«La Rivoluzione non ha bisogno di scienziati», sembra abbia detto Coffinhal il giudice che condannò alla ghigliottina il grande chimico Antoine-Laurent Lavoisier durante la Rivoluzione francese 1/ Breve nota su Antoine-Laurent Lavoisier ed un quadro di Jacques-Louis David. Appunti di Andrea Lonardo 2/ E quel giorno Lavoisier perse la testa, di Riccardo Chiaberge 3/ Antoine-Laurent Lavoisier (dalle Enciclopedie on-line Treccani.it) 4/ Piccola appendice: Napoleone e la consorte Giuseppina Beauharnais in alcuni dipinti di Jacques-Louis David. Appunti di Andrea Lonardo 5/ Piccola appendice 2. L’iconografia di regime di Jacques-Louis David. Brevi appunti di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /05 /2015 - 14:35 pm | Permalink | Homepage
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1/ Breve nota su Antoine-Laurent Lavoisier ed un quadro di Jacques-Louis David. Appunti di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (10/5/2015)

Jacques-Louis David, I coniugi Lavoisier, olio su tela, 260×195 cm, 1788 
(New York, Metropolitan Museum of Art).
La tela di David ci mostra Lavoisier affiancato dalla moglie Marie-Anne.

Jacques-Louis David è il “pittore rivoluzionario” per eccellenza, colui cui dobbiamo molte delle immagini relative alla Rivoluzione francese ed al suo evolvere rapido. Un anno prima della presa della Bastiglia e della pubblicazione del Traité élémentaire de chimie dipinse nel 1788 Antoine-Laurent Lavoisier insieme alla moglie ed agli strumenti del suo lavoro di chimico.

Solo cinque anni dopo, nel 1794, Lavoisier fu condannato a morte dal Tribunale Rivoluzionario e ghigliottinato. La tradizione vuole che Jean-Baptiste Coffinhal, giudice del Tribunale Rivoluzionario che lo condannò all’esecuzione capitale, esclamasse:  «La Rivoluzione non ha bisogno di uomini di cultura» e che il matematico Joseph-Louis Lagrange (noto anche come Giuseppe Luigi Lagrange, perché di origine torinese) commentasse, sconsolato: «È bastato un solo istante per tagliare quella testa, ma la Francia potrebbe non produrne un’altra simile in un secolo».

Le malelingue affermarono che Jean-Paul Marat, il principale accusatore di Lavoisier, si vendicò così dell’uomo che aveva un tempo respinto la sua domanda di ammissione all’Accademia delle Scienze, quando egli aveva l’hobby della chimica.

Fra l’altro la moglie di Lavoisier era intellettuale e pittrice – fu allieva dello stesso David – e realizzò diverse tavole per illustrare i lavori del marito, ad esempio per il Traité élémentaire.

2/ E quel giorno Lavoisier perse la testa, di Riccardo Chiaberge

Riprendiamo dal Corriere della sera del 2/1/2015 un articolo scritto da Riccardo Chiaberge. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (10/5/2015)

Di martiri della scienza non c'è soltanto Galileo, e gli inquisitori non vestono sempre la porpora cardinalizia. La lama della ghigliottina che, l'8 maggio 1794, troncò, a soli cinquant'anni, la vita di Antoine de Lavoisier dovrebbe turbare i sonni di ogni buon laico illuminista almeno quanto l'arringa di Bellarmino continua a risuonare negli incubi del papa. E forse anche di più.

Quando la testa di Lavoisier rotolò per terra tra le urla della plebaglia, il matematico Joseph Lagrange, che aveva assistito all'esecuzione, guardò l'orologio e disse: "È bastato un secondo per staccargli la testa, ma non basterà un secolo perché nasca un altro come lui". Non era retorica.

Lo scopritore dell'ossigeno e dell'azoto, "l'uomo che rivoluzionò la chimica con la bilancia", fu davvero una personalità irripetibile. Vale la pena di leggere il vivido ritratto che ne traccia Ernst Peter Fischer nel suo libro Aristotele, Einstein e gli altri. I grandi scienziati tra pensiero e vita quotidiana (Cortina editore).

Lavoisier era un facoltoso rampollo dell'Ancien Regime. Figlio di un avvocato, faceva un mestiere non molto popolare, quello dell'esattore: con l'eredità paterna aveva comprato la Ferme generale, un'impresa per la riscossione delle imposte. Ma i proventi di quest'attività gli servivano per procurarsi gli alambicchi e gli strumenti di misura indispensabili per il suo hobby preferito: la chimica.

Nel suo laboratorio, uno dei più attrezzati dell'epoca, Antoine si dedicava agli esperimenti con puntualità svizzera, dalle 6 alle 8 di mattina e dalle 19 alle 22. E lì, provando e riprovando, finì per mandare a gambe all'aria l'intero edificio della scienza del suo tempo. La dottrina dei quattro elementi (aria, fuoco, terra e acqua), la teoria del "flogisto", una sostanza calda che si sarebbe liberata nella combustione, le credenze degli alchimisti sulla "pietra filosofale".

Nulla di tutto ciò regge alle prove di Lavoisier, che col suo bilancino pesa lo zolfo prima e dopo averlo bruciato sul fornelletto, suddivide l'aria nelle sue componenti, e rimette ordine nella nomenclatura chimica. Una rivoluzione di portata non inferiore a quella che, in quegli stessi anni, seppellisce l'assolutismo.

Ma l'odio è più forte dell'intelligenza. Nel 1780, quando ancora faceva il giornalista, il famoso, anzi famigerato Jean-Paul Marat (ricordate? quello che poi finirà accoltellato nel bagno), aveva fatto domanda d'ammissione all'Accademia Francese delle Scienze, presentando una documentazione non valida. A respingere quel "pallone gonfiato" è proprio Lavoisier, che non sa di firmare così la propria condanna a morte.

Dopodiché la rivoluzione rompe gli argini. Come le guardie rosse di Mao, i giacobini infieriscono su ogni simbolo della cultura. Il laboratorio di Lavoisier viene confiscato e distrutto, si aboliscono università e accademie. E, ironia della sorte, nello stesso anno in cui lo scienziato sale sul patibolo, cade vittima del Terrore anche il marchese di Condorcet, il cui "Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano", pubblicato postumo nel '95, rappresenta il primo manifesto della fede nel progresso: dell'idea cioè che la scienza spiani la strada a una vita migliore.

Ammesso che questo assunto sia vero, lo sarà forse per chi della scienza gode i frutti, raramente per chi la pratica di mestiere. Michael Faraday, lo scopritore dell'elettromagnetismo - è sempre Fischer a raccontarcelo -, nasce nel 1791 a Londra da famiglia poverissima: il padre è un maniscalco che campa di impieghi saltuari. Michael deve abbandonare gli studi a tredici anni per guadagnare qualche soldo come rilegatore.

Ed è in quell'oscura bottega che sboccia la sua vocazione: il giovane apprendista legge i libri che deve rilegare, specialmente i volumi scientifici, a partire dalla voce "Elettricità" dell'Encyclopedia Britannica. Nel 1812 ascolta le lezioni dell'elettrochimico Humphrey Davy, prende appunti e ne ricava un libriccino, che rilega elegantemente.

È la svolta: Davy lo assume come assistente, e a soli ventidue anni il giovane Faraday intraprende la carriera di scienziato. Gli danno una ghinea a settimana, meno che in legatoria. E anche quando sarà promosso soprintendente e poi direttore, il suo stipendio resterà modesto, e dovrà fare altri lavori per sopravvivere.

Faraday, che era molto religioso - militava nella setta dei sandemaniani - si tenne sempre alla larga da cariche e onori, e declinò per ben due volte la nomina a presidente della Royal Society. "Sono dell'idea - diceva - che sia in sé degradante premiare gli sforzi intellettuali, e che lo sia ancor di più se si intromettono società e accademie - e in ultimo addirittura re o imperatori".

Allora non esisteva il premio Nobel, ma siamo sicuri che Faraday lo avrebbe rifiutato. Il denaro, il potere lo imbarazzavano. Una volta un politico gli chiese a che cosa potessero servire le bobine e le altre diavolerie che aveva fabbricato, e lui sornione: "Al momento non lo so ancora, ma un giorno si potrà tassarle". Quando, però, nel 1831 scoprì l'interazione tra elettricità e magnetismo dovette abbandonare ogni altra attività per concentrarsi sulla ricerca.

E poiché aveva una famiglia da mantenere, scrisse al primo ministro Lord Melbourne chiedendo una piccola retribuzione. Melbourne non solo respinse la richiesta, ma gli comunicò che considerava "una grande sciocchezza" la boria degli uomini di scienza. Pensate un po': se era borioso Faraday, che cosa dovremmo dire di certe primedonne della Big Science di oggi?

Non a tutti i grandi geni è andata così male, ovviamente. Il fisico Hermann von Helmholtz, che formulò per primo la teoria della conservazione dell'energia, chiese e ottenne dallo Stato prussiano uno stipendio di 24 mila marchi, cifra all'epoca esorbitante. E Linus Pauling, il famoso teorico delle biomolecole, di umili origini come Faraday, fu insignito di ben due premi Nobel (il secondo, nel '63, per la pace), pur essendosi inimicato l'establishment americano con le sue campagne contro la guerra in Vietnam.

Ma molto spesso, ancora oggi, gli uomini di scienza sono circondati, se non di ostilità, di indifferenza. Mentre si esalta per i progressi della tecnologia, la gente non prova alcuna curiosità per la vita di chi sta dietro quelle conquiste. "Sembra opinione diffusa - scrive Fischer - che i chimici, i fisici, i biologi e gli esponenti di tutte le altre discipline scientifiche abbiano condotto una vita noiosissima e che il contributo del singolo scienziato non svolga alcun ruolo particolare... È il solito argomento per cui se Thomas Mann non fosse vissuto, non ci sarebbe stato il Doctor Faustus, mentre se Isaac Newton non fosse nato, sicuramente qualcun altro si sarebbe imbattuto nella legge della gravitazione o nello spettro dei colori".

Un ragionamento insensato, che Fischer propone di ribaltare: se Newton non fosse esistito, nessuno avrebbe mai scritto un capolavoro come i "Principia mathematica", mentre la leggenda di Faust sarebbe popolare anche senza Thomas Mann.

3/ Antoine-Laurent Lavoisier (dalle Enciclopedie on-line Treccani.it)

Riprendiamo sul nostro sito la voce Lavoisier, Antoine-Laurent dalle Enciclopedie on-line Treccani.it. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (10/5/2015)

Lavoisier, Antoine-Laurent. - Scienziato (Parigi 1743 - ivi 1794). Figlio di un noto avvocato parigino, fu indirizzato dal padre verso gli studî giuridici. Non trascurò tuttavia le scienze e seguì corsi di matematica e di fisica, di botanica (con B. de Jussieu) e di chimica (con Guillaume-François Rouelle). Nel 1767 accompagnò il geologo J.-É. Guettard in un viaggio di esplorazione nell'est della Francia, collaborando così alla realizzazione della prima mappa geologica di Francia. Un suo lavoro sul migliore metodo per illuminare le strade venne premiato dall'Académie royale des sciences di Parigi, della quale divenne membro nel 1768. Nello stesso anno entrò a far parte della Ferme che aveva, dal governo francese, l'appalto della raccolta delle imposte e delle tasse. I suoi primi lavori scientifici riguardarono l'idraulica, l'idrometria e la meteorologia, ma nel 1770 rivolse la sua attenzione a un annoso problema chimico: la (presunta) trasmutazione dell'acqua in terra. Adottando un severo approccio quantitativo - che rivela la sua fiducia negli strumenti di misura e l'utilizzazione implicita della legge di conservazione della materia - L. dimostrò che l'acqua non si convertiva in terra. Il problema degli elementi chimici fu allora posto al centro della sua riflessione e della sua indagine fisico-chimica. Sin dagli inizî della sua carriera L. divenne consapevole che la scoperta di S. Hales (1727) della combinabilità chimica dell'aria era un avvenimento così nuovo da imporre la necessità di rivedere tutte le concezioni chimiche sino ad allora accettate. Il 1772 fu un anno cruciale nelle sue ricerche: effettuò esperimenti con apparati pneumatici e, il 1° novembre, depositò presso l'Académie un plico chiuso nel quale annunciava che i fenomeni della combustione dello zolfo e del fosforo e della calcinazione dei metalli erano dovuti alla fissazione di aria e che dunque quest'ultima era la causa dell'aumento in peso dei prodotti rispetto ai reagenti di partenza. Le sue conclusioni apparivano decisamente eversive rispetto alle concezioni flogistiche accettate a quel tempo. Agli inizî del 1773 L., venuto a conoscenza delle scoperte inglesi sulle differenti arie (gas), intraprese un sistematico esame critico delle concezioni note sull'argomento, spinto dall'esigenza di una loro verificazione. Nel gennaio del 1774 pubblicò un volume di Opuscules physiques et chimiques e nel novembre dello stesso anno lesse all'Académie un Mémoire sur la calcination des métaux dans les vaisseaux fermés nel quale confermava che l'aumento in peso dei metalli sottoposti a calcinazione in recipienti chiusi non derivava dalla materia del fuoco ma dalla combinazione dell'aria, racchiusa nel recipiente, con i metalli. Nel Mémoire L. non specificava il tipo di gas responsabile della calcinazione, ma nel 1775 chiarì che l'aria fissa (CO2) di J. Black era un composto e che l'aria capace di fissarsi nei metalli e nei corpi sottoposti a combustione era un'aria eminentemente respirabile. Tra il 1775 e il 1777 annunciò, in varî Mémoires, che l'aria atmosferica era una miscela di gas, costituita principalmente da un'aria eminentemente respirabile (ossigeno) e da una mofeta atmosferica (azoto). Così L. poté concludere che i processi di calcinazione, combustione e respirazione erano dovuti alla fissazione di ossigeno dell'aria e non alla fuoriuscita di flogisto. Contemporaneamente a queste ricerche L. si dedicò allo studio della composizione degli acidi. Avendo osservato che gli acidi dello zolfo e del fosforo erano prodotti dalla combinazione dell'aria eminentemente respirabile considerò quest'aria il principe oxygine, il principio generatore degli acidi. L. giunse alla conclusione che tutti gli acidi risultavano costituiti da elementi specifici (zolfo, azoto, fosforo, carbonio, ecc.), da un principio ossigino e dall'acqua fornendo, per la prima volta nella storia della chimica, un chiaro modello fondato sulla composizione delle sostanze che aveva come fulcro l'ossigeno. A partire dal 1776 L. visse e operò presso l'Arsenal di Parigi con l'incarico di sovrintendere alla produzione della polvere da sparo e alla ricerca delle fonti naturali del salnitro. Nel suo laboratorio presso l'Arsenal si dedicò allo studio sistematico (con la collaborazione di P.-S. de Laplace) del fuoco, che approdò al concetto di "fluido igneo" o "calorico". Per L. tutti i fenomeni termici erano dovuti a una sostanza ignea, sottile, imponderabile che era capace di esistere sia libera nell'atmosfera sia combinata nei corpi. I cambiamenti di stato dei corpi erano dovuti a una maggiore o minore quantità di fluido igneo combinato. La concezione lavoisieriana del calorico aveva una forma quantitativa (L. e Laplace approntarono un calorimetro a ghiaccio per misurare i calori specifici) ed era caratterizzata, a livello epistemologico, da un forte strumentalismo. I lavori di L. e Laplace sul calore costituirono perciò la data di nascita della termochimica. Agli inizî degli anni Ottanta L., con la collaborazione prima di Laplace e poi di J.-B. Meusnier de la Place, cominciò a compiere esperimenti di analisi e sintesi dell'acqua e dimostrò che l'acqua era una sostanza composta. Al contrario di H. Cavendish, che aveva effettuato esperimenti simili, il chimico francese affermò con chiarezza che l'acqua era il risultato della combinazione, in proporzioni definite, di idrogeno e di ossigeno. Forte di questa ulteriore scoperta che si inseriva perfettamente nel nuovo quadro interpretativo dei fenomeni chimici, lesse nel 1785 all'Académie le Réflexions sur le phlogistique, vero spartiacque nella storia della chimica, nelle quali attaccava frontalmente le dottrine basate sul flogisto. Con la collaborazione dei chimici L.-B. Guyton de Morveau, C.-L. Berthollet e A.-F. Fourcroy - che si erano convertiti alla "chimie nouvelle" - L. pubblicò nel 1787 la Méthode de nomenclature chimique, che contiene una radicale e sistematica riforma del linguaggio chimico. La Méthode introdusse la prima nomenclatura chimica sistematica e segnò la scomparsa dei vecchi e fantasiosi nomi: termini come ossigeno, azoto, carbonio, idrogeno, ecc., i suffissi -oso e -ico per gli acidi, -ito e -ato per i sali trovano qui la loro prima formulazione. Nel 1789 pubblicò il Traité élémentaire de chimie, uno dei grandi testi della scienza occidentale. In quest'opera L. espose la sua nuova teoria antiflogistica, usò il nuovo linguaggio chimico e illustrò le sue concezioni sulla scienza e sul linguaggio, basate sulla filosofia di E.-B. Condillac. Nel trattato si ritrova la formulazione esplicita della legge della conservazione della materia e una nuova concezione degli elementi chimici. Le novità nella concezione di L. sono da ricercare non tanto nella definizione di elemento quanto nel rifiuto di determinare a priori gli elementi chimici dei corpi: solo le esperienze concrete, sostenne L., possono indicare con precisione le sostanze elementari il cui numero pertanto può variare con il progresso dei metodi di indagine. Inoltre stabilì che gli elementi costituiscono l'invariante delle trasformazioni chimiche durante le quali, infatti, la qualità e la quantità degli elementi si conserva. L. delineò nel giro di pochi anni una nuova immagine della scienza chimica, intesa come costruzione teorica rigorosa, verificata da molteplici esperienze e caratterizzata da un linguaggio specifico. L'opera di L. portò all'avvento di una vera e propria "rivoluzione chimica" e il suo Traité élémentaire ebbe un'influenza enorme sulla chimica, paragonabile a quella esercitata sulla fisica dai Principia mathematica di Newton. L. aveva una straordinaria capacità di lavoro. Si occupò, oltre che di fisica, di chimica e di scienza in genere (fu, tra l'altro, il fondatore delle Annales de chimie e il riformatore, nel 1785, dell'Académie), di economia politica (apparteneva alla corrente fisiocratica), di agronomia (dal 1778 installò una fattoria sperimentale vicino a Blois), di politica fiscale e finanziaria, di tecnologia, di istruzione pubblica e di riforme nel campo sanitario, ospedaliero e dell'assistenza ai poveri. Agli inizî del 1788 cominciò a occuparsi di chimica fisiologica con A. Seguin, ma lo scoppio della Rivoluzione e le vicende politiche gli consentirono di completare solo due memorie dedicate rispettivamente alla traspirazione e alla respirazione animale, contributi importanti alla nascente chimica fisiologica. Pur essendo un fautore dell'introduzione di riforme nel sistema politico francese, L. divenne sempre più oggetto di attacchi da parte di J.-P. Marat e dei giacobini in quanto accademico e funzionario di primo piano dell'ancien régime. Il suo prestigio scientifico non gli evitò la ghigliottina nel 1794.

4/ Piccola appendice: Napoleone e la consorte Giuseppina Beauharnais in alcuni dipinti di Jacques-Louis David. Appunti di Andrea Lonardo

Jacques-Louis David, Distribuzione delle aquile nel 
Campo di Marte il 5 dicembre 1804

Jacques-Louis David divenne il pittore ufficiale di Napoleone. Fu lui a dipingere la famosa tela con la Consacrazione di Napoleone (1805-7) con Napoleone che pone la corona sul capo di Giuseppina Beauharnais allora sua moglie. L’evento dell’Incoronazione fu celebrato il 2 dicembre 1804.

Subito dopo quest’opera Jacques-Louis David diede inizio alla tela Distribuzione delle aquile nel Campo di Marte il 5 dicembre 1804, che iniziò nel 1807. Dipinse così l’imperatore con a fianco la moglie, l’imperatrice Giuseppina.

Nel frattempo, però, poiché Giuseppina non partoriva un figlio maschio ed ancor più perché Napoleone intendeva cercare alleanze, l’imperatore si decise a ripudiarla ed a sposare Maria Luisa d’Austria nel 1809.

David, che terminò l’opera nel 1810 dovette così, per ragioni di stato, cancellare la figura di Giuseppina di modo che l’opera appare oggi con l’imperatore solo, con un’evidente vuoto pittorico intorno alla sua figura.

5/ Piccola appendice 2. L’iconografia di regime di Jacques-Louis David. Brevi appunti di Andrea Lonardo

Jacques-Louis David, Consacrazione di Napoleone I. 
Il quadro rappresenta l’apoteosi della coppia imperiale.
Giuseppina è inginocchiata sulla scala del trono

Nella Consacrazione di Napoleone (1805-7) Napoleone è ritratto mentre pone la corona sul capo di Giuseppina Beauharnais, allora sua moglie. Luogo dell’avvenimento fu la cattedrale parigina di Notre-Dame, il 2 dicembre del 1804.

La cattedrale, piena di autorità ed ecclesiastici, non è facilmente distinguibile perché i pilastri gotici sono coperti da archi e da tappezzerie utilizzati per l’occasione.

Diverse personalità sono vestite con abiti risalenti al cerimoniale di Enrico IV, proprio perché si volle conferire all’evento il significato simboliche di restaurazione della monarchia francese, trasformata in imperium.

Sulla tribuna d’onore Jacques-Louis David si autoritrasse, mentre dipingeva l’evento.

Dietro l’imperatore, senza mitria, sta Pio VII che venne convocato a Parigi, ma dovette solo assistere all’evento. Jacques-Louis David lo ritrae in atteggiamento umile, dimissionario, ad indicare che il potere politico dell’imperatore ha totalmente sottomesso a sé quello spirituale del pontefice.

Napoleone intendeva rendere sempre più reale il suo dominio sul papa costringendolo ad aumentare il numero dei cardinali francesi in maniera da poter determinare le successive elezioni. Le tensioni fra Napoleone e Pio VII crebbero via via quando l’imperatore annullò di propria autorità, senza nemmeno consultare il papa le nozze tra il fratello Girolamo e un’americana di Baltimora; decise poi nel 1809 l’annessione al Regno d’Italia dell’intero Stato Pontificio. Quando il papa si rifiutò di revocare la scomunica per gli invasori francesi, Napoleone fece arrestare il papa e lo fece rinchiudere nel castello di Fontainebleu.