L’ecologismo della ragione. In ricordo di Alexander Langer, strano ambientalista “ratzingeriano”, di Pino Suriano

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /07 /2020 - 11:37 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito dal sito della rivista Tempi un articolo di Pino Suriano pubblicato il 4/7/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Ecologia.

Il Centro culturale Gli scritti (5/7/2020)

«Vorremmo esistere per tutti, essere di aiuto ed entrare in contatto con tutti. Il nostro aiuto è aperto a tutti, così come per tutti vale la nostra preghiera. Venite a noi, e vi aiuteremo con tutte le nostre forze. Ma che cosa ci spinge a farlo? L’amore per il prossimo. Dobbiamo prendere sul serio la tanto declamata carità cristiana, senza mezze misure». Era un ragazzo di quindici anni a scrivere queste parole. Voleva amore così, Alexander Langer (1946-1995). Nel testo brillava la parola amore, ma ce n’era una più potente, ripetuta cinque volte, battente come un tamburo: la parola più bella, quella delle grandi aspirazioni, la parola “tutto” (tutti/tutte).

Di solito si perde, a una certa età, questa passione adolescente per il “tutto”, “senza mezze misure”. Forse a lui non accadde mai: l’età e l’esperienza lo portarono a scoprirne i limiti, ma mai si spense. Lo scrisse con magnifica chiarezza nel discorso in memoria dell’attivista Petra Kelly, il 21 ottobre del 1992: «Forse è troppo arduo essere individualmente (…) dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere».

Era la scoperta della distanza, incolmabile, tra aspirazioni e realizzazione. Ne aveva preso coscienza, eppure era fatto così, Alex Langer, innamorato del “tutto”, innamorato del “troppo”. Anche quando, nella sua vita, c’erano tutti gli stereotipi dell’uomo di successo, abbastanza per sopprimere le domande più scomode coi bagliori accecanti della propria riuscita: era parlamentare europeo dal 1989, era divenuto primo presidente del neo costituito Gruppo Verde, aveva fondato il movimento ecologista, combattuto centinaia di battaglie, la sua presenza era richiesta ovunque in Italia e all’estero, per molti giovani era un modello. Tutto questo, però, non strappava il suo io dalle domande più scomode. Nel suo computer, dopo la morte, fu trovato un file datato 4 marzo 1990. C’erano domande durissime rivolte a sé: «Vivresti effettivamente come sostieni si dovrebbe vivere?». E un’altra, sconvolgente: «Passeresti il tuo tempo con coloro ai quali rivolgi la tua solidarietà?».

Nel mondo d’oggi nessuno fa sconti agli altri, Alex non ne faceva a se stesso. «Tu – si chiedeva ancora – che ormai fai il militante da oltre 25 anni e che hai attraversato le esperienze del pacifismo, della sinistra cristiana, del ’68, dell’estremismo degli anni ’70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e con l’America Latina, col Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell’ecologia; ma da dove prendi le energie per fare ancora?». Era il testo di una lettera ritrovata tra le sue carte inedite, ripresa da Marco Boato nella bellissima introduzione al libro Le parole del commiato. Alexander Langer dieci anni dopo pubblicato nel 2005 per le edizioni Verdi del Trentino.

Oggi, per il ventennale, Boato torna sugli scaffali con un nuovo ritratto, Alex Langer. Costruttore di ponti, editrice La Scuola, mandato in libreria, non per caso, lo stesso giorno della Laudato si’ di papa Francesco («il vero ispiratore dell’enciclica di Francesco – ha scritto su Repubblica Adriano Sofri – è stato lui, credetemi»). «Alex ha perseguito ostinatamente la pace, e, insieme, la custodia del creato. Ha inseguito con tenacia questi ideali. Ne ha fatto la sua passione e la sua vita», scrive il cardinale Loris Capovilla nell’introduzione.

Di questa tensione ha vissuto Alex. Di questa, forse, è morto. Accadde il 3 luglio del 1995, esattamente venti anni fa. Morì suicida, appeso a un albero di albicocche sulle colline di Firenze. «Non ce la faccio più», lasciò scritto. Tra le sue parole anche un breve e potente testamento. «Non siate tristi, continuate in ciò che è giusto». Perché quel gesto? Per il peso insopprimibile di questa aspirazione, ha detto chi lo ha conosciuto, come Adriano Sofri. Forse. Eppure chiederselo servirà a poco: la risposta è per sempre chiusa nello scrigno di quella sua coscienza tormentata degli ultimi mesi. E più che le domande sul gesto, restano vive le domande per l’oggi. E dunque cosa ci lascia Alexander Langer, il fondatore dei Verdi (per la verità fu molto altro e molto più), celebrato il 3 giugno scorso al Parlamento europeo e il 3 luglio alla Camera dei deputati?

Ci testimonia, direi, l’origine più bella dell’impegno politico: una passione, uno struggimento, un amore per le cose. Non per qualcosa in particolare, ma per tutto. Non solo un ottimismo di realizzazione, non un legalismo rabbioso, non il sogno utopistico di un mondo migliore (i riferimenti a soggetti politici di oggi non sono puramente casuali), ma una passione presente, per ciò che c’è, per “tutto” ciò che c’è.

L’aveva respirata a casa sin da bambino, questa tensione al tutto. Era di famiglia ebraica, un contesto dove nulla, per cultura religiosa, è staccato dal tutto. Non ci rinunciò quando si lanciò, anima e corpo, in un’esperienza politica discutibile, ma di certo ancorata a quella tensione: Lotta Continua. Nel 2004, intervistato per Tracce da Luigi Amicone, Adriano Sofri lo spiegò perfettamente: «La vera natura di Lotta Continua e la vera differenza dagli altri gruppi sta in una certa vocazione umana più intensa. Insomma, una vera avventura di rapporto con gli altri. Questo darsi tutto a tutti, torna in uno degli episodi finali di questa nostra storia, la morte di Alex Langer, vittima di questa aspirazione e della sua inevitabile sorte di soccombere». Era lo stesso darsi tutto a tutti cui aspirava a quindici anni.

Il «sacro egoismo»
Poi arrivarono gli anni dell’ambientalismo, la “svolta verde”, la quale, per la verità, non fu svolta ma la tappa naturale di un percorso: Alex, infatti, mai la disancorò da quella prospettiva totale con cui si era sempre mosso, lontana anni luce dalla prospettiva particolaristica con cui sembrano muoversi oggi tanti suoi successori della galassia verde. A ispirare il suo ecologismo fu, infatti, il riconoscimento di un valore straordinario in tutte le cose, in tutto l’essere, nella vita di ciascun uomo, compreso quello del domani, e di tutte le creature. Si incontravano così ambientalismo e pacifismo, in questo sguardo stupefatto sulle cose, nella percezione della loro intrinseca sacralità, da proteggere prioritariamente rispetto a ogni progetto umano di potere.

Eppure non sarebbero da elogiare, questa tensione e questa passione, se fossero rimaste utopiche, infantili, cioè se non avessero portato con sé anche lo spettacolo di ragionevolezza e di realismo che Alex seppe donare, a partire dai suoi presupposti teorici. «Di fronte alla malferma salute della biosfera – scriveva – le scelte che fanno bene al pianeta sono per forza di cose anche scelte che fanno bene a noi stessi (…). È sacro egoismo tra i meglio investiti». Non un astratto animalismo altruista, dunque, ma una “egoistica”, e sacra, centralità dell’uomo. E il suo monito ecologista non partiva dal catastrofismo oggi tanto diffuso, ma da una tensione positiva dell’umano: «Non basteranno la paura della catastrofe ecologica, o i primi infarti e collassi della nostra civiltà. Ci vorrà una spinta positiva».

La ragione contro i catastrofismi, dunque, ma anche contro i fantasiosi complottismi che esentano il popolo dalle proprie responsabilità […] per farne una sorta di vittima da riscattare: «Le cause dell’emergenza ecologica non risalgono a una cricca dittatoriale di congiurati assetati di profitto e di distruzione, bensì ricevono quotidianamente un massiccio e pressoché plebiscitario consenso di popolo».

E dall’utopia dei “sistemi perfetti”, tanto temuta da T. S. Eliot, sapeva ben guardarsi, perché dell’umano conosceva, e anzi apprezzava, il limite. «Io sento, e ciascuno di noi probabilmente sente, che non ce la farei a vivere in una di quelle utopie che a volte noi stessi propaghiamo: i nostri stessi scacchi sono forse uno scampato pericolo».

Spesso e volentieri, ai tempi del referendum sulla fecondazione assistita del 2005, il cardinale Angelo Scola non aveva in bocca altro nome. Lo citava spesso e volentieri in contrapposizione ai suoi successori come modello di uno sguardo attento al creato e alla salvaguardia dell’uomo, del suo nascere e del suo morire. Erano temi su cui non barava, Alex Langer. «Voler assumere il potere (…) di scegliere anche che tipo di esseri viventi non devono più riprodursi e devono sparire, significa veramente voler diventare come Dio. Io credo che qui si tocchi nel profondo il limite. Non è un caso che anche in tutte le leggende e mitologie l’idea dell’homunculus, cioè dell’uomo fatto in provetta o comunque dell’uomo fatto su misura, sia sempre stata in un certo senso l’estrema bestemmia, forse anche l’estremo del patto col diavolo».

O, ancora, sull’aborto scriveva: «Ma anche per chi, come me, era e resta favorevole alla depenalizzazione ed alla destatalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, non è possibile non definire spaventoso il numero di aborti praticati e cercarvi rimedi, e non riconoscere un dovere etico di prevenire ed evitare la scelta dell’aborto, come tante altre scelte contrarie alla vita senza per questo criminalizzare alcuno».

Oltre i recinti
Ragionevolezza fu anche, per lui, il superamento di recinti politico-culturali. Mettersi dalla parte della Chiesa, negli anni Ottanta, era una sorta di reato in certi ambienti di sinistra. Osò sfidare il dogma, come fanno spesso gli uomini di ragione. Accadde, per esempio, nel 1987. Era stato pubblicato, il 22 febbraio di quell’anno, un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede dal titolo “Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione”, firmato dal prefetto di allora, cardinal Joseph Ratzinger.

Alex, assieme ad altri ambientalisti fiorentini, prese carta e penna per scrivere un testo di sostegno a quello di Ratzinger. «Siamo persone impegnate nel movimento ecologista e verde, in maggioranza non cattolici. Desideriamo esprimere soddisfazione e apprezzamento per la recente presa di posizione». Tra le ragioni del consenso una era imponente: «Il rifiuto della delega a esperti (biologi, medici, eccetera), alla tecnica o all’uomo come soggetti donatori di vita e di morte su comando. Perché – qui si citava Ratzinger – “nessun uomo può pretendere di decidere l’origine e il destino degli uomini”».

Da sinistra partirono accuse di ogni tipo: si parlò di “oscurantismo verde” e “maschilismo verde”, per le posizioni considerate antiabortiste. Rossana Rossanda lo attaccò sul Manifesto, lui rispose sullo stesso giornale, il titolo era una domanda: “E se Ratzinger avesse qualche ragione?”. «Non me la sento – scrisse – di rifiutare o di non cercare momenti comuni di dialogo e di impegno tra chi si trova unito su obiettivi importanti e condivisi». Torna in mente il titolo del libro di Boato: Costruttore di ponti. Naturalmente Alex non mancò di sottolineare differenze di vedute con Ratzinger (legate, per esempio, alle sperimentazioni su piante e animali) ma c’era in lui quella saggezza, tratta da Shakespeare e tanto cara anche a don Luigi Giussani, che lo portava a dire: «Ci sono oggi più cose tra cielo e terra di quante non se ne riescono ad afferrare con categorie politiche».

Quella apertura alla Chiesa, affermata e difesa, divenne anche spunto per azioni concrete di dialogo. Su quella futura alleanza con il mondo cattolico, ha raccontato il suo amico ecologista Stefano Borselli, «lavorò per mesi», anche con un incontro “discreto” nella sede di Comunione e liberazione. Non molto tempo prima, inoltre, c’era stato il referendum sul nucleare: una vittoria per quelli come lui, ma seppe vederne i limiti. Era rimasto, diceva, un dibattito tra esperti: l’aspetto scientifico-economico, e non quello umano, era emerso con più forza; l’elemento della paura, non uno slancio etico, aveva orientato la scelta. «Solo alcuni cristiani – riconobbe al Meeting di Rimini del 1988 – tra cui il Movimento Popolare, hanno impostato correttamente quel dibattito, così che molta gente è rimasta sepolta nel frastuono dei diversi pareri di esperti».

Prima di Beppe Grillo
E sempre a proposito di ragionevolezza, ben prima di Beppe Grillo affermò che la cultura ecologista non era, e non poteva essere, «né di destra e né di sinistra». E ben prima della Laudato si’ di papa Francesco, fu lui a diffondere il concetto, bellissimo, di «conversione ecologica». Non aveva scelto la parola a caso e ne spiegò le ragioni: «Preferisco usare questa espressione, piuttosto che termini come rivoluzione, riforma o ristrutturazione, in quanto meno ipotecata e in quanto contiene anche una dimensione di pentimento, di svolta, di un volgersi verso una più profonda consapevolezza e verso una riparazione del danno arrecato. Inoltre nel concetto di “conversione” è meglio implicita anche una nota di coinvolgimento personale, la necessità di un cambiamento personale ed esistenziale». L’ecologismo non poteva che essere, cioè, una posizione capace di investire l’io, unica possibile origine di un cambiamento autentico.

Le risposte per me
Alex Langer lo affermava qui con l’impeto ottimistico dei grandi costruttori. Lo confidò agli amici, negli ultimi giorni della sua vita, con la lealtà degli uomini umili: «Tutti cercano risposte da me, ma io non ho risposte nemmeno per me stesso». Queste parole, ancora oggi, sfidano l’illusione di ogni attivismo staccato dall’impegno con il proprio bene, e drammaticamente ci ridicono che il più coerente impegno per l’umanità non risolve il più autentico e profondo bisogno della persona umana, la domanda sulla propria felicità e il proprio destino. Oggi, venti anni dopo, possiamo tornare a guardarlo sì per le sue battaglie, ma soprattutto per quella immensa, sconfinata, totalmente umana passione al tutto, chiedendo per noi il suo impegno con le cose, chiedendo la sua stessa coscienza del nostro limite. E aprendoci alla domanda su chi, o cosa, possa compiere questa grande aspirazione al tutto. Sempre continuando «in ciò che è giusto», senza «essere tristi», proprio come ha chiesto lui.