La fede e le libertà. 1500 anni di Scozia cattolica. Presentazione della mostra del meeting di Rimini 1998, di Paolo Gulisano

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 28 /09 /2014 - 17:03 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito del Meeting di Rimini la trascrizione dell’intervento tenuto da paolo Gulisano il 25 agosto 1998. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (28/9/2014)

I resti dell'abbazia di Arbroath

Diceva Chesterton che qualche volta vale la pena di avere tanta immaginazione da disimparare: disimparare la menzogna, si potrebbe dire, avendo presente le parole che ha citato Morganti del cardinale Biffi.

Ci siamo resi conto, dedicando parecchi studi alla Scozia, che man mano certi temi uscivano dal dimenticatoio; in particolare l’impulso a organizzare questa mostra, a far conoscere questi avvenimenti che dal Medioevo in poi hanno contraddistinto la storia di questo piccolo paese, è venuta dal grande successo del film Braveheart, un bel film ma che non basta a capire che cosa è successo. Il successo di questo film ha dimostrato che c’è ancora bisogno di eroi, che c’è bisogno di avere tanta immaginazione, come diceva Chesterton, da farci percepire qualche cosa che vada oltre le menzogne, che ci faccia non sognare - la vita non è sogno - ma desiderare, che ci faccia provare la nostalgia di qualche cosa di più bello, di più vero della realtà che ci fanno vivere e che ci fanno credere essere il migliore dei mondi possibili. Se è sempre tempo di eroi, perché non potrebbe essere sempre tempo di santi? Il primo passo all’eroismo può infatti essere il primo passo per la santità, e la santità non è altro che l’esercizio eroico delle virtù cristiane: se abbiamo ammirato con piacere le gesta di un eroe perché non far conoscere le gesta dei santi? Così è nata l’idea di questa mostra, che ripercorre appunto il cammino di questa nazione sita all’estremità dell’Europa - anticamente veniva addirittura identificata con l’estrema Thule - e che ha dato molto all’Europa, non solo guerrieri o cavalieri ma anche monaci, come Duns Scoto o Riccardo di san Vittore.

Questa mostra ripercorre un cammino di fede e di libertà, facendo vedere come l’una sia strettamente legata all’altra: senza la libertà si può far fatica anche ad andare incontro all’uomo. La libertas ecclesiae, la libertà della Chiesa non è altro che permettere alla Chiesa di fare il suo mestiere, che è quello di andare incontro agli uomini e annunciare Cristo. La libertà religiosa è poter annunciare la libertà: quella libertà che gli scozzesi hanno avuto sempre a cuore, tanto da versare il proprio sangue, la libertà di seguire la verità, perché i monaci, gli evangelizzatori di questo paese avevano insegnato chiaramente che è la verità che ci fa liberi. Dalla storia della Scozia emerge con forza questo desiderio di libertà.

Tornando a Braveheart, chi l’ha visto non può non notare che, al di là della finzione cinematografica, la realtà dei fatti storici è ancora più viva e addirittura più commovente. Nel 1320, pochi anni dopo la vittoria di Robert Bruce, che aveva assicurato finalmente l’indipendenza al paese, davanti alla costante minaccia inglese, i nobili di Scozia, capi dei clan, rappresentanti del popolo di Scozia, si radunarono in un’abbazia benedettina, ad Arbroath, e stesero un manifesto che è un inno alla libertà e che non ha niente da invidiare alle moderne dichiarazioni dei diritti degli uomini tanto decantate. Questo manifesto era una lettera che gli scozzesi scrissero al Papa, firmandosi ‘la comunità di Scozia’, quindi non facendo appello a Stato o nazione, ma alla comunità, chiedendo di essere lasciati liberi e di poter vivere in pace in virtù della loro dignità di battezzati. "In verità non è per la gloria, non per le ricchezze, non per gli onori che noi combattiamo, ma per la libertà, per quella sola a cui nessun uomo retto rinuncerebbe anche a prezzo della vita stessa, perciò, reverendo Padre e signore noi supplichiamo la vostra Santità con le nostre più ardenti preghiere e con animo genuflesso che voi vogliate nella vostra sincerità e bontà considerare tutto questo. Dal momento che dalla venuta di Colui del quale siete il vicario in terra non c’è maggior importanza o distinzione tra giudeo e greco, scozzese o inglese, vogliate guardare con gli occhi di un padre le tribolazioni e le angustie portate dagli inglesi su di noi e sulla Chiesa di Dio. Possa piacere di ammonire e di esortare il re degli inglesi affinché sia soddisfatto di ciò che possiede, dal momento che l’Inghilterra un tempo era sufficiente per sette o più sovrani, e lascino gli scozzesi in pace, noi che viviamo in questa povera e piccola Scozia al di là della quale non vi sono terre abitabili e che non desideriamo altro che ciò che è nostro. Intendiamo fare tutto ciò che è necessario perché egli abbia rispetto per la nostra condizione così che possiamo procure la pace per noi stessi e i nostri figli". Questo commovente manifesto si fondava dunque unicamente sul diritto a essere liberi per il fatto di essere cristiani, per la dignità che viene dal battesimo. Il Papa scrisse al re d’Inghilterra dicendo di lasciar stare gli scozzesi, e la Scozia così poté godere di quel periodo di fioritura in pace che diede una civiltà di monasteri, di castelli, di università: un paese così piccolo aveva quattro università, Glasgow, Edimburgo, Saint Andrews e Aberdeen in cui veniva elaborato un pensiero filosofico sorprendente per gente considerata poco più che barbara.

Tutto questo fino a quando non avvenne l’apocalisse della riforma, che non fu motivata da ragioni religiose: Enrico VIII infatti non era mosso da motivi religiosi, non aveva nessun anelito a riformare la Chiesa, a renderla più vicina alla radicalità evangelica originaria, e non era nemmeno mosso dalla questione del divorzio, come banalmente si dice nei manuali. Il motivo che spinse Enrico VIII a spaccare la cristianità era che l’isola britannica, la Scozia e l’Inghilterra, era, dopo la Francia e l’Italia, il paese in Europa con il maggior numero di abbazie cistercensi e benedettine, di monasteri e di case religiose francescane e domenicane. Tutte queste abbazie possedevano beni, terreni, animali, armenti, a disposizione delle comunità locali. Presso i monasteri i giovani potevano studiare, la gente poteva essere curata quando era malata, perché i monaci studiavano medicina ed erano farmacisti. Enrico VIII espropria queste grandi ricchezze alla Chiesa, e le tiene per sé o le distribuisce ai baroni che dovevano essere a lui fedeli. Il vero problema di un sovrano nel Medioevo era infatti che poteva sempre essere fatto fuori da qualche barone o principe ambizioso, quindi Enrico VIII facendo questi doni ai suoi fedeli baroni, che divennero immensamente ricchi, si assicurò il regno; da qui nacque però anche la grande discrepanza sociale che ha caratterizzato la Gran Bretagna fino ai giorni nostri.

La Scozia era rimasta ostinatamente cattolica, e per questo Enrico VIII cercò di realizzare il sogno dei suoi antenati del Plantageneto, e mandò dei predicatori prezzolati a seminare disordine in Scozia, muovendo contemporaneamente guerra al paese. Questo provocò la morte del sovrano e l’esilio della regina bambina Maria Stuarda, che aveva solo cinque anni, in Francia. Se William Wallace era un eroe, dopo la catastrofe della riforma nascono i santi e i martiri; dal sangue dei martiri la Chiesa è fecondata e vivificata. Insieme al martirio ci furono anche numerosi casi di apostasia, perché chi non se la sentiva di affrontare il martirio - e furono la maggioranza - lasciarono la Chiesa e diventarono protestanti o calvinisti: è triste ma necessario dire che i primi ad abbandonare la Chiesa furono i preti, il clero diocesano. Chi salvò la Chiesa furono le persone che adesso chiamiamo laici, il popolo di Scozia, i clan, le comunità, che preservarono nella clandestinità la propria fede e la mantennero ad ogni costo, rimanendo fedeli non solo alla Chiesa ma anche all’ideale di libertà e di indipendenza che progressivamente, con la protestantizzazione e quindi l’anglicizzazione del paese, veniva meno. Questa gente fu capace di dare la vita per una Chiesa dai cui vertici erano lontani: non c’erano più vescovi, ed infatti fino al 1878, poco più di cento anni fa, la Scozia fu affidata a Propaganda fidei, quello che oggi è il Pontificio Istituto per l’evangelizzazione dei popoli. Gli stessi scozzesi che volevano avviarsi al sacerdozio abbandonavano il paese, andavano a Roma a farsi ordinare preti e tornavano clandestinamente in Scozia come missionari.

Questa è quindi la grande epopea di un popolo che rimase fedele alla Chiesa e alla libertà, fino alla distruzione finale della cultura gaelica, avvenuta con l’ultima impresa sfortunata e tragica del popolo di Scozia, impresa legata a Carlo Edoardo Stuart, il principe Charlie. Il popolo infatti si sollevò a combattere per garantire il trono a questo principe cattolico, sovrano legittimo, nato in esilio a Roma e atteso per tanto tempo. Carlo torna per sollevare il proprio popolo, ma verrà sconfitto e definitivamente esiliato.

La Chiesa sopravvive in qualche modo nelle catacombe, non c’era nessun diritto civile per i cattolici, le Messe erano celebrate nei cimiteri, nei boschi, nelle case private, nel timore costante di spie che potessero informare il governo. Un sacerdote sorpreso a dire Messa aveva una prima opportunità che era l’espulsione, sorpreso una seconda volta veniva ucciso. I cattolici non avevano diritto alla proprietà, non avevano il diritto di frequentare le scuole, quindi dovevano rimanere una sorta di strato sociale servile; tutto questo fino al 1829, quando una grande figura irlandese - ancora una volta affiorano i profondi legami tra Scozia e Irlanda - Daniel O’Connell, grande avvocato e difensore dei diritti civili, riuscì nel 1829 a fare abrogare le penal laws, le leggi penali che obbligavano i cattolici a questo stato servile.

Dopo la grande e terrificante carestia di metà secolo gli irlandesi vennero in Scozia come emigrati, come forza di lavoro per la nascente rivoluzione industriale. Nel frattempo il nuovo potere si era sbarazzato degli antichi abitanti ed erano venute le cleanings il primo esempio di pulizia etnica della storia. Ma gli scozzesi delle Highlands, riottosi e ancora, nonostante tutto, ostinati a voler rimanere attaccati alla propria fede, vennero imbarcati a forza sulle navi e deportati in Canada, in Australia, nelle zone più ostili degli Stati Uniti, il Sud, le paludi della Georgia, il Sud e Nord Carolina. Migliaia e migliaia, decine di migliaia di highlanders vennero cacciati dalle proprie terre che vennero date ai nuovi padroni: il sistema unitario dei clan fu smantellato e le terre confiscate.

La fede è sopravvissuta, nonostante tutto, e la mostra si chiude proprio con quello che è stato forse uno dei momenti più commoventi di apoteosi di questo popolo, la visita di Giovanni Paolo II nel 1982, di questo Papa che ha ben presente cosa significhi lottare per la fede e lottare per la libertà senza cadere nella tentazione del nazionalismo.