Giovanni Battista: l’amico dello sposo, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 12 /12 /2009 - 00:04 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito l'articolo scritto da Andrea Lonardo l’11/12/2009 per la rubrica In cammino verso Gesù del sito Romasette di Avvenire. Per altri articoli sulla Sacra Scrittura, vedi su questo stesso sito la sezione Sacra Scrittura.

Il Centro culturale Gli scritti (11/12/2009)

Le reliquie più note di S. Giovanni Battista sono quelle del suo capo e del suo dito, quest’ultimo ricevuto in dono, secondo la tradizione, dal battistero di S. Giovanni, il bellissimo edificio costruito proprio dinanzi S. Maria del Fiore a Firenze – la reliquia del dito del Battista è ora custodita in un reliquiario del Museo dell’Opera del Duomo.

Le due reliquie possono essere prese a simbolo della figura del Battezzatore. Il suo capo mozzato è segno del suo martirio, della sua testimonianza fino all’effusione del sangue, il dito è simbolo di quell’indicare Gesù come il vero Messia atteso e finalmente giunto, stornando l’attenzione da sé.

«Non sono io» ripeterà più volte Giovanni, a differenza del Signore che chiederà invece di lasciare tutto per seguirlo.

In effetti, le fonti storiche del I secolo d. C. concordano con i vangeli nel descrivere l’enorme seguito che il Battista ebbe.

Flavio Giuseppe, storico giudeo passato poi dalla parte dei romani, nelle Antichità giudaiche, scrive della preoccupazione che assalì Erode Antipa, il tetrarca a cui Pilato manderà più tardi Gesù in giudizio, man mano che la popolarità del Battista cresceva: «Quando altri si unirono alla folla, poiché erano cresciuti in grandissimo numero al sentire le sue parole, Erode cominciò a temere che l'effetto di una tale eloquenza sugli uomini portasse a qualche sollevazione, dato che sembrava che essi facessero qualunque cosa per decisione di lui» (Giuseppe Fl, Ant. 18, 109-119).

Appare estremamente plausibile che le folle che percepivano come Giovanni fosse un inviato di Dio, si siano poste la domanda sulla sua identità: «Che non sia lui il messia?». Per questo il Battista, come attestano i vangeli, «evangelizzava» annunziando che il vangelo sarebbe giunto per opera di uno «più grande di lui».

Flavio Giuseppe fornisce anche alcuni particolari che precisano i dati evangelici sulla relazione immorale che univa Erode ed Erodiade. Erode era sposo della figlia di Areta IV, re nabateo di Petra, ma recatosi in viaggio dal proprio fratello Erode Filippo si invaghì della moglie di lui, Erodiade, e tramò per portarsela a casa propria.

La legittima moglie si rifugiò presso il padre Areta e – informa Flavio Giuseppe – si giunse addirittura ad uno scontro armato nel quale le forze armate del tetrarca ebbero la peggio.

Nel frattempo Erode aveva fatto uccidere il Battista. Flavio Giuseppe indica come motivo della decapitazione di Giovanni la paura del re per il grande seguito che egli aveva, ma la motivazione addotta dai vangeli, cioè la sua esplicita critica alla relazione adulterina ed incestuosa del re, non è assolutamente incompatibile con quella presentata dallo storico giudeo. Il Battista , nella sua predicazione al popolo, come invitava alla conversione le folle, così aveva denunciato come immorale il nuovo matrimonio di Erode, invitandolo al pentimento. Ed Erodiade non aveva tollerato che si parlasse male di lei. Nella fortezza di Macheronte, oggi in Giordania, fu perpetrato l’orrendo assassinio.

I vangeli arricchiscono a loro volta la testimonianza di Flavio Giuseppe ricordando che la missione di Giovanni non era solo morale, non si caratterizzava solamente come un solenne ed imperioso invito alla penitenza. Giovanni invitava tutti ad attendere l’inviato di Dio.

E, soprattutto, egli non solo lo attese, ma lo indicò presente. Egli attestò, con il suo dito, indicandolo, che il Cristo era effettivamente giunto in mezzo al suo popolo.

Ha scritto di Giovanni il card. Tomáš Spidlík:«Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista. Nelle icone del battesimo di Gesù nel Giordano, san Giovanni Battista è dipinto come un uomo di statura alta, con un piede proteso verso il Giordano e l’altro che resta indietro. Si vuole esprimere che egli sta tra l’Antico e il Nuovo Testamento. I grandi personaggi dell’Antico Testamento si distinguono per il dono della profezia. La loro missione è indicare dove va la storia d’Israele, e ricordare che tutto ciò che accade acquista senso in vista della venuta del Messia».

Ed ha continuato spiegando quale sia l’assoluta unicità e novità del Battista: «San Giovanni è l’ultimo profeta e indica il Messia non più con dei segni, ma direttamente, in persona: “Ecco l’agnello di Dio” (Gv 1,36). La sua predicazione è l’ultima prima delle parole di Gesù. La storia del popolo eletto quindi inizia e finisce con due grandi personaggi: Abramo e Giovanni Battista. Abramo è “padre di tutti i credenti” (Gal 3,6; Rm 4). La salvezza comincia con la fede e la speranza. La fede è destinata a crescere e a divenire visione, e Giovanni vede il Messia. Una storia simile si ripete di continuo, simbolicamente, nella nostra vita. Quando crediamo in Dio e gli diamo piena fiducia, arriva il momento in cui vediamo e sperimentiamo che abbiamo fatto bene e Dio è con noi».

L’evangelista Luca – secondo la felice espressione dell’esegeta H. Conzelmann – indica proprio a partire dall’incontro fra Giovanni ed il Cristo il “centro del tempo”: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi» (Lc 16,16).

Paolo VI ha coniato una straordinaria frase che può essere d’aiuto anche per comprendere la testimonianza del Battista, scrivendo nell’Evangelii nuntiandi 41 «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni».

E lo stesso pontefice aveva spiegato quell’espressione in una precedente allocuzione. Egli aveva affermato che erano quattro i motivi che rendono affascinanti i testimoni di Dio.

Essi attirano, innanzitutto, perché sono «testimoni dell’invisibile», in un mondo che ha fame di altro, di un «mistero più insondabile della materia».

I testimoni conquistano, inoltre, perché vivono di una serenità e di una speranza che provengono dalla consapevolezza che la forza di Dio è all’opera. Questa presenza di Dio li rende convinti che la fede non aliena, ma spinge a proporre cammini di libertà

Essi sono anche testimoni di sincerità, di verità, di autenticità, perché «trasparenti a Dio e agli uomini». Ed «il mondo attende il passaggio dei santi», affermava il papa.

Infine essi attraggono perché testimoni dell’esistenza di un senso, e della possibilità reale di una pienezza della vita.

Ecco perché Giovanni, con il suo dito indicatore rivolto non verso la propria persona ma teso al Cristo, è stato suo testimone. Ed il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui, vivendo ormai da discepolo nella comunione con il Cristo sempre presente.

N.B. Leggi qui l’allocuzione nella quale Paolo VI commenta cosa voglia dire essere testimoni e non solo maestri.