La preghiera “Che la terra ti sia lieve” e il patchwork. Breve nota di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /12 /2016 - 15:15 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati:
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.

Il centro culturale Gli scritti (11/12/2016)

Iscrizione latina con al centro S-T-T-L ,Sit tibi terra levis, 
con l'ancora segno del raggiungimento della vita eterna

Taluni ritengono di dover dire ai morti: “Che la terra ti sia lieve”. Tale saluto era tipico dei credenti pagani del mondo ellenistico latino che accompagnavano le anime dei loro morti nel loro viaggio verso l’aldilà pregando che la terra non “pesasse” su di loro (Sit tibi terra levis, STTL), perché sapevano che essi erano ancora vivi, altrimenti non avrebbe avuto senso chiedere alla terra di essere lieve a qualcuno che non poteva più provare alcun sentimento.

“Che la terra ti sia lieve” è la preghiera non di un ateo, bensì di un credente “politeista” che sa, nel fondo del cuore, che le anime sono immortali – i pagani erano credenti, non atei e, poiché credenti, utilizzavano preghiere come questa.

Similmente Jacopo Fo, al funerale del padre Dario, ha voluto ricordare che il papà continuava a parlare con la moglie dopo che quest’ultima era morta. E che un loro amico che aveva perso il figlio, Papo, continuava a scrivergli ogni giorno una lettera.

Gli atei a volte, insomma, credono nella sopravvivenza delle anime dei morti (“siamo un po’ animisti” - afferma Jacopo Fo).

Queste le parole del figlio di Dario Fo al termine del funerale a Milano: «Qualche compagno mi ha chiesto: perché mettete quella canzone “Stringimi forte i polsi dentro le mani tue”? Questa è una canzone che mio padre scrisse per mia madre, e lui ha chiesto proprio che fosse suonata questa canzone. Noi siamo comunisti e siamo atei, però mio padre non ha smesso di parlare con mia madre, non ha smesso di chiederle consiglio, per cui siamo anche un po’ animisti, perché non è credibile che uno muore veramente, dai. Si fa per dire, no? E sono sicuro che adesso sono lì, insieme. E tra i tanti messaggi che abbiamo ricevuto ce n’è uno che a me ha commosso, è di un padre di un amico, che ha perso il figlio piccolo da poco. Papo. E questo amico sta scrivendo ogni giorno una lettera, a questo bimbo. E ieri gli ha scritto una lettera raccontandogli chi era Dario Fo. E allora mi piace pensare che adesso mia mamma, mio papà, sono lì insieme a Papo e si fanno delle gran risate. Grazie compagni, grazie».

Questo aspetto fideistico e non razionale presente in diversi atei è curioso, interessante e vero – e li rende più umani.

È come se essi trattassero la fede come un patchwork - il patchwork (il termine significa letteralmente “lavoro con le pezze”) è un lavoro tessile che risulta dalla giustapposizione di pezzi di disegno e colori diversi cuciti insieme. In un patchwork composto da diversi quadrati di stoffe diverse io posso tagliar via un quadrato e sostituirlo con uno differente, perché i diversi pezzi non hanno un legame armonico fra di loro.

Similmente questo genere di atei “amabili” dicono di non credere in Dio (cioè, seguendo il filo dell’immagine del patchwork, tagliano via la pezza con su scritto “credo in Dio”) ma poi pregano chiedendo “che la terra sia lieve” per l’anima del defunto o immaginando i defunti dialogare fra di loro (cioè mantengono la pezza con su scritto che esiste una qualche sopravvivenza dell’anima che impedisca di giungere ad affermare crudamente che i loro cari non ci sono più e non ha, quindi, alcuna importanza che la terra sia o non sia lieve).

Perché l’amore per i propri cari è richiesta di eternità: Gabriel Marcel ha scritto che «dire ti amo a una persona significa dirle: Tu non morirai mai!».

In maniera meno fideistica di tale prospettiva e più conformemente alla ragione, i cristiani riconoscono che la fede in Dio e la fede nella vita che prosegue dopo la morte non sono due pezze di un patchwork scomponibili a piacimento.

Se veniamo dal caos della materia e dell’energia e se Dio non esiste, allora, appena morti, non esistiamo più, la terra non ci è né lieve, né pesante, né possiamo parlare con altri morti o pensare ai vivi: se tolgo la pezza con su scritto “credo in Dio”, allora debbo necessariamente affermare che non è data all’uomo alcuna possibilità di sopravvivenza dopo la morte, perché l’anima non esiste, noi siamo solo materia e la vita è irrimediabilmente finita. Solo se Dio c’è, posso pregare che “la terra sia lieve” e immaginare sensatamente un dialogo misterioso fra i vivi e i morti. Dio e la sopravvivenza dopo la morte sono due aspetti della stessa realtà.

Vale anche il reciproco, perché c’è anche chi dice di credere in Dio, ma non nella sopravvivenza delle anime. Ma se Dio c’è, infatti, ed è lui ad averci fatti, può averci fatti perché diventassimo un giorno solo vermi e cenere? No! Se Dio ci ha voluti, ci ha voluti, lui che tutto può, per l’eternità.

La fede in Dio e la fede nella vita eterna sono inseparabili. Allo stesso modo l’ateismo è inseparabile dall’idea che la vita abbia una fine senza scampo una volta che si è morti.