Alle radici dello “spirito di Assisi”, di Pietro Messa

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /01 /2011 - 21:28 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo questo testo dall’agenzia ZENIT del 7 gennaio 2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri testi sul tema vedi, su questo steso sito, la sezione Francesco d’Assisi.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2011)

ROMA, venerdì, 7 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo un estratto del volume Giovanni Paolo II e lo Spirito di Assisi. La profezia della pace tra identità e dialogo (Edizioni Porziuncola, Assisi, pp. 36, euro 5,00) scritto da padre Pietro Messa, Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum.

* * *

Dopo i drammatici fatti dell’11 settembre 2001, si sono aperti nuovi interrogativi nell’opinione pubblica e molti temi sono stati messi in discussione, soprattutto circa l’atteggiamento da assumere davanti al mondo culturale e religioso islamico. Questo ha significato anche riconsiderare la validità o meno di ciò che viene ormai denominato come lo “spirito di Assisi”, ossia quella proposta di dialogo e cortesia tra le varie religioni iniziata nella cittadina umbra il 27 ottobre 1986, in seguito all’incontro tra Giovanni Paolo II e gli altri responsabili delle grandi confessioni mondiali[1].

Di fronte alla recente “strategia del terrore”, messa in atto da gruppi terroristici di matrice islamica, alcuni hanno ritenuto l’intuizione del Santo Padre – se non proprio semplicistica – almeno inadeguata. Altri, nel comune senso di smarrimento, avvertono la nostalgia di un mondo passato e vorrebbero quasi fermare il corso della storia; infine, non sono pochi coloro che si lanciano in giudizi o considerazioni che non tengono conto in alcun modo della complessità del momento.

Giovanni Paolo II ha invece sempre sostenuto di credere nella forza del dialogo e di volersi impegnare in un progetto di comunione. Proprio per riaffermare questa precisa volontà, Egli volle convocare nuovamente ad Assisi i capi delle diverse religioni, soprattutto cristiani e musulmani, affinché assieme potessero pronunciarsi a favore della pace e della riconciliazione. Era il 24 gennaio 2002 e l’opinione pubblica mondiale si presentava ancora attonita e sgomenta per il recente attentato alle Twin Towers di New York.

Tale gesto di papa Wojtyla assumeva il significato di un’affermazione categorica: non solo lo “spirito di Assisi” non è superato, ma sempre più esso si pone come una possibilità concreta per risolvere l’attuale situazione di conflitto tra culture e religioni diverse. Il Pontefice confermava così quanto aveva affermato il primo gennaio 2000 varcando la soglia del nuovo secolo, nell’omelia tenuta in occasione della XXXIII Giornata mondiale della pace, ossia che lo “spirito di Assisi” è la via da seguire nel terzo millennio.

Assisi, negli ultimi anni, è emersa agli occhi del mondo proprio come una via privilegiata per realizzare la riconciliazione tra tutti i popoli, attraverso percorsi di dialogo che possano contribuire efficacemente ad allontanare la guerra e i conflitti di civiltà. Ma quali sono le radici di questa vocazione alla pace della cittadina umbra? Nelle pagine seguenti proveremo a dare una risposta a questo interrogativo, cercando di andare oltre gli stereotipi e i luoghi comuni, che spesso vengono riassunti in qualche slogan ad effetto.

Partiamo da un dato di fatto: per tutti Assisi è sinonimo di pace. La città, anno dopo anno, è divenuta un punto di riferimento importante per molti uomini che sperano e lottano per costruire un mondo migliore. Questa tradizione trova incentivo ai primi del Novecento, quando prende avvio una lettura sociale dell’esperienza francescana. Come ha fatto notare Sandra Migliore in un suo libro riguardante l’immagine di san Francesco elaborata e diffusa tra Otto e Novecento, a partire da questi studi il Santo di Assisi diviene simbolo di pace sociale[2]. E non è un caso, scrive Migliore, che «nel passaggio tra ‘800 e ‘900 [...] proprio ad Assisi nasce un Comitato internazionale per la pace universale».

Un ulteriore emblema di questa vocazione alla pace attribuita alla cittadina umbra, emerge nei giorni dolorosi e violenti della Prima Guerra mondiale, quando Benedetto XV parlava della guerra come di una “inutile strage”[3]: proprio in questo periodo viene compilata da un autore anonimo la cosiddetta “Preghiera semplice”, in cui si chiede al Signore di diventare strumenti della sua pace[4]. Una preghiera che ha trovato, nel corso degli anni, una vastissima diffusione: non solo essa fu attribuita a Francesco d’Assisi, ma venne persino considerata come il nucleo di tutta l’esperienza spirituale del Poverello. È proprio per questa immagine di Francesco “uomo di pace”, che Assisi verrà universalmente riconosciuta come città simbolo della pace.

Di fronte ad una tale constatazione è legittimo porsi una domanda, quella che uno degli stessi compagni del Santo gli rivolse: «Perché a te, perché a te tutto il mondo viene dietro?».

Nella situazione attuale tale interrogativo può significare non solo il desiderio di scoprire il fascino segreto della vocazione di Francesco, ma anche quali vie intraprendere per costruire un dialogo sempre più efficace con culture, tradizioni e religioni diverse dalle nostre.

Ciò che rende Francesco emblema di pace sono soprattutto alcuni episodi della sua vita: la riconciliazione con i briganti di Monte Casale, l’incontro con il Sultano in un tempo di crociate[5], ma anche l’armonia ritrovata con l’intera creazione. Atteggiamenti importanti che Francesco ci lascia in eredità, che devono però essere compresi e interpretati a partire da un approccio critico alle Fonti e ai recenti studi sulla sua esperienza cristiana.

Un considerevole elemento di riflessione ci giunge da André Vauchez, che ha offerto un contributo importante alla comprensione di questo tema chiedendosi come fosse possibile in frate Francesco d’Assisi la coesistenza di una adesione letterale al Vangelo con una capacità di rinnovamento spirituale aperto all’altro. Infatti partendo dal fatto che in Francesco l’affermazione della propria identità cristiana e la capacità di dialogo con le altri religioni rappresentate dal sultano non sono in opposizione, Vauchez cercò di comprendere come fosse stato possibile realizzare questa sintesi[6].

Da un’attenta analisi della vicenda francescana, soprattutto degli scritti del Santo, lo studioso giunse ad una efficace conclusione: per Francesco è sì importante seguire il Vangelo alla lettera, ma non - come comunemente si ritiene - per una scrupolosa osservanza attenta al dettaglio, bensì per vivere lo spirito del testo. Infatti l’osservanza letterale esclude qualsiasi possibilità di interpretazione e genera a sua volta forme integraliste difficilmente contenibili. Francesco preferisce invece aderire allo spirito del Vangelo: comprende che più rimane fermo nella sua identità cristiana, più sarà capace di crescere nel dialogo. Vauchez vede in questo uno degli elementi fondamentali per comprendere l’esito del tutto originale dell’esperienza cristiana di Francesco: una capacità unica di incontrare persone diverse e coinvolgerle in un processo di riconciliazione e ciò partendo da una osservanza “spiritualmente letterale” del Vangelo.

Un ulteriore elemento che caratterizza l’esperienza cristiana del santo di Assisi è la sua modalità di vivere il Vangelo. Per Francesco la via intrapresa è quella della penitenza. Non a caso, agli inizi della sua vocazione evangelica, quando i passanti chiedevano a lui o a qualcuno dei suoi compagni chi fossero quegli uomini così originali - come accadde una volta nelle Marche - rispondevano semplicemente di essere dei “penitenti di Assisi”. In questa definizione non riconosciamo nulla di originale: la penitenza era una modalità di vivere il Vangelo assai diffusa nel Medioevo. Ma ciò che diversifica la via di Francesco è che mentre nella spiritualità del tempo “fare penitenza” significava dare al mondo l’atto di ripudio mediante il disprezzo di sé e del secolo, per il Santo “fare penitenza” traduceva essenzialmente il suo desiderio di essere misericordioso.

Non è un caso se, nel 1226, poco tempo prima di morire, Francesco d’Assisi desideri ricapitolare la sua vita in uno scritto breve, ma intenso, il “Testamento”, nel quale afferma che il Signore gli concesse d’iniziare a fare penitenza nel momento in cui lo condusse tra coloro che egli aborriva, cioè i lebbrosi, ed usò con essi misericordia[7]. L’inizio dell’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi è dunque il suo dimorare presso i lebbrosi, usare misericordia con essi, cioè vivere in quella misericordia che Dio stesso aveva usato con lui strappandolo dal peccato.

Francesco inizia a mettere in pratica la misericordia con i lebbrosi e sceglie di frequentare spesso i lebbrosari e voleva che pure i frati facessero lo stesso per la loro conversione. Tale misericordia, inizialmente vissuta nel contatto con i lebbrosi, gradualmente si estende fino al desiderio di partecipare al dolore di tutti gli uomini e perfino a quello di qualunque altra creatura[8].

Per Francesco l’evangelizzazione stessa è una modalità di usare misericordia, essendo l’annuncio di Colui che salva l’uomo e lo inserisce in un progetto di amore eterno. Egli era attento a far sì che la sua predicazione avesse sempre come aggancio il contesto culturale dei suoi uditori, come avvenne ad esempio nella predica tenuta ai cavalieri riuniti presso il castello di San Leo di Romagna: Francesco annunciò la Buona Novella del Cristo, prendendo spunto proprio da una loro canzone.

Evangelizzazione come approfondimento di quella misericordia ricevuta da Dio; evangelizzazione come attenzione all’uomo, soprattutto il più povero e sofferente; evangelizzazione come desiderio di comunicare agli altri l’incontro salvifico con Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, che è stato determinante per la sua vita. Essendo la misericordia al centro di tutto, in Francesco non ci fu contrasto o antitesi tra dialogo ed annuncio. E quindi non meraviglia che in lui si manifestassero anche posizioni risolute (alcuni studiosi di oggi preferiscono parlare di “durezze” [9]), come ad esempio il forte richiamo alla cattolicità dei frati.

Nell’osservanza spirituale - e non esclusivamente letterale - del Vangelo e nella misericordia trasmessa agli uomini, può essere ravvisato il segreto della vocazione di Francesco ad essere emblema di pace e riconciliazione.

Ecco perché non deve meravigliare che ai funerali di Madre Teresa di Calcutta fossero presenti i rappresentanti di tutte le grandi religioni; nemmeno deve sorprendere che l’inviato della diretta televisiva abbia voluto sottolineare il collegamento ideale che emergeva tra lo “Spirito di Assisi” e quella celebrazione. Anche nella vicenda spirituale della piccola suora albanese vestita con il sari, autodefinitasi una “missionaria della carità”, la misericordia è stata l’espressione centrale per esprimere al mondo il nucleo essenziale del Vangelo.

La considerazione di tutti questi elementi ci permette di comprendere perché la vicenda cristiana di Francesco d’Assisi sia divenuta nel tempo un riferimento importante per uomini di religioni diverse, impegnati a compiere un cammino di pace e riconciliazione. Allo stesso modo si offre anche a noi la possibilità di passare dalla semplice ammirazione del Santo umbro alla decisione di ripercorrere la sua stessa strada, per diventare come lui operatori di pace.

Note al testo

[1] C. Bonizzi, L’icona di Assisi nel magistero di Giovanni Paolo II, Edizioni Porziuncola, Assisi 2002.

[2] S. Migliore, Mistica povertà. Riscritture francescane tra Otto e Novecento (Bibliotheca Seraphico-capuccina, 64), Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 2001; R. Michetti, François d'Assise et la paix révelée. Réflexions sur le mithe du pacifisme franciscain et sur la predication de paix de Francois d'Assise dans la societé du XIIIe siècle, in Prêcher la paix et discipliner la société. Italie, France, Angleterre (XIIIe-XVe siècles), Études réunies par R. M. Dessì, Brepols, Turnhout 2005, 279-312.

[3] N. Simonetti, Prinicipi di teologia della pace nel magistero di Benedetto XV, Edizioni Porziuncola, Assisi 2005.

[4] C. Renoux, La Prière pour la paix attribuée à saint François, une énigme à résoudre (Présence de saint Fraçois, 39), Les éditions franciscaines, Paris 2001; trad. italiana, La preghiera per la pace attribuita a San Francesco. Un enigma da risolvere, Edizioni Messaggero, Padova 2003.

[5] A. Ajello, La croce e la spada: i francescani e l'islam nel Duecento (Mediterranea, 1), Istituto per l'Oriente C.A. Nallino, Roma 1991.

[6] A. Vauchez, François d'Assise entre littéralisme évangélique et renouveau spirituel, in Frate Francesco d'Assisi. Atti del XXI Convegno internazionale (Assisi, 14-16 ottobre 1993) (Atti dei Convegni della Società internazionale di studi francescani - Centro interuniversitario di studi francescani. Nuova serie diretta da E. Menestò, 4), Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1994, 183-198.

[7] P. Messa, Le fonti patristiche del pensiero di Francesco d’Assisi, prefazione di G. Miccoli, Edizioni Porziuncola, Assisi 1999, 236-264; P. Maranesi, “Facere misericordiam”. La conversione di Francesco secondo il Testamento, in Frate Francesco 69 (2003), 91-125.

[8] R. Manselli, San Francesco: dal dolore degli uomini al Cristo crocifisso, in Id., Francesco e i suoi compagni. (Bibliotheca seraphico capuccina, 46), Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 1995.

[9] G. G. Merlo, Tra eremo e città. Studi su Francesco e sul francescanesimo medioevale (Medioevo francescano. Saggi, 2), Edizioni Porziuncola, Assisi 1991; F. Accrocca, Francesco fratello e maestro (Orientamenti formativi francescani, 3), Edizioni Messaggero, Padova 2002.