Il caso Martina Navratilova e il vicolo cieco della legge sulle discriminazioni transomofobiche. Breve nota di Giovanni Amico e due articoli da Il Corriere della Sera e da La Stampa

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 23 /08 /2020 - 23:27 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una nota di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Famiglia, omosessualità e gender.

Il Centro culturale Gli scritti (23/8/2020)

Se un uomo musulmano impedisse alla figlia di sposare un cattolico o un ateo, ciò sarebbe, senza ombra di dubbio discriminatorio e quell’uomo andrebbe sanzionato dalla legge. Se un padre ateo impedisse alla figlia di sposarsi con un neocatecumenale o un padre neocatecumenale impedisse al figlio di sposare una ragazza atea, ciò sarebbe senza ombra di dubbio discriminatorio e quegli uomini andrebbero sanzionati dalla legge.

Non così quando un’atleta afferma di non voler gareggiare con delle transessuali. Anzi, andrebbero sanzioniate per legge quelle associazioni che discriminano quelle atlete che si sono dichiarate contrarie all’equiparazioni di atlete donne e di atlete transessuali.

È il caso dell’associazione Athlete Ally che ha allontanato come sua testimonial e ambasciatrice l’ex tennista Martina Navratilova, una delle prime atlete a dichiararsi lesbica, sposata dal 2014 con Julia Lemigova, quando la tennista ha dichiarato di voler parlare con atlete transessuali, ma di ritenere ingiusto che esse gareggino in competizioni riservate alle donne.

Athlete Ally ha così discriminato la Navratilova per le sue posizioni sulla transessualità negli sport.

Questo è il vicolo cieco nel quale la nuova proposta di legge sta per gettare il paese con una legge inadeguata, che si appella a reali sofferenze esistenti nel mondo transgender, non sapendo però individuare concretamente una via praticabile, poiché talune “differenze” non possono e non debbono essere diminuite, perché sono nella realtà e non nella cultura.

Equiparare le  differenze di genere a quelle religiose o di etnia è un vicolo cieco, che non tiene conto della differenza reale degli ambiti suddetti.

1/ Navratilova e lo scivolone sulle atlete trans, di Monica Ricci Sargentini

Riprendiamo da Il Corriere della Sera del 21/2/2019 (modificato il 27/2/2019)  un articolo di Monica Ricci Sargentini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Famiglia, omosessualità e gender.

Il Centro culturale Gli scritti (23/8/2020)

«Le recenti affermazioni di Martina Navratilova sugli atleti transgender sono transofobe, basate su una comprensione sbagliata della scienza e dei dati, e perpetuano miti pericolosi che portano a ghettizzare i trans con leggi discriminatorie e stereotipi pieni d’odio». Con queste durissime parole Athlete Ally, l’organizzazione americana che si batte contro l’esclusione di gay, lesbiche, bisessuali e trans dalle competizioni sportive, destituisce la campionessa, che ha vinto 9 Wimbledon e 59 Grande Slam, dal ruolo di ambasciatrice e consigliera.

Paladina dei diritti

Una decisione incredibile dato che Navratilova si batte per i diritti della comunità Lgtb dal 1981, quando fece un coraggioso e molto ostacolato coming out dichiarando al mondo di essere lesbica. Lo stesso coraggio che c’è voluto per definire «folle» e un «imbroglio» che le donne debbano competere «contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini». «Devono esserci dei criteri — aveva spiegato in un articolo uscito domenica scorsa sul Sunday Times -. Ridurre i livelli di ormoni, la via che la maggior parte delle Federazioni sportive ha adottato, non risolve il problema. Un uomo ha una densità ossea e una muscolatura che si sviluppano sin dall’infanzia».

Il bilancino del testosterone

La polemica nasce dal fatto che dal 2016 il Cio (Comitato Olimpico Internazionale) ha deciso che agli atleti trans non sia più richiesto l’intervento chirurgico né i due anni di terapia ormonale di conversione. Chi passa da uomo a donna dovrà soltanto dimostrare di avere i livelli di testosterone contenuti entro i 10 nanogrammi per litro. Una norma che, secondo molti, darebbe un vantaggio innegabile alle atlete trans. Il problema si porrà già il prossimo anno alle Olimpiadi di Tokyo quando scenderanno in campo diverse atlete nate uomini tra cui la pallavolista brasiliana Tiffany Abreu che, prima della transizione, aveva vinto diversi trofei nella categoria maschile.

Genere e forza

«Questa è una truffa — ha dichiarato Navratilova mettendo i piedi nel piatto —. Centinaia di atleti che hanno cambiato genere semplicemente dichiarandolo e limitandosi a un trattamento ormonale hanno vinto nelle categorie femminili quello che non avrebbero mai potuto ottenere in quelle maschili specialmente negli sport in cui è richiesta potenza». Ma Athlete Ally la pensa diversamente: «Prima di tutto — scrive nel comunicato in cui spiega l’estromissione della campionessa — le donne trans sono donne. Punto. Non c’è alcuna prova che siano più grandi, più forti o più veloci della donna cisgender (che si identifica con il proprio genere ndr) ma è vero che spesso quando le atlete abbassano il livello di testosterone le loro performance diminuiscono». Un problema, dunque, evidentemente, c’è. E dovrebbe essere lecito discuterne.

La causa

«Critico la tendenza degli attivisti trans a bollare come transofobo chiunque abbia qualcosa da dire — ha spiegato la campionessa —. Questa è una forma di tirannia. Io sono una persona forte ma ho paura che altri possano essere ridotti al silenzio». La verità è che le federazioni sportive hanno paura delle cause. Ne è un esempio il caso che si sta discutendo in questi giorni davanti al Tribunale di Arbitrato Sportivo di Losanna (Tas) dove la mezzofondista sudafricana Caster Semenya, 28 anni, due volte campionessa olimpica e tre volte mondiale degli 800 metri, ha chiamato in causa la Iaaf, l’associazione internazionale delle federazioni di atletica, per far annullare la regola che impedisce alle donne di gareggiare nelle prove superiori ai 400 metri quando abbiano livelli di testosterone nel sangue superiori a 5 nanomoli per litro. Semenya, che è nata donna ma è iperandrogina, vuole correre senza abbassare il suo livello di testosterone.

© Il Corriere della Sera RIPRODUZIONE RISERVATA 

2/ Bufera sulla Navratilova cacciata dall’associazione pro-Lgbt: “Rispetti i trans”

Riprendiamo da La Stampa del 20/2/2019 (modificato il 26/6/2019)  un articolo redazionale. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Famiglia, omosessualità e gender.

Il Centro culturale Gli scritti (23/8/2020)

Martina Navratilova è stata destituita dal ruolo di ambasciatrice e consigliera dell’organizzazione americana che si batte per gli sportivi Lgbt, Athlete Ally, dopo le sue critiche alla partecipazione di atlete transgender alle competizioni femminili. La 62enne ex campionessa di tennis, vincitrice di 18 titoli del Grande Slam e omosessuale dichiarata, aveva definito «folle» e un «imbroglio» che atlete trans abbiano «ottenuto onori come donne che sono oltre le loro capacità come uomini». «È sicuramente ingiusto», aveva scritto la Navratilova sul Sunday Times, «per le donne che devono competere contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini. Sono felice di rivolgermi a una donna transgender in qualsiasi forma preferisca, ma non sarei felice di competere contro di lei».

La presa di posizione ha scosso il mondo dello sport Lgbt, di cui la Navratilova è un’icona fin dal suo sofferto “coming out” nel 1981, e fa seguito a un’analoga uscita dell’ex tennista ceca su questo tema nel dicembre scorso. Per Athlete Ally si tratta di una posizione «omofobica» basata su vecchi luoghi comuni. Dura anche Rachel McKinnon, che a ottobre era diventata la prima atleta trans campionessa del mondo nel ciclismo con la conquista del titolo iridato Master della pista nello sprint ai mondiali di Los Angeles: «Sono frasi inquietanti, sconvolgenti e profondamente omofobiche», ha commentato la ciclista canadese.

© La Stampa RIPRODUZIONE RISERVATA