Carità intellettuale. «Anche la scienza può essere carità. Chi si occupa a fondo d'un argomento è un benefattore dell'umanità. Così ci sembra di poter aggiungere, che chiunque con l'attività del pensiero e della penna cerca diffondere la verità rende servizio alla carità. Ma la carità è regina» (da un articolo di Giovanni Battista Montini)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /06 /2015 - 15:06 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Emilio Bettini (a cura di), La FUCI di Montini e la FUCI di oggi, LEV, Città del Vaticano 2014, pp. 83-86, un testo intitolato Carità intellettuale pubblicato nel gennaio 1930 da Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, su "Azione fucina", 12 gennaio 1930, 1. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (14/6/2015)

Montini con i giovani della FUCI nel 1931

Carità intellettuale

Giovanni Battista Montini
(gennaio 1930)[1]

Pierre De Nolhac, direttore dell'Académie Française[2],nella seduta pubblica annuale del 19 dicembre scorso, rannoda la sua relazione sul «prix de vertu»[3] a una delle documentazioni più commuoventi che ci riconciliano con il mondo moderno - a due testi, uno di Erasmo, e l'altro di Pascal.

Erasmo di Rotterdam, dice, ch'ebbe tanto spirito quanto Voltaire e assai più senno, ha lasciato un ritratto assai feroce per i letterati del suo tempo. Nel mondo da lei governato, la Follia stringe gli scrittori con la vanità. E come li stringe! La minima opera che un autore produce, egli se la giudica un capolavoro, corre dal libraio per stamparla, sceglie un titolo ad effetto la cui stranezza deve sedurre l'acquirente, attirato pure da enormi caratteri tipografici.

Per accaparrarsi i suffragi dei colleghi, ogni adulazione è buona: «Le vostre opere, mio caro maestro (magister noster), hanno la profondità di Platone. - E voi, mio caro maestro, non sorpassate forse Cicerone nell'arte di dire?». Per aver lettori, ci dice Erasmo, nulla vale quanto una polemica violenta ben aizzata. I due contendenti s'ingiuriano davanti al pubblico e si ritirano ciascuno come vincitore, acclamato dai suoi partigiani.

Ed è il primo testo. Quello che suggerisce un senso di sgomenta modestia a pomposi letterati come gli Accademici nell'elencare poi e confrontare con la loro vanagloria le più ardite e geniali opere buone che fioriscono per puro desiderio di bene, per carità, con eroismo silenzioso e ignorato per lenire sofferenze e confortare gli spiriti dell'umile popolo. Il sangue della carità vale più dell'inchiostro della scienza, nel criterio morale, ch'è il sommo se non l'unico fra tanti per misurare la statura dell'uomo.

E il secondo testo sembra, a chiusura della relazione, confermare che l'ordine della carità è incomparabilmente superiore a quello dell'intelligenza, come dice un noto pensiero pascaliano; e una volta di più i celebrati semidei dell'Accademia sono desolatamente inferiori agli oscuri operai della beneficienza e della virtù. Poiché l'episodio dell'ultima malattia di Pascal, di uno cioè che dell'intelligenza sapeva le altezze sovrane, rammenta ancora la verità dell'umiliante confronto. Egli esprimeva nel suo letto di morte di voler mettere nella sua casa un povero malato dell'ospedale per ricevere le stesse cure di lui, per essere trattato, con lui vicino, con gli stessi riguardi e le medesime affezioni. «Soffro, diceva, di vedermi nella grande abbondanza d'ogni cosa; poiché, quando penso che, mentre io sono così ben accomodato, vi è un'infinità di poveri che son più malati di me e che mancano delle cose più necessarie, mi sento una pena insopportabile». E ancora: «Poiché non avevo più beni da dar loro, dovevo dar loro il mio tempo e la mia pena; ed in questo ho mancato; e se i medici dicon il vero, e se Dio permette ch'io mi rialzi da questa malattia, sono deciso di non aver altro ufficio né altra occupazione tutto il resto della mia vita che il servizio dei poveri»[4].

Bel testamento, degno della grande anima!
Se fosse vissuto Pascal?...
Ci avrebbe dato prodigi di carità pari a quelli che ci diede di genio? È lecito credere alla sincerità del suo estremo proposito. Ma il direttore dell'Académie conclude: «Rassicuriamoci, Signori, la scienza appartiene anch'essa alle opere di Dio. Se il nostro Pascal fosse guarito, l'angelo delle matematiche l'avrebbe ripreso ed egli non avrebbe lasciato a nessuno l'onore delle nuove scoperte che maturavano nella sua mente. Ma quale dilatazione dell'essere suo nella concezione totale della carità, e quali raggi del cielo per illuminare la fine della sua vita».

E possiamo plaudire anche a questa conclusione. Anche la scienza può essere carità. Chi si occupa a fondo d'un argomento, dice un pensatore cristiano, è un benefattore dell'umanità. Così ci sembra di poter aggiungere, che chiunque con l'attività del pensiero e della penna cerca diffondere la verità rende servizio alla carità. Ma la carità è regina; e perfino l'Accademia Francese lo riconosce.

E come fa bene riflettere che l'attività del pensiero e della penna ha bisogno di farsi giudicare dall'ordine della carità per sentirsi inferiore al confronto e desiderosa poi di pareggiare con le sue più nobili produzioni le ammirabili conquiste della carità!

Se chi studia, se chi scrive pensasse davvero di meritare d'esser messo nel novero di chi benefica e conforta i propri simili sofferenti, con quanto più ardore, con quale più severo giudizio lavorerebbe e faticherebbe!

L'attività intellettuale che non accetta i limiti, i comandi, le applicazioni, i temperamenti, l'ardore - tutti elementi esteriori che non pregiudicano la onestà del suo operare - della vita vissuta, della sperimentale realtà umana, dove dolore, sentimento, moralità e bisogni sociali s'incontrano continuamente, rimane sterile; scientia inflat,direbbe San Paolo[5]; cioè avaramente soggettivista quando non sia socialmente distruttrice. Quella invece che si profonde nell'intenzione benefica per gli altri, oltre che arricchirsi di nuove esperienze, della più utile esperienza umana, diviene, con la Grazia di Dio, carità.

E l'egoismo del pensiero, l'astrattismo utopistico, l'immoralità letteraria e l'oscenità artistica, l'affrancamento del dotto della convivenza e dal tributo alle necessità delle anime altrui è, a sua volta, una tal malattia che ha bisogno di carità per essere curata e guarita.

Altro titolo che conforta l'apostolato intellettuale a farsi urgente e caritatevole per rinnovare la vita che nello spirito vien meno.

Note al testo

[1] In «Azione fucina», 12 gennaio 1930,1.

[2] Pierre De Nolhac (1859-1936), funzionario alla Biblioteca Nazionale di Parigi, poi conservatore di Versailles, diventò nel 1922 accademico di Francia. Nel 1886 scoprì nella Biblioteca Vaticana l'autografo del Canzoniere del Petrarca. Testimonianza dei suoi interessi umanistici sono i volumi La bibliothèque de Fulvio Orsini (1887), Erasme en Italie (1888), Pètrarque et l'humanisme (1892).

[3] Istituto nel secolo XIX dell'Acadèmie Française e destinato a premiare gli atti di virtù e le opere utili alla edificazione dei buoni costumi.

[4] L'episodio dell'ultima malattia di Pascal è narrato dalla sorella, Madame Gilberte Pèrier,ne La vie de Monsieur Pascal, éscrùe par Madam Périer, sa sæur,in J. Chevalier (a cura di), Œuvres complètes,Bibliothèque de la Pleaiade, Paris 1954.

[5] 1Cor 8,1.