Dobbiamo fare nostro ciò che papa Francesco ha chiesto alla catechesi: di divenire kerygmatica e mistagogica, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /05 /2025 - 16:41 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una riflessione di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Catechesi e Cristianesimo. Cfr., in particolare:
-Un cristianesimo “popolare”. La chiara proposta di papa Francesco alla Chiesa italiana. Breve nota di Andrea Lonardo
-Papa Francesco, quando predica contro una teologia complicata, non predica contro la teologia di papa Benedetto, bensì contro l’astrattezza di noi catecheti, teologi e pastoralisti. Nota di Andrea Lonardo
-Papa Francesco e la catechesi dell’Iniziazione cristiana di bambini e ragazzi: primi appunti, di Andrea Lonardo (I parte)
-Papa Francesco e la catechesi dell’Iniziazione cristiana di bambini e ragazzi (II parte), di Andrea Lonardo.
-«Le rivoluzioni della storia hanno cambiato i sistemi politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo». La catechesi di papa Francesco in apertura del Convegno della diocesi di Roma 2013
-Iniziazione cristiana e catechesi kerygmatica, di Andrea Lonardo.

Il Centro culturale Gli scritti (5/5/2025)

La morte di papa Francesco obbliga a misurarsi con il suo lascito.

Per quel che riguarda la catechesi, tre sono le indicazioni più pressanti di cui si è fatto portatore e che sono tuttora inevase, mentre dovrebbe essere nostro programma riprenderle in tutti gli Uffici catechistici.

Innanzitutto in Evangelii Gaudium, il documento programmatico che ha illuminato tutto il suo ministero, egli ha chiesto con forza che la catechesi abbia una duplice dimensione, quella kerygmatica e quella mistagogica.

Si noti bene: tali termini sono presenti fin dagli anni sessanta nel discorrere di catecheti e pastoralisti, ma papa Francesco le ha intese in un senso totalmente nuovo e proprio questa è la sfida da raccogliere.

1/ La dimensione kerygmatica di ogni catechesi e di ogni sua tappa

Per kerygma si è inteso, fino ad Evangelii Gaudium, non una dimensione, ma una tappa, la prima, della catechesi.

Era stato già il gesuita Grasso, negli anni sessanta, ad indicare una sequenza di tappe: prima la pre-evangelizzazione. Poi l’evangelizzazione (oggi si direbbe “primo annunzio” o “secondo annunzio”). Poi la catechesi vera e propria, poi la predicazione.

Così ancora si pensano tanti modelli di catechesi: nei primi incontri si accolgono le famiglie, poi si evangelizzano, poi si comincia ad incontrare i bambini, poi si accede alla messa domenicale, ecc.

Papa Francesco ha chiesto, invece, che il kerygma fosse non una “tappa” (eventualmente la prima), ma piuttosto una dimensione, che fosse presente in ogni tappa della catechesi (ovviamente il riferimento è a EG 163-165).

Che si avesse, cioè, cura in ogni momento di esprimere l’assoluta novità della fede cristiana e la fondatezza di tale annunzio.

Ha scritto, infatti, papa Francesco:

«Non si deve pensare che nella catechesi il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio» (EG 165). 

Non la prima tappa, dunque, e nemmeno una tappa. Difatti, chiunque ha piena coscienza oggi che se si pone il kerygma all’inizio e lo si dimentica, esso svanisce presto. Non è che un bambino o una famiglia che abbiano ricevuto un annunzio lo conservano anche quando quel bambino diventa poi un ragazzo delle medie o giunge alle superiori o si prepara al matrimonio.

Per papa Francesco la dimensione kerygmatica deve invece caratterizzare tutta la catechesi che, dall’inizio alla fine, è chiamata sempre a fondare la fede e ad esprimerne la novità e la sua credibilità, la sua necessità pratica e teologica, la sua bellezza, il suo calore, la sua carità mai entrata nel mondo prima dell’avvento di Cristo e della sua Chiesa.

È proprio questo che manca oggi alla catechesi, che spesso è di bassissimo livello, senza che i catechisti si preoccupino mai del perché vale la pena credere e del perché ogni singola affermazione ed esigenza della fede sia nuova, vera, bella e buona.

Ha scritto papa Francesco:

«Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove» (EG 167). 

Questo anche perché oggi la fede è minata nel significato e nella credibilità da tutto il pensiero che si respira nei media e, talvolta, anche nelle istituzioni e non può reggere un cristianesimo che non ritrovi i suoi fondamenti, la sua verità e la sua bellezza, così come fornisca pure qualche rudimento di apologetica e di credibilità.

Ha scritto papa Francesco, sempre in EG:

«Si tratta dell’incontro tra la fede, la ragione e le scienze, che mira a sviluppare un nuovo discorso sulla credibilità, un’apologetica originale che aiuti a creare le disposizioni perché il Vangelo sia ascoltato da tutti. Quando alcune categorie della ragione e delle scienze vengono accolte nell’annuncio del messaggio, quelle stesse categorie diventano strumenti di evangelizzazione; è l’acqua trasformata in vino. È ciò che, una volta assunto, non solo viene redento, ma diventa strumento dello Spirito per illuminare e rinnovare il mondo» (EG 132).

2/ La dimensione mistagogica fin dall’inizio e non come tappa finale

Anche la questione mistagogica è da decenni sul tavolo dei catecheti, ma nuovamente vi figura come tappa.

In questo caso si è ritenuto per anni che la mistagogia dovesse essere l’ultima tappa della catechesi, quella che avrebbe dovuto seguire la celebrazione stessa dell’iniziazione cristiana, intervenendo al termine del percorso quando ci si sarebbe infine preoccupati di inserire i nuovi cristiani nella liturgia domenicale.

Anche qui papa Francesco ha proposto una visione molto differente.

Per lui la mistagogia non è l’ultima tappa e nemmeno una tappa, ma nuovamente una dimensione.

Ha scritto in merito papa Francesco:

«Un’altra caratteristica della catechesi, che si è sviluppata negli ultimi decenni, è quella dell’iniziazione mistagogica, che significa essenzialmente due cose: la necessaria progressività dell’esperienza formativa in cui interviene tutta la comunità ed una rinnovata valorizzazione dei segni liturgici dell’iniziazione cristiana» (EG 166). 

Tutta la catechesi, dall’inizio alla fine del percorso, insomma, deve inserire chi si sta preparando a ricevere i sacramenti nella comunità cristiana e nella liturgia che ne è il cuore.

Egli, proprio a motivo della sua visione di un cristianesimo popolare e non costruito a tavolino da riunioni e discussioni, ha sempre avuto ben chiaro la forza trainante della liturgia e delle devozioni popolari, ben prima e ben oltre una catechesi articolata.

Non si dimentichi, fra l’altro – ma questa è una notazione nostra e non del pontefice – che i catecumeni partecipavano e partecipano alla liturgia domenicale fin dal rito di ammissione, cioè da ben un anno prima di ricevere i sacramenti, quando sono ammessi alla liturgia domenicale della Parola per uscire poi al momento della Preghiera dei fedeli per radunarsi poi nuovamente con tutti i battezzati al termine dell’eucarestia.

Dunque la domenica e la liturgia domenicale erano e debbono tuttora essere il cuore della catechesi dei catecumeni e la specifica dimensione catechetica essi la vivono nel tempo in cui il resto dell’assemblea celebra la seconda parte della messa, la parte più propriamente eucaristica, mentre essi si incontrano con i catechisti a proseguire una riflessione sulla liturgia cui hanno partecipato già nella sua prima parte.

Questo vale ancor più per i bambini già battezzati e le loro famiglie che sono accolti proprio nel vissuto domenicale dall’intera comunità cristiana e nelle celebrazioni.

Questa cura della dimensione mistagogica di tutto intero il percorso deve essere riscoperta come chiave per un vero rinnovamento della catechesi.

3/ Un mondo che chiede un’assunzione di paternità: la grande questione dell’orfandad in catechesi e in pastorale

Una terza ed ultima questione più volte sollevata da papa Francesco e alla quale non si è ancora dato sufficiente peso è quella della nuova esigenza di paternità che egli ha colto.

Ne parlò fin dal suo primo discorso in apertura dei convegni della diocesi di Roma, quando affermò, con parole di una chiarezza luminosa

«Quando ero Arcivescovo […] avevo modo di parlare più frequentemente di oggi con i ragazzi e i giovani e mi ero reso conto che soffrivano di orfandad, cioè di orfanezza. I nostri bambini, i nostri ragazzi soffrono di orfanezza! Credo che lo stesso avvenga a Roma. I giovani sono orfani di una strada sicura da percorrere, di un maestro di cui fidarsi, di ideali che riscaldino il cuore, di speranze che sostengano la fatica del vivere quotidiano. Sono orfani, ma conservano vivo nel loro cuore il desiderio di tutto ciò! Questa è la società degli orfani. Pensiamo a questo, è importante. Orfani, senza memoria di famiglia: perché, per esempio, i nonni sono allontanati, in casa di riposo, non hanno quella presenza, quella memoria di famiglia; orfani, senza affetto d’oggi, o un affetto troppo di fretta: papà è stanco, mamma è stanca, vanno a dormire… E loro rimangono orfani. Orfani di gratuità: quello che dicevo prima, quella gratuità del papà e della mamma che sanno perdere il tempo per giocare con i figli»[1].

L’assenza di figure significative è elemento decisivo della crisi della catechesi, ma anche della scuola, più volte denunciata dal pontefice.

Egli stesso si è posto come una figura di riferimento paterna, con forte carattere, con una parola forte in ogni circostanze, come qualcuno che si facesse carico delle diverse situazioni.

La sua paternità, la sua presenza, il suo contatto anche fisico paterno con tanti, la sua autorevolezza, hanno cercato di mettere in pratica una risposta a questa crisi di orfandad della società.

Quando la catechesi inizierà a farsi carico di questa esigenza?



[1] Dal discorso tenuto da papa Francesco in apertura del Convegno pastorale della Diocesi di Roma “Un popolo che genera i suoi figli. Comunità e famiglia nelle grandi tappe dell’iniziazione cristiana”, il 16/6/2014.