1/ Il ritorno moderno della retorica, di Fabrice Hadjadj 2/ Se il Dio Risorto ci ricorda la forza (no ogm) del seme, di Fabrice Hadjadj

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 23 /04 /2017 - 22:29 pm | Permalink | Homepage
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1/ Il ritorno moderno della retorica, di Fabrice Hadjadj

Riprendiamo da Avvenire del 9/4/2017 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.

Il Centro culturale Gli scritti (23/4/2017)

Il talento retorico a volte non ha prezzo. Per esempio, se hai commesso un crimine, e ti processano, esso ti permette di convincere i giudici che sei effettivamente colpevole e che meriti un castigo esemplare. Oppure, se sei attirato da una donna che non è la tua, ti fa trovare le parole dolci e giuste che la costringeranno irresistibilmente a non sottostare alle tue voglie e a respingerti il più lontano possibile.

È quanto spiega Platone nel Gorgia. L'arte di persuadere ha valore soltanto se è ordinata alla verità e al bene, altrimenti il suo potere diventa un'impotenza, come l'avere un revolver e non sapersene servire, se non sparando a casaccio su qualsiasi cosa e specialmente su sé stessi o sui propri familiari.

La lezione di Aristotele sullo stesso argomento è leggermente differente: «Non è esatto dire, come fanno alcuni di quelli che si sono occupati di retorica, che la probità dell'oratore non contribuisce in nulla a produrre la persuasione; al contrario, è dal carattere morale che il discorso trae la sua forza di persuasione più grande».

In materia di testimonianza, l'ingenuità, l'evidente sincerità di chi parla sono più eloquenti di tutte le abilità dell'eloquenza. Niente è più persuasivo dell'apparire come un uomo semplice e buono, e non come un seduttore. La virtù rende più fiduciosi di quanto non faccia la virtuosità.

Oltre un certo livello, del resto, la virtuosità diventa controproducente. La sovrabbondanza di figure di stile, come sulle montagne russe, comincia con il suscitare una piacevole vertigine e finisce per dare la nausea. La bocca d'oro si trasforma in bocca impastata. Il brio offusca la luce.

Una sera, dopo una conferenza pubblica nella quale – la mia modestia stessa mi ordina di confessarlo – ero stato un oratore particolarmente bravo, un amico emise questo verdetto abbastanza rude: «Sei stato talmente brillante che mi sono detto che avresti potuto difendere altrettanto bene la tesi contraria…». Gli oratori più abili nella retorica tengono conto di questo genere di inconveniente.

Sapendo che «tutta l'eloquenza si riduce a commuovere» (In flectendo vis omnis oratoris – Cicerone), essi hanno l'accortezza di inserire qualcosa di maldestro, fingere un'emozione, manipolare i toni del patetico per sembrare sensibili e spontanei: un brusco cambiamento di tono come per fare una confidenza, il tremito nella voce, il balbettamento, l'improvviso mutismo, le lacrime…

Il logos, l'ethos e il pathos non sono più le dimensioni fondamentali della vita umana, ma gli ingredienti di una ricetta. Bruno Giussani, direttore di TED Europa, lo riconosce suo malgrado: «Non c'è un metodo specifico per parlare in pubblico. La chiave del successo, è l'autenticità». Frase che afferma il primato del vero, ma subordinandolo al successo della comunicazione, al punto che anche la critica dei procedimenti della retorica può diventare un procedimento retorico.

Il divertente «How to sound smart in your TEDx talk» smaschera così i trucchi di queste presentazioni che si moltiplicano su YouTube; ora, succede che questo sketch è diffuso su YouTube ed è dato nel quadro di un conferenza TED a New York.

È probabile che il mio lettore non sappia cosa sia TED. Questo acronimo che pare un nome simpatico nasconde le parole Technology, Entertainment and Design. La santa trinità postmoderna, in qualche modo. È gestita dalla fondazione Sapling, (parola che vuole dire “giovane albero”) e il suo scopo non lucrativo, che frutta decine di milioni di dollari, è offrire una «piattaforma per i thinkers i più intelligenti, i visionnaires migliori e i professori più inspiring affinché milioni di persone possano acquisire una comprensione più profonda dei più grandi problemi che il mondo deve affrontare e il desiderio di collaborare alla creazione di un avvenire migliore».

Sotto il motto «ideas worth spreading – idee che meritano di essere diffuse», la fondazione organizza le conferenze TED e rilascia il suo marchio e i suoi metodi alle imprese che pagano per sposare il suo formato «meno di 18 minuti per convincere», molto vicino allo stand-up degli umoristi.

I TED talks proliferano ormai più dei funghi. Alcuni parlano di un “McDonalds dello scibile” o di un “capitalismo cognitivo”, con un tasso di crescita annuo del 56%. Il sociologo Stéphane Hugon giudica che tale espansione si fonda essenzialmente sull'«abbassamento di credibilità delle istituzioni classiche come la scuola, lo stato e la chiesa, grandi perdenti della postmodernità».

L'attuale direttore di TED, Chris Anderson, aveva in precedenza lanciato la rivista “PC gamer” e anche l'enorme sito di videogiochi ign.com. Oggi pubblica Il migliore discorso della tua vita. Come imparare a parlare in pubblico. Per lui, prender la parola è come una presa di judo che mette l'interlocutore a terra; e ovviamente la parola deve difendere l'innovazione tecnologica e la «nuova rivoluzione industriale» (titolo di un altro dei suoi libri).

Diffondere le idee su scala mondiale attraverso Internet e nella forma di un one-man-show è, in se stessa, un'idea abbastanza discutibile. Essa celebra nel nome dello scibile le nozze della Tecnologia e del Divertimento. Soprattutto essa tende ad escludere la discussione, poiché la sua forma è quella del monologo, la lunga e lenta meditazione di un opera maestra, un pensiero il cui sviluppo supera un terzo
della durata di un episodio di una serie americana.

Infine, attraverso la figura del conversatore solitario in scena che conquista il suo pubblico, essa esalta l'immagine liberale dell'auto-imprenditore. E tuttavia questo modo di promuovere le tecnologie dà atto dell'inferiorità rispetto a una tecnica molto antica, quella della buona vecchia retorica. Le innovazioni ci allettano soltanto grazie a questa tradizione.

Anderson stesso lo ammette: «Viviamo un autentico rinascimento della parola in pubblico. Dato che i discorsi possono attirare adesso un pubblico mondializzato, gli speakers innovano in molti modi diversi. Ma tutto ciò sfrutta qualcosa di primordiale che risale agli antichi raggruppamenti intorno ai fuochi».

Così l'elogio delle nuove tecnologie dipende da risorse che provengono del paleolitico. Ed è subordinato a un'arte che rimonta alla più profonda antichità. Per persuadere che l'avvenire sta nell'intelligenza artificiale, è ancora necessario questo corpo umano che parla, si agita, commuove, credibile e incredibile, naturale nei suoi artifici. Ci vogliono dunque i talenti di Demostene.

2/ Se il Dio Risorto ci ricorda la forza (no ogm) del seme, di Fabrice Hadjadj

Riprendiamo da Avvenire del 16/4/2017 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.

Il Centro culturale Gli scritti (23/4/2017)

La Risurrezione di Cristo Lo porta al di là delle nostre condizioni di spazio e di tempo. Quaranta giorni dopo Pasqua, Egli scompare tra le nuvole. Tuttavia il suo nascondimento non è un'evasione. È un'investitura: Colui che è disceso, è lo stesso che è salito al di sopra di tutti i cieli, affinché riempisse ogni cosa (Ef 4, 10).

La sua gloria si riverbera su ogni creatura, anche la più piccola. Certo, se vivere non fosse un bene, risuscitare non sarebbe bene: al contrario, malgrado i nostri dubbi, o piuttosto, attraversando i nostri dubbi più orribili, la risurrezione afferma la bontà della vita, anche la più semplice.

Ma ancor di più, essa svela anche nella vita più elementare, quella della pianta, il movimento stesso del Triduo pasquale: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). La Verità in persona rimanda alla verità del chicco di grano.

Il linguaggio della Croce e della Risurrezione non sta rinchiuso nei sermoni e nelle summae: la creazione tutta intera ne parla. E Gesù non può trattenersi dal tornarci su, prendendo spunto dal più piccolo per parlare del più grande, suggerendo che lo slancio verso la gloria è nel profondo dell'essere, di qualsiasi essere: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami» (Mt 13, 32 33).

Pasqua viene in primavera. È il tempo dei fiori e del polline, seme prima del seme. I pioppi lo fanno cadere come neve. Cavalca le api. Scivola sul vento. Bruscamente il vicino si mette a starnutire. Il polline si servirà del suo raffreddore per avventurarsi ancora più lontano. Sferico o ovale, talvolta poliedrico, talvolta stellato, di strutture e colori diversi: così ce lo mostrano i microscopi.

Per la nostra percezione quotidiana, esso si trova alla frontiera tra il visibile e l'invisibile. Ed è su questa frontiera che il polline ricerca la gloria e la fruttificazione. Una ricerca che passa attraverso le stigmate. Questo è il nome che la scienza botanica dà all'orifizio della pianta, alla parte superiore del pistillo: il nome delle piaghe del Risorto. Più del polline, i semi si offrono all'occhio nudo.

Fin da subito, già prima della piena manifestazione delle specie, essi presentano un'innumerevole ricchezza di forme e di azioni. Il seme dell'orchidea è minuscolo, alcuni microgrammi; quello della palma delle Seychelles pesa fino a venti chili. È rotondo per il cavolo, ammaccato per il ciclamino, appiattito per la zucca, a forma di cuore per la liana amazzonica, peloso per il pomodoro, nero che con l'umidità diventa blu per il basilico, decorato con motivi degni di una chiesa barocca per il ricino, bianco e duro come l'avorio per il phytelephas equatoriale, tanto che se ne fanno gioielli e tasti di pianoforte…

E questa screziatura visiva non deve farci dimenticare la molteplicità dei sapori della noce, della nocciola, della mandorla, del sesamo, del lino, del pinolo, del cece che si chiama anche "carne dei poveri", delle lenticchie per le quali Esaù vendette il suo diritto di primogenitura, delle carrube che spinsero il figliol prodigo a tornare da suo padre…

Perché una tale profusione di semi, ciascuno, per così dire, col suo volto e perfino col suo progetto? Perché questa profusione porta con sé la strategia di diffusione. La samara dell'acero prefigura l'elicottero. Il "pappus" del dente di leone inventa il paracadute. Gli uncini della bardana ispirano il velcro. Certi semi scelgono un volo in prima classe: approfittano del tubo digestivo degli uccelli per cominciare a germogliare, delle loro ali per spargersi in altri Paesi. La noce di cocco prende invece il mare prima di sbarcare e crescere su rive lontane.

Il sacro seme di loto può mettersi a germogliare dopo 1200 anni, quello del dattero dopo 2000 e ci insegna che, come per Abramo e Sara, non è mai troppo tardi per la fecondità. Ma il più forte è il seme della sequoia: il suo potere di germinazione è attivato dal fuoco. Un incendio che devasta la foresta è il principio di una foresta nuova. Mille gambi verdi spuntano tra le ceneri.

All'inizio di Furore, Steinbeck canta l'epopea dei semi e del loro armamentario meraviglioso: «Lungo l'asfalto della nazionale cresceva un viluppo d'erba secca, arruffata, spezzata, e dalla punta degli steli pendevano barbe d'avena perfette per impigliarsi nel pelo dei cani, e code di volpe per aderire ai garretti dei cavalli, e semi di trifoglio per attaccarsi alla lana delle pecore; natura dormiente che aspettava di essere dispersa e diffusa, ogni seme dotato di un proprio strumento di dispersione, dardi ritorti e paracadute per il vento, piccoli arpioni e pallottole di minuscole spine, tutti in attesa di bestie e di vento, di risvolti di pantaloni e di orli di gonne, tutti passivi ma equipaggiati per l'attività, immobili ma dotati dell'embrione del movimento».

Una spiga di avena si aggrappa alla corazza di una tartaruga. Questa, mentre attraversa la strada nazionale, è colpita da un camioncino e fatta rotolare a parecchi metri di distanza, in un angolo deserto. L'incidente sembra essere il trionfo della morte. Ma, silenziosamente, «la testa d'avena si libera e tre semi a punta di lancia si piantano nel suolo». Questa è la diversità e la libertà dei semi. Così essi prendono parte al mistero della Risurrezione.

Ecco invece che, col denaro, si cerca di confiscargli esattamente tale parte, come si fece con Gesù stesso: prezzolate dai grandi sacerdoti, le guardie del sepolcro sparsero la notizia che i discepoli avevano rubato il corpo (Mt 28, 11-15). Oggi, il controllo della maggior parte dei semi per l'agricoltura sta nelle mani di cinque multinazionali. Le vecchie varietà sono state sostituite dagli ibridi F1, resistenti ai pesticidi e molto più docili alla peste della mercificazione totale. Gli ortaggi e le verdure che ne derivano sono sterili e bisogna dunque comprare ancora altri semi dalla Monsanto, per esempio. Gli uncini, le eliche, i paracadute sono oramai inutili, come le api e il vento, il mare e gli uccelli. Le banche si incaricano di tutta la circolazione della vita.

Così che occorre addirittura un Dio morto e risorto per ricordarci l'umile gloria del seme.