Berlino. Appunti sui luoghi di Dietrich Bohoeffer (Appunti su Berlino 2. A cura di Andrea Lonardo)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /05 /2015 - 14:38 pm | Permalink | Homepage
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Le righe che seguono sono solo appunti per una futura visita ai luoghi di Dietrich Bonhoeffer in Berlino e nelle vicinanze.

Il Centro culturale Gli scritti (10/5/2015)

Dietrich Bonhoeffer

A Berlino, a partire dal 1924, Bonhoeffer studiò teologia, dopo un primo anno passato a Tübingen. In metro raggiungeva l’università insieme all’ormai vecchio von Harnack. Era la Friedrich-Wilhelms-Universität di Berlino (Facoltà di Teologia), che prese il nome di Humboldt-Universität dopo la guerra.

Dopo un anno nella parrocchia luterana di Barcellona in Spagna, tornò a Berlino nel quartiere di Wedding per ripartire nuovamente per gli stati Uniti per studi.

Nel 1931 Dietrich Bonhoeffer venne ordinato pastore nella Matthäuskirche, situata a poca distanza da Potsdamerplatz.

Bonhoeffer abitò nuovamente in Berlino negli anni 1931/32 dove fu Vicario del Sinodo cittadino. Aveva 25 anni e predicò, battezzò e seguì un gruppo di 50 ragazzi difficili che si preparavano alla Cresima, figli di disoccupati, presso la Zions-Kirche in Zionskirch-platz.

Divenne anche assistente spirituale dell’Università tecnica di Charlottenburg.

Ma nel 1933, dopo che venne interrotta una trasmissione nella quale criticava il nazismo, decise di partire per l’Inghilterra.

Tornò in Germania nel 1935 perché gli venne chiesto di curare un seminario clandestino per la formazione di giovani pastori a Finchenwalde, in Pomerania: lì si schierò sempre più decisamente con la chiesa confessante.

Sequela (1937) e La vita comune (1938) rispecchiano quegli anni di vita comunitaria e di formazione dei giovani (anche La Parola predicata è un corso di omiletica da lui tenuto a Finchenwalde).

La polizia chiuse il seminario di Finchenwalde nel 1937 e nel 1940 raggiunse Bonhoeffer l’ordine nazista di interrompere ogni attività di insegnamento e predicazione.

La casa dove abitò successivamente tutte le volte nelle quali si recò ancora nella capitale è oggi trasformata in Casa-memoriale e quindi visitabile. È la Casa di Bonhoeffer, costruita nel 1935, quando il padre, il medico Karl Bonhoeffer andò in pensione. Lì il padre Karl abitò con sua moglie Paula.

La casa si trova in Marienburger Allee 43 (D-14055 Berlin, Charlottenburg). Lì Bonhoeffer scrisse gran parte dell’Etica ed il breve testo Dieci anni dopo.

Bonhoeffer-Haus

In quella stessa casa venne arrestato dalla GESTAPO il 5 aprile 1943.

Una volta arrestato venne portato nel Carcere Militare di Tegel, che si trova in Seidelstrasse 39, vicino all’attuale aeroporto di Tegel.

Il carcere militare di Tegel

Da lì venne poi trasferito nel terribile Ufficio centrale di sicurezza del Reich che era in Prinz-Albrecht-Strasse attualmente distrutto. Sul luogo dove sorgeva tale Ufficio con le sue carceri e le stanze di tortura sorge ora l’allestimento museale di Topographie des Terrors.

Negli anni precedenti Bonhoeffer visse la sua missione pastorale fuori Berlino in territori che dopo la guerra divennero polacchi e dai quali fuggirono tutti gli abitanti tedeschi.

Gli antichi toponimi tedeschi non esistono così più. Finchenwalde è l’odierna Zdroje, vicino Stettino. Lì Bonhoeffer fu alla guida, coem si è già detto, del locale Seminario (1935-37).

Non lontano da Zdroje è l’odierna Krosinko (Tychowo), corrispondente alla tedesca Klein-Krössin, dove viveva Maria von Wedemeyer, la ragazza diciottenne con cui Bonhoeffer si fidanzò poco prima di essere arrestato. Bonhoeffer la conobbe proprio a Klein-Krössin nel 1942 mentre la ragazza era in visita presso la nonna appena terminata la maturità: la nonna, infatti, sosteneva economicamente la Chiesa confessante cui apparteneva Bonhoeffer.

Maria e Dietrich si fidanzano privatamente il 17 gennaio del 1943.

Bonhoeffer venne impiccato dai nazisti a Flossenbürg nell’aprile 1945.

Maria von Wedemayer

Dal carcere di Tegel uscirono le Lettere dal carcere di Bonhoeffer, indirizzate ai genitori e all'amico Eberhard Bethge che le raccolse e, esitante, le pubblicò con tagli per la prima volta con il titolo Resistenza e Resa nel 1951, e in nuova edizione ampliata nel 1970 (in occasione del 25° anniversario della morte del teologo: 9 aprile 1945 – 9 aprile 1970; l'edizione critica definitiva è a cura di Eberhard Bethge e Christian Gremmels, realizzata nel 1998; la traduzione italiana è di Queriniana 2002).

Dalla Cella 92 del carcere di Tegel uscirono anche le Lettere alla fidanzata, gelosamente conservate e custodite da Maria, edite per la prima volta a mezzo secolo di distanza nel 1992 dalla sorella maggiore Ruth-Alice von Bismarck, nata von Wedemeyer (con la collaborazione di un esperto di testi bonhoefferiani, Ulrich Kabitz), alla quale le aveva affidate poco prima della sua morte, avvenuta prematuramente a Boston nel 1977, e prontamente tradotte in italiano (Queriniana 1994). L'epistolario riproduce, senza tagli, il testo delle lettere di Bonhoeffer alla fidanzata e il testo delle lettere della fidanzata a Bonhoeffer, ch'egli fece in tempo a far pervenire alla sua famiglia prima di lasciare il carcere di Tegel per essere trasferito nei sotterranei della Gestapo, e che la famiglia Bonhoeffer consegnò a Maria dopo la tragica fine.

La prima lettera di Bonhoeffer a Maria è del 13 novembre 1942 da Berlino, dove il teologo abitava. Maria annota nel suo Diario in data 19 dicembre 1942: «Per la sua età è vecchio e saggio, sembra proprio il tipico studioso. Come potrò io con la mia passione per il ballo, l'equitazione, lo sport e il divertimento rinunciare a tutto questo?», ma ai primi di gennaio del 1943 comunica alla mamma – che all'inizio contrastava la relazione per la differenza d'età e per l'attività pericolosa che allora svolgeva il pastore – la sua irrevocabile decisione di sposare Bonhoeffer.

Sui viaggi di Dietrich Bonhoeffer a Roma cfr. l’articolo Bonhoeffer «tentato» dal Papa. Il viaggio del diciottenne Dietrich Bonhoeffer a Roma, di Marco Roncalli, già pubblicato da Gli scritti e tratto da Avvenire  dell’1/2/2011:

Dei tre viaggi di Dietrich Bonhoeffer a Roma – nel 1924 insieme al fratello Klaus, nel 1936 in compagnia dell’amico Eberhard Bethge, nel 1942 con il cognato Hans von Dohnanyi (per stabilire contatti fra i congiurati antihitleriani e il governo britannico attraverso il Vaticano) – è il primo quello meglio documentato. Lo dimostrano le pagine di questo nuovo titolo bonhoefferiano (Viaggio in Italia. 1924, a cura di Fulvio Ferrario e Manuel Kromer; Claudiana, pagine 110, euro 10,00), nel quale le note diaristiche del futuro teologo impiccato a Flossenbürg nell’aprile 1945 si accompagnano ai luoghi visitati, tra cartoline d’epoca, fotografie inedite, nonché lettere – in prima traduzione italiana – scambiate con amici e familiari.

Si tratta di testi godibili nella loro prosa immediata, che, letti con l’intento di approfondire la vicenda e il pensiero di Bonhoeffer, non vanno né sopravvalutati, né sottovalutati. Non tanto perché ci dicono pur qualcosa del rampollo di una famiglia alto borghese che osserva la realtà nella prospettiva della cultura tedesca del XIX secolo influenzata dal protestantesimo. Ma perché descrivendo un po’ gli effetti della "curiositas" dell’universitario diciottenne Dietrich (due semestri di teologia a Tubinga), palesa il suo atteggiamento nell’incontro con il cattolicesimo a Roma, ma poi anche innanzi all’islam e alla "pietà israelitica" nella colonia italiana di Tripoli, tappa non programmata di questo viaggio in Italia.

Dato conto di laboriosi preparativi e del forfait dei vari potenziali compagni per l’"avventura italiana" il diario informa che i fratelli Bonhoeffer, superato il Brennero, arrivano a Roma alle 14.20 del 5 aprile 1924, dopo un viaggio in treno di ventidue ore vissute tra entusiasmo e impazienza, durante il quale conoscono Platte Platenius: un seminarista cattolico poi interlocutore privilegiato nella loro esplorazione della Città eterna. Che inizia subito con la basilica vaticana, proseguendo il giorno con il Colosseo e i Fori. L’attenzione di Dietrich, nelle visite successive, si concentra presto sulle testimonianze della Roma più antica e quella barocca, insomma quella più visibilmente cattolica, mentre sul diario non resta traccia di quella post-risorgimentale. Seguono via via le immagini del Palatino, del Pincio, del Campidoglio, del Pantheon, del Museo delle Terme, di Santa Maria Maggiore e sopra Minerva, del Laterano, delle Catacombe di San Callisto, di San Paolo fuori le Mura…, fra dettagli di albe e tramonti, musica e sapori, mentre a finire in primo piano è la vita ecclesiastica di un mondo estraneo, ma che affascina e interroga.

Oltre che dai tesori artistici, Dietrich si lascia prendere dalla visione di sequenze in diretta. Dalla folla di fedeli che si accosta alla confessione in Santa Maria Maggiore: ai suoi occhi non l’assolvimento di un precetto, ma un’esigenza dello spirito. Dai riti cui assiste in altri luoghi come la chiesa di Trinità dei Monti: in particolare quelli della settimana santa, con liturgie che lo incantano. Sarà poi Karl Barth a fargli moderare entusiasmi ancor accesi dopo questa esperienza alla quale è certamente debitore l’interesse critico per il cattolicesimo che attraversa la successiva riflessione bonhoefferiana. Certo, nel gioco dei rimandi bisognerebbe sottolineare anche l’impatto di Dietrich innanzi a certi monumenti: cominciando con il gruppo marmoreo del Laocoonte, visto ai Musei Vaticani, con il profilo del veggente troiano che lega a successive rappresentazioni di Cristo "uomo dei dolori". Ma qui è più utile ricordare come per Bonhoeffer, a Roma, si sia fuso in qualche modo ciò che sino a quel momento in lui era stato diviso: Chiesa e fede, dottrina e vita, religiosità e sensi, concetti duri e simboli.

Il tour dei due fratelli continuò a Napoli, in Sicilia e in Libia. A Tripoli Dietrich osserva la dignità degli arabi e i comportamenti brutali degli italiani nella colonia, né mancano nelle lettere ai genitori descrizioni di scene pittoresche e rimandi all’islam dove «religione e vita quotidiana non sono affatto separate, come lo sono in tutta la Chiesa cristiana, cattolicesimo incluso. […] In generale mi sembra che fra la vita quotidiana e le pietà islamiche e dell’Antico testamento vi sia un’enorme somiglianza», nota Dietrich. Tornato nella capitale, il 17 maggio 1924 scrive alla sorella Sabine: «Arrivare per la seconda volta a Roma è in fondo ancora più bello della prima. […] Così la vita si è già intrecciata con Roma, da questo punto di vista la città più meravigliosa che conosca». Diario e lettere proseguono con riferimenti all’iconografia cristiana come fonte di conoscenza.

Mancano invece cenni specifici alla presenza protestante in Roma, salvo la visita alla sede di «una piccola setta» dove assiste ad un battesimo (si tratta della chiesa evangelica battista a Trastevere), occasione per riflettere sulla Chiesa di popolo come forma ecclesiale. «Caro Hans – scrive a Dohnanyi, a fine maggio ’24 –, tra due settimane e mezzo dovrò lasciare il Paese, ma non riesco neanche a immaginare come mi sentirò quando poi, di sera, invece di passeggiare al Pincio o di vedere San Pietro, camminerò davanti alla chiesa di Grunewald in Bismarckallee. Ma qui è stato incredibile, se penso che ci sono stato solo per un quarto di anno circa […]. Neanche lontanamente sono riuscito a vedere tutto, ma, se ritorno indietro con la memoria, mi rendo conto di aver visto moltissime cose; e poi, in fondo, bisogna pur concludere».