Il califfo Omar, quello della Moschea di Gerusalemme, quello che impose ai cristiani il Patto di sottomissione che li condizionò per secoli, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /09 /2015 - 17:30 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Mettiamo a disposizione sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Islam nella sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (20/9/2015)

Maometto morì nel 632, dopo aver già attaccato senza successo con le sue armate la Siria/Palestina nello stesso anno. Suo successore alla guida dell’Islam fu Abu Bakr, il primo califfo, che morì nel 634. Successore di Abu Bakr fu Omar, secondo califfo, che nel 637, conquistò  Gerusalemme, dopo un assedio iniziato nel 636 e durato 6 mesi: fu il patriarca Sofronio ad arrendersi ai musulmani.

Lo scontro decisivo era però avvenuto l’anno prima, nel 636, con la sconfitta militare bizantina, nella piana dello Yarmuk, sulle alture del Golan, dove furono uccisi dagli arabi qualche migliaio o forse qualche decina di migliaia  di soldati bizantini, a seconda della diversa interpretazione delle fonti.

Ebbene non appena le truppe musulmane di Omar – il califfo del quale la moschea della Roccia, sulla spianata del Tempio di Gerusalemme, porta il nome – furono entrato in città, venne imposto ai cristiani il cosiddetto Patto di Omar. L’evento si colloca, quindi, a distanza di soli 5 anni dalla morte di Maometto: Omar conquistò la Siria/Palestina, cosa che non era riuscita a Maometto stesso.

Le fonti arabe presentano il contesto del patto come se esso sia stato proposto nelle sue condizioni dai cristiani stessi, ma è evidente dal tenore del testo che si tratta di una imposizione vera e propria.

I cristiani chiedono di essere “protetti” dai musulmani che li autorizzano a conservare la fede a condizione che paghino una tassa onerosa detta jizya[1]. Oltre a tale tassazione aggiuntiva a quelle ordinarie, ai cristiani è vietato parlare del Vangelo ai musulmani, è vietato testimoniare esplicitamente la fede in pubblico, è vietato suonare le campane, è vietato sposare donne musulmane, mentre donne cristiane possono sposare uomini musulmani, è vietato battezzare musulmani, mentre sono obbligati a lasciare che diventino musulmani i propri figli che lo domandino. Viene introdotto il divieto non solo di erigere nuove chiese, ma anche di restaurare quelle che già esistono - è interessante, a questo proposito, che le sinagoghe ancora sussistenti nell’odierna Andalusia (gli ebrei erano anch’essi assoggettati al Patto di Omar) siano state costruite dopo la Reconquista; cfr. su questo Le sinagoghe più note oggi visitabili in Andalusia sono tutte state erette dopo la Reconquista, sotto re cristiani, di Andrea Lonardo, all’interno dello studio Andalusia: dal mito alla storia. Appunti per un accostamento realistico a al-Andalus, di Andrea Lonardo.

L’umiliazione e una condizione di inferiorità sono evidenti anche per il fatto che i cristiani sono tenuti ad alzarsi in piedi in presenza dei musulmani ed offrire loro la possibilità di sedersi, così come dall’obbligo di differenziarsi dai musulmani fin dall’abbigliamento.

Il Patto di Omar viene imposto nell’anno 15 dell’Egira (cioè 15 anni dopo la fondazione dell’Islam; l’anno 15° corrisponde all’anno 637 d.C.) e recita testualmente così:

«‘Abd al-Rahmâm bin Ganm[2] ha riportato ciò che segue.
Quando ‘Omar bin al-Hattâb ebbe accordato la pace ai cristiani di Siria, noi gli scrivemmo in questi termini:
Nel nome di Allah, Beneficente Misericordioso!
Questa è una lettera indirizzata dai cristiani di tale città al servitore di Allah, ‘Omar bin al-Hattâb, comandante dei Credenti. Quando lei è venuto da noi, abbiamo chiesto la salvaguardia per noi, i nostri figli, i nostri beni e i nostri correligionari, e ci siamo impegnati nei vostri confronti ad osservare le seguenti condizioni:
Non costruiremo, nelle nostre città e nelle loro vicinanze, nuovi monasteri, chiese, conventi, celle per monaci.
Neppure ripareremo, di giorno o di notte, quegli edifici che stanno andando in rovina
o che sono situati nei quartieri dei musulmani.
Terremo le nostre porte d’ingresso aperte ai passanti e ai viaggiatori. Accorderemo ospitalità a tutti i musulmani che passeranno e alloggiarli per tre giorni.
Noi non daremo rifugio, nelle nostre chiese o nelle nostre abitazioni, ad alcuna spia, né nasconderemo ai musulmani nulla che potrebbe loro nuocere.
Non insegneremo il Corano ai nostri bambini.
Non manifesteremo pubblicamente la nostra religione
né la predicheremo ad alcuno
.
Non impediremo ad alcuno dei nostri parenti di abbracciare l'Islam, se lo desidera.
Noi mostreremo rispetto nei confronti dei musulmani e
ci alzeremo dal nostro posto se desiderano sedersi
.
Non cercheremo di assomigliare ai musulmani nell’abbigliamento, nei copricapi (qalansuwa, sorta di berretto che si copriva con il turbante), turbanti, calzari e acconciatura di capelli.
Non useremo la loro parlata e non impiegheremo i loro nomi/titoli(kunya).
Non saliremo su alcuna sella, e non ci cingeremo di spade, non saremo possessori di alcuna arma e neppure le trasporteremo con noi.
Non scolpiremo sigilli in lingua araba.
Non venderemo bevande fermentate (alcoliche).
Ci raseremo la parte anteriore del capo. Ci vestiremo sempre nello stesso modo, in qualunque luogo ci troviamo, stringendoci lo zunnâr in vita (N.d.T. cintura in seta e cotone indossata dai cristiani).
Non faremo vedere le nostre croci o i nostri libri (sacri) nelle strade o nei mercati dei musulmani.
Noi potremo suonare la campana di legno (simandron) solo molto delicatamente nelle nostre chiese.
Noi non alzeremo la voce durante servizi religiosi nelle chiese, in presenza di musulmani. Non
faremo processioni pubbliche per le Palme e per Pasqua, non alzeremo la voce accompagnando i nostri morti.
Non faremo luminarie nelle strade frequentate dai musulmani, né nei loro mercati.
Non seppelliremo i nostri morti vicino ai musulmani.
Non prenderemo schiavi che siano stati assegnati ai musulmani.
Non costruiremo case più alte di quelle dei musulmani».
Queste sono le condizioni che noi abbiamo sottoscritto, noi e i nostri correligionari, e in cambio delle quali noi riceviamo la salvaguardia. Se dovessimo contravvenire ad uno di questi impegni presi, dei quali rispondiamo con la nostra persona, non avremo più diritto alla dhimma[3] e saremo passibili di essere condannati alle pene riservate ai ribelli e ai sediziosi.
‘Omar bin al-Hattâb rispose (a ‘Abd al-Rahmâm bin Ganm):
“Accetta la loro richiesta, ma aggiungi a ciò che hanno sottoscritto le due seguenti condizioni che impongo loro:
Non compreremo nulla che faccia parte dei bottini di guerra dei musulmani.
Colui che avrà colpito deliberatamente un musulmano sarà privato della protezione garantita da questo patto”».

La recensione più completa del testo - quella qui presentata[4] - si legge in Abū Bakr Muhammad al-Turtūsī, noto anche con il nome di Ibn Abī Randaqa, vissuto dal 421/1059 al 520/1126, nel capitolo 51 della sua opera Sirāg al-mulūk, una sorta di trattatello ad uso dei prìncipi, dei governanti sulla conduzione dello stato. Il suo nome indica un’origine andalusa (al-Turtūsī, cioé “quello di Tortosa”), ma la sua vita adulta si svolse massimamente in Egitto.

Alcuni autori vorrebbero posticipare di qualche decennio la redazione del testo definito del Patto di Omar[5], ma, comunque, il suo spirito segnò fin dalle origini la modalità delle relazioni islamiche con le minoranze cristiane ed ebraiche nei territori conquistati dall’islam.

«Nell’elaborazione successiva, la “Carta di Omar” gioca un po’ il ruolo di testo fondatore [...] Ogni volta che l’autorità interviene per far rispettare i doveri della dhimma, è a questa Carta che si farà riferimento, sia all’epoca degli Abbassidi, sia a quella dei Fatimidi o a quella dei mamelucchi. Ancora ai nostri giorni, alcuni assertori di un Islam autentico non mancano di reclamarne l’applicazione. Parallelamente alla Carta, l’altro testo fondatore concernente i rapporti con “gli uomini delle Scritture” è il versetto 29 della sura 9, che dona ai dhimmīs la scelta tra la guerra ed una condizione discretamente umiliante. Certo, se si tratta dei cristiani, il Corano contiene numerosi altri versetti più amabili a loro riguardo (2,62; 5,69 e 82, per esempio), ma essi sono generalmente considerati come abrogati da 9,29»[6].

Si può dire che il Patto di Omar, almeno fino al XIX secolo compreso, è il testo che ha fornito quella che è stata ritenuta la corretta interpretazione del testo della Sura coranica IX, 29, ritenuto testo chiave per le relazioni fra musulmani e le cosiddette “genti del Libro”: «Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo[7], e siano soggiogati».

La jizya per i dhimmi venne abolita solo negli ultimi anni dell'impero ottomano, al termine del califfato turco. Non venne ripristinata nei diversi stati arabi che nacquero dopo lo sfascio ottomano e dopo il ben più breve periodo coloniale, di modo che, ad esempio, gli stati del Maghreb (dalla Tunisia, all'Algeria, al Marocco), non impongono più una tassa ai non musulmani come è sempre avvenuto nella storia dell'Islam, ma proseguono nel controllo della libertà di parola dei cristani, nel controllo di chi eventualmente desidera farsi cristiano, e talvolta anche oppongono resistenze quando si tratta di restaurare edifici cristiani che he hanno bisogno.   

Purtroppo, oggi nell’Islamic State il Patto di Omar viene nuovamente utilizzato, ogni volta che viene occupata una zona in Siria o Iraq, come è divenuto noto tramite la stampa, ad esempio, nel caso della cittadina di al-Kareten[8].

Note al testo

[1] «Imposta sulle persone prelevata sugli abitanti non-musulmani dei paesi musulmani. I giuristi l’hanno definita come una sorta di compensazione per la non-adozione dell’islam da parte di queste persone ed, in particolare, per la non partecipazione militare» (in Etudes Arabes.Dossiers, Al-Dhimma. L’Islam et les minorités religieuses, n. 80-81, 1991/1-2, Pontificio Istituto di studi arabi e d’islamistica, Roma, p. 5).

[2] (N.d.R.) ‘Abd al-Rahmâm bin Ganm, figlio di un compagno di Maometto. Era stato inviato in Siria dal califfo Omar. Sarebbe morto nell’anno 78 dell’egira.

[3] Così EI, II, 234, all’articolo Dhimma, ne da la definizione: «Dhimma è l’espressione araba che designa appunto una “sorta di contratto, indefinitamente rinnovato, per il quale la comunità musulmana accorda l’ospitalità-protezione ai membri delle altre religioni rivelate, a condizione che essi stessi rispettino la dominazione dell’Islam. Si chiamano dhimmīs i beneficiari della dhimma e ahl al-dhimma o semplicemente dhimma tutta la loro collettività» (in Etudes Arabes.Dossiers, Al-Dhimma. L’Islam et les minorités religieuses, n. 80-81, 1991/1-2, Pontificio Istituto di studi arabi e d’islamistica, Roma, p. 5).

[4] Traduzione di Giulia Balzerani dalla versione francese in Etudes Arabes.Dossiers, Al-Dhimma. L’Islam et les minorités religieuses, n. 80-81, 1991/1-2, Pontificio Istituto di studi arabi e d’islamistica (PISAI), Roma, pp. 8-11.

[5] Così B. Lewis, Gli ebrei nel mondo islamico, Sansoni, Firenze, 1991, p. 30: «La storia arcaica della dhimma, o più in generale la storia delle restrizioni imposte ai sudditi non musulmani tollerati dallo stato musulmano, è ben poco nota. La tradizione storiografica musulmana ascrive la prima formulazione di questi regolamenti al califfo ‘Umar I (634-644) e conserva quello che pare essere il testo di una lettera a lui indirizzata dai cristiani di Siria, indicante le condizioni in base alle quali essi erano disposti a sottomettersi – le limitazioni che erano pronti ad accettare e le punizioni delle quali si sarebbero resi passibili se avessero violato questi accordi. In base al racconto, quando la lettera fu mostrata al califfo, egli accettò le condizioni con due clausole aggiuntive. Benché il cosiddetto “patto di ‘Umar” sia stato spesso citato sia da autori musulmani che da autori dhimmī come la base legale delle relazioni fra le due parti, pare difficile che il documento sia autentico. Come A.S. Tritton ha fatto osservare, non è normale che i vinti propongano ai vincitori le condizioni della resa, e neppure è verosimile che i cristiani siriani del settimo secolo, che non conoscevano l’arabo e non praticavano lo studio del Corano, fossero in grado di riprodurne tanto fedelmente la lingua e le disposizioni. Alcune delle clausole riflettono chiaramente gli sviluppi di un periodo successivo, e non è improbabile che in questo, come in molti altri aspetti della più antica storia amministrativa musulmana, determinate misure che furono introdotte o messe in atto dal califfo omayyade ‘Umar II (717-720) siano stati ascritti da una pia tradizione al meno controverso e più venerabile ‘Umar I».

[6] Etudes Arabes.Dossiers, Al-Dhimma. L’Islam et les minorités religieuses, n. 80-81, 1991/1-2, Pontificio Istituto di studi arabi e d’islamistica (PISAI), Roma, p. 1.

[7] Il commento, preso a caso tra i tanti disponibili su Internet, a cura del Centro di Cultura Islamica - Moschea An-Nûr (La luce) di Bologna spiega: «“Il tributo” (jizya): è il tributo di capitolazione con il quale giudei e cristiani riconoscevano lo Stato islamico. Il pagamento della “jizya” conferiva loro lo status di “dhimmîy” (protetti) con il quale ottenevano il diritto di vivere in pace e in sicurezza nello Stato islamico. Ai tempi del Profeta, l'ammontare della “gizya” annua era pari a dieci dirham (circa 30 grammi d'argento) per ogni uomo adulto (donne, bambini, schiavi e poveri erano comunque esenti) e corrispondeva a dieci giorni di mantenimento alimentare]».

[8] Questa la forma del Patto di Omar che è stata utilizzata dall’Islamic State (da un commento di Mordechai Kedar pubblicato sul sito Informazione Corretta in data 12/9/2015):
«Lode ad Allah, Signore dell’Universo, che umilia l’eresia con la sua forza e dice nel Corano: “Combattete quelli che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, quelli che non ritengono illecito ciò che Allah e il Suo Messaggero hanno dichiarato illecito e, fra coloro cui fu dato il Libro, quelli che non professano la religione della verità. Combatteteli finché non pagheranno spontaneamente il tributo pro capite (Jizya), uno per uno, umiliati” (Corano: Sura Il Pentimento, capitolo 9, versetto 29).
“Noi testimoniamo che non c’è dio all'infuori di Allah, che mantiene la sua promessa, dà forza al suo esercito, sconfigge gli infedeli; non c’è dio all’infuori di Allah e noi siamo suoi servi, siamo fedeli a lui e alla sua religione, anche se gli infedeli la disprezzano". 
“Noi testimoniamo che Maometto è il suo servo e messaggero, possa Allah pregare per lui e concedergli la pace, lui [Maometto] che si fa beffe [dei timori ] della battaglia, il suo padrone lo ha mandato fra noi con la spada per servire solo il Signore, e fatto scendere su di lui i capitoli [del Corano] la “Guerra alla fitta schiera dei Frodatori”. 
“Noi testimoniamo che il Messia, Gesù figlio di Maria, non è che il servo e il messaggero di Allah, il suo verbo che Egli depose in Maria con lo Spirito che lui ha trasmesso, perché Allah ha detto nel Corano: “ Il Messia non disdegna di essere un servo di Allah, né lo disdegnano gli angeli che gli sono più vicini. Quelli che disdegnano di servirlo e sono orgogliosi, Allah li riunirà tutti insieme al suo cospetto” (Corano: Donne, capitolo 4, versetto 172). 
Lode ad Allah per il potere dell’Islam, per la gioia della forza [che Allah ha concesso ai musulmani], la gratitudine verso di Lui scorrerà fino al Giorno del Giudizio. Ecco la sicurezza concessa ai cristiani della regione di Damasco, nel quartiere di al-Kareten, dal servo di Allah, Abu Bakr el Baghdadi, Emiro dei credenti: egli assicura le loro persone e i loro beni, li rassicura che non sarà fatto nulla contro la loro religione, nessuno di loro sarà danneggiato.
Le condizioni di cui sopra sono le seguenti:

  1. Ai cristiani è vietato erigere un monastero o una chiesa, designare un’area in cui i sacerdoti tengano veglie solitarie in qualsiasi zona vicina alle loro città. 
  2. È vietato esibire un crocefisso in pubblico né alcuno dei loro libri, in uno dei luoghi frequentati dai musulmani, o nei loro mercati, né possono usare amplificatori durante le loro preghiere e cerimonie. 
  3. È vietato leggere i loro libri ad alta voce o suonare le campane dove i musulmani potrebbero sentire. È concesso loro suonare le campane all’interno della chiesa. 
  4. I cristiani devono astenersi da qualsiasi atto di aggressione nei confronti dello Stato Islamico, come l’ospitare spie e uomini ricercati dalle leggi dello Stato Islamico, e se sanno di eventuali complotti contro i musulmani, li devono immediatamente denunciare. 
  5. Devono evitare cerimonie religiose in pubblico. 
  6. Devono rispettare l’Islam e i musulmani ed è vietato loro esprimere qualsiasi opinione contro la religione musulmana. 
  7. I cristiani devono assolutamente pagare la jizya (imposta pro-capite) per ogni maschio adulto, per un importo di quattro dinari d'oro. Questo si riferisce al denaro gestito nel mondo degli affari, il cui peso è fissato in 4,25 grammi di oro puro. Questo tributo si riferisce ai ricchi, mentre gli appartenenti alla classe media pagano la metà e i poveri un quarto. E’ loro vietato nascondere i beni e sono autorizzati a due pagamenti per anno. 
  8. Ai cristiani è proibito possedere armi da fuoco. 
  9. È loro vietato il commercio di suini e di vino con i musulmani o al mercato. Non possono bere alcolici in pubblico, o in luoghi pubblici. 
  10. Sono consentiti i loro i cimiteri, com’è consuetudine. 
  11. Devono essere attenti ad ottemperare alle regole (generali) stabilite dallo Stato Islamico, come quella di indossare abiti modesti, le leggi sull’acquisto e sulla vendita, ecc.
    Se vivono secondo queste condizioni, avranno il privilegio di vivere sotto la tutela di Allah con la protezione di Maometto, possa Allah pregare per lui e concedergli la pace, e questa protezione comprende persone, beni e proprietà. Non dovranno pagare tasse sui loro beni a meno che non importino denaro e trattino affari fuori dai confini dello Stato Islamico. È vietato imbrogliare e non devono essere truffati. Nessuno di loro sarà punito per le malefatte di un altro. Possono restare sotto tutela, Allah pregherà per la loro protezione e concederà loro la pace fino al giorno in cui porterà la sua parola [nel giorno del giudizio], a condizione che aderiscano attentamente alle condizioni contenute nel presente documento. Se non seguiranno qualche parte di ciò che prevede, non avranno più la protezione e lo Stato Islamico potrà fare loro ciò che è lecito fare ai miliziani nemici e agli oppositori.
    Firmato: Domenica 15/11/1436 (anno dell’Egira), 30/8/2015 (anno Gregoriano ) Sigillo dello Stato islamico, Ministero della Giustizia».