Giona

di d. Divo Barsotti

Quello che Dio chiede è davvero molto: è un’impresa rispondere. Si capisce come questo pover’uomo di Giona cerchi di fuggire; tutti facciamo così. E Giona scappò. Mosè aveva cercato di contrattare con Dio, e Dio lo vinse; con Giona Dio vincerà nonostante la sua fuga. Mosè cercò delle ragioni per scansare la vocazione divina, per rinunciare alla missione che Dio gli voleva affidare. Non so parlare..., e poi ancora, a corto di argomenti: Mandaci chi vorrai... (Cf. Es. 4,10-13). Giona non risponde nemmeno, anzi risponde immediatamente fuggendo. Il libro ispirato non riporta alcuna risposta in parole del profeta; l’unica risposta è la fuga.
Bisogna salvarsi; bisogna fuggire quanto prima, non aspettare... non aspettare che il Signore ci parli! Appena accenna una parola, bisogna fuggire dalla sua faccia! Ma dove fuggire? Dove?... Dio è terribile se tu soltanto lo ascolti! La cosa migliore è fuggire subito, perché da lui non ti salvi! Il demonio qualche cosa ti lascia; tutti ti lasciano qualcosa; per questo è più facile rispondere a tutti che rispondere a Dio. Dio non ti lascia nulla, ti brucia.
E Giona lo sapeva! ‘Devo andare a Ninive, io, a parlare di queste cose... Proprio io, ci devo andare! Diglielo tu se ti piace.... Vuoi proprio usare di questa povera creatura umana che sono io per fare delle cose così gravi, annunciare delle verità così pesanti e dolorose?’ Pareva dire Giona al Signore. Veramente, il Signore scomoda troppo! Sarebbe così facile a lui non metterci tanto a repentaglio, non esigere troppo da noi! Perché vuole proprio attraverso di noi, far delle cose che noi non faremmo mai, anche se potessimo e tanto meno le vogliamo fare nella previsione di quel che ci aspetta?...
Va’! – Dice Dio – e la risposta di Giona è una sola: Giona si mette subito in cammino: sembra dunque che la risposta sia pronta come quella di Abramo. Diceva Dio ad Abramo: esci dalla tua famiglia. Anche lui, Giona, va; ma, aggiunge subito il testo sacro, va per fuggire a Tarsis, lontano da Jahweh. Pover’uomo! Se il Signore lo mandava a Ninive, già questo diceva non soltanto il dominio di Dio su tutta la terra, ma diceva anche che Dio si interessava, con una provvidenza specialissima, di ogni popolo; Dio era vicino a ciascun popolo, Dio è colui che dimora ovunque. Egli tutto riempie di sé.
Lo sapeva Giona? Lo sapeva e non lo sapeva. A proposito di questo, dicono i commentatori che l’espressione lontano da Jahweh non vuol dire che l’autore ispirato ritenga che Dio dimori soltanto nella terra d’Israele. Certo, l’autore ispirato non intende questo; eppure, io non escludo che l’espressione voglia significare precisamente che il profeta volesse andare lontano da Jahweh. L’autore comincia già a burlarsi un po’ d’Israele e dei suoi profeti! Giona credeva di scappare da Dio. Ma come si può scappare? Dice il salmo 139: Dove fuggirò lontano da te? Se salgo in alto tu sei là; se discendo negli abissi, là ti trovo, se prendo le penne dell’aquila e fuggo al di là dei mari, io non fuggo ancora da te; e se entro nella notte, la notte si fa come giorno. E’ impossibile fuggire dalla presenza di Dio, ovunque egli è.
Ma quello che dice precisamente la rivelazione, non era quello che credeva questo povero ebreo: credeva, in fondo, di potersi difendere di fronte alle esigenze divine. L’insistere stesso dell’espressione al termine della frase indica già la volontà dell’autore ispirato di burlarsi di Israele. Tutto il libro di Giona sembra voglia canzonare i profeti che si lamentano di Dio, Israele che non sa accettare il piano divino. E’ una cosa meravigliosa in tutta la Bibbia, questo piccolo libro, tanto diverso dagli altri, e così grande!
Lontano da Jahweh. Povero Giona! Vuol andare lontano da Jahweh, ma come fa?... L’uomo tenta sempre la fuga, e non è questa la vita di ciascuno di noi quando Dio chiama? Fintanto che Dio non chiama, si frequenta la Chiesa, si sta vicini al Signore, magari si desidera anche di fare una vita pia; ma quando il Signore ci prende sul serio e ci parla, allora davvero nasce la paura; cresce la paura quando egli si avvicina, perché Dio è fuoco e ci sentiamo bruciare. Non si avvicina impunemente il Signore ad un’anima! Siamo almeno scottati, se non siamo bruciati, e noi cerchiamo di difenderci, quasi che possa esservi difesa di fronte a un Dio cui nulla resiste. Tu fuggi: dove? Tu fuggi: come? Pensa Giona: “Se egli mi chiama a Ninive, Ninive è a Oriente, io andrò a occidente, metterò fra Ninive e me tutto il mare e tutto il deserto”. Tra Ninive e te puoi mettere il mare e il deserto, ma tra te e Dio che cosa metterai? Questo è l’importante. Tra te e quello che il Signore ti comanda puoi mettere il mare, il deserto, ma tra te e Dio che cosa puoi mettere? Dio viene con te, è in te, per glorificarti o per condannarti. Comunque, in ogni modo ti brucia. Di fatto, Giona mette fra sé e Ninive il mare, il deserto, ma non può mettere nulla fra sé e Dio. Dio lo trova ovunque egli vada. E Dio lo colpisce, lo raggiunge più di quanto non l’avrebbe raggiunto se egli avesse obbedito...
Chissà — dice il re — che Dio non si penta... Si ripete la scena descritta dal libro di Geremia, cui certamente si ispira poi il libro di Giona. Là viene letto il libro degli oracoli di Geremia al re di Giuda, Joaquim, e Joaquim non ascolta, anzi brucia il rotolo nel quale sono scritti gli oracoli; qui il re di Ninive invece ascolta e fa penitenza. Così Dio ora si pente della distruzione che aveva detto di fare, e salva la città.
Aveva detto Geremia: Chissà che quelli della casa di Giuda, sentendo tutto il male che io penso di far loro, si ravvedano ritraendosi ciascuno dalla sua via perversa ed io abbia a perdonare la loro iniquità e il loro peccato (Ger. 36,3). In Geremia il testo esprime la speranza di Dio, nel libro di Giona la speranza dell’uomo. Dio rimane libero di fronte a noi; noi non possiamo legarlo. Chissà, dice il re. L’uomo si sente sospeso, non può poggiare su nulla, nemmeno sul suo pentimento, ma sulla sola libertà d’amore di Dio. L’uomo non può avere mai sicurezza in se stesso; la sua sicurezza non può riposare che nella libertà di un amore infinito. Ma come facciamo ad avere una sicurezza nella sua libertà?
Chissà che Dio non si penta. E’ questo chissà che salva la vita religiosa, perché se non ci fosse questo “dubbio”, tutto tornerebbe in un piano di pura giustizia. L’uomo deve rimettersi a un Dio che rimane mistero: ma rimane mistero d’amore. Anche se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore, scrive Giovanni (1Gv.3,20).

Questo chissà apre il cuore a una speranza; non lo angustia, non lo chiude nel terrore, lo dilata invece in una speranza viva. Dio è libero, ma è libero perché è l’amore; non libero in quanto ti condanna, ma libero perché, nonostante tutto, ti ama, perché ti amerà sempre e il suo amore troverà le vie per salvarti anche contro di te. Non certo nel senso che egli ti salverà anche rimanendo tu peccatore, ma egli troverà il modo perché tu non lo sia più, perché la tua volontà si pieghi ad accettare il suo perdono, anzi ad invocarlo.
Per il cristiano che sa che la libertà di Dio è soltanto una libertà di amore, l’incertezza è vinta, l’incertezza dell’uomo si cangia in un abbandono perfetto. Il tuo abbandono non lo lega, anzi scioglie il suo amore.
Quando Dio vide le loro azioni, si erano infatti convertiti dalla loro cattiva condotta, si sentì impietosito... Il pentimento precede il perdono di Dio? E’ perché Dio ha pietà di te, che tu ti penti. In fondo, sono un gioco divino tutta la storia, tutta la nostra vita. Il Signore gioca: all’ultimo non rimane che l’amore di Dio. Lotta con te tutta la notte per poi vincerti al mattino, mentre poteva vincerti fin dall’inizio. Dio è come un fanciullo; lo vide così l’Eckhart in una visione: vide un bimbo nudo entrare nella sua stanza a porte chiuse. “Chi sei, da dove vieni?” Dio è un bambino, come l’ha visto un giorno Claudel a Parigi in Notre-Dame. Dio non ha neppure un giorno, egli è la giovinezza eterna. Proprio perché è un bambino si diverte a giocare. Che delusione per gli uomini seri della vita religiosa... Egli sempre disfa i loro piani e li delude. Il Signore chiede anche a noi questa fanciullezza, perché la vita non è, in fondo, che un gioco d’amore. Ti chiede il pentimento, ma è lui che te lo dà; prima ancora che tu ti pentissi, Dio ha avuto compassione di te. Quando Giona è andato a Ninive credeva di andare a portare la condanna e, invece, Dio lo mandava a portare la salvezza. Dietro il profeta irato veniva Dio, per una festa di amore.
Così Dio ci parla d’amore in un linguaggio d’ira e di condanna; sotto il segno del rimprovero ci parla d’amore... Si sentì impietosito, Dio, riguardo al male che aveva minacciato di fare loro, e non lo fece. L’aveva detto e invece non lo fa; l’aveva detto sul serio?... Dio sotto l’apparenza della condanna cela un dono di amore, tanto che tu stesso che pure speravi in questo amore, ne rimani sconcertato. Credo che i niniviti, dopo, forse non credettero all’amore di Dio. Davvero questo amore era incomprensibile, strano. Come Dio li lascia in pace? Il castigo era giusto ed è così poco quello che loro ha chiesto! Dio ama così.


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