I corollari della distorsione cognitiva detta effetto Dunning-Kruger: «Gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti». Considerazioni varie su Dunning-Kruger, di Andrea Lonardo e da Jacopo Pasetti e Avvenire

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /01 /2024 - 23:02 pm | Permalink | Homepage
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1/ «Gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti». Attenzione! Questo principio vale anche per l’intellighenzia, di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Vita.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2024)

Non nuova, ma riformulata con termini attuali, appare la tesi di Dunning e Kruger[1]: «Gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti».

Chi è più competente e sapiente è sempre più moderato nei toni e nelle argomentazioni, è più cosciente dei limiti delle proprie motivazioni, al limite è anche in qualche modo dubbioso.

L’ignorante è saccente e arrogante, crede sempre di essere competente in qualsivoglia argomento e non ascolta ragioni: difende le sue tesi con presunzione, perché è inconsapevole della propria ignoranza, perché non ha gli strumenti nemmeno per rendersi conto della parzialità del proprio punto di vista.

Ma, attenzione, chi si rifà agli studi di Dunning e Kruger spesso non pone in rilievo due aspetti della questione.

a/ Innanzitutto il fatto che l’arroganza può derivare anche da un malcelato complesso di inferiorità: chi si sente a torto sempre vittima e sempre inferiore, diviene arrogante e presuntuoso quasi a voler dire a sé stesso e agli altri di essere in grado di svelare le menzogne altrui.

Se fosse più consapevole del proprio valore non avrebbe bisogno di cercarne una falsa conferma nella demolizione aggressiva delle tesi altrui. Sarebbe più pronto ad imparare, se pensasse di esserne capace.

b/ In secondo luogo è da considerare ciò che viene invece sistematicamente ignorato, e cioè che i semplici hanno una vera sapienza che talvolta non hanno gli intellettuali competenti.

Esiste, infatti, una sapienza di vita per cui un anziano, che anche non avesse studiato, coglie aspetti della realtà che sfuggono all’intellighenzia, che invece si arrocca dietro il principio Dunning e Kruger, quasi che tale tesi le desse sempre ragione come se gli intellettuali fossero i veri “competenti”.

Un uomo o una donna capaci di vedere con occhi semplici la complessità del reale hanno commenti precisissimi sulle persone come: “Ma quello chi si crede di essere?”. O ancora: “Ma quello è una persona totalmente sola e che non ha nessun amico”. O ancora: “Non basta aver studiato, bisogna anche saper essere gentili e attenti, bisogna saper educare i propri figli, bisogna avere una speranza che superi le forze dell’uomo, bisogna avere una fede”. O ancora: “Ma guarda i figli di quel professore, stanno male, si vede che sono tristi e non hanno trovato un senso alla loro vita e loro padre nemmeno se ne accorge”.

Una persona che ha esperienza di vita sa che la cultura accademica non è tutto e si accorge quando una persona non è armonica dai suoi gesti. Se ne accorge per la sua incapacità di ascolto o anche solo dal fisico.

Si accorge, vedendo come una persona si muove e veste, o vedendo come mangia o come frequenta sempre le stesse persone, che non è serena e in pace.

Spesso un nonno o una nonna sono capaci di dire alla propria nipote che si è innamorata di qualcuno: “Ma lo vedi che quello non sta bene?” “Ma lo vedi che non è sereno?” “Ma lo vedi che non ti ama veramente, che non ti lascia libero o che se ne frega?” “Non vedi che fa sempre di testa sua?”

C’è una competenza e un’esperienza di vita che hanno anche i semplici. Tale semplicità a volte è un vero antidoto per giudicare tesi e argomentazioni di persone in apparenza “competentissime”, ma rinchiuse invece nei loro fortilizi intellettuali, nei quali non c’è posto per la vita vera.

L’intellighenzia si arrocca talvolta dietro la propria presunta competenza per tenersi alla larga dalla vera conoscenza, dalla conoscenza dei semplici che ti sgamano subito, che conoscono invece il valore della sincerità, della lealtà, dell’ammissione delle colpe, dell’equilibrio mentale, del desiderio di Dio e dell’importanza della preghiera che nasce dalla consapevolezza della propria pochezza.

Anche questo aspetto si deve porre in rilievo quando si cerca di comprender quanto sia attuale il principio di Dunning e Kruger.

2/ Effetto Dunning-Kruger, come salvarsi dalla disinformazione che dilaga sui social, di Jacopo Pasetti 

Riprendiamo sul nostro sito alcuni passaggi di un articolo di Jacopo Pasetti pubblicato su Il sole 24 Ore il 24/2/2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Vita.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2024)

 […]

Per portare i giovani ad una maggiore consapevolezza della necessità di approfondire ciò che ascoltano e ciò che studiano, prima di lanciarsi in ardite ipotesi, si può partire […] dalle parole di David Dunning e Justin Kruger: “Le persone incompetenti non solo giungono a delle conclusioni sbagliate e compiono delle scelte sfortunate, ma la loro incompetenza li priva dell’abilità di rendersene conto e alimenta la supponenza con cui pretendono di convincere gli altri”.

Sebbene l’effetto spiegato da Dunning e Kruger prenda il loro nome solo nel recente passato, troviamo diversi esempi che ci mostrano come l’intuizione è partita parecchi secoli addietro. Già nel quattordicesimo secolo avanti Cristo, il Faraone Akhenaton affermava: “Il folle è ostinato e non ha dubbi. Conosce tutto tranne la propria ignoranza”.

Nel quinto secolo avanti Cristo era invece Socrate a sottolineare: “È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza”.

Il merito di David Dunning e Justin Kruger è stato quello di intuire la possibilità di studiare i concetti espressi dal Faraone e da Socrate e di misurare con esperimenti concreti la propensione di chi è poco competente a sopravvalutarsi. 

Proprio dal loro lavoro ha trovato conferma pratica la teoria alla base dell’effetto che da loro prende nome e che rappresenta una distorsione cognitiva per la quale alcune persone poco competenti in un determinato ambito, sono portate ad una troppo elevata convinzione verso le proprie capacità.

La fiducia in sé stessi che ne genera porta queste persone a proporsi come esperte proprio laddove manca loro la conoscenza. Conseguenza di questa “presunzione di sapere” è il contrastare con supponenza chiunque altro discuta o si confronti sugli stessi argomenti, a prescindere dalla sua competenza.

L’incapacità metacognitiva di riconoscere i propri limiti è alla base della teoria dei due studiosi. Ma esiste un secondo fenomeno che, involontariamente, aumenta la superbia di chi non è conscio della propria incapacità. Si tratta della distorsione opposta a quella precedentemente citata.

Alle volte chi possiede una reale passione per la conoscenza in un determinato campo desidera continuare ad approfondire e non si accontenta mai di quanto conosce. Tuttavia, il rischio, connesso a questo continuo desiderio di sapere, è che possa nascere una errata percezione del “quanto si è realmente competenti” e una bassa convinzione della completezza del proprio sapere.

Questa idea distorta, oltre a poter produrre una riduzione della fiducia in sé stessi, può condurre le persone più preparate e più competenti a riconoscere erroneamente in individui che ostentano sicurezza un sapere quantomeno simile al proprio. Questa situazione è riconosciuta come sindrome dell’impostore e può portare anche persone competenti a dare ascolto a teorie basate sulla forza dell’ego più che su una reale preparazione. Secondo Dunning e Kruger «l’errore di valutazione dell’incompetente deriva da un giudizio errato sul proprio conto, mentre quello di chi è altamente competente può derivare da un equivoco sul conto degli altri».

L’effetto Dunning-Kruger 

La ricerca dei due studiosi trae origine da un particolare fatto di cronaca: la storia di Mc Arthur Wheeler il quale, avendo osservato la proprietà del succo di limone che lo rende invisibile quando usato come inchiostro, ha ipotizzato che l’invisibilità stessa fosse una caratteristica generata proprio dal limone. Dopo aver cosparso il viso di succo, Wheeler partì per rapinare una banca convinto di non poter esser visto da nessuno. Ovviamente non andò così. Quando Dunning lesse quanto accaduto formulò questa teoria “Se quest’uomo è troppo stupido per fare una rapina in banca, forse è anche troppo stupido per accorgersi di essere troppo stupido”.

A valle di questa considerazione i due ricercatori hanno studiato, all’interno classi di studenti in diverse aree, un modo per collegare il livello di sapere in materie differenti all’abilità di auto-valutare con precisione le proprie prestazioni

Quello che è emerso dallo studio è sembrato subito disarmante nella sua semplicità. Le persone con poca competenza sono portate a percorrere continuamente due vie: sovrastimare in modo esagerato le proprie performance e sottostimare il livello medio di prestazione dell’intero gruppo di cui fanno parte. Risulta evidente come la predisposizione all’errore di chi è poco preparato sia decisamente elevata.

Dallo studio emergevano anche segnali a sostegno dei pericoli della sindrome dell’impostore: talvolta chi ascolta può risultare colpito dal fascino che sa suscitare la confidenza in sé stessi che hanno persone che non si mettono mai in discussione pur possedendo una conoscenza superficiale.

Più difficile appare invece riconoscere, dietro all’ostentata sicurezza, la totale assenza di percezione dei propri limiti e la non comprensione degli errori nei quali si può incappare.

La buona notizia è che una volta consapevoli di esser caduti preda dell’effetto Dunning-Kruger, grazie al progredire dell’apprendimento come risposta ad esso, il fasullo senso di superiorità presente tende rapidamente a scomparire.

La cattiva notizia invece, è che chi è incompetente non sente alcun bisogno di apprendere di più. Sarà propenso ad accomodarsi in cima al proprio elevatissimo picco di erronea fiducia in sé stesso e a rimanere nei confini della propria malcelata ignoranza continuando ad osservare le altre persone con fastidiosa superiorità.

[…]

3/ La lenta, incessante ritirata dei moderati, di Gigio Rancilio

Riprendiamo sul nostro sito da Avvenire un articolo di Gigio Rancilio pubblicato il 15/10/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Vita.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2024)

Ci sono due fenomeni che il mondo digitale non riesce a misurare come meriterebbero.

Il primo è l'attività della cosiddetta «maggioranza silente». Cioè, quel gran numero di persone che non lascia nessuna traccia della propria presenza social. Gente che non mette mai un «mi piace» o una faccina, non lascia commenti e non condivide post. Apparentemente non fa nulla. Di più: apparentemente non esiste. Poi, ogni tanto, incontri un conoscente che ti dice: «Ti leggo sempre». Non sta barando per piaggeria, fa davvero così: legge e basta. In questo modo sfugge a qualunque analisi.

Il secondo fenomeno è ancora più importante. E riguarda quella che potremmo definire la lenta ma inevitabile ritirata dei moderati. Non esistono dati certi, ma credo sia iniziata durante la seconda fase della pandemia. Quando dopo mesi di «andrà tutto bene», di incontri in video, di abbracci e baci virtuali, di applausi al personale sanitario, le persone hanno iniziato a tirare fuori tutta la rabbia, la paura e la frustrazione che avevano accumulato.

Così, piano piano, le nostre bacheche si sono riempite di post sempre più aggressivi. Tutti (o quasi) all’improvviso sapevano tutto di tutto. Di virologia come di diritto.

E siccome i social premiano gli estremi, alcuni hanno avuto e hanno anche un discreto successo. Il che li ha spinti e li spinge a urlare di più.

E pazienza se alcuni di stanno semplicemente confermando di essere affetti da quella distorsione cognitiva denominata «effetto Dunning-Kruger», a causa della quale «individui poco esperti e competenti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi a torto esperti in materia». Ognuno di noi ne ha incontrati a decine. Anche nella versione indicata dal corollario di questa distorsione cognitiva: «Gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti».

Insomma, ad un certo punto non solo è diventato estremamente difficile portare a termine quella che il filosofo Bruno Mastroianni chiama «la disputa felice» ma anche soltanto non essere attaccati con violenza anche solo per avere postato articoli tratti da giornali seri.

Faremmo un grave errore, però, se limitassimo tutto questo alle discussioni sui vaccini. Perché questa ondata, questa brutta moda, questo pessimo modo di relazionarsi online con gli altri ormai riguarda tutto. Che si tratti dello sport come della politica, della Chiesa come di un fatto di attualità sembra diventato difficilissimo se non impossibile un confronto civile.

Si salvano in parte solo coloro che hanno un discreto numero di fan, pronti a difenderli dagli attacchi. Ma gli altri, tanti altri, hanno via via smesso di partecipare. Per evitare di spendere energie a rispondere a persone che non hanno alcuna intenzione di dialogare, hanno smesso di rispondere e poi di esprimersi. Spesso non commentano nemmeno più i post degli amici, limitandosi al massimo a dei generici «mi piace».

È la lenta incessante ritirata social delle persone moderate. Di chi ama il confronto ma non sopporta lo scontro. E così si «astiene». Chi resiste spesso sceglie altre strade e condivide storie e momenti personali: la laurea di un figlio o di un nipote, l’anniversario di matrimonio, il ricordo di una gita, un momento di svago o il dolore di un lutto. Ogni post di questo tipo raccoglie giustamente l’affetto degli amici.

E i social sembrano sempre di più tanti diari personali. Anche così, però, la circolazione delle idee e il pensiero moderato rischiano di sparire.

4/ Si può essere stupidi basta ammetterlo, di Umberto Folena

Riprendiamo sul nostro sito da Avvenire un articolo di Umberto Folena pubblicato il 19/4/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Vita.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2024)

Che fare con gli stupidi? Come comportarci quando ne incontriamo uno, cosa che accade assai di frequente? Stupido – parolaccia quando è liscia, parolina quando declina in stupidello, stupidetto, stupidino, stupidone o stupidaccio, dal tono perfino affettuoso – è un termine con cui è difficile rapportarci anche perché può capitare a tutti noi di comportarci da stupidi.

L’importante è accorgercene e riconoscerlo. In questo caso esiste la possibilità che in fondo noi siamo persone sagge, vittime di uno scivolone passeggero. Il vero stupido non ammetterà mai di aver avuto un comportamento stupido, neanche se messo di fronte all’evidenza.

Questo è il vero, tragico problema. Lo stupido non si accorge di esserlo e anzi si ritiene una cima, e chi lo contraddice è un ingenuo. Non tollera che la sua superiorità non venga riconosciuta. E se incappa in una persona intelligente che riconosce di aver sbagliato un giudizio o una valutazione, la considera debole, insicura e – lei sì – stupida, perché incapace di promuovere se stessa con spavalderia.

La tragedia è quando uno stupido diventa capo. Come ciò possa succedere richiederebbe lunghe dissertazioni. In estrema sintesi, accade per cooptazione. Uno stupido tende a circondarsi di altri stupidi, i cosiddetti yesman, che poi sono degli stupidi furbi: hanno capito il segreto per fare carriera e aspirare, un giorno, alla poltrona di capo. Hanno capito che, con un capo del genere, a essere premiate non sono le buone idee. Viene premiato chi riconosce l’indubbia superiorità del capo dandogli sempre ragione, qualunque cosa egli dica.

Una struttura così governata, potremmo pensare, è destinata al dissolvimento... Non necessariamente. Alcuni Stati sono condotti da anni da politici stupidi e si salvano perché nelle retrovie ci sono persone sagge e intelligenti che correggono gli errori degli stolti senza che questi se ne accorgano, accettando di restare umili servitori nell'ombra.

Per tutti vale l’effetto Dunning-Kruger, teoria tanto intelligente che perfino gli stupidi annuiscono senza capire che si sta parlando di loro. Gli psicologi David Dunning e Justin Kruger della Cornell University pubblicano il loro studio nel 1999. Parla di una distorsione cognitiva, o auto-inganno. Può accadere, e accade di continuo, che individui inesperti in un campo […] tendano a sopravvalutare le proprie abilità. Così si esprimono con il tono, la forza e spesso la supponenza del vero esperto infallibile.

Le persone sagge, per contro, tendono a sottovalutare le proprie conoscenze, ben sapendo di non sapere mai abbastanza, e si esprimono con cautela, avanzano dubbi o tacciono del tutto, scomparendo dalla scena, lasciata (quasi) per intero agli incompetenti.

Un tempo accadeva negli uffici, nei bar, nei crocchi in piazza. Lo stupido "so-tutto-io" spopolava, ma molti astanti sorridevano di lui. Nell’epoca dei social network, il semplice fatto di poter fare comunicazione di massa e di apparire in video conferisce a ogni affermazione perentoria un’aura di solenne autorevolezza. E la frittata è cucinata.

Vano è svelare l'effetto, come vano risulterà questo articolo. Vano, ad esempio, è ricordare un famoso studio del Dipartimento del Tesoro Usa: intervistati 25mila americani sulla loro competenza finanziaria, gli 800 incappati in fallimenti economici si ritenevano assai più esperti degli altri. Vale per la finanza come per il calcio, l’ingegneria, la medicina, la politica estera e, va da sé, il giornalismo. L’effetto Dunning-Kruger è un virus per il quale, finora, non esiste vaccino. C’è solo una rara cura palliativa: l’umorismo.

5/ Con l’incompetenza su social e tv. La democrazia diventa tifocrazia, di Glauco Giostra

Riprendiamo sul nostro sito da Avvenire un articolo di Glauco Giostra pubblicato il 21/7/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Vita.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2024)

Forse non molti ne conoscono la denominazione che ha assunto allo spirare del secolo scorso, ma tutti noi siamo incorsi almeno una volta in quel fallo cognitivo che, facendoci sopravvalutare le nostre conoscenze relativamente ad un determinato tema, ci induce a pronunciarci su di esso, supponendo di averne pienamente titolo.

Dalla fine del secolo scorso questa distorsione autopercettiva ha preso il nome di Effetto Dunning Kruger (EDK), eponomi due psicologi statunitensi che nel 1999 pubblicarono un articolo con il quale portarono all’attenzione degli studiosi di settore il frequente fenomeno per cui soggetti inesperti o incompetenti in un determinato ambito ritengono comunque di avere cognizioni adeguate a esprimere fondate e interessanti considerazioni al riguardo.

Nonostante qualche mistificante vulgata dell’EDK, questa inconsapevolezza che ci induce a pronunciarci, anche con una certa perentorietà, in materie delle quali non abbiamo un’adeguata conoscenza, non ha a che fare con il livello intellettivo o culturale. Fattori ambientali, sociali, relazionali ci sospingono letteralmente, nonostante lo scarso governo di una determinata materia, ad esprimere il nostro parere, che presumiamo significativo e condivisibile.

Ovviamente, la diffusione pervasiva dei social media costituisce una “tentazione” ulteriore ad interloquire su quasi tutto, con l’aggravante che i ritmi di questa comunicazione sollecitano quello che Daniel Kahneman chiama Sistema 1; quello, cioè, che presiede alle nostre risposte istintive e poco ponderate, non essendo compatibili con il Sistema 2, quello deputato alla riflessione e all’approfondimento critico. Se le cose stanno così, si spiegano senza difficoltà le banalizzazioni che problemi anche delicati subiscono nel network sociale creato dalla comunicazione via smartphone.

Meno agevole è comprendere le ragioni che inducono i talkshow di approfondimento dei principali problemi di attualità ad invitare soggetti incompetenti rispetto al tema trattato. Certo, talvolta ospitando il personaggio famoso si punta scopertamente ad aumentare l’audience; altre volte si vuole offrire l’occasione all’interlocutore, di cui quell’emittente in passato si è avvalsa per approfondire argomenti sui quali lo stesso era competente, di presentare il suo ultimo libro o il suo ultimo spettacolo o la sua ultima iniziativa.

Forse, però, non si è lontano dal vero se si ritiene che il coinvolgimento nel confronto dialettico di soggetti incompetenti, ancorché non conosciutissimi, risponde anch’esso a strategie di marketing, sebbene meno immediatamente evidenti. L’incompetente quasi sempre semplifica sino alla banalizzazione, non coglie implicazioni e sfumature, ha un approccio di intransigente contrapposizione: si dimostra incapace, insomma, di un dialogo articolato e costruttivo. Si esprime spesso sbattendo perentoriamente il suo pugno verbale sul tavolo del dialogo.

Propizia lo scontro. Fatalmente, agli argomenti si sostituiscono le affermazioni perentorie, l’enfasi retorica, gli slogan, i punti esclamativi. La competizione ha sostituito la competenza, come ha scritto Valerio Magrelli. E nella competizione mediatica vince chi alza di più la tensione emotiva, chi aumenta i decibel, chi ingrandisce caratteri e titoli di stampa.

Persino le agenzie delle previsioni meteorologiche per guadagnare, sgomitando, il proscenio dell’attenzione popolare fanno ricorso a titoloni allarmistici. Quando riguarda la cosa pubblica, il fenomeno in questione assume forse espressioni meno accentuate, ma di certo più deprimenti, tenuto conto dell’importanza del bene su cui si controverte.

Anche a voler tralasciare, per non cedere allo sconforto, la preoccupante capacità di mobilitazione che l’influencer di turno (modella, calciatore, attore, cantante) - in possesso di una popolarità inversamente proporzionale alla competenza - riesce ad ottenere su temi di particolare rilevanza sociale, assistiamo quotidianamente a patetiche comparsate mediatiche con le quali personaggi politici spesso del tutto ignari della materia su cui disquisiscono, recitano secondo copione la frasetta di circostanza con cui andrebbe risolto il problema del momento: uno stucchevole psittacismo da manuale. Non esistono precisazioni, condizionali, incertezze, concessioni al dissenso, oneste prospettazioni di controindicazioni, ammissioni di migliorabilità della soluzione proposta o di aspetti apprezzabili in quella avversata.

Si prospetta una realtà manichea impermeabile al dubbio. Eppure, per quanto ci si possa impegnare, nessuno riuscirà mai a dire o fare tutte le cose in modo giusto o tutte le cose in modo sbagliato. Quanto sarebbe più credibile un filogovernativo che ammettesse «la decisione presa dalla maggioranza necessita in effetti, come suggerisce la minoranza, di un ripensamento in punto di…» o un oppositore che ravvisasse nella tale iniziativa del governo alcuni aspetti senz’altro positivi. Sarebbero entrambi più creduti quando si trovassero a ostentare propri meriti o a denunciare altrui deficienze.

In questo confronto da stadio, invece, il dibattito pubblico scade a contesa, in cui prevale la prontezza nella battuta, la telegenìa, la rissosità verbale, l’incompetenza banalizzante spesso in sintonia con quella del telespettatore e del lettore, che quasi sempre ha in uggia la complessità e il dubbio. Problemi difficili hanno così risposte semplici e sbagliate. Qualcuno, parafrasando, penserà: “è la democrazia, bellezza!”. No, non è la democrazia, ma la sua degenerazione caricaturale: la “tifocrazia”. Ci si divide seguendo non la luce di una idea o di un ideale, ma la schiena di uno dei pifferai del momento.



[1] Lo studio è del 1999, Justin Kruger - David Dunning, Unskilled and Unaware of It: How Difficulties in Recognizing One's Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments, in “Journal of Personality and Social Psychology”, vol. 77, n. 6, 1999, pp. 1121-1134.