“Il figlio da se stesso non può fare nulla” [Cosa è l'educazione di un figlio e cosa è la testimonianza], di Giacomo Tantardini

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 31 /03 /2016 - 17:00 pm | Permalink | Homepage
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Pubblichiamo alcuni brani da una meditazione di don Giacomo Tantardini sul libro di don Luigi Giussani “Si può vivere così?”, meditazione tenuta il 19/11/2008 e pubblicata su sito http://piccolenote.ilgiornale.it/27840/il-figlio-da-se-stesso-non-puo-fare-nulla il 23/3/2105. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr,. la sezione Catechesi, scuola e famiglia.

Il Centro culturale Gli scritti (31/3/2016)

A pagina 118 volevo rileggere queste frasi, queste righe di Giussani. Sta parlando dell’ubbidienza che nasce dall’attrattiva sua, dall’attrattiva di Gesù: «se mi amate – dice Gesù – osservate i miei comandamenti». È anche un comando, ma prima di essere un comandamento è una constatazione. L’osservanza dei suoi comandamenti nasce dal fatto che gli si vuole bene: «se mi amate osservate i miei  comandamenti». Come la grazia di una corrispondenza che quasi senza accorgersi diventa ubbidienza. Perché così si gioca il mistero della libertà. Pag. 118:

Sono stati con Lui. Badate: non dalla sua parte; non si può dire soltanto «dalla sua parte», come se avessero approvato quello che Lui diceva, non hanno detto: «approviamo quello che tu dici», perché non capivano neanche loro; ma «con Lui» sì. Hanno seguito Lui, hanno aderito a Lui, nonostante che non capissero. Mi spiego? Hanno seguito Lui [così nasce e così rimane e così vive la vita cristiana: hanno seguito Lui. E seguendo Lui poi, poi, quelle parole sono diventate luminose e piene di realtà. Anche le sue parole! Ma seguendo Lui; seguendo Lui anche le sue parole sono diventate luminose e piene di realtà]”.

[…] 

E poi a pagina 124 dà il suggerimento:

“Capire le cose [vuol dire anche il vangelo] che uno dice esige il minimo di fatica che si possa concepire [non esige una grande fatica, esige il minimo di fatica che si possa concepire], esige semplicità, esige di avere il cuore da bambino; e stare attenti a come lui le fa [come Gesù fa le cose] esige anche questo una curiosità da bambini [esige di avere il cuore da bambino. E stare attenti a come Gesù fa – per esempio leggendo il vangelo – esige anche questo una curiosità da bambino]”.

Allora iniziamo leggendo alcuni brani. Innanzitutto proprio l’inizio del capitolo quinto di Giovanni:

 [Inizia a leggere e spiegare il brano della guarigione del paralitico alla Piscina probatica… ]

Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: «È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina». Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse”. 

Questa è una delle cose più belle del vangelo di Giovanni – anche nel miracolo del cieco nato, il cieco nato non sapeva –, perché prima viene la realtà e poi il nome. Prima accade qualcosa, poi diventa interessante anche il nome. È questo che accade anche nei bambini: che prima c’è la realtà del papà e della mamma. Prima del nome! Questo accade anche nell’esperienza cristiana: prima viene la realtà, prima viene la realtà della grazia che attrae e poi il nome, poi si domanda il nome. 

[…]

Ma Gesù rispose loro [e qui inizia il dialogo su quale testimonianza Gesù ha, su quale testimonianza Gesù dona. Per dire quello che dice, che è il Figlio di Dio, che testimonianza dà per dire quello che dice. Tutto il capitolo quinto potrebbe essere letto così: quale testimonianza dà. Anche perché così si può intuire qual è la testimonianza dei suoi, dei discepoli, qual è la testimonianza dei cristiani]: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero» [tutte le parole che poi dirà è per dire che anche lui opera ciò che il Padre gli dona di operare; perché lui da sé non opera, il figlio da sé non può fare nulla. Lui quello che fa è ciò che il Padre gli dona di compiere].

Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù riprese a parlare e disse [e qui è il versetto, uno dei versetti che mi sono più cari di tutto il vangelo]: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla [il Figlio, Gesù, da sé non può fare nulla. Lui, Figlio Unigenito, da sé non può fare nulla. Nella sua umanità ha reso evidente il mistero eterno che il Figlio tutto riceve dal Padre. L’avere un cuore mite e umile, nel suo cuore umano, il cuore che gli ha donato sua madre Maria, nel suo cuore umano mite e umile ha fatto intravedere il mistero eterno del Figlio che riceve tutto dal Padre. Il Figlio da sé non può fare nulla ] se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa [quello che il Padre fa], anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati [ma questo che il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre, come è bello. Perché in questo, in questo!, lo possiamo imitare. Anche noi. «Voi senza di me non potete fare niente», così Gesù ai suoi nel giovedì santo: «voi senza di me non potete fare niente».

In questo non poter far niente se non quello che vediamo fare imitiamo perfettamente Gesù: «anche il Figlio da sé non può fare niente se non quello che vede fare dal Padre». Quando dice che solo i bambini entrano nel regno dei cieli in fondo parlava di se stesso. Il figlio di Dio come un bambino che fa quello che vede fare dal padre]. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole; il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso [ha dato] ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. … [Poi dice al versetto 30:] Io non posso far nulla da me stesso [ripete ancora!]; giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. [E poi inizia il brano della testimonianza:] Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera [e così anche noi. Non siamo noi che diamo testimonianza. Non siamo noi.

La testimonianza è quello che il Signore opera in noi. E così la testimonianza che Gesù dà sono le opere che il Padre gli dona da compiere. Le opere che il Padre gli dona da compiere rendono testimonianza: che il Padre lo ama e che lui ama il Padre. E così noi. La testimonianza che possiamo dare è ciò che Gesù dona da compiere. La testimonianza che il cristiano dà è ciò che il Signore, che la grazia del Signore, opera nella sua vita; secondo una delle frasi più belle di Giussani detta qui a Roma, secondo me in una delle cose più belle che ha fatto Giussani, nell’aula magna del Laterano nel marzo ’79: “noi rendiamo presente Cristo attraverso il cambiamento che egli opera in noi. È il concetto di testimonianza”.

Così Gesù testimonia il Padre attraverso le opere che il Padre gli dona di compiere. È il concetto di testimonianza. Se è un’iniziativa nostra testimoniamo solo noi stessi. Testimoniamo solo noi stessi e il vuoto in cui viviamo, come intuiva Cesare Pavese: la peggiore delle insincerità. Il darsi da fare per gli altri normalmente è la peggiore delle insincerità]; ma c’è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace. Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo [come è bello questo: io non ricevo testimonianza da un uomo. Sarebbe solo l’evidenza di una mancanza. Di una mancanza!, non di una presenza]; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza più grande di quella di Giovanni: [qual è la sua testimonianza?] le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato [«le opere che il Padre mi dona – quelle opere che io faccio perché me le dona il Padre, perché io da me non posso fare niente –, quelle opere che mi dona il Padre testimoniano che il Padre mi ha mandato»].

[…]