«Raccontami una storia, o ti ammazzo!». La cornice narrativa delle Mille e una notte, di Andrea Lonardo. A partire da una nota introduttiva all’edizione Einaudi di Tahar Ben Jelloun

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 /02 /2016 - 21:44 pm | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Il Centro culturale Gli scritti (7/2/2016)

«“Raccontami una storia, o ti ammazzo!” Il punto di partenza delle Mille e una notte è questo. Shehrazade inventa le sue storie a rischio della vita, o più esattamente per salvare la pelle. Il silenzio, la mancanza di immaginazione, l'assenza di fantasia o di astuzie potrebbero aprire per lei la porta della morte. Allora, per non morire, per non subire la stessa fine delle belle e giovani ragazze che l'hanno preceduta, che il re aveva convocato per soddisfare il proprio piacere prima di tagliar loro la testa, Shehrazade fa ricorso non alla piccola astuzia di una ragazza smaliziata, ma a un lungo, pericoloso stratagemma colmo di sorprese e di invenzioni, a una sfida difficile»[1].

Così Tahar Ben Jelloun racconta della cornice letteraria de Le mille e una notte, cornice estremamente peculiare, basti pensare ad altre ipotesi di cornice come quella totalmente diversa del Decamerone nel quale i giovani di Boccaccio si raccontano storie per “ingannare” il tempo che sono costretti a trascorrere in campagna dove si sono rifugiati per sfuggire alla peste.

E tale cornice è voluta dall’autore anonimo de Le mille e una notte, nonostante il libro si apra con una lode ad Allah:  

«In nome di Dio misericordioso e clemente.
Lode a Dio signore dei mondi, benedizione e salute al Principe dei Profeti, al nostro signore e patrono Muhammad cui Dio doni benedizione e salute continue, incessanti fino al dì del giudizio! Le gesta degli Antichi servano da esempio alle generazioni seguenti affinché l’uomo vegga gli eventi ammonitori capitati agli altri, e ne tragga ammonimento, e, leggendo la storia delle genti passate, ne ricavi un freno salutare. Lode a Colui che delle storie degli Antichi ha fatto un esempio ai posteri! Di tali narrazioni esemplari sono i racconti detti
Mille e una notte, con le meravigliose avventure e gli apologhi in esse contenuti»[2].

Il re ha deciso la morte, dopo il sesso, di un ragazza per notte, dal momento che ha sorpreso la moglie che lo tradiva e dal momento che il fratello del re, a sua volta, è stato tradito dalla moglie: le donne del regno sono così condannate a morte una dopo l’altra, una per notte.

Le origini de Le mille e una notte sono antichissime. Se ne ha notizia per la prima volta in due scrittori arabi del X secolo, Masudi e l’autore del Fihrist, ma i due autori arabi potrebbero aver attinto a loro volta da una raccolta iranica con titolo persiano (forse, a sua volta, con precedenti nella penisola indiana).

Certo è che la raccolta si ampliò con nuovi racconti sorti in ambiente arabo-musulmano e riemerse nell’Egitto, in particolare nell’Egitto mamelucco del XII secolo. Fu tale versione ad essere portata poi alle stampe nel settecento da Antoine Galland.

La storia letteraria de Le mille e una notte è comprovata dal fatto che i riferimenti geografici dell’opera sono tutti in Siria e in Egitto e che essa è scritta in arabo letterario[3].

Tahar Ben Jelloun, nel suo scritto introduttorio Le mille e una notte. Raccontami una storia, o ti ammazzo!, spiega:

«“Raccontami una storia, o ti ammazzo!” Il punto di partenza delle Mille e una notte è questo. Shehrazade inventa le sue storie a rischio della vita, o più esattamente per salvare la pelle. Il silenzio, la mancanza di immaginazione, l'assenza di fantasia o di astuzie potrebbero aprire per lei la porta della morte. Allora, per non morire, per non subire la stessa fine delle belle e giovani ragazze che l'hanno preceduta, che il re aveva convocato per soddisfare il proprio piacere prima di tagliar loro la testa, Shehrazade fa ricorso non alla piccola astuzia di una ragazza smaliziata, ma a un lungo, pericoloso stratagemma colmo di sorprese e di invenzioni, a una sfida difficile.

Raccontare storie non è affare da poco. È sempre stato un rischio, un'avventura che va aldilà del semplice piacere di trascorrere il tempo. Più precisamente, deve riuscire a far passare il tempo in modo che l'ascoltatore si addormenti nel momento in cui appare la luce del giorno.

L'accordo stabilito tra la giovane e il re, che vuole compiere la sua vendetta togliendo ogni notte la vita a una ragazza nella speranza di dimenticare il tradimento della sua sposa, la regina, prevede che l'esecuzione venga rinviata qualora sopraggiunga il giorno. In effetti è una corsa contro l'orologio, una corsa contro il tempo, un modo di rimandare la morte. E per venirne fuori non c'è migliore artificio che lasciare il racconto incompiuto. Lasciare le cose in sospeso è l'unica possibilità per salvarsi.

Restare in vita raccontando storie. Tutti gli scrittori potrebbero essere dei condannati a morte; per questo scrivono. Finché producono storie inventate si assicurano la sopravvivenza, fisica e materiale, e più ambiziosamente si prefiggono di lasciare una traccia dopo la morte. Qualcuno scrive per non impazzire, altri perché non possono farne a meno. Shehrazade racconta storie perché non le sia tagliata la testa dal boia del re. Una ragione abbastanza valida per evocare parole e immagini e metterle insieme in una trama di favole e di bugie.

Così Shehrazade non soltanto inventa il principio stesso della narrazione, il principio del racconto ininterrotto che intriga l'uditore e lo mette in stato di attesa e di curiosità, ma apre le porte della fiction, sia essa letteraria, teatrale o cinematografica, per non parlare dei serial televisivi che di questo principio hanno conservato soltanto l'ossatura e il congegno. Se i produttori di serial televisivi rischiassero la vita, farebbero film di gran lunga migliori, mentre al massimo rischiano il danaro altrui.

La letteratura è un baluardo contro la morte. Non solo la nostra, ma quella di tutta l'umanità. Una società senza letteratura sarebbe una società in cui non si manifestano problemi, quindi senza immaginazione. Impossibile. Una società felice, assolutamente felice, che abbia risolto tutti i problemi, non esiste. La fiction che circola è segno di vita, cioè di un'esistenza tumultuosa sulla quale aleggiano la morte e il mistero»[4].

La cornice letteraria e le riflessioni sul ruolo eterno della letteratura non no però il fatto che le mille e una storie non sono ambientate in un mondo libero e sensuale:

«Non appena sorge qualche incomprensione, si evoca il mondo favoloso, meraviglioso e incantatore di quei racconti. Grave errore. Perché le storie che racconta questo libro non sono sempre meravigliose. Spesso sono crudeli, macabre, dure, razziste, e soprattutto misogine. Il razzismo nelle Mille e una notte esiste senza nessun complesso. Doveva sembrare del tutto naturale a quell'epoca.

Era l'epoca degli schiavi, degli harem sorvegliati da eunuchi, e delle donne prive del diritto di parola. Era l'epoca in cui molti popoli erano tenuti in stato di sottomissione da potenze occidentali, epoca dell'arbitrario e del dispotismo.

In tutto il libro i negri sono considerati una sottospecie umana, sessualmente perversa, di cui diffidare (d'altra parte la regina ha tradito il re con degli schiavi negri nei quali trovava una potenza sessuale che non aveva confronto con quella del marito bianco). Gli ebrei sono disprezzati. Quanto alle donne, esse hanno aspetti contraddittori. Talvolta si mostrano deboli o fingono di esserlo, si presentano come streghe, diavolesse, infedeli e rabbiose. Altrove sono intelligentissime, scaltre, di temperamento forte e potente, oppure buone e raffinate.

Per lo psicanalista algerino Malek Chebel, le Notti sono un'iniziazione ai misteri della carne. Egli richiama il versetto coranico (Sura XII, 28): “Immensa è la vostra astuzia, o donne!”»[5].

Ma, proprio per questo, il raccontare di Shehrazade ha un intento catartico, è lo sforzo compiuto da una donna che riesce ad emanciparsi attraverso la letteratura in un mondo altrimenti senza vera libertà e speranza:

«Così la figlia del visir di Chahzeman, Shehrazade, si sacrifica per far cessare il massacro delle ragazze. Mette in gioco la sua vita per salvare tutta una generazione. Ci riuscirà. Sedurrà l'orribile re che la sposerà. Lui ammetterà di essere vinto e riconoscerà i talenti e il coraggio di quella fanciulla, che non soltanto è riuscita a salvare la pelle, ma anche a umanizzare un mostro. Ci si potrebbe porre la questione dell'astuzia suprema: come sottomettere un despota sanguinario fino a farsi sposare da lui. Trasformarlo. Il sogno impossibile è questo. Shehrazade dunque è riuscita dove tutti hanno fallito.

È una vittoria delle donne? Il libro prende l'avvio dal tradimento delle spose del re e di suo fratello. Il visir Chahzeman e il re suo fratello hanno appena voltato le spalle alle proprie mogli (per una partita di caccia o per un breve viaggio) che loro decidono di tradirli con alcuni schiavi negri. Un classico. La reazione è proporzionale all'umiliazione. Di qui la loro volontà di farla finita con il genere femminile senza però rivolgersi a un tipo diverso di sessualità. Saranno invece le donne a rivelare la loro omosessualità a certi uomini. Quando appare, raggiante di bellezza, una donna che esce da un forziere portato da un genio malizioso e li irride dicendo: «Noi donne riusciamo a ottenere tutto ciò che vogliamo», gli uomini decidono non soltanto di diffidare di loro ma di abusarne e poi sterminarle. Cosa fa Shehrazade? Mette in pratica l'affermazione della donna uscita dal forziere. E ci riesce.

Ne derivano due insegnamenti. Il primo di ordine letterario: l'invenzione del racconto senza fine. Il secondo di ordine sociale: l'origine della lotta delle donne, l'inizio di quello che più tardi sarà chiamato femminismo»[6].

Note al testo

[1] Le mille e una notte, a cura di Francesco Gabrieli, con uno scritto di Tahar Ben Jelloun, vol. I, Einaudi, Torino 2006, p. XV.

[2] Le mille e una notte, a cura di Francesco Gabrieli, con uno scritto di Tahar Ben Jelloun, vol. I, Einaudi, Torino 2006, p. 3.

[3] Cfr. su questo la Prefazione di Francesco Gabrieli all’edizione già citata: Le mille e una notte, a cura di Francesco Gabrieli, vol. I, Einaudi, Torino 2006.

[4] Tahar Ben Jelloun, Le mille e una notte. Raccontami una storia, o ti ammazzo!, in Le mille e una notte, a cura di Francesco Gabrieli, vol. I, Einaudi, Torino 2006, pp. XV-XVI.

[5] Tahar Ben Jelloun, Le mille e una notte. Raccontami una storia, o ti ammazzo!, in Le mille e una notte, a cura di Francesco Gabrieli, vol. I, Einaudi, Torino 2006, p. XVII.

[6] Tahar Ben Jelloun, Le mille e una notte. Raccontami una storia, o ti ammazzo!, in Le mille e una notte, a cura di Francesco Gabrieli, vol. I, Einaudi, Torino 2006, pp. XVII-XVIII.