Nel 2014 almeno 17 mila ebrei hanno lasciato l’Europa per Israele. «È ora di farsi qualche domanda», di Leone Grotti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /04 /2015 - 16:05 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Leone Grotti pubblicato il 5/2/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (5/4/2015)

«Si sa che le percezioni tendono sempre a esagerare i numeri e la realtà, però non sono mai infondate». Lo sa bene Sergio Della Pergola, docente dell’università ebraica di Gerusalemme e tra i più grandi studiosi mondiali di demografia dell’ebraismo. A tempi.it il professore che vive a Gerusalemme cita qualche dato da una delle sue ultime indagini: nel 2012, il 68 per cento degli ebrei in Italia, Germania e Regno Unito percepiva un incremento di atteggiamenti antisemiti nella società. Erano d’accordo anche l’89 per cento degli ebrei francesi. Il 52 per cento degli ebrei francesi, e il 22 per cento di quelli italiani, inoltre, pensava anche di emigrare.
Nel 2014, 6.500 ebrei hanno lasciato la Francia per Israele, al pari di 323 che hanno lasciato l’Italia. E ancora non c’era stata la strage del 9 gennaio all’Hyper Cacher, dove il terrorista Amedy Coulibaly ha ucciso quattro ebrei, e ancora non c’era stato l’episodio di Nizza, dove Moussa Coulibaly (non imparentato con il primo) ha accoltellato tre soldati che proteggevano un centro ebraico. Non solo, secondo i dati diffusi dall’ente addetto all’immigrazione in Israele, nei prossimi dieci anni 120 mila ebrei francesi si trasferiranno in Israele.

Professore Della Pergola, che problema ha l’Europa con gli ebrei?
Se gli ebrei, che hanno contribuito a costruire la cultura europea, non si trovano più bene in Europa, allora significa che c’è qualcosa che non funziona. Questo è un grave monito e credo che l’Europa dovrebbe farsi qualche domanda.

Qual è l’entità del fenomeno dell’emigrazione dall’Europa degli ebrei?
Nel 2014, 25 mila ebrei da tutto il mondo si sono trasferiti in Israele. Di questi, due terzi provengono dall’Europa. Al primo posto c’è la Francia, con 6.500 partenze, record assoluto nella storia della République. Al secondo, invece, c’è un paese dell’Europa orientale: l’Ucraina, con cinquemila defezioni. Ma questi numeri sono parziali.

Cioè?
Questi sono i dati ufficiali israeliani, che però tengono conto solo di chi si è già registrato e non di quelli che sono entrati come turisti e si registreranno solo in futuro. I numeri, quindi, andrebbero più o meno raddoppiati. In secondo luogo, se è vero che dalla Francia alla fine è partito solo l’1 per cento degli ebrei, che sono circa 500 mila, è la progressione a spaventare: nel 2012 se ne sono andati in duemila, nel 2013 in tremila, nel 2014 in 6.500. Nel 2015 questo numero aumenterà ancora. In terzo luogo, Israele non è l’unica terra di approdo per gli ebrei: ci sono anche il Canada o gli Stati Uniti.

Il disagio degli ebrei europei si può forse riassumere in questa battuta di un ebreo francese sceso in piazza a Parigi contro gli attentati: «Se ci fosse stata solamente la presa di ostaggi all’Hyper cacher venerdì, e non l’attentato contro Charlie Hebdo mercoledì, oggi ci sarebbe stata una simile insurrezione repubblicana? Non credo».
Ragionare con i “se” è sempre difficile, ma penso che abbia ragione. È l’abnorme sterminio di una redazione, e non il fatto ebraico, da molti visto come normale, ad aver mobilitato la gente. Questa interpretazione è un po’ amara ma abbastanza vicina alla realtà.

Perché sempre più ebrei lasciano l’Europa?
Innanzitutto, non bisogna dimenticare la crisi economica: gli ebrei sono cittadini come tutti gli altri, hanno gli stessi problemi e quindi soffrono la crisi. La comunità ebraica, però, si sente anche insicura a causa di una aggressione morale perpetrata nei loro confronti.

Che tipo di aggressione morale?
I filoni nell’opinione antisemita sono tre. Il primo è quello classico razzista e nazi-fascista: gli ebrei sono strapotenti, dominano l’economia e hanno causato la crisi. Queste panzane sono un vecchio bagaglio nazista ancora presente. Il secondo riguarda la negazione della Shoah: chi dice cioè che l’Olocausto non è mai avvenuto o che è stato sopravvalutato o che gli ebrei sfruttano la Shoah per altri fini. Queste opinioni, oltre che offensive, sono molto diffuse.

E il terzo filone?
È quello anti-israeliano, secondo cui gli israeliani sono i nuovi nazisti del Medio Oriente che impongono la politica agli Stati Uniti e altre simili baggianate che hanno come scopo quello di delegittimare uno Stato sovrano. Spesso tra questi filoni si può distinguere, spesso sotto uno si trovano anche gli altri due.

Quanto hanno influito nell’emigrazione degli ebrei europei gli attacchi da parte di estremisti islamici?
Ha influito, ma questa è una cosa che riguarda tutto l’Occidente. Se infatti in Israele sono abituati a subire attacchi terroristici, per i Paesi occidentali questo è un fatto nuovo e ancora più inquietante. Israele ha un efficace sistema di difesa già sviluppato per ridurre certi problemi, ma chi non ha mai fatto attenzione a questi fenomeni ora è spiazzato. Negli ultimi anni in Medio Oriente c’è stato un incredibile cambio di marcia ma la gente non capisce che questi fenomeni ci sono sempre stati. Israele lo sa.

In Francia ha fatto scalpore ieri un annuncio di lavoro che recitava: «Cercasi grafico, se possibile non ebreo». Come si contrasta questo fenomeno?
Prima di tutto bisogna lavorare sull’educazione e l’istruzione. Io ho apprezzato ad esempio che il nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella si sia recato come prima cosa alle Fosse Ardeatine, dove metà dei trucidati erano ebrei. Questo è un esempio educativo. Le istituzioni italiane, devo dire, fanno quello che possono ma la stampa ha un grande problema.

Quale?
Il mondo mediatico è inquinato dal terzo filone di cui parlavo prima: Israele viene sempre criticato e descritto in modo negativo. Pensiamo alla guerra di Gaza di questa estate: se ne è sempre parlato in modo unilaterale. Si parlava giustamente della tragica sofferenza dei palestinesi ma mai della causa, e cioè delle migliaia di missili che i palestinesi hanno lanciato contro Israele, provocando la durissima risposta. Se poi Israele ha costruito rifugi e un sistema missilistico di difesa, Hamas ha posto le rampe di lancio dei missili sui tetti delle scuole e degli ospedali. Così, gli attacchi di risposta degli israeliani hanno colpito anche i civili, che non dovevano essere colpiti. Se, come fa quasi tutta la stampa, si parla delle conseguenze senza mai parlare della causa si fa un discorso fortemente anti-educativo.