La Fides et Ratio interpella anche i più semplici, non solo gli intellettuali, di J. Ratzinger

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /10 /2014 - 12:53 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 16/10/1998 un testo scritto dall’allora cardinale J. Ratzinger. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. anche L'Enciclica Fides et ratio ed il rapporto fra fede e ragione, di Joseph Ratzinger.

Il Centro culturale Gli scritti (2/11/2014)

Il tema dell'enciclica Fides et ratio circa i rapporti tra fede e ragione potrebbe sembrare a prima vista eminentemente intellettuale, argomento riservato agli addetti ai lavori: teologi, filosofi, studiosi. Certamente è vero che i destinatari immediati dell'enciclica sono, oltre ai Vescovi della Chiesa cattolica, i teologi, i filosofi, gli uomini di cultura.

Ma guardando le cose in profondità, l'Enciclica, proponendo questo tema, interpella tutti gli uomini, in quanto in ogni uomo alberga il desiderio di conoscere la verità e trovare risposta agli interrogativi fondamentali dell'esistenza: chi sono? Da dove vengo e verso dove vado? Qual è il senso della presenza del male, della sofferenza, della morte? Che cosa ci sarà dopo questa vita? (cfr Prologo, n. 1). Nella frase iniziale dell'enciclica risiede già il perché del Documento: La Fede e la Ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. Il problema centrale dell'enciclica Fides et ratio è infatti la questione della verità, che non è tuttavia una delle tante e molteplici questioni che l'uomo deve affrontare, ma è la questione fondamentale, ineliminabile, che attraversa tutti i tempi e le stagioni della vita e della storia dell'umanità.

La categoria fondamentale della Rivelazione cristiana è la verità, insieme con la carità. L'universalità del cristianesimo risulta dalla sua pretesa di essere la verità e scompare se scompare la convinzione che la fede è la verità. Ma la verità vale per tutti, e quindi il cristianesimo vale per tutti perché vero.

Su questa base nasce il motivo e il dovere dell'attività missionaria della Chiesa: se la ragione umana desidera conoscere la verità, se l'uomo è creato per la verità, l'annuncio cristiano fa appello a questa apertura della ragione, per entrare nel cuore dell'uomo. Non ci può essere quindi nessuna contrapposizione, né separazione né estraneità tra la fede cristiana e la ragione umana, perché entrambe, pur nella loro distinzione, sono unite dalla verità, entrambe svolgono un loro ruolo al servizio della verità, entrambe trovano il loro fondamento originario nella verità. In questo mio intervento mi limiterò a presentare brevemente il contesto, l'originalità e l'attualità dell'enciclica, senza voler entrare nell'analisi delle sue parti, anche perché ciò oltrepasserebbe le possibilità concrete di questo ambito di presentazione.

Il contesto

Dopo 120 anni dall'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879), Fides et ratio ripropone il tema del rapporto tra fede e ragione, tra teologia e filosofia. Perché la fede dovrebbe occuparsi della filosofia e perché la ragione non può fare a meno dell'apporto della fede? Gli interrogativi non rimangono senza risposta.

E la risposta non è semplicemente la ripetizione di affermazioni già acquisite nel passato dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, anche se ovviamente il pensiero dell'enciclica è in piena continuità con il patrimonio già posseduto. La risposta si colloca nella situazione culturale attuale, che, letta nella sua radice profonda, si caratterizza per due fattori: la separazione portata all'estremo tra la fede e la ragione; e l'eliminazione della questione della verità - assoluta e incondizionata - dalla ricerca culturale e dal sapere razionale dell'uomo.

Il clima culturale e filosofico generale nega oggi la capacità della ragione umana di conoscere la verità e riduce la razionalità ad essere semplicemente strumentale, utilitaristica, funzionale, calcolatrice o sociologica. In questo modo la filosofia perde la sua dimensione metafisica e il modello delle scienze umane ed empiriche diventa il parametro e il criterio della razionalità.

Le conseguenze sono: d'una parte la ragione scientifica non costituisce più un avversario per la fede, perché essa rinuncia ad interessarsi alle verità ultime e definitive dell'esistenza, limitando il suo orizzonte alle conoscenze parziali e sperimentabili. In tale modo però si espelle dall'ambito razionale tutto ciò che non rientra nelle capacità di controllo della ragione scientifica, e quindi si apre oggettivamente la strada ad una nuova forma di fideismo.

Se l'unico tipo di "ragione" è quello della ragione scientifica, la fede viene espropriata di qualunque forma di razionalità e intelligibilità, ed è destinata a fuggire nel simbolismo non definibile o nel sentimento irrazionale.

D'altra parte la rinuncia della ragione alla rivendicazione della conoscenza della verità è anch'essa nel suo primo passo una opzione di tipo filosofico e pone l'esigenza di un intrinseco rapporto tra teologia e filosofia. Il ritirarsi da parte della ragione dalla questione della verità significa cedere ad una certa cultura filosofica, che esclude la metafisica a causa dell'assolutizzazione del paradigma della ragione scientifica o storica. La conseguenza di questa capitolazione è soltanto apparentemente innocua per la fede, che è sospinta dentro un cerchio chiuso in se stesso, relegato nel soggettivismo, nella privatizzazione intimistica, non più in grado di comunicarsi agli altri né di farsi valere sul piano culturale e razionale.

D'altra parte, se la ragione si trova in una situazione debole, ne deriva una visione culturale dell'uomo e del mondo di tipo relativistico e pragmatistico, dove "tutto è ridotto a opinione" e ci si accontenta soltanto di "verità parziali e provvisorie" (n. 5).

L'originalità

Di fronte a questa situazione culturale, il messaggio dell'enciclica reagisce, riproponendo con forza e convinzione la capacità della ragione di conoscere Dio e di raggiungere, conformemente alla natura limitata dell'uomo, le verità fondamentali dell'esistenza: la spiritualità e immortalità dell'anima; la capacità di fare il bene e di seguire la legge morale naturale, la possibilità di formulare giudizi veri, l'affermazione della libertà dell'uomo... Nello stesso tempo essa riafferma che tale capacità metafisica della ragione è un dato necessario della fede al punto che una concezione di fede che pretendesse di svilupparsi in modo estraneo o alternativo alla ragione, sarebbe deficiente anche come fede.

Inoltre, il Papa, inserendosi pienamente nel dialogo tra gli uomini di cultura del nostro tempo, pone una domanda seria che non potrà non sollecitare una riflessione e una discussione altrettanto serie: perché la ragione vuole impedire a se stessa di tendere verso la verità, mentre per sua stessa natura essa è orientata al suo raggiungimento?

A questo punto però diventa evidente che per sostenere la capacità della ragione di conoscere la verità di Dio, di se stessi e del mondo, è necessaria una filosofia che sia in grado di comprendere concettualmente la dimensione metafisica della realtà. Occorre in altri termini una filosofia aperta agli interrogativi fondamentali dell'esistenza, all'integrità e alla totalità del reale, senza pregiudiziali chiusure e senza precomprensioni riduttive.

La fede cristiana è quindi per un verso obbligata ad opporsi a quelle filosofie o teorie che escludono la attitudine dell'uomo a conoscere la verità metafisica delle cose (positivismo, materialismo, scientismo, storicismo, problematicismo, relativismo, nichilismo), ma per altro verso, difendendo la possibilità di una riflessione metafisica e razionale, che conserva la sua autonomia nel metodo della ricerca e nella sua indole propria, la fede difende la dignità dell'uomo e promuove la stessa filosofia, incitandola ad occuparsi e a preoccuparsi delle questioni del senso ultimo e profondo dell'essere, dell'uomo, del mondo.

Escludere infatti l'uomo dall'accesso alla verità è la radice di ogni alienazione. In questo senso Fides et ratio si ricollega alla prima Enciclica, quella programmatica, di Giovanni Paolo II, Redemptor hominis: la Chiesa non può essere indifferente a tutto ciò che fa battere il cuore dell'uomo, cioè a tutte le sue inquietudini, a tutte le sue imprese e a tutte le sue speranze: "la ricerca della verità, l'insaziabile bisogno del bene, la fame della libertà, la nostalgia del bello, la voce della coscienza" (n. 18).

Obiettivo di Fides et ratio è ridare precisamente fiducia all'uomo contemporaneo nella possibilità di trovare sicura risposta alle sue inquietudini ed esigenze essenziali, e invita la coscienza umana a confrontarsi con il problema del fondamento dell'esistere e del vivere e a riconoscere la verità di Dio come principio della verità della persona e del mondo intero.

Ciò non vuol dire che la Chiesa intende imporre una determinata scuola filosofica o canonizzare un determinato sistema filosofico o metafisico. L'Enciclica su questo punto è chiarissima. Significa però che la dottrina cristiana esige l'affermazione di una recta ratio (ragione filosofica retta), che pur non identificandosi con nessun movimento filosofico particolare, esprime il nucleo essenziale e i capisaldi irrinunciabili della verità razionale dell'essere, del conoscere, dell'agire morale dell'uomo, che precedono, per così dire, la pluralità delle diverse filosofie e culture, e costituiscono il criterio di giudizio sui diversi enunciati dei sistemi filosofici.

Si comprende quindi l'importanza di questi richiami dell'enciclica per i teologi e i filosofi (credenti e non). Profondamente originale è l'indicazione secondo cui la rivelazione cristiana stessa è il punto di aggancio e di confronto tra la filosofia e la fede. Nel delineare le esigenze e i compiti attuali (cap. VII), il Papa indica la "via sapienziale" come strada maestra per raggiungere le risposte definitive al problema del senso dell'esistenza, ricordando ai teologi che senza una sana filosofia la teologia è destinata a soccombere dietro le forme di pensiero della cultura post-moderna che hanno rinunciato a pensare la questione della verità; e invitando i filosofi a recuperare, sulla scia di una tradizione perennemente valida, le dimensioni di saggezza e di verità, anche metafisica, del pensiero filosofico.

L'attualità

L'Enciclica risponde finalmente alla sfida culturale di importanza capitale che viene sollevata dall'attualità del nostro tempo: si tratta del senso della libertà. "Verità e libertà, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono" (n. 90). È questa, se si vuole, l'istanza ultima che proviene dall'enciclica Fides et ratio. Nel nostro tempo è assai maturata l'idea di libertà, al punto che essa è concepita come autonomia assoluta e non si vede come sia possibile connetterla con l'idea di verità assoluta e incondizionata.

La principale conseguenza è che l'opinione diffusa ritiene possibile e legittimo cercare soltanto un terreno o una piattaforma comune dove individuare valori etici o genericamente umanitari attorno ai quali costruire un consenso. Il consenso possibile diventa il principio e il fine della riflessione culturale, filosofica e del dialogo. Non quindi l'assenso o la ricerca della verità, ma il consenso pubblico che realisticamente si può conseguire e che rispetta la libertà di tutti e di ognuno, costituisce l'obiettivo della riflessione e dell'impegno culturale e sociale.

Fides et ratio supera questa depressione e ristrettezza della ragione e della libertà, e pone invece un inscindibile legame tra verità e libertà. La libertà non è semplice capacità di compiere scelte indifferenti o interscambiabili, ma possiede un orientamento verso la pienezza, la vita compiuta che la persona deve conquistare con l'esercizio della sua libertà, ma nel modo giusto (Recta Ratio). La libertà trova il suo senso, e quindi la sua verità, nell'autodirigersi verso il suo proprio fine, in conformità con la natura della persona umana. Quindi la libertà ha un vincolo inscindibile con la verità dell'uomo, creato ad immagine di Dio, e consiste soprattutto nell'amare Dio e il prossimo.

C'è quindi correlazione tra amore e verità. L'amore a Dio e al prossimo può avere consistenza soltanto quando è nel profondo amore alla verità di Dio e del prossimo. Anzi il vero amore all'uomo è voler donargli ciò di cui l'uomo ha più bisogno: conoscenza e verità. Ecco perché l'Enciclica Fides et ratio è attuale, di una attualità profonda, e non semplicemente epidermica o secondo la moda corrente: è attuale perché mostra che la fede come accoglienza della verità di Dio che si rivela in Gesù Cristo non è una minaccia né per la ragione né per la libertà.

La fede protegge la ragione, perché ha bisogno di un uomo che interroghi e indaghi. Non è il domandare che è di ostacolo alla fede, bensì quell'atteggiamento di chiusura che non vuol domandare e considera la verità come qualcosa di irraggiungibile o che non è degno di aspirazione. La fede non distrugge la ragione, la custodisce e così facendo resta fedele a se stessa.

Allo stesso modo la fede protegge la libertà, perché una volta tolta la verità all'uomo, egli è condotto progressivamente o ad una distruttiva volontà di potenza sopraffattrice della libertà altrui o alla disperazione della solitudine (n. 90). La libertà - è il messaggio di Giovanni Paolo II - può essere raggiunta e garantita soltanto se il cammino verso la verità rimarrà aperto e accessibile sempre, a tutti e in ogni luogo.

© L'OSSERVATORE ROMANO