Sant'Anselmo d'Aosta e l'Europa, nel IX centenario della morte, di François-Xavier Dumortier

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 28 /11 /2010 - 08:05 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 27/11/2010 un articolo di François-Xavier Dumortier, apparso con il titolo originario “Un convegno in occasione del IX centenario della morte di Anselmo d'Aosta. Maestro di attenzione per l'Europa”. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (27/11/2010)

 

Presso la Pontificia Università Gregoriana si svolge, dal 25 al 27 novembre, il congresso internazionale "La partecipazione di Anselmo al processo di costruzione della "nuova" Europa". Pubblichiamo ampi stralci della relazione del rettore dell'Ateneo.

Ricordo un seminario del Padre Michel Corbin, più di trent'anni fa, sul Proslogion, e l'anno successivo sul Monologion, seminari che mi hanno segnato molto. E come non evocare pure la cara abbazia di Bec Hellouin, dove mi sono recato sovente per i miei esercizi annuali, per accompagnare dei ritiri dei laici e dove più di una volta nel silenzio del mattino o della sera la figura di Anselmo e dei suoi scritti, mi erano così vicini.

La sua opera ha lasciato una traccia profonda nella storia intellettuale e spirituale della Chiesa e dell'Europa, e io sono tra quelli che ritengono che Anselmo e la sua opera costituiscono per noi, all'inizio di questo XXI secolo, un riferimento fondamentale.

Anselmo d'Aosta, Anselmo di Bec, Anselmo di Canterbury. Anselmo è una figura che appartiene a questi tre luoghi e che non è proprietà di nessuno poiché la sua vita, la sua riflessione e le sue diverse responsabilità religiose ed ecclesiali, lo hanno indotto ad abitare quest'altra terra che è la vita interiore. Inoltre vorrei dire come, in un'Europa alla ricerca di se stessa, Anselmo può aiutarci a non dimenticare di avere cura della propria anima.

L'Europa sembra spesso oppressa da un passato troppo ricco, ostacolata nel suo cammino dalla nostalgia di ciò che è stata, incerta di se stessa e priva di una visione di quello che può o potrebbe essere il suo avvenire. La costruzione dell'Unione europea sembra farsi secondo delle necessità e una logica che non emergono dalla via dello spirito e più di un europeo potrebbe guardare la nostra Unione europea in maniera disincantata, come un corpo senz'anima.

Ma non bisogna invece guardare in modo diverso questo mezzo secolo di storia dell'Unione europea? Da un certo punto di vista tutto divide tra loro gli europei: le lingue, le culture, le tradizioni, le religioni e lì si tratta spesso di prospettive e di concezioni di vita e del mondo che divergono e possono affrontarsi, come lo testimonia la nostra storia europea.

Ora la costruzione europea ha avuto da subito come posta in gioco la pace, la pace tra i popoli, le nazioni, gli Stati - questa pace alla quale ci si abitua così presto e che si scopre come un bene fondamentale quando viene minacciata e spesso è troppo tardi - questa pace di cui l'Europa straziata, ferita e sfigurata da tante lotte fratricide ha sentito e sente talmente il bisogno. La pace non è uno stato naturale, la pace è fragile. Come europei noi abbiamo sperimentato, come dice Hannah Arendt, che "la Città è deteriorabile". Questo veritiero "bene comune" dell'Europa, che è la pace, non è un niente: questa pace ha permesso che le frontiere non siano più dei muri e che si crei uno spazio pubblico comune.

Proprio perché questo spazio pubblico comune esiste, noi ci accorgiamo tanto più fortemente di ciò che ci manca e che dovrebbe "animarci" profondamente.

L'Unione europea, per come la vediamo a livello dei media e delle crisi europee e dei summit o degli incontri intergovernativi, può sembrare priva di orizzonte e di soffio vitale. L'Unione europea avanza a piccoli passi spesso un passetto avanti e mezzo indietro, ma questo non significa anche un testardo rifiuto della fatalità e il coraggio dell'avvenire vissuto come perseveranza? Mi sembra che occorra riconoscere ciò che è stato fatto e continua a realizzarsi per poter guardare la nostra vecchia Europa, un'Europa che amo appassionatamente, con il desiderio che essa divenga soprattutto un'Europa dello spirito e del cuore. Più l'Europa si costruisce, più essa ci chiede di essere sensibili rispetto a ciò che non ha compiuto. Più si ama quest'Europa che è la nostra eredità comune, più si desidera che sia mossa da un magis che la conduca fino alla fine delle esigenze che porta in sé e che vengono da lontano.

E come dimenticare l'esperienza storica più recente, quella dei drammi senza precedenti che ha conosciuto? È il passato da cui noi proveniamo: due guerre mondiali, i campi di sterminio nazisti, i gulag gelidi di Stalin, lo smarrimento delle élite sociali e culturali nei tempi più bui, i regimi totalitari, l'accecamento di alcuni intellettuali. Sono quelle profonde oscurità della propria storia che l'Europa non smette di guardare come quello che ossessiona la sua disgraziata coscienza.

E come dimenticare la resistenza morale, spirituale e politica di coloro che si sono alzati per dire "no" a tutti i Creonti della nostra storia contemporanea? L'Europa non è stata solamente quella delle dimenticanze e dei rinnegamenti: è stata anche quella della resistenza al male sotto tutte le sue forme.

E la coscienza europea non è morta: ha resistito a tutti i tentativi di annichilirla o anestetizzarla. L'Unione europea non è soltanto l'Europa dei mercati e dei funzionari, delle imprese e degli interessi. Certo, la costruzione europea è sintomatica di un'epoca plasmata da esigenze tecniche, funzionali e organizzative. Ma come non vedere anche quella che chiamerei una "coscienza europea" capace di denunciare l'inaccettabile e l'ingiustificabile agli occhi dell'uomo di buona volontà, agli occhi dell'uomo della ragione?

Nel suo libro Platone e l'Europa, Jan Patocka scrive che l'Europa è "un concetto basato su fondamenti spirituali" e un altro filosofo, Alexis Philonenko, ne L'Arcipelago della coscienza europea afferma che soltanto l'approfondimento della coesione spirituale che unisce i suoi abitanti farà dell'Europa qualcosa d'altro di una comunità più o meno precaria di interessi.

Che cosa si intende per fondamenti spirituali e coesione spirituale? È a questo punto, mi sembra che è necessario volgersi ad Anselmo per capire che cosa il dottore magnifico può ispirarci oggi. A rischio di sollecitare troppo la figura di Anselmo mi permetto di dire ciò che, a riguardo della situazione spirituale del nostro tempo in Europa, può o potrebbe essere importante, e io lo farei in quattro momenti: attraverso la sua vita e il suo lavoro, Anselmo ci mostra ciò che è primario, la ricerca di Dio, "Dio come ciò di cui non è possibile pensare qualcosa di più grande".

Nella nostra società, il rischio è vivere come essenziali cose che in realtà sono secondarie, di attaccarsi a ciò che è più apparente e più immediato, dimenticando di cercare dietro il provvisorio ciò che non passa, e, in definitiva, di non darsi tempo e mezzi per vivere interiormente. Il rischio che noi corriamo è quello della superficialità e della banalità.

Perciò l'Europa ha bisogno di uomini e di donne che osino prendere, ciascuno personalmente, il cammino dell'interiorità: ha bisogno di uomini e di donne che cercano Dio perché Lo desiderano trovare, degli uomini e delle donne che scavano nella loro vita questo pozzo che libera per gli altri un'acqua di vita.

L'attenzione a ciò che è essenziale non è né spontanea né naturale, si esercita e si sviluppa nella misura in cui lo sguardo si impegna ad andare fino in fondo a ciò che scruta, nella misura in cui lo spirito accetta di vivere questo cammino senza fine, e l'orecchio si orienta ad ascoltare Colui che si fa riconoscere nella brezza leggera dell'Horeb e non nel frastuono e nella violenza di ciò che non ha altri mezzi per imporsi.

E l'esperienza interiore, segnata che sia, in Anselmo, dalla vita monastica, non è un cammino valido solo per coloro che lo percorrono: l'esperienza interiore stessa conduce a una comunione con gli altri, che diventano parte di sé, e è attraverso le radici che si creano le solidarietà più forti e durature.

Che l'Europa abbia un'anima non è per la responsabilità degli altri: è la responsabilità di ciascuno e innanzitutto di coloro che sanno che l'esperienza spirituale mette in gioco la totalità dell'esistenza e che la ricerca di Dio conduce sempre più lontano, alla ricerca di ciò che è sempre al di là. L'Europa, che deve tanto alla fede profonda dei suoi padri fondatori, ha bisogno oggi di uomini e di donne che abbiamo un chiostro interiore dove allontanarsi dall'inessenziale e vivere l'ascolto silenzioso dei cercatori di Dio. Perché il suo futuro sia a misura del suo passato, l'Europa ha bisogno di uomini e di donne che sappiano vivere interiormente.

Anselmo di Aosta si è fermato a Bec perché vi aveva trovato, intorno a Lanfranco di Pavia, un ambiente di vita intellettuale intenso. L'opera di Anselmo mi sembra testimoniare l'importanza fondamentale del lavoro intellettuale. Non si tratta di darsi a un lavoro che potrebbe essere considerato un impegno tra gli altri: si tratta, lungi da idee vaghe e di moda, di pensare con rigore, ovvero di vivere questa esperienza dello spirito che è un viaggio senza ritorno e un pellegrinaggio senza un cammino fissato.

La sete di verità e l'esigenza della ragione non conduce mai al di fuori di ciò che l'uomo può cercare e desidera trovare. Nella nostra società, molto spesso tentata di comprendere il compito dell'intelligenza in termini di accumulazione di conoscenze, di gestione del sapere, o di trattamento dei dati, come se la loro quantità fosse un criterio di verità, Anselmo mette in evidenza la sfida di pensare. Nella nostra società, dove la mentalità tecnica rischia sempre di rinchiudere le menti dentro una dimensione orizzontale, è bene ricordarsi quest'altra dimensione verticale, quella del pensiero, nella quale si possono unire e si congiungono fede e ragione.

La nostra responsabilità personale e istituzionale è qui in gioco: l'Europa per essere fedele al meglio di ciò che è la sua tradizione, ha bisogno di uomini e di donne che pensano, che si donano all'affascinante rischio di pensare, e di pensare fino al fondo di ciò che è la nostra condizione umana, e ciò che ne è il senso, ovvero il significato e il fine.

Anselmo è stato anche l'uomo della difesa della libertà della Chiesa, nella questione delle investiture ecclesiastiche; ha voluto difendere la Chiesa dalle ingerenze indotte dal potere politico, fino ad accettare, se ne fosse il caso, il sacrificio della propria vita. Non temeva di scrivere: "Dio non ama niente di più in questo mondo che la libertà della Chiesa", Dio vuole che la Sua sposa sia libera e non serva. Anselmo è quell'uomo e quel vescovo che interpreta la sua responsabilità sapendo resistere a ciò che la sua coscienza non gli permette di accettare.

Anselmo conserva tutta la sua attualità: quale che siano le epoche e i contesti, evidenzia sempre questo coraggio dell'intelligenza che non si contesta non solo di individuare, ma che osa affrontare questo potere che, direttamente o no, apertamente o no, può o vuole limitare o asservire la libertà della Chiesa, ovvero la forza del Vangelo. Si tratta per lui e per noi della fermezza della coscienza cristiana che non teme di resistere o di opporsi là e quando è necessario. È un'esigenza forte che si vive nel quotidiano di ciò che Gaston Fessard chiamava "l'attualità storica", e che si esercita secondo un discernimento rigoroso.

L'abate di Bec è stato un grande educatore; aveva a cuore trasmettere agli altri ciò che lui stesso aveva ricevuto, pensato, pregato, con quel senso dell'altro che determina sia ciò che bisogna trasmettere che la maniera di farlo. La testimonianza di Anselmo ancora una volta è importante per noi europei che siamo portatori di un'eredità intellettuale e spirituale che noi abbiamo ricevuto per grazia di nascita su questa vecchia terra di cultura e di fede che è l'Europa e che noi non possiamo non desiderare di trasmettere alle generazioni che ci seguono.

L'Unione europea alla ricerca della sua anima, è il titolo quasi provocatorio che ho voluto dare a questo mio breve intervento. Certamente non volevo lasciar intendere che l'Europa è una realtà senz'anima. Come ho cercato di mostrare, l'Europa divenendo se stessa è una "causa" che a noi interessa, poiché l'Unione europea è stata creatrice di pace e la sua esperienza storica le ha donato il senso critico dell'inaccettabile. Ma ho cercato anche di dire che non deve dimenticare che le è necessaria un'anima.

Ricordandosi di tutti coloro che hanno segnato la sua vita e la sua storia può scoprire e riscoprire ciò che al suo interno sgorga ancora come una sorgente. La figura di Anselmo chiama l'europeo di oggi a vivere interiormente come cercatore di Dio, a pensare seguendo la radicale esigenza di colui che desidera la verità, a resistere a tutti i poteri che minacciano o restringono la libertà della Chiesa, poiché in essa, come la storia ci ha mostrato, è la libertà di tutti gli uomini che è in gioco, volendo che gli altri possano vivere ciò che noi abbiamo ricevuto. L'Europa è un'eredità, ma per noi europei non c'è un altro testamento se non il dovere di essere noi stessi e di alimentare la memoria viva del passato. Perché l'Europa è una nostra responsabilità.

(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2010)