Maschile/femminile secondo le Scritture, di Anne-Marie Pelletier

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /12 /2014 - 15:15 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dalla rivista Vita e Pensiero n. 5 settembre/ottobre 2014, pp. 99-106, un articolo di Anne-Marie Pelletier. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (21/12/2014)

Anne-Marie Pelletier, studiosa di ermeneutica e di esegesi biblica e vincitrice del premio Ratzinger 2014, ha insegnato nell'Università di Parigi X e all'Institut Catholique; attualmente insegna Sacra Scrittura ed Ermeneutica biblica allo Studium della Facoltà Notre Dame del Seminario di Parigi. È autrice, fra l'altro, di La Bibbia e l'Occidente (1999), Il Cristianesimo e le donne (2001), Creati maschio e femmina. La differenza, luogo dell'amore (2010).

È noto che l'approfondimento contemporaneo della riflessione ermeneutica ci ha permesso di ritrovare alcune verità essenziali riguardo alla lettura della Bibbia che una pratica unilaterale dell'esegesi scientifica aveva finito per oscurare. In particolare, ne risulta evidente che la nostra relazione con le Scritture non si esaurisce nel fatto che le leggiamo. Esse stesse, simmetricamente, hanno come finalità quella di "leggere" il loro lettore, di scoprirlo a se stesso, di immetterlo in un moto di conversione, quando egli accetta di porsi sotto la loro autorità.

Nello stesso tempo, ci diventa manifesto che la potenza di senso del testo è direttamente proporzionale agli interrogativi che gli rivolge il suo lettore. Per rilasciare la Rivelazione di cui è portatore, il testo ha bisogno di essere aperto da un lettore solido. Intendiamo con questo un lettore che esiste come soggetto personale, radicato nel concreto della sua condizione e del suo tempo. E intendiamo anche un lettore che ha abbastanza fiducia da credere che le Scritture non vengano rovinate dagli interrogativi e dalle obiezioni che le nostre culture contemporanee in continua mutazione possono loro rivolgere.

Nelle nostre società occidentali, il campo dell'antropologia è oggi interessato da rilevanti processi di rimessa in discussione e revisione, che sembrano sovvertire senza appello le rappresentazioni bibliche. I dibattiti infuriano soprattutto intorno all'identità sessuata della condizione umana. La deriva generalizzata dei punti di riferimento a cui assistiamo scuote in modo del tutto particolare tale realtà. Sarebbe deplorevole limitarsi alla preoccupazione di fronte ai pericoli che la situazione comporta. Interrogando l'identità dei sessi, il nostro tempo permette di riportare la luce su una zona mantenuta accuratamente in ombra in molte società. Permette di identificare meglio un essenzialismo che rinchiude uomini e donne in una dissimmetria, giocando evidentemente a detrimento di queste ultime. E prendendo meglio le misure della violenza multiforme e immemoriale che pesa sulle donne, il nostro tempo apre la prospettiva di un progresso verso una maggiore giustizia.

Ma, simultaneamente, ben presto appare che le risposte che si pretende di dare ai disordini denunciati fanno levare nuovi e temibili pericoli. In particolare, non c'è forse una nuova forma di violenza, subdola ed estrema, nel confondere, persino nel pretendere di cancellare, la differenza uomo-donna? Per rimediare alle ferite che colpiscono la relazione tra i sessi, siamo forse obbligati a dichiarare che la differenza è solo il prodotto artificioso delle culture, che essa può e deve dunque essere superata? Quali risorse attivare per superare lo scetticismo antropologico che impedisce di credere ancora all'incontro felice e duraturo tra un uomo e una donna?

Ecco altrettante domande da porre oggi nel faccia a faccia con il testo biblico. Non si tratta di cercare semplicemente in esso protezioni contro il mare grosso o fuochi di sbarramento contro evoluzioni che riteniamo pericolose. Un obiettivo più giusto sarebbe, ci pare, trasformare gli interrogativi del momento in trampolino per acquisire verità che non abbiamo ancora ascoltato nelle Scritture bibliche. In altre parole, occorre accettare di credere che le scosse attuali abbiano potenzialmente il potere di far sorgere rilievi nuovi in seno alla rivelazione biblica. In modo esemplare, a nostro parere, la questione uomo-donna risuona nella Bibbia con una ricchezza di senso che non abbiamo ancora valutato pienamente, ma che può appunto svilupparsi nel contesto presente. Le brevi riflessioni seguenti vorrebbero dar corpo a tale convinzione.

Pensare la differenza

La questione è evidentemente di piena attualità, dato che in diversi modi le nostre culture tendono a cancellare le frontiere, a sostituirle con continuità tra mondo della materia e mondo del vivente, e poi, in quest'ultimo, tra le diverse modalità del vivente. Così accade con le polemiche che oggi contestano l'idea che vi sarebbe una rottura essenziale tra condizione umana e condizione animale. Ma accade anche per le prospettive aperte dalla biochimica o da una robotica dalle ambizioni prometeiche. Non vi è dubbio che la pregnanza dello spirito scientifico nella nostra post-modernità sia un fattore di tali evoluzioni, se è vero che quanto caratterizza la scienza è proprio trasformare ciò che descrive oltrepassando il registro del singolare, e quindi cancellando le differenze. Ma tale confusione delle frontiere è evidentemente ipso facto confusione e perdita delle identità, ivi compresa la divisione che articola l'umanità nel faccia a faccia del maschile e del femminile.

Indiscutibilmente, le Scritture bibliche contrastano tale logica. Ma ne abbiamo davvero potuto prendere coscienza prima che la psicoanalisi mettesse in guardia sul ruolo fondatore della separazione o che, all'inverso, il rifiuto diffuso delle differenze ci costringesse a interrogare con più attenzione il testo? Oggi abbiamo modo di vedere meglio che creazione e separazione sono eminentemente solidali, come mostrava già dagli anni Settanta il grande biblista francese Paul Beauchamp nel commentare il primo capitolo della Genesi.

A partire da qui si chiarisce tutta una logica biblica profondamente diffidente nei confronti di ciò che dà risalto alla mescolanza, all'ibrido, che tende alla confusione e all'indistinzione. La convinzione, che si ritrova al principio di tanti aspetti della legislazione biblica, è che la mescolanza sia mortifera. Cancellare le frontiere riporta al caos originario, disfa la creazione. Verità rilevante che deve servire da bussola nei dibattiti odierni. Serve una differenza, uno scarto, perché possa sorgere la vita, cioè la relazione.

Ma, nello stesso tempo, il testo biblico prende atto del fatto che il mondo di relazioni che suscitano i gesti creatori di separazione è un mondo votato a vivere la prova della relazione. Incontrare, infatti, positivamente e felicemente l'altro è necessariamente una sfida. Con estrema finezza il testo della Genesi orchestra questa realtà, facendo sfilare, a partire dal racconto della trasgressione, i conflitti o le perversioni che sorgono tra uomo e donna, tra fratelli e, sul lungo periodo, tra comunità umane.

Per limitarsi alla relazione uomo-donna, si può rilevare una sottigliezza particolarmente eloquente nel nostro tempo, nel quale circola l'idea che uomini o donne si diventa solo attraverso l'imposizione di stereotipi culturali o addirittura, scherzano alcuni, per una scelta che ormai potrebbe essere questione personale di ognuno. Il testo biblico non dà sostegno né all'una né all'altra di queste prospettive, ma comporta comunque un'apertura molto suggestiva.

Ricordiamo infatti che il primo capitolo della Genesi rievoca solennemente la creazione dell'umanità "a immagine di Dio". Ma lo fa in un versetto (Gen 1,27) in cui la lettera del testo non comporta ancora le parole "uomo" e "donna". Vi si fa solo questione di "maschio" e di "femmina".

Così, occorre che la lettura prosegua fino al secondo racconto di creazione e alla misteriosa operazione chirurgica che, nel linguaggio del mito, farà sorgere un "uomo" e una "donna" esplicitamente designati in quanto tali (Gen 2,22). Senza tirare il testo biblico dalla parte di teorie che gli sono estranee, converremo che non è privo di interesse vedere la Scrittura prendere le distanze da un essenzialismo rigido, per dar da pensare la realtà di una elaborazione delle identità. Così, appare chiaro che la differenza tra i sessi posta nel primo racconto di creazione è solo una condizione preliminare, in attesa del contenuto di umanità che renderà singolari uomo e donna tra i viventi.

Allo stesso modo dovremmo rilevare l'incompletezza che caratterizza il primo faccia a faccia della coppia umana messo in scena nel secondo capitolo della Genesi: la parola che spunta in questo istante non riesce ancora a innestare la reciprocità di un vero dialogo. Proprio per questo, l'incontro dell'uomo e della donna secondo la Genesi ha potuto venire caratterizzato come un «progetto etico» (A. Wénin), che Dio affida loro, perché insieme siano «immagine» e «somiglianza» di Colui che li crea.

Simultaneamente il racconto della Genesi verifica quella verità che ci è divenuta familiare: cioè che si è veramente due solo in presenza di un terzo. Nel nostro caso, bisogna che lo scenario di creazione mantenga ed espliciti qui il riferimento al Creatore, che sta tra uomo e donna, affinché il loro incontro entri nella sua giustezza.

Bisogna sottolineare che tutto ciò è detto senza dogmatismo, lungi dalle rigidità di un'argomentazione speculativa. La messa in opera di alcuni grandi principi fondatori di un'antropologia biblica si compie attraverso un discorso narrativo elastico, colorito, che mantiene un margine di enigma e di non detto. Se davvero l'umanità è a immagine del Deus absconditus, come potrebbe la sua identità non incorporare una parte incomprimibile di mistero?

Pensare la storia al maschile e al femminile

Posta in risonanza con i dibattiti sociali contemporanei, la lettura della Bibbia fornisce nuove sorprese. La narrazione della storia individuale e collettiva delle generazioni d'Israele è naturalmente piena della presenza di donne, di cui innegabilmente si parla nel contesto di una cultura patriarcale, che nega loro pressoché ogni diritto. Il che spiega perché le loro tracce nella memoria biblica siano ben più pallide e labili di quelle degli uomini.

Molte di loro semplicemente non hanno nome e sono identificate soltanto in relazione con un padre, un marito, un figlio o un concubino... Certo, alcune compaiono in episodi tanto smaglianti da essersi fissati nella memoria ed essere ancora ben vivi nell'immaginario dell'Occidente. Ma ecco che sotto la luce radente delle nostre letture diventate attente alla questione delle donne, appare chiaro che le figure di Giuditta, di Susanna, di Rut o della Samaritana sono ben lungi dall'esaurire l'inventario.

Lo sguardo scopre tutta una gamma di destini femminili molto più variegati. All'ombra delle grandi figure maschili che dominano la storia patriarcale o regale, ma anche il mondo profetico, spuntano ruoli femminili che si rivelano determinanti, anche se il loro riconoscimento dipende talvolta dalla lettura di un palinsesto. Così, è evidente che le promesse ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe finiscono per realizzarsi solo perché delle donne - le matriarche che la tradizione ebraica volentieri onora - accolgono nel loro seno la potenza di vita divina che ha la meglio sulla sterilità umana.

In modo analogo, Mosè deve certo la sua esistenza al progetto divino dell'Alleanza. Ma questo si realizza solo grazie a una congiura di donne - che si tratti delle levatrici d'Israele, della madre e della sorella di Mosè, della figlia del faraone - che si alleano contro i pensieri omicidi del faraone e uniscono i loro sforzi perché viva l'Eletto di cui Dio farà il liberatore e il pastore del suo popolo.

Indotto a interrogare la relazione uomini-donne, il lettore scoprirà nelle Scritture ancora altre forme di presenze femminili dissimulate nell'ombra dei ruoli maschili. È così che l'esegesi contemporanea mette in luce un profetismo biblico ben più ampio di quello cui siamo abituati a pensare prendendo in considerazione solo i profeti scritturali. Questa esegesi restituisce così una sorprendente cornice che mette in risalto, alle soglie di quel che si è convenuto designare come "profezia prima", la figura di Maria [la profetessa sorella di Aronne, NdT],mentre al suo termine è posta quella di Culda, la profetessa che il re Giosia consulta nel momento della scoperta del rotolo del Tempio.

Appare chiaro, di conseguenza, che la storia della rivelazione biblica va decisamente oltre la narrazione del suo versante pubblico, occupato essenzialmente da uomini. Certo, i redattori dei testi hanno rivolto la luce essenzialmente su questi ultimi. Ma per chi sa leggere senza disprezzare le zone meno illuminate, diventa evidente che sono delle donne a tessere in pari grado la storia d'Israele come Dio la guida.

Fare tale constatazione non significa dare sostegno a una percezione patriarcale che mantiene le donne all'ombra degli uomini, giustificando il fatto che esse siano tenute lontane dai luoghi d'iniziativa e di decisione. Potrebbe significare, al contrario, rendere più sensibile la realtà della nostra storia umana, facendo riconoscere che essa non si esaurisce in quel che si osserva alla superficie, ma si genera e si realizza in modo ancora più decisivo in una profondità con la quale le donne sono in affinità e di cui diventano in tal modo il segno e il richiamo ancor più prezioso in società dove l'iniziativa e l'efficacia sono spesso attribuite esclusivamente agli uomini.

Il Cantico dei Cantici rivisitato

Un'ultima segnalazione alla ricerca di punti di riferimento riguarda la storia dell'interpretazione di quel libretto sorprendente che è il Cantico dei cantici. Sappiamo quanti interrogativi ha suscitato la presenza nella Bibbia di questo canto a due voci, dove un uomo e una donna si cercano, s'incontrano, si celebrano con una libertà e una ricchezza di espressione sensuale che fiorisce in poesia pura. È noto anche che la tradizione cristiana, dopo quella d'Israele, vi abbia trovato una risorsa inesauribile per meditare l'Alleanza e in particolare il mistero della Chiesa chiamata a entrare in dialogo d'amore con il Cristo da cui è generata.

Sul libro poggia una tradizione di mistica nuziale che tende a evocare, per quanto è umanamente possibile, l'esperienza intima dell'amore di Dio. La lettura allegorica che sta alla base di tale interpretazione ha dato luogo a una letteratura spirituale grandiosa la cui fede continua a nutrirsi al contatto di Origene, di Bernardo, di Giovanni della Croce, di Teresa d'Avila e di tanti altri. Senza rinnegare nulla della grandezza di tali letture, dobbiamo però rammaricarci che esse abbandonino troppo presto l'esperienza antropologica che serve da riferimento alle realtà spirituali che esse orchestrano. Come se tale esperienza d'umanità non fosse che un gradino da superare velocemente verso una prospettiva più alta.

Di nuovo, la nostra modernità fornisce in proposito una fortunata novità. Se è vero che dopo l'età classica alcune letture hanno esaltato polemicamente una lettura letterale che rovina il senso spirituale della tradizione, è non meno vero che è ormai possibile leggere pienamente il senso letterale antropologico integrandolo al messaggio spirituale del libro: appare allora che il testo più eminentemente "mistico" è anche quello più risolutamente umano, e viceversa.

Evidenza che restituisce alla relazione uomo-donna un valore inestimabile, poiché la fa riconoscere come la più adeguata alla rivelazione di quel che Dio vuole e fa nella sua relazione con l'umanità. E nello stesso tempo diventa chiaro che tale relazione è da subito implicata dalla ri-creazione che il Vangelo annuncia. Sono l'uomo e la donna, che s'incontrano nella potenza di vita del Risorto, a diventare, al centro dell'intera creazione, testimoni dell'amore in cui Dio si rivela.

La nota di pienezza giubilante di cui vibra quel libretto, accompagnando la parola degli amanti con canti d'uccelli, corse di gazzelle, effluvi inebrianti, orienta il lettore verso la realtà di un compimento. Così queste parole, che mettono in scena come mai altre la relazione fra maschile e femminile, si stendono, fra Genesi e Apocalisse, come promessa misteriosa del fatto che la bontà dell'origine sarà la verità del termine.

Questo percorso sicuramente troppo rapido e allusivo avrà forse permesso di chiarire un po' una realtà rilevante del Nuovo Testamento: la salvezza che esso annuncia è intrinsecamente implicata dalla differenza tra i sessi. E questo non per confermare la dissimmetria che discorsi teologici o esegetici poco disinteressati hanno argomentato nel corso dei secoli cristiani. E nemmeno per dichiarare che la differenza uomo-donna sarebbe semplicemente soppressa nel Cristo, come suggerisce un'interpretazione un po' frettolosa e disinvolta di Gal 3,28 («non c'è maschio e femmina»).

Qui siamo piuttosto di fronte a una trasfigurazione di tale relazione. Certo Gesù viene al mondo in una carne maschile; nessuno può essere umano sfuggendo alla legge che vuole che lo sia come uomo o come donna. Ma, così facendo, non viene né a rivelare Dio come un maschio, né a porre la parte maschile dell'umanità in una posizione di autorità sovrastante, né a mettere fine a una differenza antropologica che fonda la nostra umanità.

Fondamentalmente, viene a suscitare, come suo interlocutore faccia a faccia, quell'umanità ricostituita che è la Chiesa formata di uomini e di donne, alla quale il Vangelo in modo sorprendente dà per riferimento e modello una serie di figure di donne. Come Marta e Maria, come la vedova che mette tutto quanto possiede nel tesoro del Tempio, come la donna del racconto giovanneo che unge i piedi di Gesù prima della Passione, o ancora come le donne che restano sole ai piedi della Croce quando tutti se ne sono andati, e che saranno le prime ad accorrere al sepolcro. Come ancora Maria Maddalena, chiamata a essere apostolo degli apostoli. Come infine - segno più grandioso di ogni altro - la Vergine Maria, in cui si rivela la sconvolgente cooperazione fra Dio e l'umanità al principio dell'opera di salvezza. Altrettante realtà da scrutare e da accogliere per trovare le vie di una giustezza - e anche di una giustizia - della relazione fra i sessi, che rimane un compito attuale della Chiesa.

(Traduzione di Mario Porro)