La situazione nel nord dell’Iraq 1/ La lettera inviata da papa Francesco al Segretario Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite Ban Ki-moon a riguardo della drammatica situazione nel Nord dell’Iraq (9/8/2014) 2/ La Dichiarazione del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso del 12/8/2014 3/ La lettera inviata ad Asianews dal Patriarca caldeo e presidente della Conferenza episcopale irakena Louis Raphael I Sako il 13/8/2014

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /08 /2014 - 15:23 pm | Permalink | Homepage
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Ripresentiamo on-line 3 documenti ufficiali che, pur con toni differenti, intendono sottolineare la gravità degli eventi che si stanno verificando nel Nord dell’Iraq.

Il Centro culturale Gli scritti (20/8/2014)

1/ La lettera inviata da papa Francesco al Segretario Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite Ban Ki-moon a riguardo della drammatica situazione nel Nord dell’Iraq

Sua Eccellenza
il Sig. Ban Ki-moon
Segretario Generale
Organizzazione delle Nazioni Unite

È con il cuore carico e angosciato che ho seguito i drammatici eventi di questi ultimi giorni nel nord Iraq, dove i cristiani e le altre minoranze religiose sono stati costretti a fuggire dalle loro case e assistere alla distruzione dei loro luoghi di culto e del patrimonio religioso. Commosso dalla loro situazione, ho chiesto a Sua Eminenza il Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che ha servito come Rappresentante dei miei predecessori, Papa San Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, presso il popolo in Iraq, di manifestare la mia vicinanza spirituale e di esprimere la mia preoccupazione, e quella di tutta la Chiesa cattolica, per la sofferenza intollerabile di coloro che desiderano solo vivere in pace, armonia e libertà nella terra dei loro antenati.

Con lo stesso spirito, scrivo a Lei, Signor Segretario Generale, e metto davanti a lei le lacrime, le sofferenze e le grida accorate di disperazione dei Cristiani e di altre minoranze religiose dell’amata terra dell'Iraq. Nel rinnovare il mio appello urgente alla comunità internazionale ad intervenire per porre fine alla tragedia umanitaria in corso, incoraggio tutti gli organi competenti delle Nazioni Unite, in particolare quelli responsabili per la sicurezza, la pace, il diritto umanitario e l'assistenza ai rifugiati, a continuare i loro sforzi in conformità con il Preambolo e gli Articoli pertinenti della Carta delle Nazioni Unite.

Gli attacchi violenti che stanno dilagando lungo il nord dell'Iraq non possono non risvegliare le coscienze di tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad azioni concrete di solidarietà, per proteggere quanti sono colpiti o minacciati dalla violenza e per assicurare l'assistenza necessaria e urgente alle tante persone sfollate, come anche il loro ritorno sicuro alle loro città e alle loro case. Le tragiche esperienze del ventesimo secolo, e la più elementare comprensione della dignità umana, costringe la comunità internazionale, in particolare attraverso le norme ed i meccanismi del diritto internazionale, a fare tutto ciò che le è possibile per fermare e prevenire ulteriori violenze sistematiche contro le minoranze etniche e religiose.

Fiducioso che il mio appello, che unisco a quelli dei Patriarchi Orientali e degli altri leader religiosi, incontrerà una risposta positiva, colgo l'occasione per rinnovare a Vostra Eccellenza i sensi della mia più alta considerazione.

Dal Vaticano, 9 agosto 2014

FRANCISCUS PP.

2/ La Dichiarazione del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso del 12/8/2014

Il mondo intero ha assistito stupefatto a quella che è ormai chiamata “la restaurazione del Califfato”, che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kamal Ataturk, fondatore della Turchia moderna.

La contestazione di questa restaurazione da parte della maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello “Stato Islamico” di commettere e di continuare a commettere atti criminali indicibili.

Questo Pontificio Consiglio, tutti coloro che sono impegnati nel dialogo interreligioso, i seguaci di tutte le religioni, così come tutti gli uomini e le donne di buona volontà, non possono che denunciare e condannare senza ambiguità queste pratiche indegne dell’uomo:

- il massacro di persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa;
- l’esecrabile pratica della decapitazione, della crocifissione e dell’impiccagione di cadaveri nelle piazze pubbliche;
- la scelta imposta ai cristiani e agli Yazidi tra la conversione all’Islam, il pagamento di un tributo (la jizya) o l’esodo;
- l’espulsione forzata di decine di migliaia di persone, compresi bambini, anziani, donne incinte e malati;
- il rapimento di ragazze e di donne appartenenti alle comunità Yazidi e di cristiane come bottino di guerra (Sabaya);
- la barbara imposizione della pratica dell’infibulazione;
- la distruzione dei luoghi di culto e dei mausolei cristiani e musulmani;
- l’occupazione forzata o la profanazione di chiese e monasteri;
- la rimozione di crocifissi e di altri simboli religiosi cristiani e di altre comunità religiose;
- la distruzione di un patrimonio religioso e culturale cristiano di valore inestimabile;
- la violenza abietta allo scopo di terrorizzare la gente per costringerla ad arrendersi o a fuggire.

Nessuna causa può giustificare tale barbarie e certamente non una religione. Si tratta di una gravissima offesa all’umanità e a Dio che è il Creatore, come ha spesso detto papa Francesco.

D’altra parte non possiamo dimenticare che cristiani e musulmani hanno vissuto insieme – sia pure con alti e bassi – nel corso dei secoli, costruendo una cultura della convivialità e una civiltà di cui sono orgogliosi. Del resto, è su questa base che, negli ultimi anni, il dialogo tra cristiani e musulmani ha continuato e si è approfondito.

La situazione drammatica dei cristiani, degli Yazidi e di altre comunità religiose numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà.

Tutti devono unanimemente condannare senza alcuna ambiguità questi crimini e denunciare l’invocazione della religione per giustificarli. Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro seguaci e i loro leader? Quale credibilità potrebbe avere ancora il dialogo interreligioso così pazientemente perseguito negli ultimi anni?

I leader religiosi sono inoltre chiamati ad esercitare la loro influenza sui governanti per la cessazione di questi crimini, la punizione di coloro che li commettono e il ripristino dello stato di diritto in tutto il Paese, assicurando il rientro di chi è stato cacciato. Ricordando la necessità di un’etica nella gestione delle società umane, questi stessi leader religiosi non mancheranno di sottolineare che sostenere, finanziare e armare il terrorismo è moralmente riprovevole.

Detto questo, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso è grato a tutti coloro che hanno già levato la loro voce per denunciare il terrorismo, in particolare chi usa la religione per giustificarlo.

Uniamo dunque le nostre voci a quella di papa Francesco: “Il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace”.

3/ La lettera inviata ad Asianews dal Patriarca caldeo e presidente della Conferenza episcopale irakena Louis Raphael I Sako il 13/8/2014

Il dramma che si consuma con velocità impressionate ai danni delle famiglie di sfollati nel nord dell'Iraq spinge ciascuno di noi ad agire, mentre non si vedono all'orizzonte segnali di una soluzione rapida per il destino di oltre 100mila persone; si tratta di profughi che hanno abbandonato i 13 villaggi della piana di Ninive, per trovare riparo in città e villaggi più a nord e che da almeno sette giorni cercano di sopravvivere alla meglio in parchi e luoghi pubblici. 

Sotto il profilo umanitario e spirituale, le circostante attuali non possono essere considerate accettabili per questo popolo di esiliati; intanto, le sofferenze aumentano e gli sforzi internazionali messi in campo per alleviare il loro dolore sono del tutto insufficienti. 

Ad oggi non è possibile contare sul governo centrale, che è in via di formazione attraverso un procedimento che deve affrontare e superare momenti difficili. Oltretutto, al nuovo esecutivo sarà necessario un certo margine di tempo per riportare la pace e l'ordine nel Paese

Per questo, prima che la dura e straziante realtà si accanisca su queste famiglie, gli Stati Uniti d'America, anche a causa del loro prolungato coinvolgimento nelle vicende irakene, l'Unione europea, e la Lega araba hanno la responsabilità di agire in modo rapido per una soluzione. Essi devono ripulire la piana di Ninive da tutti i miliziani jihadisti e aiutare queste famiglie di sfollati a ritornare ai loro villaggi di origine e ricostruire le proprie vite; essi devono poter mantenere e praticare in modo libero la loro religione, la propria cultura e tradizioni mediante una Campagna internazionale, che sia attiva ed efficace, fino a che il governo centrale e il governo regionale curdo non entrino in carica e siano in grado di occuparsene in prima persona

Mi addolora nel profondo il pensiero che una loro migrazione [all'estero] sia una valida alternativa. E se la situazione non cambia, il mondo dovrà assumersi la responsabilità di un lento genocidio di un'intera e autentica componente della società irakena, della perdita del suo patrimonio e della sua cultura secolare. Di cui lo Stato islamico sta cercando di eliminarne ogni traccia!

Questa lettera è stata redatta con il consenso unanime dei vescovi di Mosul, di tutte le chiese.