Attenzione: l’Africa non è un continente in fuga, di Martino Ghielmi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /02 /2019 - 15:17 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito Vado in Africa un articolo di Martino Ghielmi pubblicato il 16/6/2018. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Nord-sud del mondo.

Il Centro culturale Gli scritti (27/1/2019)

Credits: ritratto di Karabo Moletsane per Quartz

Migliaia di giovani africani sui barconi hanno alimentato l’errata convinzione che tutta l’Africa sia accomunata da un unico grande sogno: emigrare in Europa.

Secondo le più recenti stime ONU, a fronte di 1,2 miliardi di abitanti, gli “espatriati” africani sono 36 milioni: 19 nel continente e 17 al di fuori.

Dunque anche per l’Africa vale la regola globale secondo cui: il 97% delle persone vive nel Paese in cui è nato.

La grande migrazione, trionfo delle retoriche

Negli ultimi dieci anni sono sbarcate in Italia circa 780.000 persone. Partite per i motivi più svariati, spesso inconsapevoli delle difficoltà di un viaggio di cui i barconi sono solo la punta finale dell’iceberg e, soprattutto, degli ostacoli che avrebbero incontrato ad inserirsi nei tessuti socio-economici di destinazione.

Il fenomeno è stato affrontato da molte narrazioni, in competizione tra loro, accomunate dalla pretesa di spiegare a colpi di slogan una realtà variegata:

-“hanno pianificato la sostituzione etnica degli europei”
-“scappano tutti perchè l’Occidente fomenta le guerre e ruba le risorse”
-“questa è la nuova tratta degli schiavi che fa gli interessi dei padroni del mondo”

Il rumore è diventato così assordante da cancellare tutto il resto producendo mostri.

In Italia, a maggior ragione, è emerso in tutta la sua gravità il non aver mai affrontato un serio percorso di decolonizzazione dell’immaginario pubblico: l’esperienza coloniale è stata infatti considerata “risolta” con la caduta del fascismo.

Così non è.

L’immaginario coloniale sull’Africa è infatti rimasto latente nella crassa ignoranza dei mass-media e sta tornando ad emergere in tutta la sua forza simbolica nella società italiana.

Aggiungendo copiose dosi di ipocrisia intra-europea, l’Africa è diventato il campo preferito per sfogare vuote retoriche e irrisolte pulsioni psichiche collettive abbandonando ogni realismo e oggettività.

Un regno onirico capace di accomunare, senza nessun senso, nobili sentimenti e violenza simbolica. Appelli all’aiuto e chiamate alle armi.

Se ne parla con enorme pathos ma, tranne rare eccezioni, ci si mette sempre e comunque al centro del mondo. Roma, Milano, Potenza, Castelfranco Veneto caput mundi.

Senza accorgersi che stiamo diventando una stanca periferia ridotta ad osservare una nuova realtà senza la capacità (culturale prima ancora che economica) di agire in maniera diversa dal passato.

“Aiutiamoli-a-casa-loro”: bugia dalle gambe corte

Ridurre i flussi migratori aumentando i fondi destinati alla “cooperazione allo sviluppo” è la generica proposta bipartisan che, di fatto, domina il discorso sull’Africa.

Tralasciando il fatto che queste risorse vengano già da tempo stanziate per questo motivo e poi utilizzate per rafforzare i confini e immaginando per un momento che tutti gli aiuti “funzionino” il punto su cui si glissa resta un altro: al crescere del reddito aumentano la possibilità di scelta. Tra cui, eventualmente, quella di partire.

Lo evidenzia Ellen Johnson Sirleaf, ex presidente liberiana oggi a capo del gruppo ONU sulle migrazioni:

Marocco, Algeria, Tunisia, Sudafrica, Ghana e Senegal hanno il più alto tasso di sviluppo umano e i più alti tassi di emigrazione al di fuori del continente.

Anche l’economista Michael Clemens avverte:

I Paesi con un reddito pro capite fra i 5 e i 10.000 dollari l’anno hanno tassi di emigrazione tre volte superiori a quelli che stanno sotto i 2.000 dollari.

Peggio ancora, il prevalere di un dibattito sugli aiuti non fa che rafforzare l’idea (vecchia quel paio di secoli) dell’Africa come terra-da-salvare, del continente di mendicanti che sopravvivono, in preda ad ataviche culture tribali, grazie alla generosa beneficienza dell’Occidente.

La realtà è multiforme e contradditoria ma procede esattamente in senso opposto. Il continente, e non da oggi, è in pieno movimento nel produrre gli elementi materiali e simbolici per la sua sopravvivenza e proiezione futura.

La Cina, che approccia l’Africa senza l’ipocrisia degli aiuti a copertura della sostanziale rapina delle materie prime, crea opportunità economiche e scambi culturali.

Le due grandi potenze ex coloniali (Francia e Regno Unito), se ancora assai influenti non sono più onnipotenti. E il tasso di povertà africano ha continuato a scendere: oggi è circa al 40%.

Gli emigranti del “Sud del mondo” ormai mandano “a casa” 35 miliardi di dollari all’anno: ovvero tre volte più degli aiuti internazionali!

Sono sempre più gli africani che scelgono di rientrare in patria dopo aver studiato o lavorato all’estero. Insieme a loro ci sono sempre più “emigranti” di ogni nazionalità, tra cui anche svariate migliaia di giovani italiani ed europei.

Scelgono l’Africa fuori dai tradizionali assetti del ‘900 (umanitario, diplomatico, multinazionali) per opportunità e passione: freelance, imprenditori, tecnici, creativi, ricercatori. Tante le coppie miste, i figli di queste unioni a cavallo di culture e territori, gli afrodiscendenti nati in Occidente da genitori africani.

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La geografia e la demografia non sono opinioni

La posizione geografica dell’Italia, soprattutto se si ha il coraggio di ruotare la mappa, parla da sola:

Non occorre un dottorato in statistica applicata per comprendere la demografia dei due continenti:

Tutto questo spaventa solo chi ritiene che gli africani siano bambolotti passivi e/o buontemponi che amano ballare e farsi mantenere.

Sicuramente la gestione del fenomeno migratorio, così com’è stata (non) gestita finora ha poco senso.

Ma dodici anni di assidue frequentazioni del continente mi fanno scommettere che l’Africa giocherà un ruolo attivo nella Quarta Rivoluzione industriale. Facendo leva sull’immenso dividendo demografico diventerà un luogo centrale dell’innovazione tecnologica (è già avvenuto con il mobile money) e della produzione creativa.

Insomma, visto che, piaccia o meno, con questi africani bisognerà averci a che fare forse sarebbe il caso di conoscersi sul serio e capire cosa si può fare insieme. A beneficio di entrambi i territori e le società.

Avviando un vero dialogo, visto che, come sostiene il Nobel nigeriano Wole Soyinka:

Finora abbiamo avuto piuttosto un monologo, dove a parlare era soltanto l’Europa. Purtroppo non c’è mai stato uno scambio o un riconoscimento reciproco che prendesse atto delle condizioni economiche profondamente cambiate negli ultimi tempi, bensì un confronto mono-direzionale. Ovviamente anche i leader africani hanno le loro responsabilità. È un peccato, perché un dialogo tra pari favorirebbe non poco lo sviluppo delle relazioni umane.

Confesso di non avere grandi illusioni in merito. Ritengo però che sia necessario provarci con la massima serietà e responsabilità. In primo luogo per l’Italia.

Poi, se non sarà stato possibile, sarà davvero giunto il momento di emigrare. Verso Sud.