Quella Pasqua che Caravaggio fece la Comunione. Era il 10 aprile del 1605 nella sua parrocchia, San Nicola di Bari ai Prefetti. La prova nello Status Animarum conservato in Vicariato. Nella chiesa la memoria del precetto pasquale del pittore, di Emanuela Micucci

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /04 /2011 - 15:17 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito di Romasette un articolo scritto da Emanuela Micucci, pubblicato l’11 aprile 2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri testi su Caravaggio vedi su questo stesso sito le sezioni Roma e le sue basiliche e Arte e fede, fra cui Caravaggio: la Cappella Contarelli. Andrea Lonardo spiega le Storie di San Matteo (sette video da You tube).

Il Centro culturale Gli scritti (18/4/2011)

Pasqua 1605. Un giovane basso, grassoccio, con baffi e lunghi capelli neri esce dal civico 41 di vicolo di San Biagio, svolta su via dei Prefetti, entra nella chiesa di San Nicola di Bari e, durante la Messa, si comunica. È un pittore lombardo che da un anno ha preso in affitto per 45 scudi un appartamento dalla vedova Prudenza Bruni. Una testa calda. Finito spesso in risse, violenze, schiamazzi, denunciato, arrestato. Un artista che rivoluziona la pittura con i suoi soggetti popolani, il realismo, i forti contrasti di luce e ombre. Quel 10 aprile 1605, giorno di Pasqua, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio fa la comunione nella sua parrocchia, San Nicola di Bari ai Prefetti. Oltre 400 anni dopo, ieri sera, 10 aprile 2011, in quella stessa chiesa si ricorda l’episodio, commemorando la memoria del precetto pasquale di Caravaggio.

«Un pittore troppo spesso soprannominato ‘maledetto’. Ma ha avuto anche lui una vita cristiana», sottolinea padre Giuseppe Cellucci, rettore della chiesa e cappellano universitario della Facoltà d’architettura della Sapienza. L’iniziativa rientra nel progetto “Insieme camminando”, percorso quaresimale proposto dal sacerdote agli universitari: catechesi, il martedì sera, su preghiera, digiuno, carità; itinerario artistico su Caravaggio con visite a due mostre in corso a Roma e la memoria del suo precetto pasquale.

Caravaggio, infatti, ha abitato e dipinto nel territorio della chiesa. Nel 1605 piccola parrocchia di 116 famiglie e 90 case, retta dai domenicani: 569 abitanti, tra cui anche 2 vescovi, 86 cortigiani, 39 meretrici. Caravaggio viveva con il suo garzone Francesco in un alloggio che usava anche come bottega. In vicolo del Divino Amore dipinse, ad esempio, la “Morte della Vergine” e la “Madonna dei pellegrini”. Nessuna opera però è ospitata nella sua parrocchia. «Probabilmente pregò davanti agli altari del Rosario e di San Nicola», afferma padre Giuseppe, che nell’archivio storico del Vicariato ha trovato e in parte trascritto lo Status Animarum, il documento con l’elenco dei parrocchiani redatto il 6 giugno 1605 dal parroco padre Domenico De Marianis, ora in restauro.

Quando si arriva a Caravaggio si legge: Michelangelo pittore. Prima del nome il parroco ha segnato una “c.” puntata, che può essere interpretata come l’iniziale di comunicato o di comunicandum, “da comunicare”. «Il dubbio nasce dal fatto che – spiega il rettore – il parroco in fondo all’elenco delle famiglie aggiunge il numero dei maschi e delle femmine ‘adatti alla comunione’. A far propendere per l’ipotesi comunicato è il fatto che è stato direttamente il parroco a redigere l’elenco e a compilarlo il 6 giugno». All’epoca, infatti, bisognava scrivere rapporti per dire se i fedeli andavano o meno a Messa ed esisteva a Roma un elenco pubblico delle persone che non facevano la comunione. La data del documento, 6 giugno, dopo Pentecoste, rafforza l’ipotesi che “c.” si riferisca alle persone che avevano rispettato il precetto di “fare la Pasqua”, cioè il confessarsi e comunicarsi a Pasqua. «Un segno vivo della propria appartenenza alla vita ecclesiale – spiega don Cellucci –. ‘Fare Pasqua’ vuole dire celebrare la memoria dell’Ultima cena di Gesù con i suoi apostoli». Anche Caravaggio, dunque, rispettò il precetto nel 1605 a San Nicola di Bari ai Prefetti.

Esaminando 4 opere, “Deposizione”, “San Tommaso” e le due “Cena di Emmaus”, padre Giuseppe illustra la «particolare spiritualità» del pittore. Il cristianesimo di Caravaggio è concentrato nell’incontro con Dio che avviene attraverso l’arte: rimanere assorbito nel proprio atto creativo gli fa percepire le verità del cristianesimo. «Il suo è un ‘realismo dell’anima’ – conclude –, un’interpretazione dell’uomo attraverso i fatti evangelici che diventano specchio della storia umana e della storia sacra».