«Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa». Dolce e Gabbana, la famiglia e i figli della chimica

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 15 /03 /2015 - 14:28 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati:
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo redazionale pubblicato il 12/3/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (18/3/2015)

La risposta più bella e profonda la offre a un certo punto Domenico Dolce quando dice: «Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia».

Dolce e Gabbana appaiono oggi sulla copertina di Panorama e rispondono ad alcune domande sulla famiglia. I due noti stilisti non si tirano indietro su nessun quesito, come quando Dolce spiega che «non l’abbiamo inventata mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni». Anche per Gabbana «la famiglia non è una moda passeggera. È un senso di appartenenza sovrannaturale».

UN MONDO CONFUSO. Nell’intervista i due stilisti parlano con affetto delle rispettive madri. Gabbana di mamma Piera, «la amo, è l’unica donna della mia vita. Ha la quarta elementare, faceva la portinaia. Lavorava sempre, non avevamo una lira, per arrotondare andava a fare i servizi nelle case e mi portava con lei. A sei anni quanti bagni ho pulito…». E Dolce di Rosaria, che «è stata la prima a trasferirsi dalla Sicilia a Milano per starci vicino. Era dura, ho sofferto perché era troppo rigida. A sei anni lavoravo con lei all’emporio o in sartoria con mio padre. Ero vecchio già da piccolo. Eppure, se oggi sono arrivato fin qui, lo devo alla sua disciplina». A volte, come in tutte le famiglie capitava che non si andasse d’accordo, racconta Dolce: «A volte litigavano ferocemente, ma era più la recita di un copione da famiglia del Sud. Ricordo un giorno a tavola, ero piccolo e scoppiai a piangere mentre loro urlavano, rimasero colpiti e da quella volta smisero». Come sarà il mondo per i nipoti? La risposta di Dolce dà da pensare: «Solitario, confuso, troppo libero per dare la felicità».