Perché non esistono pale d’altare di Rembrandt? Del rifiuto delle immagini nelle chiese presso i calvinisti del Cinquecento e del Seicento. Breve nota storico-artistica di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 13 /02 /2024 - 22:43 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito una recensione di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Arte e fedeRiforma protestante e Musica classica.

Il Centro culturale Gli scritti (12/2/2024)

Il pregiudizio teologico sulle immagini che ebbe inizio già con il luteranesimo – con Carlostadio che venne frenato da Lutero stesso nella distruzione delle immagini[1] - ebbe conseguenze anche nei secoli a venire e, in particolare nel Seicento, al tempo di Caravaggio.

Si pensi al fatto che dei due grandi delle Fiandre di allora, Rubens e Rembrandt, si hanno pale d’altare solo del primo, poiché nella suddivisione delle Province egli visse nelle aree che rimasero cattoliche, mentre Rembrandt[2] visse in quelle governate dai calvinisti dove non ci furono più commissioni di pale d’altare, poiché le chiese restarono spoglie di ogni immagine.

Ha scritto Nesselrath in proposito: «La società calvinista ebbe inevitabilmente un impatto sui dipinti [di Rembrandt]: da un lato i calvinisti furono la causa della totale assenza di commissioni di grandi pale d'altare, mentre d’altro canto Rembrandt dipinse i loro ritratti tra i distinti i cittadini di Amsterdam, dal momento che ritrasse seguaci di ogni fede e di ogni confessione religiosa»[3].

Rembrandt conobbe tramite racconti i dipinti del Merisi – che non vide mai di persona perché non si recò mai a Roma – e si ispirò indirettamente all’utilizzo della luce di Caravaggio, ma le sue tele furono sempre di dimensioni molto più piccole perché dipinte per residenze private o pubbliche, ma mai per luoghi di culto.

Diversi pittori dell’epoca hanno dipinto gli interni delle chiese dei Paesi Bassi del Seicento ed essi sono assolutamente nudi e scarni, senza alcuna immagine – si pensi ai dipinti di Saenredam e di Houckgeest[4], come a quelli di de Witte.

Lo stesso Vermeer, divenuto cattolico a motivo del suo matrimonio, non dipinse pale d’altare, anche se molte sue tele hanno un simbolismo morale e spirituale sotteso. L’Allegoria della fede – in realtà un’Esaltazione della fede cattolica a motivo dell’esplicita presenza del calice che rimanda al sacramento dell’Eucarestia - reca un drappo a coprire la finestra, inusuale in tali raffigurazioni, dipinto secondo i critici a ricordare la condizione delle piccole aule di culto cattoliche che per legge non dovevano essere visibili dalle strade, pur essendo ammesse[5]. A suo modo, insomma, anche tale tela di Vermeer, dipinta forse per un committente gesuita o comunque cattolico, ricorda il divieto di esporre opere nelle chiese.

Interessante è che, se si vuole comprendere la pittura romana del Cinquecento e del Seicento e quindi anche quella di Caravaggio è fondamentale – anche se pochi lo fanno – guardare al contesto internazionale di allora e alle diverse visioni del tempo[6] in merito alla liceità di commissionare pale d’altare per le chiese: fuori di Roma e della penisola italiana il Merisi non avrebbe mai potuto dipingere tele come quella della Cappella Contarelli o della Cappella Cerasi, come la Madonna di Loreto o la Morte della Vergine o la Madonna del Serpe o la Deposizione, perché esse gli sarebbero state vietate.



[1] Sulla posizione di Carlostadio a Wittenberg in merito alla distruzione delle immagini e sulle reazioni di Lutero, cfr. O. Christin, I protestanti e le immagini, in E. Castelnuovo – G. Sergi, Arti e storia nel Medioevo. Il Medioevo al passato e al presente, IV, Torino, Einaudi, 2004, pp. 93-115.

[2] Per un primo approccio a Rembrandt van Rijn, cfr. P. Lecaldano (Apparati critici e filologici), L’opera pittorica completa di Rembrandt van Rijn, Milano, Rizzoli, 1978.

[3] A. Nesselrath, Il mondo in guerra intorno a Rembrandt, in AA VV, Rembrandt in Vaticano. Immagini fra cielo e terra, Mora-Città del Vaticano, Zornmuseet-Musei Vaticani, 2016, p. 27.

[4] Su Pieter Saenredam (1597-1665) e i suoi interni delle chiese di St Odolfo a Assendelft o di St Bavo in Haarlem e su Gerrit Houckgeest (1600-1661) e gli interni da lui dipinti della Oude Kerk di Delft o della Nieuwe Kerk della stessa città, con la tomba di Guglielmo il Taciturno, cfr. J. Kiers – F. Tissink (a cura di), The Glory of the Golden Age. Dutch Art of the 17th Century. Painting, Sculpture and Decorative Art, Amsterdam, Waanders, 2000, pp. 121-127. Su Emanuel de Witte e il suo interno della Oude Kerk di Amsterdam, cfr. W. Liedtke, scheda su Emanuel de Witte. Interno di chiesa gotica con motivi della Oude Kerk di Amsterdam, in S. Bandera – W. Liedtke – A.K. Wheelock, Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese, Ginevra-Milano, Skira, 2012, p. 236.

[5] Sul dipinto Allegoria della fede e il drappo che copre la finestra, cfr. W. Liedtke, scheda su Johannes Vermeer. Allegoria della Fede, in S. Bandera – W. Liedtke – A.K. Wheelock, Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese, Ginevra-Milano, Skira, 2012, p. 218. Sul cattolicesimo di Vermeer e la condizione dei cattolici sotto il governo calvinista seicentesco dei Paesi Bassi, cfr. A.K. Wheelock, Vermeer e il secolo d’oro dell’arte olandese, inS. Bandera – W. Liedtke – A.K. Wheelock, Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese, Ginevra-Milano, Skira, 2012, pp. 21-40, in particolare pp. 23, 28-30 e 33. Per una prima presentazione generale del pittore, cfr. A.K. Wheelock, Vermeer. The complete Works, New York, Harry N. Abrams Publishers, 1997 e P. Bianconi (Apparati critici e filologici), L’opera completa di Vermeer di Delft, Milano, Rizzoli, 1999.

[6] Analogamente solo uno sguardo alle politiche culturali e scientifiche dei diversi paesi dell’Europa del Seicento permette di situare più precisamente ciò che avvenne nella penisola italiana e le censure relative. Si pensi, solo per illuminare la questione con qualche esempio, che nel 1642 l’Inghilterra sotto governo puritano emanò le misure restrittive nei confronti dei teatri e nel 1647 ne decretò la sistematica distruzione in tutto il paese, perché si riteneva che gli spettacoli teatrali corrompessero i costumi del popolo (cfr. su questo P. Spinucci, Teatro elisabettiano teatro di stato. La polemica dei puritani inglese contro il teatro nei secc. XVI e XVII, Firenze, Olschki, 1973). I puritani decretarono, negli stessi anni, la distruzione di tutti gli organi nelle chiese e imposero l’abbandono di strumenti come i violini, in quanto strumenti che avevano il potere di distrarre il popolo (solo con la “restaurazione” di Carlo II si ebbe una rinascita musicale in Inghilterra con figure come quella di Henri Purcell; cfr. su questo La “democrazia” di Cromwell non bandì solo il teatro, ma proibì anche gli strumenti musicali (breve nota del Centro San fedele di Milano all’interno di un gruppo di testi di Andrea Lonardo sull’Inghilterra). Anche in campo scientifico se si vuole comprendere il dibattito che sorse intorno a Copernico e a Galileo Galilei e la condanna dell’eliocentrismo è necessario ricordare che le polemiche avvennero in tutto Europa e che il geocentrismo fu difeso non solo dal pontefice, ma anche da Lutero, Melantone e Calvino e che l’ultima condanna di un sostenitore dell’eliocentrismo fu quella dell’astronomo Niels Celsius che venne costretto ad abiurare dalla sua dottrina dai docenti luterani dell’Università di Uppsala nel 1679, ancora quarant’anni dopo l’astronomo pisano: lo studioso aveva difeso la centralità del sole nell’opera De principiis astronomicis propriis (sulla condanna di Celsius, cfr. H. Sandblad, The Reception of the Copernican System in Sweden, in Colloquia Copernicana I, Études sur l’audience de la théorie héliocentrique (Studia Copernicana V), Polska Akademia Nauk, Wroclaw, 1972, pp. 241-270, in particolare pp. 251-259). Significativo è che il tentativo di differire le tesi di Galilei si basò in tutta Europa sulle ipotesi dell’astronomo luterano danese Tycho Brahe che nel 1588 pubblicò il trattato De mundi aetherei recentioribus phaenomenis che proponeva che tutti i pianeti, ad eccezione della terra, girassero intorno al sole: solo la terra sarebbe stata fissa e il sole avrebbe girato intorno ad essa, trascinando con sé nella rotazione tutti gli altri pianeti (sull’ipotesi cosmologica di Brahe, cfr. M. Bersanelli, Il grande spettacolo del cielo. Otto visioni dell’universo dall’antichità ai nostri giorni, Milano, Sperling & Kupfer, 2016, p. 115-118). Il vero dibattito che si sviluppò intorno a Galilei in tutto il Seicento, sia nei paesi cattolici che in quelli protestanti, non si contrapponevano più il sistema tolemaico a quello copernicano, ma invece quello ticoniano (di Tycho Brahe a appunto) all’eliocentrismo. Dinanzi alle nuove osservazioni astronomiche, che venivano via via confermando la rotazione dei diversi pianeti intorno al sole, la difesa si assestò su di un eliocentrismo “moderato” che salvasse la centralità della sola terra (sull’intera questione e sul dibattito trasversale sull’eliocentrismo che infiammò sia i paesi cattolici che quelli protestanti, cfr. A. Lonardo, Galilei fu il fondatore degli studi biblici moderni, più che il padre dell’eliocentrismo. Una nuova prospettiva sull’astronomo pisano, al link https://www.gliscritti.it/blog/entry/4236 consultato in data 26/12/2023).