«Onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra. se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo. Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo a noi stessi. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E se estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Vorrei ricordare in particolare la sofferenza yazida, che ha pianto la morte di molti uomini e ha visto migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti a violenze fisiche e a conversioni forzate. Preghiamo perché ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato. Da dove può cominciare il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo. Cari amici, tutto ciò è possibile? Il padre Abramo, egli che seppe sperare contro ogni speranza (cfr Rm 4,18) ci incoraggia. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti!». Discorso di papa Francesco nell’Incontro interreligioso nella Piana di Ur

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /03 /2021 - 12:19 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito il discorso di papa Francesco nell’Incontro Interreligioso nella Piana di Ur il 6/3/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e cristianesimo, Laicità e diritti e Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (7/3/2021) 

Cari fratelli e sorelle,

questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra.

1. Guardiamo il cielo. Contemplando dopo millenni lo stesso cielo, appaiono le medesime stelle. Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di unità: l’Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che sta accanto a noi. L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello. Ma se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo. Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo a noi stessi. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E se estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Ma i beni del mondo, che a tanti fanno scordare Dio e gli altri, non sono il motivo del nostro viaggio sulla Terra. Alziamo gli occhi al Cielo per elevarci dalle bassezze della vanità; serviamo Dio, per uscire dalla schiavitù dell’io, perché Dio ci spinge ad amare. Ecco la vera religiosità: adorare Dio e amare il prossimo. Nel mondo d’oggi, che spesso dimentica l’Altissimo o ne offre un’immagine distorta, i credenti sono chiamati a testimoniare la sua bontà, a mostrare la sua paternità mediante la loro fraternità.

Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio! Sopra questo Paese si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza. Ne hanno sofferto tutte le comunità etniche e religiose. Vorrei ricordare in particolare quella yazida, che ha pianto la morte di molti uomini e ha visto migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti a violenze fisiche e a conversioni forzate. Oggi preghiamo per quanti hanno subito tali sofferenze, per quanti sono ancora dispersi e sequestrati, perché tornino presto alle loro case. E preghiamo perché ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato.

Il terrorismo, quando ha invaso il nord di questo caro Paese, ha barbaramente distrutto parte del suo meraviglioso patrimonio religioso, tra cui chiese, monasteri e luoghi di culto di varie comunità. Ma anche in quel momento buio sono brillate delle stelle. Penso ai giovani volontari musulmani di Mosul, che hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri, costruendo amicizie fraterne sulle macerie dell’odio, e a cristiani e musulmani che oggi restaurano insieme moschee e chiese. Il professor Ali Thajeel ci ha anche raccontato il ritorno dei pellegrini in questa città. È importante peregrinare verso i luoghi sacri: è il segno più bello della nostalgia del Cielo sulla Terra. Perciò amare e custodire i luoghi sacri è una necessità esistenziale, nel ricordo del nostro padre Abramo, che in diversi posti innalzò verso il cielo altari al Signore (cfr Gen 12,7.8; 13,18; 22,9). Il grande patriarca ci aiuti a rendere i luoghi sacri di ciascuno oasi di pace e d’incontro per tutti! Egli, per la sua fedeltà a Dio, divenne benedizione per tutte le genti (cfr Gen 12,3); il nostro essere oggi qui sulle sue orme sia segno di benedizione e di speranza per l’Iraq, per il Medio Oriente e per il mondo intero. Il Cielo non si è stancato della Terra: Dio ama ogni popolo, ogni sua figlia e ogni suo figlio! Non stanchiamoci mai di guardare il cielo, di guardare queste stelle, le stesse che, a suo tempo, guardò il nostro padre Abramo.

2. Camminiamo sulla terra. Gli occhi al cielo non distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra, a intraprendere un viaggio che, attraverso la sua discendenza, avrebbe toccato ogni secolo e latitudine. Ma tutto cominciò da qui, dal Signore che “lo fece uscire da Ur” (cfr Gen 15,7). Il suo fu dunque un cammino in uscita, che comportò sacrifici: dovette lasciare terra, casa e parentela. Ma, rinunciando alla sua famiglia, divenne padre di una famiglia di popoli. Anche a noi succede qualcosa di simile: nel cammino, siamo chiamati a lasciare quei legami e attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli. Sì, abbiamo bisogno di uscire da noi stessi, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. La pandemia ci ha fatto comprendere che «nessuno si salva da solo» (Lett. enc. Fratelli tutti, 54). Eppure ritorna sempre la tentazione di prendere le distanze dagli altri. Ma «il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» (ibid., 36). Nelle tempeste che stiamo attraversando non ci salverà l’isolamento, non ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri, che anzi ci renderanno sempre più distanti e arrabbiati. Non ci salverà l’idolatria del denaro, che rinchiude in sé stessi e provoca voragini di disuguaglianza in cui l’umanità sprofonda. Non ci salverà il consumismo, che anestetizza la mente e paralizza il cuore.

La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra, è la via della pace. Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte. È indegno che, mentre siamo tutti provati dalla crisi pandemica, e specialmente qui dove i conflitti hanno causato tanta miseria, qualcuno pensi avidamente ai propri affari. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità. Chiediamolo nella preghiera per tutto il Medio Oriente, penso in particolare alla vicina, martoriata Siria.

Il patriarca Abramo, che oggi ci raduna in unità, fu profeta dell’Altissimo. Un’antica profezia dice che i popoli «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2,4). Questa profezia non si è realizzata, anzi spade e lance sono diventate missili e bombe. Da dove può cominciare allora il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo.

Cari amici, tutto ciò è possibile? Il padre Abramo, egli che seppe sperare contro ogni speranza (cfr Rm 4,18) ci incoraggia. Nella storia abbiamo spesso inseguito mete troppo terrene e abbiamo camminato ognuno per conto proprio, ma con l’aiuto di Dio possiamo cambiare in meglio. Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa.

Il cammino di Abramo fu una benedizione di pace. Ma non fu facile: egli dovette affrontare lotte e imprevisti. Anche noi abbiamo davanti un cammino accidentato, ma abbiamo bisogno, come il grande patriarca, di fare passi concreti, di peregrinare alla scoperta del volto dell’altro, di condividere memorie, sguardi e silenzi, storie ed esperienze. Mi ha colpito la testimonianza di Dawood e Hasan, un cristiano e un musulmano che, senza farsi scoraggiare dalle differenze, hanno studiato e lavorato insieme. Insieme hanno costruito il futuro e si sono scoperti fratelli. Anche noi, per andare avanti, abbiamo bisogno di fare insieme qualcosa di buono e di concreto. Questa è la via, soprattutto per i giovani, che non possono vedere i loro sogni stroncati dai conflitti del passato! È urgente educarli alla fraternità, educarli a guardare le stelle. È una vera e propria emergenza; sarà il vaccino più efficace per un domani di pace. Perché siete voi, cari giovani, il nostro presente e il nostro futuro!

Solo con gli altri si possono sanare le ferite del passato. La signora Rafah ci ha raccontato l’eroico esempio di Najy, della comunità sabeana mandeana, che perse la vita nel tentativo di salvare la famiglia del suo vicino musulmano. Quanta gente qui, nel silenzio e nel disinteresse del mondo, ha avviato cammini di fraternità! Rafah ci ha raccontato pure le indicibili sofferenze della guerra, che ha costretto molti ad abbandonare casa e patria in cerca di un futuro per i loro figli. Grazie, Rafah, per aver condiviso con noi la ferma volontà di restare qui, nella terra dei tuoi padri. Quanti non ci sono riusciti e hanno dovuto fuggire, trovino un’accoglienza benevola, degna di persone vulnerabili e ferite.

Fu proprio attraverso l’ospitalità, tratto distintivo di queste terre, che Abramo ricevette la visita di Dio e il dono ormai insperato di un figlio (cfr Gen 18,1-10). Noi, fratelli e sorelle di diverse religioni, ci siamo trovati qui, a casa, e da qui, insieme, vogliamo impegnarci perché si realizzi il sogno di Dio: che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra.

PREGHIERA DEI FIGLI DI ABRAMO

Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo, figlio insigne di questa nobile e cara terra.

Ti ringraziamo per il suo esempio di uomo di fede che ti ha obbedito fino in fondo, lasciando la sua famiglia, la sua tribù e la sua patria per andare verso una terra che non conosceva.

Ti ringraziamo anche per l’esempio di coraggio, di resilienza e di forza d’animo, di generosità e di ospitalità che il nostro comune padre nella fede ci ha donato.

Ti ringraziamo, in particolare, per la sua fede eroica, dimostrata dalla disponibilità a sacrificare suo figlio per obbedire al tuo comando. Sappiamo che era una prova difficilissima, dalla quale tuttavia è uscito vincitore, perché senza riserve si è fidato di Te, che sei misericordioso e apri sempre possibilità nuove per ricominciare.

Ti ringraziamo perché, benedicendo il nostro padre Abramo, hai fatto di lui una benedizione per tutti i popoli.

Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse.

Fai di ognuno di noi un testimone della tua cura amorevole per tutti, in particolare per i rifugiati e gli sfollati, le vedove e gli orfani, i poveri e gli ammalati.

Apri i nostri cuori al perdono reciproco e rendici strumenti di riconciliazione, costruttori di una società più giusta e fraterna.

Accogli nella tua dimora di pace e di luce tutti i defunti, in particolare le vittime della violenza e delle guerre.

Assisti le autorità civili nel cercare e trovare le persone rapite, e nel proteggere in modo speciale le donne e i bambini.

Aiutaci ad avere cura del pianeta, casa comune che, nella tua bontà e generosità, hai dato a tutti noi.

Sostieni le nostre mani nella ricostruzione di questo Paese, e dacci la forza necessaria per aiutare quanti hanno dovuto lasciare le loro case e loro terre a rientrare in sicurezza e con dignità, e a iniziare una vita nuova, serena e prospera. Amen.

2/ «Quanto abbiamo pregato, in questi anni, per la pace in Iraq! San Giovanni Paolo II non ha risparmiato iniziative, e soprattutto ha offerto preghiere e sofferenze per questo. E Dio ascolta, Dio ascolta sempre! Sta a noi ascoltare Lui, camminare nelle sue vie. Tacciano le armi! . È indispensabile in tal senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali e religiosi e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini. Nessuno sia considerato cittadino di seconda classe. L’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità». Il discorso di papa Francesco nell’Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico nel Palazzo Presidenziale di Baghdad

Riprendiamo sul nostro sito il discorso di papa Francesco nell’Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico nel Palazzo Presidenziale di Baghdad il 5/3/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e cristianesimo, Laicità e diritti e Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (7/3/2021) 

Signor Presidente,
Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità,
Rappresentanti della società civile,
Signore e Signori!

Sono grato dell’opportunità di compiere questa Visita, a lungo attesa e desiderata, nella Repubblica di Iraq; di poter venire in questa terra, culla della civiltà strettamente legata, attraverso il Patriarca Abramo e numerosi profeti, alla storia della salvezza e alle grandi tradizioni religiose dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam. Esprimo la mia gratitudine al Signor Presidente Salih per l’invito e per le cortesi parole di benvenuto, che mi ha rivolto anche a nome delle Autorità e del suo amato popolo. Ugualmente saluto i Membri del Corpo diplomatico e i Rappresentanti della società civile.

Saluto con affetto i Vescovi e i presbiteri, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli della Chiesa Cattolica. Vengo come pellegrino per incoraggiarli nella loro testimonianza di fede, speranza e carità in mezzo alla società irachena. Saluto anche i membri delle altre Chiese e Comunità ecclesiali cristiane, gli aderenti all’Islam e i rappresentanti di altre tradizioni religiose. Dio ci conceda di camminare insieme, come fratelli e sorelle, nella «forte convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace, […] della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune» (Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019).

La mia visita avviene nel tempo in cui il mondo intero sta cercando di uscire dalla crisi della pandemia da Covid-19, che non ha solo colpito la salute di tante persone, ma ha anche provocato il deterioramento di condizioni sociali ed economiche già segnate da fragilità e instabilità. Questa crisi richiede sforzi comuni da parte di ciascuno per fare i tanti passi necessari, tra cui un’equa distribuzione dei vaccini per tutti. Ma non basta: questa crisi è soprattutto un appello a «ripensare i nostri stili di vita […], il senso della nostra esistenza» (Enc. Fratelli tutti, 33). Si tratta di uscire da questo tempo di prova migliori di come eravamo prima; di costruire il futuro più su quanto ci unisce che su quanto ci divide.

Negli scorsi decenni, l’Iraq ha patito i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse. Tutto ciò ha portato morte, distruzione, macerie tuttora visibili, e non solo a livello materiale: i danni sono ancora più profondi se si pensa alle ferite dei cuori di tante persone e comunità, che avranno bisogno di anni e anni per guarire. E qui, tra i tanti che hanno sofferto, non posso non ricordare gli yazidi, vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa, e la cui stessa identità e sopravvivenza è stata messa a rischio. Pertanto, solo se riusciamo a guardarci tra noi, con le nostre differenze, come membri della stessa famiglia umana, possiamo avviare un effettivo processo di ricostruzione e lasciare alle future generazioni un mondo migliore, più giusto e più umano. A questo riguardo, la diversità religiosa, culturale ed etnica, che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare. Oggi l’Iraq è chiamato a mostrare a tutti, specialmente in Medio Oriente, che le differenze, anziché dar luogo a conflitti, devono cooperare in armonia nella vita civile.

La coesistenza fraterna ha bisogno del dialogo paziente e sincero, tutelato dalla giustizia e dal rispetto del diritto. Non è un compito facile: richiede fatica e impegno da parte di tutti per superare rivalità e contrapposizioni, e parlarsi a partire dall’identità più profonda che abbiamo, quella di figli dell’unico Dio e Creatore (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 5). In base a questo principio la Santa Sede, in Iraq come altrove, non si stanca di appellarsi alle Autorità competenti perché concedano a tutte le comunità religiose riconoscimento, rispetto, diritti e protezione. Apprezzo gli sforzi già intrapresi in questo senso e unisco la mia voce a quella degli uomini e delle donne di buona volontà affinché essi proseguano a beneficio del Paese.

Una società che porta l’impronta dell’unità fraterna è una società i cui membri vivono tra loro in solidarietà. «La solidarietà ci aiuta a vedere l’altro […] come nostro prossimo, compagno di strada» (Messaggio per la 54ª Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2021). È una virtù che ci porta a compiere gesti concreti di cura e di servizio, con particolare riguardo per i più vulnerabili e bisognosi. Penso a coloro che, a causa della violenza, della persecuzione e del terrorismo hanno perduto familiari e persone care, casa e beni primari. Ma penso a tutta la gente che lotta ogni giorno in cerca di sicurezza e di mezzi per andare avanti, mentre aumentano disoccupazione e povertà. Il «saperci responsabili della fragilità degli altri» (Enc. Fratelli tutti, 115) dovrebbe ispirare ogni sforzo per creare concrete opportunità sia sul piano economico sia nell’ambito dell’educazione, come pure per la cura del creato, nostra casa comune. Dopo una crisi, non basta ricostruire, bisogna farlo bene: in modo che tutti possano avere una vita dignitosa. Da una crisi non si esce uguali a prima: si esce o migliori o peggiori.

In quanto responsabili politici e diplomatici, siete chiamati a promuovere questo spirito di solidarietà fraterna. È necessario contrastare la piaga della corruzione, gli abusi di potere e l’illegalità, ma non è sufficiente. Occorre nello stesso tempo edificare la giustizia, far crescere l’onestà, la trasparenza e rafforzare le istituzioni a ciò preposte. In tal modo può crescere la stabilità e svilupparsi una politica sana, capace di offrire a tutti, specialmente ai giovani – così numerosi in questo Paese –, la speranza di un avvenire migliore.

Signor Presidente, distinte Autorità, cari amici! Vengo come penitente che chiede perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà e vengo come pellegrino di pace, in nome di Cristo, Principe della Pace. Quanto abbiamo pregato, in questi anni, per la pace in Iraq! San Giovanni Paolo II non ha risparmiato iniziative, e soprattutto ha offerto preghiere e sofferenze per questo. E Dio ascolta, Dio ascolta sempre! Sta a noi ascoltare Lui, camminare nelle sue vie. Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, basta estremismi, fazioni, intolleranze! Si dia spazio a tutti i cittadini che vogliono costruire insieme questo Paese, nel dialogo, nel confronto franco e sincero, costruttivo; a chi si impegna per la riconciliazione e, per il bene comune, è disposto a mettere da parte i propri interessi. In questi anni l’Iraq ha cercato di porre le basi per una società democratica. È indispensabile in tal senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali e religiosi e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini. Nessuno sia considerato cittadino di seconda classe. Incoraggio i passi compiuti finora in questo percorso e spero che rafforzino la serenità e la concordia.

Anche la comunità internazionale ha un ruolo decisivo da svolgere nella promozione della pace in questa terra e in tutto il Medio Oriente. Come abbiamo visto durante il lungo conflitto nella vicina Siria – dal cui inizio si compiono in questi giorni ben dieci anni! –, le sfide interpellano sempre più l’intera famiglia umana. Esse richiedono una cooperazione su scala globale al fine di affrontare anche le disuguaglianze economiche e le tensioni regionali che mettono a rischio la stabilità di queste terre. Ringrazio gli Stati e le Organizzazioni internazionali, che si stanno adoperando in Iraq per la ricostruzione e per provvedere assistenza ai rifugiati, agli sfollati interni e a chi fatica a ritornare nelle proprie case, rendendo disponibili nel Paese cibo, acqua, alloggi, servizi sanitari e igienici, come pure programmi volti alla riconciliazione e alla costruzione della pace. E qui non posso non ricordare le tante agenzie, tra cui diverse cattoliche, che da anni assistono con grande impegno le popolazioni civili. Venire incontro ai bisogni essenziali di tanti fratelli e sorelle è atto di carità e di giustizia, e contribuisce a una pace duratura. Auspico che le nazioni non ritirino dal popolo iracheno la mano tesa dell’amicizia e dell’impegno costruttivo, ma continuino a operare in spirito di comune responsabilità con le Autorità locali, senza imporre interessi politici e ideologici.

La religione, per sua natura, dev’essere al servizio della pace e della fratellanza. Il nome di Dio non può essere usato per «giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione» (Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019). Al contrario Dio, che ha creato gli esseri umani uguali nella dignità e nei diritti, ci chiama a diffondere amore, benevolenza, concordia. Anche in Iraq la Chiesa Cattolica desidera essere amica di tutti e, attraverso il dialogo, collaborare in modo costruttivo con le altre religioni, per la causa della pace. L’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all’armonia del Paese.

Cari amici, desidero esprimere ancora una volta sentita gratitudine per tutto quello che avete fatto e continuate a fare al fine di edificare una società improntata all’unità fraterna, alla solidarietà e alla concordia. Il vostro servizio al bene comune è un’opera nobile. Chiedo all’Onnipotente di sostenervi nelle vostre responsabilità e di guidarvi tutti sulla via della sapienza, della giustizia e della verità. Su ciascuno di voi, sulle vostre famiglie e sui vostri cari, e sull’intero popolo iracheno invoco l’abbondanza delle benedizioni divine. Grazie!

3/ «Vorrei tornare ora ai nostri fratelli e sorelle morti nell’attentato terroristico in questa Cattedrale dieci anni fa e la cui causa di beatificazione è in corso. La loro morte ci ricorda con forza che l’incitamento alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi». Il discorso di papa Francesco nell’Incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi e i Catechisti nella Cattedrale Siro-Cattolica di “Nostra Signora della Salvezza”

Riprendiamo sul nostro sito il discorso di papa Francesco nell’Incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi e i Catechisti nella Cattedrale Siro-Cattolica di “Nostra Signora della Salvezza” il 5/3/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e cristianesimo, Laicità e diritti e Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (7/3/2021) 

Beatitudini, Eccellenze,
Cari Sacerdoti e Religiosi,
Care Suore,
cari fratelli e sorelle!

Vi abbraccio tutti con affetto paterno. Sono grato al Signore che nella sua provvidenza ci ha permesso di incontrarci oggi. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Ignace Youssif Younan e Sua Beatitudine il Cardinale Louis Sako per le parole di benvenuto. Siamo riuniti in questa Cattedrale di Nostra Signora della Salvezza, benedetti dal sangue dei nostri fratelli e sorelle che qui hanno pagato il prezzo estremo della loro fedeltà al Signore e alla sua Chiesa. Possa il ricordo del loro sacrificio ispirarci a rinnovare la nostra fiducia nella forza della Croce e del suo messaggio salvifico di perdono, riconciliazione e rinascita. Il cristiano infatti è chiamato a testimoniare l’amore di Cristo ovunque e in ogni tempo. Questo è il Vangelo da proclamare e incarnare anche in questo amato Paese.

Come vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti e responsabili laici, tutti voi condividete le gioie e le sofferenze, le speranze e le angosce dei fedeli di Cristo. I bisogni del popolo di Dio e le ardue sfide pastorali che affrontate quotidianamente si sono aggravate in questo tempo di pandemia. Tuttavia, ciò che mai dev’essere bloccato o ridotto è il nostro zelo apostolico, che voi attingete da radici antichissime, dalla presenza ininterrotta della Chiesa in queste terre fin dai primi tempi (cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Medio Oriente, 5). Sappiamo quanto sia facile essere contagiati dal virus dello scoraggiamento che a volte sembra diffondersi intorno a noi. Eppure il Signore ci ha dato un vaccino efficace contro questo brutto virus: è la speranza. La speranza che nasce dalla preghiera perseverante e dalla fedeltà quotidiana al nostro apostolato. Con questo vaccino possiamo andare avanti con energia sempre nuova, per condividere la gioia del Vangelo, come discepoli missionari e segni viventi della presenza del Regno di Dio, Regno di santità, di giustizia e di pace.

Quanto ha bisogno il mondo intorno a noi di ascoltare questo messaggio! Non dimentichiamo mai che Cristo è annunciato soprattutto dalla testimonianza di vite trasformate dalla gioia del Vangelo. Come vediamo dall’antica storia della Chiesa in queste terre, una fede viva in Gesù è “contagiosa”, può cambiare il mondo. L’esempio dei santi ci mostra che seguire Gesù Cristo «non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 167).

Le difficoltà fanno parte dell’esperienza quotidiana dei fedeli iracheni. Negli ultimi decenni, voi e i vostri concittadini avete dovuto affrontare gli effetti della guerra e delle persecuzioni, la fragilità delle infrastrutture di base e la continua lotta per la sicurezza economica e personale, che spesso ha portato a sfollamenti interni e alla migrazione di molti, anche tra i cristiani, in altre parti del mondo. Vi ringrazio, fratelli Vescovi e Sacerdoti, di essere rimasti vicini al vostro popolo – vicini al vostro popolo! –, sostenendolo, sforzandovi di soddisfare i bisogni della gente e aiutando ciascuno a fare la sua parte al servizio del bene comune. L’apostolato educativo e quello caritativo delle vostre Chiese particolari rappresentano una preziosa risorsa per la vita sia della comunità ecclesiale sia dell’intera società. Vi incoraggio a perseverare in questo impegno, al fine di garantire che la Comunità cattolica in Iraq, sebbene piccola come un granello di senape (cfr Mt 13,31-32), continui ad arricchire il cammino del Paese nel suo insieme.

L’amore di Cristo ci chiede di mettere da parte ogni tipo di egocentrismo e di competizione; ci spinge alla comunione universale e ci chiama a formare una comunità di fratelli e sorelle che si accolgono e si prendono cura gli uni degli altri (cfr Enc. Fratelli tutti, 95-96). Penso all’immagine familiare di un tappeto. Le diverse Chiese presenti in Iraq, ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale, sono come tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico, bellissimo tappeto, che non solo attesta la nostra fraternità, ma rimanda anche alla sua fonte. Perché Dio stesso è l’artista che ha ideato questo tappeto, che lo tesse con pazienza e lo rammenda con cura, volendoci sempre tra noi ben intrecciati, come suoi figli e figlie. Sia sempre nel nostro cuore l’esortazione di Sant’Ignazio di Antiochia: «Nulla esista tra voi che possa dividervi, […] ma vi sia un’unica preghiera, un unico spirito, un’unica speranza, nell’amore e nella gioia» (Ad Magnesios, 6-7: PL 5, 667). Com’è importante questa testimonianza di unione fraterna in un mondo spesso frammentato e lacerato dalle divisioni! Ogni sforzo compiuto per costruire ponti tra comunità e istituzioni ecclesiali, parrocchiali e diocesane servirà come gesto profetico della Chiesa in Iraq e come risposta feconda alla preghiera di Gesù affinché tutti siano uno (cfr Gv 17,21; Ecclesia in Medio Oriente, 37).

Pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi e catechisti condividono, anche se in modi diversi, la responsabilità di portare avanti la missione della Chiesa. A volte possono sorgere incomprensioni e possiamo sperimentare delle tensioni: sono i nodi che ostacolano la tessitura della fraternità. Sono nodi che portiamo dentro di noi; del resto, siamo tutti peccatori. Tuttavia, questi nodi possono essere sciolti dalla Grazia, da un amore più grande; possono essere allentati dal perdono e dal dialogo fraterno, portando pazientemente i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2) e rafforzandosi a vicenda nei momenti di prova e di difficoltà.

Ora vorrei dire una parola speciale ai miei fratelli vescovi. Mi piace pensare al nostro ministero episcopale in termini di vicinanza: il nostro bisogno di rimanere con Dio nella preghiera, accanto ai fedeli affidati alle nostre cure e ai nostri sacerdoti. Siate particolarmente vicini ai vostri sacerdoti. Che non vi vedano come amministratori o manager, ma come padri, preoccupati perché i figli stiano bene, pronti a offrire loro sostegno e incoraggiamento con cuore aperto. Accompagnateli con la vostra preghiera, col vostro tempo, con la vostra pazienza, apprezzando il loro lavoro e guidando la loro crescita. In questo modo sarete per i vostri sacerdoti segno visibile di Gesù, il Buon Pastore che conosce le sue pecore e dà la vita per loro (cfr Gv 10,14-15).

Cari sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti, seminaristi che vi preparate al futuro ministero: tutti voi avete sentito la voce del Signore nei vostri cuori e come il giovane Samuele avete risposto: «Eccomi» (1 Sam 3,4). Questa risposta, che vi invito a rinnovare ogni giorno, conduca ciascuno di voi a condividere la Buona Novella con entusiasmo e con coraggio, vivendo e camminando sempre alla luce della Parola di Dio, che abbiamo il dono e il compito di annunciare. Sappiamo che il nostro servizio comporta anche una componente amministrativa, ma questo non significa che dobbiamo passare tutto il nostro tempo in riunioni o dietro una scrivania. È importante uscire in mezzo al nostro gregge e offrire la nostra presenza e il nostro accompagnamento ai fedeli nelle città e nei villaggi. Penso a quanti rischiano di restare indietro: ai giovani, agli anziani, ai malati e ai poveri. Quando serviamo il prossimo con dedizione, come voi fate, in spirito di compassione, umiltà, gentilezza, con amore, stiamo realmente servendo Gesù, come Lui stesso ci ha detto (cfr Mt 25,40). E servendo Gesù negli altri, scopriamo la vera gioia. Non allontanatevi dal santo popolo di Dio, nel quale siete nati. Non dimenticatevi delle vostre mamme e delle vostre nonne, che vi hanno “allattato” nella fede, come direbbe San Paolo (cfr 2 Tm 1,5). Siate pastori, servitori del popolo e non funzionari di stato, chierici di stato. Sempre nel popolo di Dio, mai staccati come se foste una classe privilegiata. Non rinnegate questa “stirpe” nobile che è il santo popolo di Dio.

Vorrei tornare ora ai nostri fratelli e sorelle morti nell’attentato terroristico in questa Cattedrale dieci anni fa e la cui causa di beatificazione è in corso. La loro morte ci ricorda con forza che l’incitamento alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi (cfr Enc. Fratelli tutti, 285). E voglio ricordare tutte le vittime di violenze e persecuzioni, appartenenti a qualsiasi comunità religiosa. Domani, a Ur, incontrerò i Leader delle tradizioni religiose presenti in questo Paese, per proclamare ancora una volta la nostra convinzione che la religione deve servire la causa della pace e dell’unità tra tutti i figli di Dio. Questa sera voglio ringraziarvi per il vostro impegno di essere operatori di pace, all’interno delle vostre comunità e con i credenti di altre tradizioni religiose, spargendo semi di riconciliazione e di convivenza fraterna che possono portare a una rinascita di speranza per tutti.

Penso in particolare ai giovani. Ovunque sono portatori di promessa e di speranza, e soprattutto in questo Paese. Qui infatti non c’è solo un inestimabile patrimonio archeologico, ma una ricchezza incalcolabile per l’avvenire: sono i giovani! Sono il vostro tesoro e occorre prendersene cura, alimentandone i sogni, accompagnandone il cammino, accrescendone la speranza. Benché giovani, infatti, la loro pazienza è già stata messa duramente alla prova dai conflitti di questi anni. Ma ricordiamoci, loro – insieme agli anziani – sono la punta di diamante del Paese, i frutti più saporiti dell’albero: sta a noi, a noi, coltivarli nel bene e irrigarli di speranza.

Fratelli e sorelle, attraverso il Battesimo e la Confermazione, attraverso l’ordinazione o la professione religiosa, siete stati consacrati al Signore e inviati per essere discepoli missionari in questa terra così strettamente legata alla storia della salvezza. Siete parte di quella storia, testimoniando fedelmente le promesse di Dio, che mai vengono meno, e cercando di costruire un nuovo futuro. La vostra testimonianza, maturata nelle avversità e rafforzata dal sangue dei martiri, sia una luce che risplende in Iraq e oltre, per annunciare la grandezza del Signore e far esultare lo spirito di questo popolo in Dio nostro Salvatore (cfr Lc 1,46-47).

Nuovamente rendo grazie perché abbiamo potuto incontrarci. Nostra Signora della Salvezza e l’Apostolo San Tommaso intercedano per voi e vi proteggano sempre. Benedico di cuore ciascuno di voi e le vostre comunità. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!