La voga dell'arte astratta nel cattolicesimo europeo. Le nuove chiese realizzate in Europa dal 1945 a oggi sono basate sull’assenza di immagini. Una scelta dovuta in gran parte agli architetti. Nel caso poi minoritario di presenza di quadri e vetrate, si è preferito escludere le figure. Un’analisi del fenomeno, di François Bœspflug. Una sintesi e recensione di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /09 /2025 - 09:13 am | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

 Riprendiamo sul nostro sito una sintesi e recensione di Andrea Lonardo all’articolo di François Bœspflug, La voga dell'arte astratta nel cattolicesimo europeo, in “Vita e Pensiero” CVI (2023), pp. 129-136, nella traduzione di Mario Porro. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Arte e fede e Arte moderna e contemporanea.

Il Centro culturale Gli scritti (1/9/2025)


CréteilCathédrale+

François Bœspflug, teologo e storico dell’arte francese di formazione domenicana, ricorda in un recente articolo[1] come il problema della costruzione di nuove chiese senza un programma iconografico sia tipico dell’Europa a partire dal 1945 e delle regioni ad essa direttamente legate e assente altrove:

«Il tipo di favore incontrato ai nostri giorni dall’aniconismo concerne essenzialmente il cattolicesimo europeo: è praticamente sconosciuto dall'arte cristiana di quelli che sono stati chiamati "gli antichi Paesi di missione", assente dall’arte africana, sud-americana e asiatica, e si limita ad affiorare, e non di più, in quella dell'America del Nord».

Ricorda anche come la questione sia pressoché ignorato dal mondo cristiano ortodosso.

Ma, al contempo, sottolinea come in occidente ormai le chiese moderne con un’adeguata presenza articolata di immagini siano «una minoranza».

1/ La moda delle chiese recenti dalle pareti nude

Bœspflug presenta una rassegna di chiese moderne francesi che non hanno nessuna programma pensato e definito di immagini, ma, al massimo, solo il crocifisso e qualche altare devozionale:

«Nella serie delle chiese costruite dopo il 1945 e che presentano pareti nude, menzioniamo, a Parigi ad esempio, Notre-Dame d'Espérance, la cappella Notre-Dame de la Sagesse, Notre-Dame de l'Arche d'Alliance, Saint-François de Molitor e Saint Luc.
L’assenza d'immagini in queste chiese è giunta al punto di evitare il crocifisso in favore di una croce nuda, senza Cristo, ridotta a una proiezione luminosa, dunque priva sia di materia che di figura identificabile, come nella chiesa di l'Arche d'Alliance. Ma molti altri esempi di questo tipo non mancano.
Dobbiamo al celebre architetto franco-svizzero Le Corbusier (1887-1965) due spazi cultuali che non comportano alcuna decorazione, quello di Notre-Dame du Haut a Ronchamp (Haute-Saône), costruito tra il 1953 e il 1955 nei pressi di Belfort, e quello del convento domenicano Sainte-Marie de La Tourette a Éveux nei pressi di l'Arbresle (Rhône), edificato tra il 1956 e il 1960, la cui navata è totalmente ani-conica.
Nel 1958 fu inaugurata a Lourdes (Hautes-Pyrénées) la basilica sotterranea di San Pio X, concepita dall'architetto Pierre Vago e costruita da Pierre Pinsard, André Le Donné ed Eugène Freyssinet, per accogliere le processioni di pellegrini in caso d'intemperie. È in cemento armato precompresso e la decorazione è ridotta al minimo.
Allo stesso modo, la chiesa di Saint-Dominique di Nîmes (Gard), edificata nel 1963-1964 a opera dell'architetto Joseph Massota, è fatta interamente di cemento e di vetro. Classificata monumento storico nel 2002, è stata restaurata tra il 2014 e il 2016. Ciononostante, il solo elemento iconografico che vi si trova è una vetrata che rappresenta probabilmente la silhouette del Cristo.
Gli esempi che abbiamo appena menzionato costituiscono solo l'inizio di una serie che è proseguita fino ai nostri giorni. La cattedrale della Resurrezione a Évry (Essonne), progettata da Mario Botta e costruita tra il 1992 e il 1995, è di un vuoto iconico singolare e dà l'impressione di una sala da concerto.
La più recente delle cattedrali di Francia è attualmente quella di Créteil (Val de Marne) il cui edificio iniziale, disegnato dall'architetto Charles-Gustave Stoskopf nel 1966 e inaugurato nel 1976, che doveva fondersi nel paesaggio urbano e simbolizzare "la sepoltura" presumibilmente sostenuta dal Concilio Vaticano II, è stato distrutto nel 2013 per permettere la costruzione di un progetto più ambizioso, che conserva solo il pianterreno: il progetto "CréteilCathédrale+"portato a termine e inaugurato nel 2015. L'iconografia vi è ridotta pressoché a nulla».

Questa modalità ovviamente differisce da qualsiasi realizzazione di chiesa grande o piccola dell’antichità e prima del 1945. Infatti, la comunità cristiana, fin dal periodo paleocristiano, aveva immagini sintetiche nell’abside e serie di immagini (i”misteri”) nelle navate.

Ma tale aniconismo moderno non è caratteristico della sola Francia e l’elenco sopra citato è puramente esemplificativo:

«Non c'è bisogno di dire che la Francia non è il solo Paese interessato al fenomeno. La cappella Rothko, ottagonale senza finestre, a forma di battistero antico, costruita dalla Fondazione Rockefeller a Houston nel Texas nel 1965, è stata pensata per coloro che vi si siedono e possono immergersi nella contemplazione dei grandi quadri astratti che si ritengono portatori di un valore mistico.
La Sala de reflexio di Barcellona, creata nel 1996 all'università Pompeu Fabra, per iniziativa della Fondazione Antoni Tàpies, ha pareti bianche e file di sedie attaccate al muro che si prestano alla meditazione solitaria ma anche a momenti di dialogo, a convegni, a incontri e scambi tra studenti e insegnanti...
La chiesa di San Paolo Apostolo, realizzata tra il 2001 e il 2009 da Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli Fuksas a Foligno in Italia, è totalmente vuota. L'interno dà l’impressione di una vasta spazialità, come quella di un terminal o di una stazione spaziale, di grande modernità. La sua altezza avvolgente è impressionante».

2/ L'ingresso trionfale dell'arte astratta

Un problema diverso da quello delle pareti senza immagini delle chiese di recente costruzione, ma collegato con esso, è quello della presenza dell'arte astratta proposta in muri o vetrate in chiese antiche o nuove. Infatti, suggerisce Bœspflug, è come se l’aniconismo si duplicasse in questa diversa versione. Infatti, quando si tratta, comunque, di conferire colore e prospettiva nelle nuove chiese si preferisce comunque l’utilizzo di un’arte non figurativa: 

«È in una chiesa rurale del XVII secolo, cioè Saint-Michel, a Les Bréseux nel dipartimento di Doubs, che sono state poste, nel 1948, le prime vetrate non figurative. Sono firmate da Alfred Manessier (1911-1993). L'iniziativa è stata promossa dalla Commissione diocesana di arte sacra di Besançon, dove si sono affiancati il canonico Lucien Ledeur e il sovrintendente François Mathey al Monumenti storici, che hanno dato l'incentivo fondamentale affinché le vetrate fossero installate e là restassero malgrado la protesta degli abitanti.
Sempre in Francia, le prime vetrate astratte di un edificio classificato "monumento storico" sono quelle della cattedrale di Metz (Moselle). In questo caso è a Robert Charles Renard (1908-1979), capo architetto dei Monumenti storici, che dobbiamo la posa di vetrate moderne. Ma egli dovette battersi contro tutto e tutti per vedere realizzati i propri obiettivi. Nel corso della nuova posa delle vetrate dopo la guerra, fu necessario restaurare e completare quelle del XIX secolo rimaste sul posto: anziché chiedere al laboratorio Gaudin, autore delle vetrate d'inizio secolo della stessa cattedrale, egli preferì sollecitare pittori contemporanei al fine di evitare l'evenienza di una composizione con troppi stili, nel nostro caso Jacques Villon (1875-1963) che concepì un insieme magistrale di cinque pannelli di vetro per la cappella del Santo Sacramento nel 1957, Roger Bissière (1886-1964), che nel 1958 compose due pannelli di vetro astratti (transetto) di grande sobrietà, e infine Marc Chagall (1887-1985), autore nel 1959 di una vetrata monumentale che fu per lui il compimento delle sue ricerche pittoriche, dato che la realizzazione delle loro opere era affidata al laboratorio di Reims diretto da Charles Marq e Brigitte Simon.
La realizzazione poi, tra il 1975 e il 1977, di sessantatré finestroni della chiesa e del refettorio di Noirlac (Cher) testimonia una reale collaborazione fra il capo architetto dei Monumenti storici, la sovrintendenza dei Monumenti storici (Colette di Matteo e Jacques Dupont), l'artista prescelto Jean-Pierre Raynaud e il pittore vetraio Jean Mauret. In questa abbazia cistercense doveva essere rispettata la regola tradizionale del non-figurativo e del non colorato, per dare la priorità alla preghiera e alla meditazione. Otto grate differenti, dalle linee scaglionate secondo l'angolo visuale e la posizione della finestra nell'edificio, sono state trasposte su di un vetro opalescente leggermente rosato, verdastro o brunastro.
«Era necessario chiudere l'edificio senza ferirlo», dice Raynaud. La vetrata è posta così al servizio dell'architettura che illumina.
E un’impostazione identica a quella di Raynaud quella intrapresa da Pierre Soulages (1919-2022) nella chiesa abbaziale di Sainte-Foy di Conques (Aveyron), tra il 1986 e il 1994, nel rispetto dell'architettura e nel desiderio di sublimarla grazie alla ricerca di un vetro la cui materia diffonde una luce viva e vibrante nella chiesa benedettina. Un vetro speciale, di cui egli, con l'aiuto di Jean-Dominique Fleury, troverà la composizione in Germania, carico di materiali vetrosi non completamente fusi che permetteranno di ottenere sfumature di blu o di rosa in base della colorazione della pietra circostante e dell'ora del giorno. Anche in questo caso, la vetrata è al servizio dell'architettura che riesce ad animare.
Più audace, più controverso, l'impiego di un vetro rosso assoluto, voluto da Aurélie Nemours (1910-2005) per le "feritoie" del priorato di Notre-Dame di Salagon (Alpi dell'Alta Provenza), il cui splendore irradia l'intradosso delle finestre senza nuocere alla lettura degli affreschi medievali. Anche qui, il restauro dell'edificio del XII secolo comportò la posa di vetrate la cui realizzazione sarà affidata a un artista contemporaneo.
Padre Kim En Joong, frate domenicano coreano che vive in Francia, lavora invece esclusivamente con il laboratorio Loire di Chartres che contribuisce alla realizzazione delle sue composizioni nelle quali domina la pittura allo smalto, senza taglio di vetro incastonato nel piombo: connubio tra tecnica occidentale e scrittura asiatica. Le sue vetrate, che sono una meraviglia cromatica, non presentano la minima figura identificabile e conoscono tuttavia, o in ragione di questa particolarità, una diffusione mondiale».

Bœspflug sottolinea che anche questa tendenza sia presente non solo in Francia, ma in tutta l’Europa e ricorda che «nel 2010 a Geilo, in Norvegia, è stata consacrata una chiesa con due vetrate di tredici metri di altezza progettate da Kjell Nupen, intitolate Il viaggio infinito».

3/ Fattori esplicativi di questa tendenza dominante

Bœspflug, dopo aver ricordato il grande numero di casi in cui non si prevede nemmeno l’ombra di un’arte figurativa nelle nuove chiese, prova ad individuarne alcuni motivi.

L’elenco che segue è stato da noi redatto a partire dalle sue considerazioni e non appare così scandito nell’articolo originale.

1/ Innanzitutto i nuovi progetti sono sorti affidando il ruolo principale agli architetti e mai a pittori, mosaicisti o altri artisti figurativi: tutto «lascia supporre che nel momento in cui queste chiese sono state concepite e progettate, con l'autorizzazione delle commissioni di arte sacra e il sostegno di teologi stimati, si sia affidato il ruolo principale agli architetti e proceduto nolens volens al licenziamento degli [altri] artisti».

2/ Questo implica il fatto che è mancato tout court un interesse per la “figurazione” nel periodo post-conciliare:

«Come segnalava Frédéric Debuyst, già trent'anni orsono, “l'interesse per l'arte e la decorazione passa nettamente in secondo piano negli anni che seguono il Concilio. La riforma liturgica e anche il problema della presenza e dell'identità cristiana nella città concernono prima di tutto l'architettura”». Bœspflug sottolinea che «non si ha torto di trovarle belle, perfino "oranti"», ma certo è come se si fosse completamente dimenticato il ruolo delle immagini.

3/ Nel rinnovamento della liturgia, «sono soprattutto l'altare, la sede del celebrante, l'ambone), la loro disposizione «di fronte al popolo» e la loro ubicazione, ad aver monopolizzato l'attenzione degli architetti e dei committenti». Quindi non è mancato un dialogo con l’arte contemporanea, anzi si è cercato di favorire il dialogo con i nuovi artisti, ma ci si è rivolti prioritariamente, quando si trattava di costruire nuove chiese, «ai più quotati architetti, e solitamente a loro soltanto».

4/ Questo ha comportato, come sua conseguenza, una «fascinazione per lo spazio architettonico in quanto tale, anch'essa solidale, da un lato, con la valorizzazione dei materiali nudi e, dall'altro, con l'esaltazione del talento o addirittura del "genio" degli architetti alla moda, che le autorità statali o ecclesiastiche si fanno vanto di richiedere».

5/ Bœspflug ricorda che, forse, ha pesato anche una tradizione che precedentemente dava troppa importanza all’immagine e che, quindi, si sia passati da un opposto all’altro: «La «mistica del muro bianco», nata in parte, forse, da una sovra-saturazione della «memoria retinica» (Walter Benjamin) degli occidentali, stanca di chiese sovraccariche di decorazioni, potrebbe spiegare» qualcosa di questa dimenticanza dell’arte figurativa».  

6/ Certamente si deve segnalare anche la «mancanza di una missione assegnata a teologi e storici capaci di concepirne una e di fare squadra con artisti che sostengono di doverne tener conto». La responsabilità è, insomma, anche dei teologi e degli storici che forse non hanno nemmeno avvertito il problema.

7/ Potrebbe aver pesato anche un’interpretazione forse assoluta di un passaggio del Concilio Vaticano II che afferma: «Si mantenga l'uso di esporre nelle chiese le immagini sacre alla venerazione dei fedeli. Tuttavia si espongano in numero limitato e secondo una giusta disposizione, affinché non attirino su di sé in maniera esagerata l'ammirazione del popolo cristiano e non favoriscano una devozione sregolata» (Sacrosanctum concilium, n. 125).

In questo testo si afferma la proposta di un “numero limitato e secondo una giusta disposizione” di immagini e questo potrebbe aver pesato nell’immaginario, in un’interpretazione restrittiva di tale “avviso”.

8/ Inoltre si è ritenuto che l’assenza di immagini non fosse decisiva e che potesse bastare la luce ad aiutare l’assemblea nel rivolgersi a Dio:

«L'assenza di accompagnamento e di supporto iconico alla preghiera e alla liturgia cristiana è accreditata a una capacità di evocare la trascendenza, in ragione presunta dell'alleanza fra la purezza delle linee, il vuoto dei volumi e il trattamento della luce».

Vale la pena aggiungere che l’assenza di cicli nelle chiese è speculare alla carenza di artisti capaci di dipingere o comunque raffigurare immagini significative e questo, a sua volta, ha a che fare con i gusti dell’arte contemporanea che ha come dimenticato il figurativo. Ovviamente essere in linea con l’arte contemporanea ha implicato di conseguenza il non preoccuparsi minimamente delle immagini.

4/ Esempi contrari ricordati da Bœspflug

Bœspflug ricorda che, comunque, esistono chiese in cui si è provveduto ad una cura delle immagini. Anche se esse sono poche, esistono, ed egli cita, ad esempio, la «ricca decorazione figurativa creata appositamente per esse dopo il 1945, come la chiesa di Saint-Hugues di Chartreuse (Isère) decorata dall'artista Arcabas (1926-2018) nel corso di tre campagne pittoriche».

Egli ricorda poi come «la nostra panoramica non deve far passare sotto silenzio il fatto che, allo stesso tempo, un certo numero di artisti ha partecipato a quel che si può qualificare un ritorno al figurativo, sulla scia di Jean-Michel Alberola a Nevers (Nièvre), come Gérard Garouste nella chiesa di Talant (Côte-d'Or), Georg Ettel nella collegiata di Saint-Barnard di Romans-sur-Isère (Drôme), Pascal Convert nella chiesa di Saint-Gil-das-des-Bois (Loire-Atlantique) o Martial Raysse a Notre-Dame de l'Arche d'Alliance (Parigi, XV arrondissement)».

Ciò vale anche per le vetrate moderne, che non sono tutte astratte e, difatti, sussistono casi in cui si è provveduto a curarne di figurative: «Quest'ultima osservazione si applica all'arte della vetrata, come testimoniano le tre vetrate monumentali e degne di nota per il loro tentativo riuscito di conciliare figuratività e modernità, sulla scia della vetrata tipica dell'art nouveau introdotta nel suo Paese da Stanisław Wispianski (1869-1907), che rappresenta Dio Creatore nella chiesa di San Francesco d'Assisi di Cracovia (Polonia), poi le vetrate di Max Ingrand (1908-1969) nella chiesa di Saint-Pierre d'Yvetot (Seine-Maritime), dove fu realizzato il più grande pannello di vetro d'Europa (1046 m2), e infine la vetrata di Marc Chagall nella cappella assiale della cattedrale di Reims (Marne) del 1974, una vetrata figurativa che coesiste, è importante segnalarlo, con quelle, coloratissime ma rigorosamente astratte, dell'artista tedesco Imi Knoebel (nato nel 1940), installate nelle cappelle absidali della cattedrale stessa tra il 2011 e il 2015, ai due lati del capolavoro di Chagall. […] Va da sé che nulla vieta tale accostamento e questa selezione molto ristretta richiederebbe di essere ampliata, prendendo in considerazione giovani artisti come Bruno Desroche, le cui opere figurative sono accolte ormai in un buon numero di chiese».

Dal nostro punto di vista, che ha attenzione alla Francia, ma anche all’Italia, ci permettiamo di ricordare anche la Cappella di Vence di Henri Matisse (su cui cfr. su questo sito Henri Matisse dinanzi all'oggettività del cristianesimo: la Cappella delle domenicane di Vence di Andrea Lonardo), ma anche i lavori di Franco Vignazia (vedi la chiesa di San Giuseppe Artigiano a Forlì, la processione dei santi Andrea Pucci nelle navate e nella controfacciata della parrocchia romana dei Santi Fabiano e Venanzio, i lavori di Rodolfo Papa, le tele di Giovanni Gasparro nella Cappella universitaria-Chiesa di San Giuseppe Artigiano de L’Aquila, come i molti luoghi di culto affrescati o ricoperti di mosaici da Marco Ivan Rupnik e dal Centro Aletti (fra gli altri la Cappella Maggiore del Pontificio Seminario Romano Maggiore, ma anche la parrocchia romana di san Basilio), così come le chiese e le cattedrali affrescate da Kiko, fondatore del cammino neocatecumenale.

Bœspflug ricorda poi come ci siano state reazioni a tale aniconismo:

«Il fenomeno che abbiamo tentato di descrivere, di circoscrivere e d'interpretare ha suscitato vigorose reazioni, di cui è testimonianza ad esempio la condanna di un pittore come René Magritte».

Ricorda pure come sembra stia sorgendo una nuova attenzione in Francia alla questione, come nel caso «della chiesa di Saint-Joseph le Bienveillant nella città di Montigny-Voisins-le-Bretonneux, nella diocesi di Versailles (Yvelines). Innovazione rilevante del progetto: gli architetti dello studio Agapé hanno previsto una composizione colorata pensata per essere il punto focale dell'edificio».

5/ La formulazione di un augurio da parte di Bœspflug e nostra

Bœspflug ha scritto il suo articolo – e tutta la sua produzione critico-letteraria – nell’intento e nell’augurio che la Chiesa giunga ad una riscoperta della necessità delle immagini nella celebrazione e nella trasmissione della fede e afferma:

«Se è comprensibile che solitamente trascorre un certo lasso di tempo tra la fine dell'edificazione di una chiesa e l'elaborazione della sua decorazione permanente, è permesso pensare che la spoliazione integrale tanto vantata non è l'ideale e che la norma, per un'assemblea cristiana, è celebrare la fede in un luogo la cui architettura e decorazione la celebrano anch'esse all'unisono, e non soltanto l'architettura […] Il nostro auspicio è che si produca senza indugiare un nuovo equilibrio fra architettura e iconografia».

Da parte nostra ci permettiamo di suggerire i nostri A. Lonardo, La via pulchritudinis, in A. Lonardo, Dove si eleggono i papi. Guida ai Musei Vaticani. Cappella Sistina. Stanze di Raffaello. Museo Pio Cristiano, EDB, Bologna, 2015, pp. 135-158 e A. Lonardo, La Parola si è fatta carne, non libro. I "misteri" della vita di Gesù tra Scrittura, liturgia e arte, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2019 (insieme a L. Mugavero).

Ovviamente – suggerisce Bœspflug – una riscoperta del ruolo necessitante e benefico delle immagini non potrà che derivare da un’attenzione ad una vera comunione ecclesiale dove si discuta assieme di questo:

«Questo ricongiungimento sarà condizionato senza ombra di dubbio da un risveglio delle esigenze dei committenti (responsabili ecclesiastici e poteri pubblici) e delle assemblee cristiane, solitamente troppo silenziose e più portate all'accettazione silenziosa che al dibattito e alla discussione […] In una qualsiasi co-proprietà, i lavori importanti sono oggetto di un dibattito sui capitolati, sul calendario e sul preventivo. Dovrebbe essere così, a mio parere, per i progetti delle chiese e a fortiori per le cattedrali».



[1] In F. Bœspflug, La voga dell'arte astratta nel cattolicesimo europeo. Le nuove chiese realizzate in Europa dal 1945 a oggi sono basate sull’assenza di immagini. Una scelta dovuta in gran parte agli architetti. Nel caso poi minoritario di presenza di quadri e vetrate, si è preferito escludere le figure. Un’analisi del fenomeno, in “Vita e Pensiero” CVI (2023), pp. 129-136, nella traduzione di Mario Porro.