“Chi si adira per il peccato di un altro non vive più in povertà”. Le Ammonizioni di Francesco d’Assisi sul turbamento e l’ira. Nota di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /03 /2024 - 23:57 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Francesco d’Assisi e Giustizia e carità.

Il Centro culturale Gli scritti (24/3/2024)

Le Ammonizioni ci restituiscono il vero Francesco, ben diverso da quello della vulgata.

Nell’Ammonizione XI la povertà è utilizzata in maniera grandiosa contro il peccato dell’ira.

Scrive Francesco – e sono parole autentiche, della sua penna:

«Ammonizione XI. Non lasciarsi guastare a causa del peccato altrui

1 Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato. 2 E in qualunque modo una persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo di Dio, non più guidato dalla carità, ne prendesse turbamento e ira, accumula per sé come un tesoro quella colpa. 3 Quel servo di Dio che non si adira né si turba per alcunché, davvero vive senza nulla di proprio. 4 Ed egli è beato perché, rendendo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, non gli rimane nulla per sé».

Per Francesco è giusto dispiacersi del peccato, perché il peccato uccide chi lo compie. Ma guai a provare ira verso il fratello e ad amarlo meno.

Egli così ragiona: se io provo fastidio per il fratello – e non solo per il suo peccato – ecco che mi impossesso di quella colpa che diviene mia “proprietà”.

Solo chi non si adira, né si turba quando il fratello commette un peccato contro di lui, ecco che resta povero e davvero non ha nulla di proprio! Infatti, se io mi adiro, è perché voglio difendere me stesso e, quindi, sono preoccupato di ciò che è mio proprio e così perdo la povertà di Cristo.

Anche il detto di Cristo “date a Cesare quel che è di Cesare” è qui interpretato a partire dal peccato d’ira conto chi ci fa del male: chi si turba perché pensa di essere stato trattato male, ha dimenticato che il Vangelo dice di lasciare a Cesare quel che è di Cesare e di preoccuparsi piuttosto di dare a Dio ciò che è di Dio.

L’Ammonizione XI deve essere letta, chiaramente, insieme alla IX nella qual Francesco afferma:

«Ammonizione IX. Amare i nemici

1 Dice il Signore: «Amate i vostri nemici [e fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano]». 2 Infatti, veramente ama il suo nemico colui che non si duole per l’ingiuria che quegli gli fa, 3 ma brucia nel suo intimo, per l’amore di Dio, a motivo del peccato dell’anima di lui. 4 E gli dimostri con le opere il suo amore».

Qui è esplicita l’affermazione che, quando qualcuno commette il male contro di noi, dobbiamo per amore del nemico non diminuire minimamente l’amore per lui, ma solo rattristarci del peccato in sé con il quale egli fa il male e si fa il male.

Per Francesco non è invece evangelico pensare al male che quel peccato ha fatto a noi stessi.