La data del Natale sovrapposta al Sol Invictus? Un mito moderno, di Amedeo Ricco

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /12 /2025 - 22:23 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito, da L’Osservatore Romano del 28/12/2024, un articolo di Amedeo Ricco. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Il periodo patristico. Cfr. anche:
-Non è il Natale a venire da Mitra o viceversa, così come non è il Sol dell’avvenire socialista a derivare dal Natale, di Andrea Lonardo
-Come parlare a scuola del Natale, di Mitra e delle divinità solari?, di Andrea Lonardo.
-La scelta del 25 dicembre per celebrare il Natale cristiano: dal dies natalis del Sol invictus, espressione del culto solare di Emesa (e del dio Mitra), alla celebrazione del Cristo, “sole che sorge”
di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (21/12/2025)

“La data del Natale al 25 dicembre – ossia quando gli antichi osservavano il solstizio – è stata fissata dai cristiani molto tardi, dopo Costantino, per rimpiazzare la festa pagana del Sol Invictus”. Si ripete spesso e in molte sedi, come se sull’argomento si avessero dati solidi e incontrovertibili. Ma l’affermazione non è granché fondata, e ciononostante comunemente accettata. È un mito moderno, che ha mietuto vittime anche illustri. Ma andiamo per ordine.

Molto prima che il culto del Sol Invictus entrasse nella vita quotidiana dei romani e soprattutto molto prima che fosse reso ufficiale, sono proprio i pagani a confondere col Sole il nuovo Dio cristiano: poiché i cristiani celebravano la resurrezione del loro Dio nel ‘giorno del sole’ e rivolti verso il sole nascente, nacque già in antico questa incomprensione (gli scritti di Giustino e Tertulliano ce lo confermano apertamente).

Poi c’è la questione della data. E per essa bisogna essere in grado di distinguere due cose: da una parte il ricordo della data in cui Gesù nacque; dall’altra la Chiese del IV secolo, che cercarono di scalzare il paganesimo nelle sue stesse festività.

Già Clemente d’Alessandria (202 d.C. ca.) riferisce un calcolo dell’anno e del mese del Natale, che si può prevedere fosse quello della sua Chiesa di Alessandria: tra la metà di novembre e l’inizio di gennaio del 4-3 a.C. ca. (Clem. Alex. Strom. 1,21,145). Nello stesso passo critica il parere diverso di chi lo collocava nel ventottesimo anno di Augusto e nel mese egizio di Pachon-Pashons (il mese di Khonsu, tra fine marzo e metà maggio del 1-2 d.C. ca.).

Negli stessi anni il Commento a Daniele attribuito a Ippolito (203 d.C. ca.) riferisce le date della nascita e morte di Gesù: mercoledì 25 dicembre del 4-3 a.C. ca. e venerdì 25 marzo del 30-31 d.C ca. (Hipp. Comm. Dan. 4,23).

Sesto Giulio Africano nelle Cronografie (221 d.C. ca.) associa concepimento e morte di Gesù nello stesso giorno, il 25 marzo: Creazione dell’universo e dell’uomo (nella tradizione ebraica all’equinozio di primavera), Incarnazione e Pasqua (dell’Antica Alleanza e della Nuova) avvennero sempre nello stesso giorno dell’anno.

Se pensiamo alle aree di provenienza e influenza di autori e scritti, la domanda è lecita: tra la fine del II e l’inizio del III secolo ad Alessandria e in Terra Santa si ritenevano già come tradizionali le date del 25 marzo e del 25 dicembre? Certo è che queste testimonianze precedono di gran lunga il tempo di Costantino.

Se poi si pensa che la venerazione della Grotta della Natività a Betlemme è attestata fin dalla metà del II secolo da Giustino (Iust. Dial. 78,5), allora il quadro diventa più interessante: se dopo cinquant’anni nel Commento a Daniele si parlerà del 25 dicembre, come in Egitto Clemente, e Giulio Africano a Gerusalemme riporterà il concepimento nove mesi prima del 25 dicembre, allora non è inverosimile pensare che la data fosse già ritenuta quella in queste aree. Ma evidentemente non fu ufficiale per tutti.

Cosa successe dopo? L’imperatore Eliogabalo tentò di imporre il culto del ‘suo’ dio solare a Roma, ma non andò granché bene. Fu solo con l’imperatore Aureliano, quindi nell’ultimo quarto del III secolo, che il culto del Sole si impose con successo, quando ormai nel panorama religioso erano i monoteismi ad attirare di più: Aureliano cercò, attraverso un ‘dio unico’, il Sole, di perseguire l’unità religiosa e la rappresentazione del potere. Aureliano insomma tentò di fare col Sole ciò che Costantino otterrà con successo quarant’anni dopo con Cristo: rafforzare l’autorità della sua persona e la centralità dello Stato tramite un Dio unico.

In epoca costantianiana la data del 25 dicembre, che già era presente da almeno più di un secolo come memoria in alcune aree e già caricata di simbologie astronomiche, non fu affatto inventata di sana pianta contro i Saturnalia e contro il Sol Invictus. Esisteva in modo indipendente, già ereditata: semplicemente la vicinanza/coincidenza con le festività pagane si presentò come opportunità per una nuova politica religiosa ‘di maggioranza’. Il Natale andò a porsi come contraltare. Occorre perciò parlare di processo di uniformità liturgica e di ufficializzazione piuttosto che di ‘macchinazione’.

Un conto è discutere del simbolismo di Cristo ‘Sole e Rinascita del Mondo’, che è antico e può aver generato una data come il 25 dicembre già prima del 200 d.C., un altro è affermare che la data fu improntata al culto del Sol Invictus per scalzarlo.

Infine resta pure la possibilità – se partiamo dalla sicura venerazione della Grotta a Betlemme almeno a metà II secolo, ma molto probabilmente più antica, e dall’insistenza sul 25 marzo per Incarnazione e Pasqua – che una data tra novembre e gennaio non sia neppure una riflessione astronomica, ma segua un vero e proprio filone di tradizione autentico: quello degli ebrei cristiani palestinesi della Chiesa madre di Gerusalemme e Betlemme.