Cultura e religiosità nel Giappone moderno, di Kagefumi Ueno

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /09 /2010 - 15:35 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito, da http://chiesa.espresso.repubblica.it/, la conferenza tenuta il 1 luglio scorso al Circolo di Roma dall'ambasciatore giapponese presso la Santa Sede, Kagefumi Ueno, che si definisce d'orientamento buddista-scintoista. Una sintesi della sua conferenza al Circolo di Roma è uscita su "L'Osservatore Romano" del 14 agosto. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Una sintesi della sua conferenza al Circolo di Roma è uscita su "L'Osservatore Romano" del 14 agosto: mettiamo a disposizione anche questa, per una lettura più rapida. Sulle differenze fra le religioni del Dio “personale”, in particolare il cristianesimo, e le religioni di un Dio “non personale”, vedi, su questo stesso sito l’antologia di testi dell’allora cardinal Joseph Ratzinger.

Il Centro culturale Gli scritti (1/9/2010)

Credo che vi siano almeno tre elementi che caratterizzano la religiosità giapponese come filosoficamente distinta dal cristianesimo.

Le tre parole chiave sono "sé", "natura" e "assolutizzazione".

In primo luogo, sul concetto di "sé" c'è una nettissima distinzione tra la visione buddista-scintoista e quella monoteista occidentale.

Secondo, nel concepire la natura l'oriente e l'occidente differiscono sostanzialmente. Mentre i giapponesi vedono la natura come divina, i cristiani non condividono la stessa riverenza.

Terzo, quanto ai giudizi di valore, a motivo della loro mentalità religiosa i giapponesi in genere hanno una propensione molto minore degli occidentali ad assolutizzarli.

DISSOLVERE IL "SÉ"

Primo elemento: il "sé". Come differisce il concetto religioso tradizionale giapponese di "sé" dalla visione occidentale? Per dirlo con parole semplici, i buddisti-scintoisti credono che, al fine di raggiungere la vera libertà spirituale, essi devono "cacciar via" ogni "karma" (desiderio), "ego", "interesse", "speranza" e anche "sé". Qui il termine "cacciar via" è sinonimo di abbandonare, rinunciare, dissolvere, svuotare, azzerare, ridurre a niente. In altre parole, lo stato finale della mente, la genuina libertà del pensiero, o la realtà ultima possono essere ottenuti solo dopo aver cacciato via il proprio sé o dissolta la propria identità. Il sé e l'identità devono essere assorbiti nella Madre Natura o universo.

Invece, le religioni monoteiste sembrano essere basate sull'assunto che gli esseri umani sono "miniature" del divino. Gli umani sono definiti per riflettere l'immagine del divino. Essi quindi, per definizione, sono chiamati a essere "divini", o almeno "mini-divini". Per avvicinarsi al divino sono comunque destinati a purificare, consolidare, elevare o portare a perfezione il proprio sé. Mai deve accadere, dunque, che caccino via il loro sé. Il cacciar via il proprio sé è semmai considerato immorale o peccaminoso.

In breve, i monoteisti sono chiamati a massimizzare, a portare a perfezione il proprio sé. Quindi, sono "massimalisti". Con questa idea in mente, non ci vuole una speciale immaginazione per capire che un "sé mini-divino" massimizzato o portato a perfezione è inviolabile o sacro.

All'opposto, i buddisti-scintoisti sono chiamati, al fine di raggiungere la realtà suprema, a minimizzare, cioè a cacciar via il loro sé. Quindi essi sono "minimalisti". Anche la dignità o l'onore di ciascuno è qualcosa a cui non devono legarsi. Mai guardano a se stessi come a delle "mini-divinità". Non accade mai che essi debbano perfezionare se stessi per arrivare più vicini al divino. Un simile desiderio è un tipo di "karma" che essi devono cacciar via.

Insisto, i buddisti-scintoisti credono che da ultimo non ci si deve legare ad alcun desiderio od ossessione, inclusa l'esaltazione di sé. Ognuno dev'essere completamente distaccato dal desiderio di esaltare se stesso.

Fin qui ho fatto una specie di esercizio intellettuale, con l'assunto che le differenti religiosità comportino differenti concetti di "sé". A questo proposito, l'immagine che mi sono fatta è che il "sé" degli occidentali è simile a una grossa, solida, splendente sfera d'oro che deve essere costantemente lucidata, pulita e consolidata, mentre il "sé" dei buddisti è simile ad aria o fluido senza forma, elastico, difficile se non impossibile da lucidare e pulire.

Secondo la religiosità giapponese, ciò a cui si deve rinunciare non è limitato al "karma", ai desideri e al "sé". Bisogna essere distaccati anche da ogni pensare logico. In definitiva, per i giapponesi, la religiosità è un ambito nel quale il "logos" in quanto "ragione", il pensiero logico e l'approccio deduttivo devono anch'essi essere cacciati via.

In particolare, per la tradizione buddista Zen, anche valori opposti come il bene e il male sono qualcosa che va trasceso. Nel senso più profondo della religiosità buddista, nello stadio ultimo dello spirito non vi è nessuna santità, nessuna verità, nessuna giustizia, nessun male, nessuna bellezza.  Anche la speranza è qualcosa a cui non ci si deve legare, a cui bisogna rinunciare. La libertà ultima è data dall'assoluta passività.

I giapponesi credono anche che devono essere distaccati dal desiderio di tendere all'eternità. Nell'universo non c'è niente di eterno o di assoluto. Ogni essere resta "effimero", cioè come un niente. Ogni essere rimane "relativo". La realtà ultima è nel "vuoto", nel "nulla", nell'"ambiguo".

Per vedere come la filosofia orientale ci dice che si deve essere distaccati dal "logos", ecco alcune citazioni riprese da buddisti Zen e in particolare da opere di Daisetsu Suzuki:

  • "Molti è uno. L'uno è molti".
  • "Essere è non essere".
  • "L'essere è 'mu', nulla. 'Mu' è l'essere".
  • "La realtà è 'mu'. 'Mu' è la realtà".
  • "Ogni cosa è nel 'mu', sorge dal 'mu', è assorbita nel 'mu'".
  • "Una volta distaccati dalla visione razionale, si trascendono opposti concetti come bene e male".
  • "Nel senso più profondo della religiosità buddista, non vi è nessuna santità, nessuna verità, nessuna giustizia, nessun male, nessuna bellezza".
  • "La libertà ultima è data dalla passività assoluta".
  • "Alla fine, lo spirito sarà come un albero o una pietra".

VENERARE LA MADRE NATURA

Secondo elemento di differenziazione: la natura. Per gli occidentali, la divinità è nel Creatore invece che nella natura, la quale è prodotta da lui. Invece, per i buddisti-scintoisti la divinità è nella stessa natura, dal momento che manca del tutto l'idea di un Creatore che abbia creato l'universo dal nulla. La natura è stata generata da sé stessa, non da una forza extranaturale. Il divino permea la natura. E permea quindi anche gli esseri umani.

La divinità della Madre Natura abbraccia ogni cosa: uomini, alberi, erbe, rocce, sorgenti e così via. Per i buddisti-scintoisti la realtà suprema non esiste al di fuori della natura. In altre parole, la divinità è intrinseca alla natura. [...]

Per i giapponesi, gli uomini e la natura sono una sola realtà inseparabile. Gli esseri umani sono parte della natura. Non c'è alcuna distinzione o barriera concettuale tra le due cose. Una sensazione di distanza tra le due è considerata insignificante o inesistente.

A questo proposito vorrei commentare una formula alla moda, la "simbiosi (o convivenza) con la natura", che è spesso considerata una formula pro-ecologista. A me questo concetto pare invece che includa una sfumatura di arroganza, di "umanocentrismo", poiché conferisce agli uomini una posizione paritaria con la natura. Secondo la religiosità tradizionale giapponese, gli uomini devono essere sudditi della natura. È la natura, non gli uomini, che deve essere protagonista. Gli uomini dovrebbero essere umili giocatori che non possono pretendere una condizione pari a quella della natura. Devono scrupolosamente ascoltare le voci della natura e umilmente accettare ciò che la natura comanda. Ecco perché la formula "convivenza con la natura" suona troppo umanocentrica per il pensiero tradizionale giapponese.

Su questo sfondo, in termini di amore o rispetto per la natura o gli animali, la cultura giapponese è profonda e ricca. Nella sua tradizione così come oggi, i giapponesi trattano la natura o gli animali in una maniera piena di rispetto. Quasi con uno spirito religioso.

Ad esempio, molti dirigenti di polizia in tutto il paese usano officiare una cerimonia per rendere grazie agli spiriti di cani poliziotto deceduti, o per placare le loro anime una o due volte all'anno nei santuari a loro dedicati.

Qualcosa di simile avviene nei tradizionali villaggi dei cacciatori di balene. Essi usavano officiare cerimonie religiose per rendere grazie agli animali o per consolare e placare gli spiriti delle vittime, le balene. Alcuni ancora lo fanno. E facendo così, fanno da bilancia spirituale tra gli uomini e gli animali loro vittime.

Allo stesso modo, in alcuni ospedali vi sono associazioni che celebrano annualmente dei rituali, chiamati "hari-kuyoo", per addolcire gli spiriti degli "aghi", specie quelli delle iniezioni.

Nelle campagne, la gente venera alberi maestosi, grandi rocce, cascate o sorgenti trasformandole in templi scintoisti con dei festoni bianchi detti "shimenawa". Inoltre, molte montagne, a cominciare dal Fuji, e numerosi laghi in Giappone sono ritenuti sacri.

La religiosità o mentalità dei giapponesi ora descritta – che alcuni studiosi chiamano panteista o animista – è chiaramente e vitalmente incorporata in molte opere culturali giapponesi, siano esse di letteratura, di poesia, di pittura, di incisioni o d'altro, indipendentemente dalla terminologia che si può usare.

Ad esempio, Higashiyama Kaii, un grande pittore di paesaggi, disse una volta in un'intervista televisiva che, con l'avanzare della maturità, era divenuto consapevole che la natura talvolta gli parla. Egli percepisce la sua voce e avverte i suoi sentimenti. E quindi, aggiunse, la sua opera di pittore di paesaggi è fatta non da lui, ma dalla natura stessa.

Similmente, Munakata Shiko, famoso incisore di legno, disse in tv che, quando la sua anima è in pace, egli compie la sua opera di incisione come ispirata dallo spirito del legno che sta incidendo. Quindi, aggiunse, non è lui ma lo spirito del legno che fa il vero lavoro. [...]

NON ASSOLUTIZZARE I VALORI

Terzo elemento di differenza: l'assolutizzazione dei valori. A motivo della descritta mentalità religiosa buddista-scintoista, i giapponesi non amano legarsi a "valori assolutizzati". Non credono che vi sia una giustizia assoluta o un male assoluto. Dicono piuttosto che ogni essere è, in sostanza, "relativo". Per loro ogni valore, intendo dire ogni valore positivo, è valido fino a quando si scontra con altri valori. Quando lo scontro tra valori avviene, essi credono che nessun valore particolare deve essere assolutizzato a spese di altri. Semplicemente perché, nel senso più profondo della loro filosofia, non c'è niente di assoluto nell'universo. Esiste solo l'effimero, l'impermanente.

Detto altrimenti, nell'applicare i valori, i giapponesi in genere preferiscono avere un approccio "soft". Ad esempio, alcuni anni fa, prima in Danimarca e poi in altri paesi d'Europa, ci fu uno scontro di ideologie [a proposito di vignette su Maometto] tra coloro che tenevano alla libertà di espressione e coloro che difendevano la dignità religiosa. Questa vicenda non ebbe in Giappone una grande risonanza pubblica, ma immagino che la maggioranza dei giapponesi, se informati degli elementi in gioco, avrebbero detto che assolutizzare la fede di una parte (quella favorevole alla libertà di espressione) a spese dei valori degli altri – cioè affrontare la questione in modo rigido invece che "soft" – era immotivato o imprudente. A questo proposito, durante quella vicenda io stesso ebbi la sensazione che la mentalità di alcuni disegnatori ed editori danesi sembrava essere troppo "monoteista", nel senso che assolutizzavano un particolare valore come qualcosa di trascendentale, di sacro e di inviolabile. In quel caso particolare, faccio notare che la Chiesa cattolica preferì un approccio "soft". Simile a quello preferito dai giapponesi.

Come ho detto, i giapponesi trattano la natura o gli animali in un modo pieno di rispetto. Nonostante ciò, la maggioranza dei giapponesi non si spinge fino ad applicare il concetto dei diritti umani agli animali, come fanno alcuni paladini di tali diritti. Di tanto in tanto esce la notizia che alcuni animalisti fondamentalisti hanno assaltato laboratori nei quali alcuni animali sono sacrificati per finalità tipo la ricerca di nuove medicine. Inoltre, si ricorda la notizia di un gruppo ambientalista radicale che assaltò una baleniera giapponese nell'Oceano Antartico. Essi non solo assalirono la nave a più riprese, ma anche lanciarono bottiglie di sostanze chimiche che ferirono alcuni membri dell'equipaggio della nave.

In questi casi, i protagonisti giustificarono la loro violenza o violazione dei valori altrui sostenendo che la loro finalità era sacra e quindi assoluta. Giustificarono i loro atti dicendo che essi dovevano combattere contro un male assoluto. In questo modo "assolutizzarono" la loro fede e fecero blocco con i loro sacri valori, senza pensare di violare i valori di altri. Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1 gennaio 2010, papa Benedetto XVI ha espresso preoccupazione per la visione eccessiva di alcuni ecologisti o animalisti che conferiscono lo stesso livello di dignità agli animali e agli uomini. Questo è un altro esempio di come la Chiesa cattolica pare essere riluttante riguardo a un approccio rigido o a una "assolutizzazione" di un valore particolare. Lo stesso fanno i giapponesi, con la loro tradizionale mentalità religiosa.

UN CRISTIANESIMO "STRANIERO"

A questo punto si può capire perché, a motivo della mentalità religiosa giapponese che si differenzia dal cristianesimo nei sensi sopra detti, anche oggi molti giapponesi trovano il cristianesimo in qualche modo straniero (od occidentale).

E anche si può capire perché la quota dei cristiani in Giappone resta sempre al di sotto dell'1 per cento e quella dei cattolici al di sotto dello 0,5 per cento.

Ciò non significa che i giapponesi rifiutino di accettare il cristianesimo in tutto. Molti di essi provano simpatia per questa fede e i suoi insegnamenti, non però al 100 per cento, ma al 70-80 per cento. Il restante 20-30 per cento è riconducibile alla differenza di fondo, fondamentalmente culturale e filosofica, tra le due realtà.

A motivo di questa differenza, il cristianesimo appare ai giapponesi come "appartenente ad altri", non a loro stessi.

UN IBRIDO TRA MODERNITÀ E TRADIZIONE

Osservo ora la religiosità giapponese attraverso lo spettro della premodernità, della modernità e della postmodernità.

Nel passato, sino alla fine del XIX secolo, si riteneva in ogni angolo del mondo che la modernizzazione delle nazioni potesse essere ottenuta solo in società con religiosità monoteista, in particolare col cristianesimo. Si pensava che la modernizzazione e il monoteismo fossero legati assieme, direttamente o indirettamente. Si era convinti che le società con religiosità politeiste, animiste o panteiste, come il buddismo o lo scintoismo, non fossero modernizzabili, a differenza dei paesi occidentali.

L'impressionante modernizzazione del Giappone ha smentito questa credenza. Oggi molte nazioni non cristiane hanno raggiunto livelli evidenti di modernità, sull'esempio del precedente giapponese. Di conseguenza, il loro progresso ha ulteriormente sciolto il legame concettuale tra modernizzazione e monoteismo. È stato reso chiaro che l'approccio politeista, animista o panteista non rappresenta un regresso, se messo a confronto con l'approccio monoteista.

In Giappone in particolare, la modernità scientifica, tecnologica e razionale non solo coesiste con una mentalità panteista e animista premoderna, ma è rinvigorita e rafforzata da tale mentalità.

Insisto. Molti prodotti giapponesi di alta tecnologia sono pensati, progettati, prodotti e messi sul mercato ad opera di giapponesi che hanno in larga misura la mentalità e la religiosità che ho descritto. Sottolineo che il livello tecnologico o la qualità del prodotto sono migliorati dalla combinazione di due distinte mentalità: la scientifica e l'animista.

Ad esempio, molte società giapponesi spesso invitano preti scintoisti a officiare cerimonie rituali quando installano nuovi macchinari nelle loro fabbriche, per invocare l'efficienza del loro funzionamento. Allo stesso modo, essi officiano anche dei rituali per placare o ringraziare lo spirito dei vecchi macchinari prima di smantellarli. E ancora, i costruttori di case celebrano rituali scintoisti per pregare per la riuscita dei futuri lavori, con una cerimonia sul terreno di costruzione. Quasi tutte queste cerimonie sono celebrate da preti scintoisti, solo raramente da preti buddisti. Perché? Perché la maggior parte dei giapponesi preferiscono che siano dei preti scintoisti a occuparsene, convinti che gli spiriti della casa o del luogo, della terra o degli edifici debbano essere presi in cura dallo scintoismo.

Insomma, nel Giappone di oggi la mentalità panteista e animista premoderna è strettamente legata alla modernità dell'alta tecnologia. E dunque si può dire che la civiltà giapponese contemporanea è un ibrido di premodernità e di modernità. Quindi assolutamente postmoderna!

ECONOMIA BUDDISTA, PER UN TERRENO COMUNE

Ho fin qui messo a fuoco la dimensione filosofica, nella quale la distinzione tra l'oriente e l'occidente è ragguardevole. Io credo, tuttavia, che al livello pratico c'è un terreno comune tra le due parti.

Un'ottantina di anni fa il Mahatma Gandhi, il padre fondatore dell'India moderna, citò il "commercio senza moralità" come uno dei "sette peccati sociali". Gli altri sei peccati che egli elencò erano la "politica senza principi", la "ricchezza senza lavoro", il "divertimento senza coscienza", la "conoscenza senza carattere", la "scienza senza moralità" e il "culto senza sacrificio" (sembra di ascoltare un papa).

Anche il papa e la Santa Sede in numerosi messaggi hanno ripetutamente condannato la mancanza di considerazioni morali da parte di molti leader del mondo degli affari.

In Giappone simili richiami si odono da tempo, in particolare tra economisti di orientamento buddista. In effetti, negli ultimi decenni alcuni economisti hanno cominciato ad amalgamare la filosofia buddista con le analisi economiche, fondando una nuova disciplina chiamata "economia buddista", di cui ora dirò gli elementi di base.

Gli economisti buddisti sono molto critici del neoliberismo che ha dominato le politiche economiche delle maggiori potenze mondiali negli ultimi decenni, portando a un aggravamento delle disparità economiche, a una mancanza di equità, a un predominio assoluto del profitto e a un deterioramento dell'ambiente a livello globale.

Per quanto vi siano delle diverse visioni tra gli economisti buddisti, essi condividono i seguenti otto principi, come loro minimo comune denominatore:

  • rispetto della vita;
  • non violenza;
  • chisoku (la capacità di sapersi accontentare);
  • kyousei (la capacità di convivere assieme);
  • semplicità, frugalità;
  • altruismo;
  • sostenibilità;
  • rispetto delle diversità.

Ad esempio, Ernest Friedrich Schumacher, un economista tedesco che è tra i fondatori dell'economia buddista, autore del celebre libro "Small Is Beautiful: Economics as if People Mattered", ha particolarmente insistito su "chisoku" e "semplicità".

Allo stesso modo, Wangari Maathai, un'ambientalista kenyana che ha vinto il Nobel per la Pace nel 2004, crede in una filosofia affine all'economia buddista. È famosa come sostenitrice della campagna "mottainai", cioè della campagna internazionale dei tre "ri": riusa, riduci e ricicla. Alcuni anni fa, mentre era in Giappone, si imbatté nella parola giapponese "mottainai" che in sostanza significa "mai gettare le cose minime perché anch'esse hanno un valore intrinseco". Così ebbe l'ispirazione di lanciare la sua campagna, cioè si convinse che lo "Spirito di Mottainai" che anima lo spirito dei tre "ri" doveva essere diffuso globalmente. Ella sostiene che per assicurare la protezione e la conservazione dell'ambiente globale, lo "Spirito di Mottainai" è indispensabile. Questo spirito che ella invoca è in evidente sintonia con i principi base dell'economia buddista.

Gli economisti buddisti reclamano politiche che portino tra l'altro a:

  • distacco da un approccio che privilegi solo la crescita;
  • distacco da una produzione dipendente dal petrolio;
  • instaurazione di un nuovo sistema internazionale che elimini la violenza.

Nell'attuale instabilità e incertezza dell'economia mondiale, che ha rafforzato lo scetticismo nei principi del libero mercato, l'economia buddista guadagna un'attenzione crescente. Sarebbe interessante avviare un dialogo in questo campo tra economisti di orientamento sia buddista sia cattolico.

*

Per concludere con una battuta, consentitemi di chiamare il buddismo-scintoismo "sushi spirituale" e il cristianesimo "spaghetti spirituali". Quello che ho cercato di dire è che il "sushi spirituale" e gli "spaghetti spirituali" hanno sapori diversi. Ma ho anche aggiunto che entrambi sono "squisiti". Sia l'uno che gli altri arricchiscono profondamente le vite degli uomini. Senza uno di essi, le culture umane sarebbero terribilmente noiose e aride.

Sintesi dell’intervento di Kagefumi Ueno apparsa su L’Osservatore Romano

Almeno tre elementi distinguono, dal punto di vista filosofico, il cristianesimo dalla religiosità nipponica e tre le parole-chiave:  "ego", "natura" e "assolutizzazione". È ben netta la distinzione tra il concetto di ego buddhista-shintoista e quello monoteista occidentale. Anche il modo di concepire la natura in oriente è sostanzialmente diverso da quello occidentale:  per i giapponesi la natura è divina e da riverire, sentimento non condiviso dagli occidentali. In terzo luogo, la mentalità religiosa dei giapponesi li porta a essere molto meno propensi degli occidentali a credere in valori assoluti.
Due parole sull'ego. In quale modo il concetto religioso tradizionale nipponico dell'ego si differenzia dal punto di vista occidentale? Semplificando, i buddhisti-shintoisti credono che, per raggiungere la vera libertà spirituale, ci si debba liberare da tutti i karma o desideri dell'ego e da connessi interessi, dalla speranza e, in ultima istanza, dall'ego. L'espressione liberare/buttar via implica l'idea di rinuncia, di azzeramento. Parafrasiamo. La vera libertà o Realtà assoluta si raggiungono solo abbandonando l'ego, annullando la propria identità. L'uno e l'altra dovrebbero integrarsi con Madre natura.
Diversamente, le religioni monoteistiche sembrano basarsi sull'assunto che gli esseri umani siano divinità in "miniatura", creati a somiglianza dell'immagine divina. Il fine di avvicinarsi il più possibile alla divinità li porta a raffinare, a consolidare, a elevare fino alla perfezione l'ego. L'idea di disfarsi dell'ego neppure li sfiora.
In breve i monoteisti, tendendo a ingigantire se non a rendere perfetto l'ego, sono massimalisti. Non occorre una particolare immaginazione per capire che l'ego così inteso è ritenuto inviolabile, sacro. Al contrario, i buddhisti-shintoisti, per raggiungere la Realtà Ultima puntano a minimizzare, ad azzerare l'ego. Sono minimalisti. Persino il concetto della propria dignità o onore va allontanato. Lungi dal considerarsi mini-divinità, non cercano la perfezione per meglio avvicinarsi alla divinità. Questo sarebbe infatti un desiderio, sorta di karma da rigettare. In termini di immagine, mi figuro l'ego occidentale come una palla grande, solida, aurea, da tenere sempre lucida. L'ego buddhista, invece, lo immagino simile all'aria o al gas, privo di forme, sostanza elastica e difficile - impossibile - da lucidare.
Secondo la religiosità nipponica, l'essere umano non deve limitarsi solo a rinunciare al karma, ai desideri e all'ego. Dovrebbe raggiungere il distacco dal pensiero logico. In fondo, per l'homo japonicus, la religiosità è quel regno da cui sono banditi anche il lògos, il pensiero logico, l'approccio deduttivo. In particolare per i seguaci del Buddhismo Zen tradizionale, persino valori opposti come Bene e Male vanno trascesi. Allo stadio spirituale più profondo della religiosità buddhista non ci sono più santità, verità, giustizia, male, bellezza. Persino la speranza, non più stampella a cui aggrapparsi, è da evitare. La libertà ultima si raggiunge grazie alla passività assoluta. I buddhisti credono che il distacco dai desideri sia necessario per guardare l'eternità. Nell'universo, non vi è nulla di eterno o di assoluto. Ogni essere è transitorio, in altri termini relativo. La Realtà ultima risiede nel "vuoto/nulla", o nell'ambiguità.
Per introdurvi allo spirito della filosofia orientale che insegna il distacco dal lògos, vorrei segnalarvi alcune espressioni proprie del Buddismo Zen:  "Molti è uno. Uno è molti"; "Essere è non essere"; "Essere è Mu (nulla). Mu è essere"; "La Realtà è Mu. Mu è la realtà"; "Ogni cosa viene dal Mu e viene assorbita nel Mu. Una volta distaccati dalla "visione della ragione", si trascendono valori opposti come il bene e il male. La libertà ultima si ottiene grazie alla passività assoluta. Alla fine, lo spirito sarà come un albero o una pietra.
Passiamo al secondo elemento:  la natura. Per gli occidentali, il divino è nel creatore, non nella natura da lui creata. Per i buddhisti-shintoisti, invece, la divinità risiede nella natura stessa, autogenerata. Assente il concetto di un creatore esterno all'universo, fuori dal nulla. La divinità permea Madre natura e tutto quel che abbraccia, esseri umani, flora, rocce, fontane:  ogni cosa. Per i buddhisti-shintoisti, non esiste realtà ultima fuori della natura. In altri termini, la divinità è intrinseca alla Natura stessa.
Per l'homo japonicus, esseri umani e Natura sono intimamente uniti, inseparabili e non indipendenti. In quest'ottica, vorrei fare un commento usando un'espressione alla moda quale simbiosi o convivenza con la natura. Parole care agli ecologisti. A dire il vero questo termine veicola un concetto che, ai miei occhi, si tinge di arroganza, di antropocentrismo oserei dire, in quanto gli esseri umani si considerano alla pari con la natura. Secondo la religiosità nipponica tradizionale, gli esseri umani sono sottomessi alla natura. Lei dovrebbe essere la vera protagonista. A loro spetterebbe un ruolo umile, che non può aspirare a uno status di uguaglianza con la natura. L'uomo dovrebbe ascoltare con attenzione le voci della natura, accettandone con umiltà il dominio.
Vista su questo sfondo, in termini di amore e di rispetto verso la Natura o gli animali, la cultura giapponese appare particolarmente profonda e ricca. Per tradizione a tutt'oggi il popolo giapponese tratta con rispetto e con spirito religioso la Natura e gli animali. Significativamente Higashiyama Kaii, noto paesaggista, ha detto una volta in una intervista televisiva di aver acquisito con la maturità la consapevolezza che la natura talvolta gli parli. Ne avverte la voce, ne percepisce il sentimento. In quell'occasione l'artista arrivò ad aggiungere che il suo lavoro di pittore della natura non è opera sua, ma della Natura stessa. In modo simile Munakata Shiko, famoso incisore su legno, dichiarò alla tv che quando con spirito calmo si dedicava al suo lavoro, si sentiva ispirato proprio dallo spirito del legno che andava incidendo. Così - aggiunse - il lavoro effettivo non era lui a compierlo, ma lo spirito del legno!
Enrique Gómez Carrillo, giornalista guatemalteco che da Parigi scriveva articoli per giornali latino-americani, nel 1912 scrisse El Japón heroico y galante, libro destinato a essere per i successivi cinquant'anni una delle più popolari "guide" sul Giappone per i latinoamericani. Osservava:  "I giapponesi amano la natura e la amano con animo religiosissimo. Sin dalla tenera età viene insegnato ai bambini come amare piante e insetti. Un amore che non è mera intesa o affetto. Sanno percepire il cuore melanconico dei ramoscelli, l'agonia delle piante, le sofferte lacrime lasciate scorrere dai grandi alberi. Ragazzi e ragazze vivono in stretta sintonia con le piante". E ancora:  "I temi poetici preferiti dai giapponesi attengono allo stato effimero dell'essere, allo scorrere delle stagioni, al mormorio dei ruscelli, al sussurrio di fiori e di alberi, alle rocce ammantate di muschio e così via, piuttosto che alla gloria delle grandi gesta dell'uomo". Le sue osservazioni mettono a fuoco con acutezza la cosmo-visione nipponica.
Siamo al terzo elemento:  l'assolutizzazione dei valori. Alla luce della mentalità religiosa buddhista-shintoista appena abbozzata i giapponesi non amano aggrapparsi ad alcun valore assoluto. Non credono né in una giustizia assoluta né in un male assoluto. Per loro ogni essere è, in sostanza, relativo; ogni valore, intendo valore positivo, è possibile finché non collide con altri valori. In caso di collisione, nessun particolare valore andrebbe considerato assoluto a spese degli altri. Perché? Semplicemente perché il senso più profondo della loro filosofia religiosa vuole che niente di assoluto esista nell'universo. Esiste solo l'impermanente. Diamo ora uno sguardo alla religiosità nipponica attraverso lo spettro del pre-moderno, moderno e post-moderno per chiederci:  la civiltà giapponese contemporanea è post-moderna?
Nel passato - o almeno fino a tutto il XIX secolo - in ogni angolo del mondo si credeva che la modernizzazione delle nazioni si potesse realizzare solo in società dalla religiosità monoteistica cristiana. La rilevante modernizzazione del Giappone smonta questo assunto. Molte nazioni non cristiane si sono modernizzate, sull'esempio nipponico. Di conseguenza il loro emergere confuta il presunto legame tra modernizzazione e monoteismo. Appare chiaro che l'approccio politeistico, animista o panteista non comporta un regresso, se paragonato all'approccio monoteistico.
In particolare in Giappone, modernità e forme di approccio scientifico, tecnologico-razionale non solo coesistono con la mentalità panteistica e animista, considerata pre-moderna, ma ne escono rinvigorite, rafforzate. Insisto:  molti prodotti nipponici di alta tecnologia sono programmati, disegnati, prodotti e commercializzati da persone che hanno più o meno la mentalità e la religiosità appena illustrata. Anzi, il livello di tecnologia o di qualità del design viene accresciuto dall'unione delle due diverse componenti:  mentalità scientifica e mentalità animista.
Ad esempio, molte ditte nipponiche, quando si installano nuovi macchinari nei loro stabilimenti, invitano sacerdoti shintoisti a officiare cerimonie rituali, per auspicare un corretto funzionamento dei macchinari. Allo stesso modo, si compiono riti di ringraziamento verso lo spirito dei macchinari, prima di demolirli. Anche in campo edilizio, i costruttori si affidano a rituali shintoisti per impetrare la sicurezza dei futuri lavori con una cerimonia all'aria aperta.
In definitiva, nel Giappone contemporaneo, la mentalità pre-moderna panteistico-animista e la moderna alta tecnologia sono strettamente connesse. Si potrebbe definire la civiltà contemporanea nipponica un ibrido di pre-modernità e di modernità. Quindi assolutamente post-moderna!
Ho provato a concentrarmi sulla dimensione filosofica mettendo in luce le differenze tra oriente e occidente. Ritengo tuttavia che, a livello pratico, le due religiosità abbiano un certo terreno comune. Provo ad accennarlo.
Circa ottant'anni fa, Gandhi, uno dei padri fondatori dell'India moderna, inseriva il "commercio senza moralità" tra i sette peccati sociali. Gli altri sei da lui evidenziati erano:  la politica senza principi, la ricchezza senza lavoro, il divertimento senza coscienza, la conoscenza senza carattere, la scienza senza moralità e la religione senza sacrificio. Anche il Papa e la Santa Sede in numerosi messaggi hanno ripetutamente condannato l'assenza di considerazioni morali da parte di molti leader del mondo degli affari.
In Giappone voci simili si sono alzate ad esempio, tra economisti di orientamento buddhista. Nelle ultime decadi, infatti, alcuni economisti hanno cominciato a utilizzare la filosofia buddhista in analisi di tipo economico, fondando la nuova disciplina chiamata economia buddhista. Ho il piacere di tracciare le linee del pensiero-base foggiante questa "nuova" economia.
Gli economisti buddhisti criticano in generale il neo-liberalismo che ha dominato le politiche economiche delle più grandi potenze mondiali nelle ultime decadi, aggravando la disuguaglianza economica, l'ingiustizia, il predominio assoluto del profitto, il deterioramento dell'ambiente a livello globale. Sebbene vi siano punti di vista divergenti tra gli economisti dalla visione buddhista, credo che tutti condividano otto concetti chiave come comune denominatore. Tali concetti sono:  rispetto della vita, non-violenza, chisoku ("sapersi accontentare"), kyousei ("capacità di convivere assieme"), semplicità, frugalità, altruismo, sostenibilità, rispetto della diversità.
Ad esempio, l'economista tedesco Ernest Friedrich Schumacher, uno dei padri fondatori di questa economia, autore del celebre Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa, mette particolarmente in luce chisoku e semplicità. Allo stesso modo Wangari Maathai, ambientalista keniota premio Nobel per la Pace 2004, crede in una filosofia simile a quella dell'economia buddhista. Nota per la sua attività a favore della Mottainai-Campaign che punta a far conoscere a livello internazionale le tre r (Ri-usa, Riduci e Ricicla), alcuni anni fa durante un suo soggiorno in Giappone l'ambientalista ebbe modo di conoscere il termine mottainai che in sostanza significa:  "Mai gettare le cose minime in quanto anch'esse sono portatrici di valori intrinseci".
A quel punto Wangari Maathai ebbe l'ispirazione di condurre una nuova campagna alla luce dell'approccio mottainai ovvero delle tre "r" da diffondere in tutto il mondo. Secondo l'ambientalista, volendo proteggere e preservare l'ambiente, lo spirito di Mottainai è indispensabile. Inutile dire che questo spirito è in sintonia con il pensiero base dell'economia buddhista che si batte per politiche che portino al distacco da un approccio che privilegi solo lo sviluppo; distacco da una produzione basata sul petrolio; istituzione di un nuovo meccanismo internazionale che abolisca ogni forma di violenza. Potrebbe essere un'idea interessante organizzare un dialogo in questo campo tra economisti di orientamento sia buddhista sia cattolico.
In conclusione, semplifico il mio messaggio. Permettetemi di definire il buddhismo-shintoismo come un "sushi spirituale" e il cristianesimo come "spaghetti spirituali". Da quanto ho detto, è evidente che il "sushi spirituale" e gli "spaghetti spirituali" hanno sapori distinti tra loro. Vorrei però aggiungere che entrambi sono squisiti.

(©L'Osservatore Romano 14 agosto 2010)