Galileo Galilei: «Infinitamente rendo grazie a Dio, che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa ammiranda et tenuta a tutti i secoli occulta». La lettera a Belisario Vinta del 1610, dopo aver visto per la prima volta i crateri della luna, le fasi di Venere, i satelliti di Giove e le stelle della via Lattea (con una breve nota de Gli scritti)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 25 /12 /2023 - 21:22 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una lettera di Galileo Galilei inviata nel 1610 a Belisario Vinta, dopo aver visto per la prima volta i crateri della luna, le fasi di Venere, i satelliti di Giove e le stelle della via Lattea. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Scienza e fede. Cfr. in particolare Galilei fu il fondatore degli studi biblici moderni, più che il padre dell’eliocentrismo. Una nuova prospettiva sull’astronomo pisano, di Andrea Lonardo.

Il Centro culturale Gli scritti (25/12/2023)

Nella meravigliosa lettera di Galilei a Belisario Vinta, del gennaio 1610, è evidente lo stupore e l’entusiasmo dell’astronomo per ciò che ha visto, “primo da sempre”.

Egli è consapevole di essere il primo, da quando esiste la storia umana, ad aver visto cose nuove nel cielo, che sono lì da tempi immemorabili eppure mai nessuno aveva potuto vedere.

Sono “cose ammirande” e “tenute nascoste per secoli”.

Per questo l’esclamazione diviene anche una “lode”, una “preghiera” a Dio che lo ha concesso proprio a lui e a lui per primo, con scelta dalle motivazioni imperscrutabili – quasi un’elezione.

Non c’è motivazione del perché proprio a lui sia toccata questa scoperta, questa prima osservazione. Solo allora era stato perfezionato, infatti – da Galilei stesso –, il cannocchiale che permetteva tale visione, impossibile prima di allora per mancanza di uno strumento adeguato.

Ecco la lettera.

 

A Belisario Vinta in Firenze, Galileo da Venezia il 30 gennaio 1610 Galileo, edizione nazionale delle opere, firenze, volume X, carteggio. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 22. – Autografa.

GALILEO a BELISARIO VINTA [in Firenze].

Venezia, 30 gennaio 1610.

Ill.mo Sig.re et Pad.ne Col.mo Io rendo infinite grazie et resto perpetuamente obligato a V. S. Ill.ma dell’offizio incaminato a benefizio di Alessandro Piersanti, mio servitore, il quale humilmente gli fa reverenza et sta con grande speranza attendendo di ricuperar, per mezo del favore di V. S. Ill.ma, quello che può essere il sostegno della vita sua et di che egli era già fuori di speranza; et intanto non resta di pregare il Signore Dio per la buona sanità et lunga vita di V. S. Ill.ma

Io mi trovo al presente in Venezia per fare stampare alcune osservazioni [il riferimento è al Sidereus Nuncius allora in corso di stampa] le quali col mezo di uno mio occhiale ho fatte ne i corpi celesti; et sì come sono di infinito stupore, così infinitamente rendo grazie a Dio, che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa ammiranda et tenuta a tutti i secoli occulta.

Che la luna sia un corpo similissimo alla terra, già me n’ero accertato, et in parte fatto vedere al Ser.mo nostro Signore, ma però imperfettamente, non havendo ancora occhiale della eccellenza che ho adesso; il quale, oltre alla luna, mi ha fatto ritrovare una moltitudine di stelle fisse non mai più vedute, che sono più di dieci volte tante, quante quelle che naturalmente son visibili.

Di più, mi sono accertato di quello che sempre è stato controverso tra i filosofi, ciò è quello che sia la Via Lattea.

Ma quello che eccede tutte le meraviglie, ho ritrovati quattro pianeti di nuovo, et osservati li loro movimenti proprii et particolari, differenti fra di loro et da tutti li altri movimenti dell’altre stelle; et questi nuovi pianeti si muovono intorno ad un’altra stella molto grande, non altrimenti che si muovino Venere et Mercurio, et per avventura li altri pianeti conosciuti, intorno al sole.

Stampato che sia questo trattato, che in forma di avviso mando a tutti i filosofì et matematici, ne manderò una copia al Ser. mo G. D., insieme con un occhiale eccellente, da poter riscontrare tutte queste verità.

Intanto supplico V. S. Ill.ma che con oportuna occasione faccia in mio nome humilissima reverenza a tutte loro Altezze; et a lei con ogni devozione bacio le mani, et nella sua grazia mi raccomando.

Di Venezia, li 30 di Gen.o 1610.

Di V. S. Ill.ma Ser.re Oblig.mo Galileo Galilei.

N.B. de Gli scritti: Belisario Vinta (n. 1542 - m. 1613) fu ministro di Ferdinando I de’ Medici e, in seguito, con Cristina di Lorena, guida di Cosimo II nei suoi primi anni di governo. Si adoperò per mantenere un equilibrio tra i regni di Francia e di Spagna. Conobbe Galilei certamente negli anni dell’insegnamento a Padova, intervenendo personalmente perché l’astronomo pisano ritornasse in Toscana, dopo aver avuto notizia delle sue nuove scoperte.
Quando Galilei propose di chiamare i satelliti di Giove Pianeti Cosmici, giocando sul nome del Granduca Cosimo II (1590-1621), o anche Medicei – nella terminologia di Galilei erano considerati “pianeti” e non “satelliti” -, fu Vinta ad intervenire per suggerire di preferire la seconda nomenclatura che poi l’astronomo adottò, scrivendogli il 10 febbraio 1610:
“Il pensiero di V. S. intorno al porre i nomi a i nuovi pianeti trovati da lei, con inscrivergli dal nome del Ser.mo Padrone, è generoso et heroico, et conforme agli altri parti singolari del suo mirabile ingegno: et poiché ella ha voluto farmi l’onore del domandarmi il mio parere circa al chiamar detti pianeti o Cosmici o Medicea Sydera, io le dirò liberamente che questa seconda inscrizzione tengo per fermo che piacerà più, perché, potendosi la voce greca Cosmici interpretare in diversi sensi, non sarebbe forse interamente attribuita da ogn’uno alla gloria del Ser.mo nome della Casa de’ Medici et della loro natione et città di Firenze, come necessariamente sarà la denominatione di Medicea Sydera; et però senz’altro a questa mi appiglierei”.