La basilica di S. Paolo fuori le mura: edificati sul fondamento degli apostoli, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /02 /2010 - 19:48 pm | Permalink | Homepage
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Pubblichiamo un articolo scritto da Andrea Lonardo per la rubrica “Paolo a Roma” del sito www.romasette.it.
Per approfondimenti sugli scavi nella basilica di San Paolo, vedi su questo stesso sito I recenti scavi nella basilica di San Paolo fuori le Mura: il sarcofago di San Paolo, la primitiva abside costantiniana e la basilica dei Tre imperatori, di Giorgio Filippi.
Per una presentazione completa della basilica, vedi La basilica di San Paolo fuori le mura.
Per la Gallery fotografica, vedi Immagini della Basilica di San Paolo apostolo fuori le mura.

Il Centro culturale Gli scritti (10/2/2010)

«Io sono ancora il democratico d'allora. Senza più cimici e pidocchi e pulci; senza più topi che mi camminano sulla faccia, senza più fame, anzi, senza appetito addirittura, e con tanto tabacco, ma sono ancora il democratico di allora, e sul nostro Lager non direi una parola che non fosse approvata da quelli del Lager. Da quelli vivi e da quelli morti. Perché bisogna anche tener conto dei Morti, nella vera democrazia».

Così scriveva Giovanni Guareschi, nel suo Diario clandestino, esprimendo la consapevolezza di un comune passato e di una memoria che non deve essere dimenticata.

Similmente si era espresso, prima di lui, G. K. Chesterton cercando di motivare l’importanza che la chiesa cattolica annette alla Tradizione:

«La tradizione può essere definita, come una estensione del diritto politico. Tradizione significa dare il voto alla più oscura di tutte le classi, quella dei nostri avi. [...] I democratici respingono l’idea che uno debba essere squalificato per il caso fortuito della sua nascita; la tradizione rifiuta l’idea della squalifica per il fatto accidentale della morte. La democrazia ci insegna di non trascurare l’opinione di un saggio, anche se è il nostro servitore, la tradizione ci chiede di non trascurare l’opinione di un saggio, anche se è nostro padre. Io non posso, comunque, separare, le due idee di tradizione e di democrazia: mi sembra evidente che sono una medesima idea».

Quando ci si avvicina al ciborio della basilica di S. Paolo fuori le mura si ha una fortissima immagine visiva di tutto questo: l’altare odierno poggia sulla tomba stessa di Paolo, che è stata riportata alla vista dei pellegrini nell’ultimo scavo realizzato in vista dell’anno paolino.

L’eucarestia viene cioè celebrata “sopra” il corpo dell’apostolo, sopra il sarcofago che conserva le sue reliquie. Non c’è maniera più espressiva di affermare che la fede della chiesa è la fede apostolica, che la nostra fede è radicata sulla fede degli apostoli che hanno conosciuto il Signore. L’eucarestia che ha celebrato Paolo e le nostre celebrazioni sono lo stesso ed unico sacrificio.

Non solo questo: Paolo, insieme agli altri apostoli, è raffigurato nei mosaici dell’abside, a raffigurare la chiesa del cielo che, insieme alla chiesa pellegrina in terra, è l’unica chiesa che comprende il cielo e la terra.

Questa dimensione verticale della chiesa – e della vita e della storia – caratterizza la fede cristiana. La chiesa non comprende semplicemente il “noi” orizzontale di coloro che oggi credono sparsi in ogni luogo della terra, ma comprende insieme il “noi” verticale, abbracciando tutti coloro che hanno creduto prima della nostra generazione ed, in primo luogo, gli apostoli stessi del Signore.

Per questo, fin dall’antichità, la chiesa ha valorizzato la tradizione del pellegrinaggio alla tomba degli apostoli, dei martiri e dei santi, perché ogni generazione accogliesse la fede delle generazioni che l’avevano preceduta e chiedesse la loro intercessione dal cielo.

La prima testimonianza esplicita della venerazione della tomba di Paolo sulla via Ostiense risale allo storico Eusebio di Cesarea, vissuto ai tempi di Costantino imperatore, che nella sua Storia ecclesiastica afferma: «Si narra che Paolo fu decapitato da Nerone e Pietro crocifisso a Roma; e ne sono riconferma tuttora i monumenti insigniti dei nomi di Pietro e di Paolo, visitati tuttora nei cimiteri della città di Roma. Del resto anche Gaio, un ecclesiastico vissuto ai tempi del Vescovo di Roma Zefirino, in un suo scritto contro Proclo, capo della setta dei Montanisti, parla dei luoghi ove furono deposte le sacre spoglie dei detti Apostoli; e così si esprime: “Io posso mostrarti i trofei degli Apostoli. Se vorrai recarti al Vaticano, o sulla via Ostiense, troverai i trofei dei fondatori di questa Chiesa”».

La testimonianza di Gaio, riportata da Eusebio, ci riporta così agli anni 199-217, gli anni del pontificato di papa Zefirino, ma, evidentemente, la tradizione della tomba dell’apostolo risale all’età neotestamentaria.

Gaio utilizza il termine “trofei” per indicare le sepolture di Pietro e Paolo, al colle Vaticano e sulla via Ostiense. Se il termine è passato ad indicare la prima solennizzazione architettonica di quei sepolcri, non si deve dimenticare che esso voleva indicare, in origine, la “vittoria” riportata in Cristo dai due apostoli martiri.

Essi avevano conseguito, come dice 2 Tim 4,8, la «corona di giustizia» preparata dal Signore per «tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione».

Lo straordinario candelabro pasquale, opera di Niccolò d’Angelo e Pietro Vassaletto, scolpito tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII secolo e sopravvissuto al terribile incendio ottocentesco della basilica, reca iscritti ancora perfettamente leggibili, alcuni versi che inneggiano al trionfo di Cristo che dona ai suoi i frutti della salvezza:

«+L’albero reca i frutti. Io sono un albero che reca luce. E doni. Annunzio gioia in un giorno di festa. Cristo è risorto. Ed io offro tali doni» (questo il testo originale in latino: «+Arbor poma gerit. Arbor ego lumina gesto. Porto libamina. Nuntio gaudia, sed die festo. Surrexit Christus. Nam talia munera p[rae]sto»).

Anche gli apostoli, raffigurati subito sotto il Cristo Pantokrator del catino absidale, intonano il Gloria, avendo come antifonari i due angeli che sono intorno all’Etimasia, cioè al trono sul quale si erge regale la croce vittoriosa.

L’angelo che è alla destra dell’Etimasia intona l’inno, recando nel cartiglio le parole «Gloria in excelsis Deo», e l’angelo a sinistra gli risponde con le parole «et in terra pax hominibus bonae voluntatis». Gli apostoli seguono, a destra ed a sinistra, proseguendo il canto.

Ai cori angelici ed alla prima generazione apostolica si unisce il gesto di papa Onorio III (1216-1227) prostrato ai piedi del Cristo. È la parte artisticamente più bella del mosaico; infatti, solo nella parte centrale inferiore si è conservata l’opera musiva originaria, mentre tutto il resto fu completamente rifatto dopo l’incendio ottocentesco, anche se in piena adesione al modello iconografico precedente.
Paolo VI, nel suo primo discorso ai vescovi del Concilio, nel settembre 1963, così si espresse, manifestando l’unità della Tradizione che concorde rivolge tutta la sua lode al Cristo:

«Si presenta ai nostri occhi rapiti e smarriti Gesù stesso rifulgente di tanta maestà quanta nelle vostre basiliche, venerabili fratelli delle chiese d’Oriente e pure delle chiese d’Occidente, appare del Pantokrator. E noi stessi ci vediamo in persona del nostro predecessore Onorio III nello splendido mosaico di San Paolo fuori le mura raffigurato adorante il Cristo, piccolo nella statura e annichilito prostrato in terra a baciare i piedi del Cristo che grandioso presiede l’assemblea raccolta nella basilica, cioè la Chiesa».


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