitenza), costruita in epoca ommaiade, fu chiusa definitivamente dai musulmani dopo il 1187.

I pellegrini avevano delle difficoltà ad accettare che gli edifici principali della spianata, specialmente il Templum Domini, uno dei santuari più venerati dopo la basilica del Santo Sepolcro, fossero stati costruiti dai musulmani, come testimoniava l'iscrizione in mosaico all'interno della Qubbat al-Sakhrah. La precisazione storica inconfutabile viene giustificata teologicamente con la dedicazione del monumento al Dio Altissimo: "Altri dicono - scrive Giovanni di Würzburg - che lo costruì un sultano del Cairo in onore di Allah Akbar, cioè del Sommo Dio, affinché ogni lingua si adoperasse ad adorarlo devotamente".

All'esterno dell'Haram, lungo il Muro Occidentale della spianata erodiana (Qotel haama’aravi, in ebraico, o Muro del Pianto della tradizione cristiana) pregano gli Ebrei nel piazzale ottenuto nel 1967 con la distruzione in pochi giorni di un intero quartiere popolare.

Qui, lungo i secoli, gli Ebrei sono venuti a ricordare il passato splendore del santuario nazionale e a "piangerne" la rovina. I pochi metri del Muro, chiuso in uno stretto vicoletto prima del 1967, si sono progressivamente estesi a settentrione, attraverso lo scavo di una serie di tunnel sotterranei che hanno raggiunto sia la già nota Porta di Warren, al centro del Muro Occidentale della spianata del tempio erodiano, sia lo Struthion (la piscina che si estende sotto i conventi dell'Ecce Homo e della Flagellazione), superando la scarpata rocciosa sulla quale sorgeva la Fortezza Antonia, attraverso un tunnel di epoca asmonea poi chiuso e bloccato in epoca erodiana. Tentativi di penetrare all'interno della spianata attraverso altri sottopassaggi laterali, oltre che l'apertura dell'uscita del tunnel sulla Via Dolorosa, sono stati la causa di violenze e scontri sanguinosi tra ebrei e musulmani.