Educare ai valori per sconfiggere il relativismo (tpfs*)
di S.E.mons.Rino Fisichella

Mettiamo a disposizione on-line il testo della riflessione che S.E.mons.Rino Fisichella ha svolto per i sacerdoti del Settore Sud della Diocesi di Roma nell’incontro del 15 dicembre 2005, invitato da S.E.mons.Paolo Schiavon, vescovo ausiliare del settore.

L’Areopago


Oltre il divario tra fede e cultura

"I Presbiteri… non potrebbero essere ministri di Cristo se non fossero testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena; d'altra parte, non potrebbero nemmeno servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente. Per il loro stesso ministero sono tenuti con speciale motivo a non conformarsi con il secolo presente; ma allo stesso tempo sono tenuti a vivere in questo secolo in mezzo agli uomini, a conoscere bene – come buoni pastori - le proprie pecorelle… si applichino (quindi) ad esaminare i problemi del loro tempo alla luce di Cristo… Ai nostri giorni la cultura umana e anche le scienze sacre avanzano a un ritmo prima sconosciuto; è bene, quindi, che i presbiteri si preoccupino di perfezionare sempre adeguatamente la propria scienza teologica e la propria cultura in modo da essere in condizione di poter sostenere con buoni risultati il dialogo con gli uomini del loro tempo"[1].
Le citazioni del Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri sono solo un pallido esempio di quanto il Concilio Vaticano II, a più riprese, ha insegnato circa la necessità e l'urgenza di conoscere il mondo a noi contemporaneo, con le sue sfide e progetti, con le sue aspirazioni e contraddizioni, perché sempre e dovunque si sia in grado di annunciare con coerenza il Vangelo di Gesù Cristo. I cristiani vivono nel mondo e sono inseriti all'interno dello stesso processo culturale che accomuna le altre persone e le società. Da sempre, la nostra presenza è stata caratterizzata da un'attenzione peculiare perché i diversi movimenti culturali all'interno dei quali siamo inseriti fossero letti e interpretati alla luce di Cristo[2]. Non potrebbe essere altrimenti. Sulla parola del Signore, siamo inviati nel mondo per portare un annuncio di salvezza che sia in grado di dare risposta definitiva alla domanda ultima sul senso della vita.
Se questo ha valore per ogni singolo credente, acquista maggior obbligatorietà nei confronti del sacerdote per le responsabilità proprie che possiede e il ministero che svolge. La dialettica che lo pone all'interno del vivere sociale e civile, ben sapendo di non poter esserne pienamente parte, non lo esonera dall'abbracciare queste situazioni per essere capace di pronunciare una parola significativa nella sua azione pastorale. Ciò che, primariamente, è chiamato a compiere perché il suo ministero possa essere coerente e fecondo è la conoscenza dei fenomeni culturali che sono alla base dei comportamenti delle persone e delle società. Solo in questo modo, infatti, la sua azione pastorale sarà coerente e in grado di sviluppare una predicazione e una catechesi che siano non solo comunicabili, ma efficaci presso il suo interlocutore. Corriamo il grave rischio di utilizzare linguaggi che non sono più adeguati alle categorie di pensiero del nostro contemporaneo e questo porta alla inefficacia nella comunicazione del contenuto della nostra pastorale. Superare la barriera della non comunicabilità è possibile solo nella misura in cui i nostri linguaggi saranno costruiti in modo tale da raggiungere l'interlocutore là dove egli pensa e costruisce la sua vita con modelli e stili di comportamento che sono il frutto più evidente della cultura. Per essere propositivi, quindi, è importante che il contenuto della nostra azione pastorale passi per un'accurata analisi del fenomeno culturale per poter incidere in esso con un orientamento capace di esprimere nuovi stili di vita coerenti con la Parola di Dio e nello stesso tempo capaci di essere compresi nel fluttuare della dinamica culturale.
Già nel 1974, Paolo VI denunciava che uno dei drammi della nostra epoca era costituito dalla rottura tra la cultura e la fede[3]. Ne è derivato che la cultura si è indebolita e frammentata, mentre la fede si è rifugiata nell'esperienza individuale. Ambedue le condizioni non hanno permesso un rinnovato rapporto di responsabilità nei confronti della costruzione di nuovi modelli culturali, soprattutto da parte di quanti hanno il compito della formazione. Sorge, pertanto, l'urgenza di presentare in "termini culturali moderni il frutto dell'eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo"[4] anche per evitare il rischio di una diaspora culturale che per ciò stesso avrebbe poca incidenza per la sua connaturale debolezza. Il rispetto che nutriamo per le diverse culture a cui apparteniamo non impedisce di avere tra i credenti un'unità basilare ancora più profonda. D'altronde, ogni cultura, per sua stessa natura, è capace di immettere in sé e sviluppare con i linguaggi suoi propri la verità della fede. La verità cristiana per la sua istanza di universalità è l'unica in grado di assumere quanto di vero è presente nelle culture e di inserirsi in esse permettendo uno sviluppo di progresso nella creazione di un genuino umanesimo.

La metamorfosi culturale

Viviamo un momento importante della storia. I grandi cambiamenti che sono sotto i nostri occhi coinvolgono in modo particolare la mutazione dei paradigmi di pensiero che dall'antichità ai nostri giorni si sono sviluppati in maniera dinamica, ma coerente. Assistiamo a una sostanziale modificazione dei concetti basilari della cultura quali quello di natura-mondo, uomo-dio, spazio-infinito, tempo-eternità, libertà-verità, diritto-giustizia… solo per fare alcuni esempi. Il pluralismo di posizioni presente nella società impone ai credenti, di volta in volta, una riflessione che si faccia carico non solo di chiarificare i concetti in questione, ma anche di codificare nuovi linguaggi che esprimano con coerenza i contenuti di sempre e ne supportino i conseguenti stili di vita.
La sfida che si pone sul nostro terreno non è affatto di secondo ordine; al contrario. Essa impone di focalizzare lo sguardo perché la mente possa cogliere in profondità l'essenza delle problematiche in gioco e comprenda quanto sia necessaria la nostra presenza nell'agone delle idee e dei progetti perché non avvenga che quanti hanno non solo il diritto, ma la responsabilità di intervenire nel pubblico dibattito siano strumentalmente confinati in un angolo con una emarginazione del tutto ingiustificata. La ricchezza del nostro pensiero, che si fa forte di duemila anni di storia e di tradizione filosofica, letteraria e scientifica è di notevole supporto a ogni cultura che voglia sviluppare in sé concetti e linguaggi che mostrino il reale progresso verso cui si è indirizzati. Una società che volesse escludere o solo emarginare il cristianesimo sarebbe per ciò stesso destinata a un'inevitabile autodistruzione. Non avrebbe in sé, infatti, la forza creatrice e propulsiva di nuove istanze sull'uomo e la sua vita, elementi che provengono solo dalla fede e dalla sua verità. In ogni tempo, in ogni cultura che abbia creato progresso e sia stata promotrice di ricchezza intellettuale, il cristianesimo è sempre stato presente come stimolo per produrre una cultura capace di esprimere un vero umanesimo e come forte strumento di coesione per la società.
La missione propria della Chiesa, in questo frangente storico, non è diversa dal passato; è chiamata a trasmettere quanto ha ricevuto dal suo Signore (cfr. Mt 28,20). Deve essere capace, comunque, di effettuarlo con un annuncio che giunga a tutti, senza distinzione alcuna, perché il contenuto del suo messaggio consiste nella verità sulla vita dell'uomo. Questa verità non è desunta, primariamente, dall'esperienza personale, ma espressa e fatta conoscere per via di rivelazione da parte del Figlio di Dio[5]. Nel mistero della sua incarnazione egli porta a compimento la Rivelazione promessa e con la sua vita segna il punto culminante per dare senso al mistero dell'uomo[6]. Questa dimensione che sembra ovvia, costituisce invece il fondamento della missione della Chiesa. Senza la missione non c'è Chiesa, ma la missione è annuncio di una verità che è stata consegnata con la responsabilità di essere mantenuta dinamicamente integra fino alla fine dei tempi. Ciò comporta l'attenzione che è dovuta a due elementi costanti. Da una parte, la missione della Chiesa nel suo annuncio di verità; dall'altra, il destinatario dell'annuncio: il nostro contemporaneo. Dimenticare una sola di queste due componenti o limitarne lo spazio ad una sola comporterebbe inevitabilmente uno squilibrio che di fatto comprometterebbe sempre la missione della comunità credente. La trasmissione della Parola di Dio deve avvenire con la fedeltà al contenuto, ma senza dimenticare a chi è indirizzato. Ne va non solo della comunicazione presso il contemporaneo, che ha il diritto di ricevere il contenuto salvifico a cui aderire che lo coinvolga a tal punto da permettergli una scelta radicale di libertà con l'atto di fede; ma anche della vitalità con la quale il contenuto deve essere trasmesso per essere efficace presso tutti.
E' necessario, a questo punto, che si affronti la questione nodale del nostro tema: in quale contesto si inserisce l'annuncio della verità salvifica di Gesù Cristo che la Chiesa compie? Questa domanda non è retorica né ovvia. Essa, al contrario, obbliga a delineare lo spazio culturale entro cui vivono il credente e il destinatario dell'annuncio. Misconoscere questa dimensione equivarrebbe a non comprendere le vie entro cui la cultura si sviluppa e le forme della sua comunicazione; si vivrebbe, quindi, con l'illusione che il nostro linguaggio sia compreso e accolto nella stessa misura di sempre, il che è almeno da porre in discussione.
A livello di analisi dei movimenti culturali sappiamo cosa stiamo lasciando, ma non sappiamo verso dove stiamo andando. Se il passato si lascia descrivere con qualche sicurezza, anche se non senza difficoltà, il futuro, invece, rimane ancora avvolto nell'oscurità dell'ipotetico. Stiamo lasciando alle spalle la modernità, che fino ad oggi, nonostante tutto, non si riesce ancora a definire con contorni chiari e si è incamminati verso la postmodernità, che già dal suo nascere porta con sé l'ambiguità del concetto.
La modernità, di cui siamo figli, è ciò che ha permesso di cogliere il valore della soggettività. Alla luce della trasformazione filosofica, che vede Kant come fedele continuatore della scoperta cartesiana del cogito, tutto è puntato sulla scoperta del soggetto come unica fonte di conoscenza veritativa e di libertà. In questo processo, tuttavia, si è aperto lo spazio della secolarizzazione che ha segnato il suo punto culminante della parabola della modernità, sconfinando nell'attuale supremazia del soggettivismo. Questa forma estrema, attuata con passi lenti ma inesorabili, ha condotto a forme culturali che ponevano l'autonomia dell'uomo soprattutto dalla fede nella rivelazione.
In una parola, si è voluto creare uno iato tra Dio e l'uomo, con la convinzione che si sarebbe finalmente raggiunta l'autonomia e la libertà di quest'ultimo. Ne è derivato che si è esaltato l'uomo a spese di Dio e contro Dio. Questa condizione, tuttavia, ha inesorabilmente condotto l'uomo a perdere il ruolo centrale che possedeva. Tolto il riferimento a Dio, egli ha perso anche il ruolo che aveva nella creazione. Non è più al centro del creato, ma costituisce solo una parte qualsiasi del mondo. Le tendenze attuali che vedono la sperimentazione come il culmine della scienza e del progresso, non fanno che dimostrare la tendenza di marginalizzazione che coinvolge direttamente l'uomo. Lo rilevava con lucidità Evangelium vitae: "Del resto, una volta escluso il riferimento a Dio, non sorprende che il senso di tutte le cose ne esca profondamente deformato e la stessa natura, non più "mater", sia ridotta a "materiale" aperto a tutte le manipolazioni"[7]. Ciò che ha creato maggior preoccupazione in questo frangente è il fatto che questo uomo, teso verso la sua piena autonomia indipendente da ogni forma di autorità divina è caduto nelle mani di potenze anonime a cui non può ribellarsi proprio perché anonime. Il fenomeno sempre più marcato del condizionamento espresso dai modelli televisivi non fa che rendere evidente il pericolo e la grande sfida con cui ci si incontra. In una parola, tolto il fondamento dell'esistenza personale, si è caduti nella trappola dell'effimero che apre a una preoccupante era del vuoto, soprattutto con la perdita del senso di responsabilità[8]. L'ambigua concezione di libertà, il forte soggettivismo che non sa più riconoscere il valore della verità perenne e, soprattutto, l'eclissi del senso di Dio, dunque, hanno portato a dimenticare il valore della vita e a disinteressarsi del fratello che vive accanto a tal punto da verificare che una società che si proclama civile ed evoluta è sempre più barbaramente rinchiusa nel circolo della morte.

L'orizzonte che si avvicina

Una cultura postmoderna verso dove si muove? Ciò che crea problema nel dover rispondere a questa domanda è che cosa sarà messo al centro delle nostre riflessioni. Chi sarà il fortunato protagonista entro cui la postmodernità si potrà riconoscere: l'uomo? oppure la natura? oppure Dio? I tre elementi oggi sembrano porsi sullo stesso piano. In ogni caso, sarà necessario chiedersi: quale sarà la concezione di uomo? Con quale concetto di natura ragioneremo? Quale idea di Dio prenderà posto nei prossimi decenni?
Quale uomo sarà quello che vuole dominare la scena del futuro: un soggetto ancora al centro, quasi un microcosmo in cui tutto trova sintesi definitiva del suo essere personale; oppure un individuo ormai schiacciato dal peso della tecnica? E quale natura sarà alla base delle prossime legislazioni? Il concetto di natura immutabile con le sue leggi oppure una materia che è sottoposta alla manipolazione genetica e, quindi, una natura in cui tutto è possibile perché giustificato previamente dal giudizio etico soggettivo? E se sarà Dio, in un contesto di confuso confronto con le religioni a cui è sotteso un inevitabile sincretismo, quale idea di Dio sarà presente nell'immediato futuro?[9].
Sullo sfondo, è necessario porre anche il tema della tecnica e il suo imporsi nell'organizzazione della vita sociale con l'imposizione di visioni del mondo prima inaspettate. Se, infatti, la tecnica è in grado di determinare l'esistenza personale fin dai suoi primordi e neppure la scienza sente il bisogno di porre limiti alla sperimentazione sulla cellula umana, scavalcando le stesse regole che si era data in precedenza, allora non si potrà che verificare le logiche conseguenze. L'uomo, sulla scena del teatro di questo mondo, non potrà più giocare il ruolo di protagonista a cui si era abituato per secoli, ma deve necessariamente lasciare il posto a chi ora pretende di determinare la sua stessa esistenza. Si riaffaccia sulla scena del mondo la tetra figura di Medea che uccide i suoi figli; è proprio così, la tecnica creata dall'uomo per rendere più umana la sua esistenza, sembra respingere in un angolo l'uomo stesso quasi si trattasse di un nuovo e mai mutato complesso di Edipo. E' ormai condivisa l'analisi secondo la quale il nostro contemporaneo ha talmente delegato la tecnica a produrgli ogni cosa, da non comprendere più il grave pericolo in cui è caduto. La tecnica, infatti, ha assunto il ruolo di domina non solo della natura, ma anche dell'uomo riducendolo a un oggetto della sua sperimentazione senza curarsi più delle sue reazioni. Se cresce la tecnica, ma non aumenta di conseguenza anche l'orizzonte spirituale dell'uomo e la persona non permane in una dinamica di maturazione verso la trascendenza, allora si viene spogliati di ciò che possediamo come di più prezioso: la coscienza di sé, del proprio limite e dell'apertura infinita verso cui si è indirizzati[10]. Condizione mortale, perché in questo modo non solo cessa il vero progresso, ma l'uomo stesso muore per asfissia. Egli, infatti, non ha più uno spazio spirituale che gli consente di andare oltre se stesso verso quell'orizzonte di senso ultimo che da risposta alle sue domande fondamentali. Per paradossale che possa sembrare, la tecnica allontana anche ogni domanda sul limite, illudendo di una eternità che non può essere data dalla produzione dell'uomo. Si dovrà guardare con occhio vigile a come il pensiero filosofico e culturale in genere si porrà nel prossimo futuro nei confronti della sofferenza e della morte; è qui, infatti, che ritorna la perenne domanda di senso e le varie visioni trovano la loro barriera insormontabile.
Ritorna con prepotenza, come si nota, il tema di fondo che sta alla base di ogni processo culturale e che provoca anche i credenti a dare il loro originale e insostituibile apporto. Nell'areopago del mondo contemporaneo è necessario porre in primo piano il problema della concezione della vita umana. La vera sfida che si staglia nei confronti del pensiero in generale e della politica più direttamente, è la stessa concezione della vita personale e le modalità della sua genesi, durata e termine ultimo. La sacralità della vita è oscurata per la tenacia di imporre una visione tecnicista, edonista ed effimera come se tutto dipendesse dal puro caso o dalla sperimentazione arbitraria e dove tutto si vive, cogliendo solo il semplice frammento, senza preoccuparsi di una progettazione personale compiuta nella libertà che aprirebbe a spazi di vero futuro. Il mistero della vita viene frantumato per l'arroganza di voler dare a tutto una spiegazione scientifica, partendo da teorie che non intendono limitare l'uso della scoperta al principio etico.
La prima conseguenza si manifesta nella cultura generalizzata secondo cui ciò che differenzia le persone non è la sessualità che è stata donata con il corpo, ma il genere che si è scelto di vivere. Il genere diventa la costruzione sociale in alternativa al sesso, come espediente per esprimere una libertà individuale di voler essere se stessi non in forza della natura, ma della propria volontà[11]; espressione di libertà che si manifesta subito fragile e fittizia e che solo una impenitente faziosità persiste nel difendere. Tolta in questo modo, la differenza tra uomo e donna, si comprende facilmente che viene posta in crisi la prima cellula su cui la società si fonda: la famiglia. Carichi di una visione ideologica, che vuole relegare la concezione cristiana del matrimonio e della famiglia nella sfera dell'oscurantismo e della subordinazione della donna all'uomo, si insinua sempre più una visione individualista ed egoista della relazionalità tra le persone che mette in crisi l'istituzione stessa. Superfluo ricordare che la situazione di crisi che ha toccato la famiglia non fa altro che manifestare la permanente instabilità e crisi della società stessa. Se una società, infatti, è costretta a verificare che al suo interno lo stile di vita che progressivamente si assume è quello del vivere soli, allora si dovrà almeno riflettere sul senso stesso dell'essere societas. Se un Paese inizia ad avere un quarto o un terzo della popolazione che vive solo, allora è necessario che almeno per spirito di sopravvivenza si affronti la problematica e si trovino strumenti idonei per porre rimedio.
Questo quadro ha bisogno di essere integrato dal tema della verità. Giovanni Paolo II nella sua enciclica Fides et ratio ha permesso di evidenziare alcuni aspetti peculiari della problematica. Ciò che oggi si percepisce in maniera evidente è la frammentarietà del riferimento alla verità, preannunciata e costruita dal nihilismo nietzschiano, e il desiderio di ritornare a una unità del sapere: "È così accaduto che, invece di esprimere al meglio la tensione verso la verità, la ragione sotto il peso di tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere. La filosofia moderna, dimenticando di orientare la sua indagine sull'essere, ha concentrato la propria ricerca sulla conoscenza umana. Invece di far leva sulla capacità che l'uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti. Ne sono derivate varie forme di agnosticismo e di relativismo, che hanno portato la ricerca filosofica a smarrirsi nelle sabbie mobili di un generale scetticismo. Di recente, poi, hanno assunto rilievo diverse dottrine che tendono a svalutare perfino quelle verità che l'uomo era certo di aver raggiunte. La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo… sono emersi nell'uomo contemporaneo, e non soltanto presso alcuni filosofi, atteggiamenti di diffusa sfiducia nei confronti delle grandi risorse conoscitive dell'essere umano. Con falsa modestia ci si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana, personale e sociale" (FR 5).

Passione per la verità

Le parole dell'enciclica sembrano voler condensare il fatto secondo il quale non esiste più alcun fondamento. L'emotività sostituisce la ragione e diventa presso le nuove generazioni criterio di verità e principio etico! E' valore solo ciò che è soggettivamente percepito come un bene o sentito emotivamente come tale. Da questa prospettiva, spiace dirlo, si vive un periodo di povertà, di forte disagio, di grave mancanza di fiducia nella possibilità stessa di ogni persona di accedere alla comprensione di sé. Si preferisce sottacere sulle differenze, lasciare in ombra i conflitti come se non esistessero e smussare gli spigoli. In breve, si ha paura di misurarsi fino in fondo con il problema della verità. Il primo a farne le spese è il cristianesimo. Bersagliato ogni giorno da una costante critica sul proprio annuncio e sul modello di vita che propone è costretto con estrema fatica a difendere la non assurdità della fede oppure a mostrare la stessa fede quale perfezione e compimento dell'umano[12]. La paura per la verità pervade spesso i nostri ragionamenti. Soprattutto chi è abilitato a un ruolo pubblico, in forza del ruolo che riveste con il ministero, è tentato di timidezza o, peggio, di assuefazione alla cultura dominante. Bisognerebbe riproporre con coraggio le parole di R. Guardini: "Chi parla dica ciò che è, e come lo vede e lo intende. Dunque, che esprima anche con la parola quanto egli reca nel suo intimo. Può essere difficile in alcune circostanze, può provocare fastidi, danni e pericoli; ma la coscienza ci ricorda che la verità obbliga; che essa ha qualcosa di incondizionato, che possiede altezza. Di essi non si dice: Tu la puoi dire quando ti piace, o quando devi raggiungere uno scopo; ma: Tu devi dire, quando parli, la verità; non la devi né ridurre né alterare. Tu la devi dire sempre, semplicemente; anche quando le situazione ti indurrebbe a tacere, o quando puoi sottrarti con disinvoltura a una domanda"[13]. C'è un imperativo, dunque, a cui non si può né si deve sfuggire: attestare che la verità deve riprendere il suo posto e la sua coerente collocazione non solo nell'organigramma delle scienze, ma soprattutto nella vita delle persone perché possano approdare a un'esistenza carica di senso.
Se queste parole sono valide per ogni uomo che porta in sé il desiderio della verità, suonano con maggior carica di significato per il credente che vede nel volto di Cristo l'immagine stessa della verità (cfr Gv 14,6). Il ministero che siamo chiamati a svolgere noi vescovi e i sacerdoti in comunione con noi, obbliga a fare della verità la propria compagna di vita. Il panorama che abbiamo descritto presenta i punti nodali su cui la nostra attenzione dovrebbe concentrarsi per permettere che lo studio e la riflessione abbiano a fornire una risposta carica di senso. Certamente il mondo in cui viviamo presenta tratti di grandi potenzialità e aspetti positivi che appartengono ormai al tessuto della nostra vita quotidiana. Proprio questa consapevolezza del grande bene che è presente nel mondo e della forte maturità che è stata raggiunta consente di esprimere un giudizio anche sugli aspetti che limitano il vero progresso dell'umanità e trattengono la corsa verso la piena umanizzazione. Non saremmo mai sentinelle del mattino (Is 21,6) se non restassimo vigili nella nostra azione pastorale dinanzi alle sfide che la scienza, la tecnica, la cultura e le ideologie in genere pongono sul nostro cammino.

Ripartire dalla persona

Questa memoria deve riprendere posto ai nostri giorni, non per vanagloria né per trionfalismo alcuno, ma solo ed esclusivamente per permettere un salto qualitativo nell'attuale momento di passaggio culturale. Vorrei solamente accennare al ruolo determinante che l'occidente ha avuto nel momento in cui ha compreso l'originalità del concetto cristiano di persona. Se si vuole, è intorno a questo termine che si può rileggere la storia del progresso e della maturazione civile, culturale, sociale e politica. Fino al IV secolo, il termine è soggetto a una lunga discussione sul suo significato più coerente. Nell'accezione latina –che risentiva dell'origine etrusca- il termine persona va ricondotto allo spazio del teatro; indica la maschera che copriva il volto dell'attore. Nella semantica greca, il termine pròsopon indica ugualmente la maschera teatrale, ma insieme ad esso anche "che cade sotto gli occhi", "ciò che si vede". La diatriba sul termine nasce proprio nel momento in cui si vuole esplicitare la fede nella Trinità e la presenza di tre persone con un'unica natura; alla stessa stregua, i primi cristiani dovevano esplicitare nei confronti di Gesù Cristo, sul fatto che la sola persona divina era presente nella natura umana e in quella divina. Si deve alla grande intelligenza di Agostino la soluzione più adeguata che rimarrà fino ai nostri giorni. Egli ha saputo armonizzare il termine con il concetto, mostrando che la persona è se stessa nella relazione con l'altro. Saranno i concili, in seguito a stabilire dogmaticamente l'esattezza della formula; ciò che importa, comunque, è verificare che sulla base della chiarificazione trinitaria e cristologia del concetto si viene a produrre una delle conquiste più rivoluzionarie della cultura universale. Persona è un'identità propria che si qualifica nella sua relazione con l'altro. Per cogliere in profondità il valore semantico, è necessario comprendere la sua derivazione dalla sfera della fede nella Trinità. Nell'unità della natura divina, che non è divisa, ma partecipata totalmente, le tre Persone si qualificano e differenziano come Padre, Figlio e Spirito Santo; ognuna delle tre persone vive solo in relazione con l'altra in una forma di donazione e accoglienza totale che permette loro di essere identificate come Padre che tutto dona, Figlio che tutto riceve e Spirito Santo come Frutto del tutto dare e del tutto ricevere. La persona, insomma, si qualifica per la relazione d'amore che le permette di essere ciò che è.
E' alla luce di questa prospettiva che possiamo comprendere il valore portante della persona nel mondo contemporaneo e lo sviluppo che essa ha avuto nelle diverse istanze scientifiche. Dal concetto di persona scaturisce come conseguenza quello della sua dignità e del suo valore universale e, quindi, l'attenzione che è dovuta per ogni persona, per tutta la persona e per il bene di tutte le persone. Non è azzardato affermare che solo nella misura in cui si vuole salvaguardare il concetto di persona e la sua dignità è determinante che essa rimanga legata a Dio che ne garantisce l'esatta comprensione ed esplicitazione. Nella misura in cui si dimentica Dio si dimentica anche la persona che reca impressa in sé la sua immagine e somiglianza; nella misura in cui si dimentica la persona, si dimentica anche Dio che ne è la sua garanzia ultima.
La crisi di identità che l'Europa vive è sotto gli occhi di tutti. Tolto il concetto di persona si allontana quello della sua sacralità e tutto cade nell'arroganza del più forte. Ne deriva la pretesa di imporre il diritto individuale su quello sociale e la conseguente distruzione di modelli sui quali l'occidente è fondato. Imporre l'esistenza del diritto individuale porta a imprimere nella società la volontà degli individui, spezzando in questo modo il concetto stesso di persona come relazione. Contraddizione insanabile, frutto dell'individualismo che regna sovrano, avendo distrutto ogni possibile tensione verso il bene comune. La prima conseguenza di questo stato di crisi è la solitudine in cui è caduto l'uomo contemporaneo. Privo di una relazione salda che gli consente di comprendere se stesso, è diventato ormai estraneo a se stesso; incapace a doversi collocare e comprendere tende a rinchiudersi in sé con la conseguente mancanza di amore e donazione gratuita. I rapporti diventano soggetti all'interesse individuale e la violenza dell'uno sull'altro ha la meglio. In questo contesto è necessario porre anche la crisi del matrimonio e della famiglia. Incapace a essere se stesso e colto dalla paura di una incapacità stabile alla relazionalità e all'amore, si apre la strada a modelli che contraddicono e distruggono ogni relazione sociale. Il tentativo di minare alla base anche lo stesso concetto di matrimonio monogamico e tra persone di sesso diverso non è che espressione dell’attacco ad uno degli ultimi bastioni che una cultura in crisi intende abbattere per l'imposizione di un progetto, estraneo al mondo, alla natura e alla stessa cultura e che ha il solo intento di eliminare l'uomo.
La Chiesa ha una profonda responsabilità in questo momento. Senza alcuna forma di presunzione, a me sembra che sia rimasta solo lei a far sentire la sua voce per fermare questo insano desiderio di autodistruzione. E' importante, quindi, che la Chiesa provochi a una riflessione che prendendo la recta ratio come compagna di strada, illumini anche i molti non credenti, che sparsi per le diverse strade del mondo hanno compreso i gravi rischi a cui l'Occidente è esposto. Si tratta, in ultima analisi, di riprendere a cercare con maggior vigore e insistenza il bene dell'uomo, a quanto egli produce con sapienza e a farlo diventare responsabile del suo futuro. Tolta la parentesi in cui tutto gli viene concesso in forza di un diritto soggettivo che lo ha viziato facendolo sentire come figlio unico, è determinante recuperare il senso della relazionalità in quanto parte di un'unica famiglia. L'assunzione del principio di responsabilità è una delle priorità che vediamo all'orizzonte; esso impegna a una fatica che sa rimettere alla base i veri diritti iscritti nel cuore di ogni uomo e per ciò stesso garanti dell'uguaglianza e della libertà a cui il legislatore deve ispirare la sua opera. Come credenti nella vittoria del bene sul male sempre e dovunque, noi lavoriamo perché la crisi che stiamo vivendo possa trasformarsi in un reale momento di confronto e di progresso per tutti.
Sono convinto che solo mediante un recupero forte del concetto di tradizione questo sarà possibile. La tradizione, infatti, è forma di una trasmissione che inserisce in un processo più ampio e che genera conoscenza; a nostro avviso, esprime una risorsa di cui i credenti anzitutto dovrebbero farsi carico. La tradizione per noi non significa soltanto il riferimento a una storia bimillenaria che, nel bene e nel male ci appartiene, indica, piuttosto, la partecipazione diretta a una viva trasmissione della fede che ispira e genera cultura. I cristiani dovrebbero ricuperare, in questo frangente, la memoria perenne dell'evento salvifico di cui sono responsabili nel mondo e, all'interno di questo momento, ripensare il ruolo della loro partecipazione alla missione evangelizzatrice della Chiesa in Europa. Ogni azione credente, infatti, anche quella sociale, politica e culturale porta con sé la peculiarità di essere annuncio del vangelo che salva. Il recupero del senso della tradizione e del suo valore per la costruzione dell'Europa è una strada da percorrere. Essa non è semplice; richiede, infatti, uno sforzo di originalità e un recupero di spessore speculativo. Per alcuni versi, comunque, la strada viene spianata per l'apporto di alcune scuole filosofiche che hanno posto come tema centrale della loro ricerca la tradizione. Avendo a fondamento una seria riflessione filosofica e la ricchezza teologica della concezione cattolica sulla tradizione, è possibile identificare l'apporto peculiare che si è chiamati a portare nel sorgere della nuova Europa. Se i credenti perderanno il senso e il peso della tradizione, il rischio per aver costruito un'Europa sulle fragili fondamenta di un interesse puramente economico sarà irreversibile ed essi ne saranno in parte responsabili. Se, invece, il recupero della coscienza storica farà da sostegno, allora anche le obiezioni e gli scetticismi di oggi potranno essere risolti e svanire alla vista della ricchezza che la tradizione ha saputo mantenere.
La Chiesa, in questo frangente, forte della sua storia di maestri e di santi che hanno reso queste terre fermento continuo di cultura e di civiltà, si sente interpellata direttamente ad assumersi le sue responsabilità. Essa dovrà instancabilmente riproporre la fede in Gesù Cristo morto e risorto come premessa per il riconoscimento pieno della persona, della sua dignità e dell'inviolabilità dei suoi diritti fondamentali che sono patrimonio di tutti. Senza illusioni, se mi è dato di guardare con serenità al futuro, io intravedo l'opera dei credenti come un'azione convinta che saprà produrre nuova cultura sulla forza della fede di sempre. Non perderemo la nostra identità, perché non potremmo comprendere le nostre città senza un campanile che richiami a rientrare in noi stessi; non potremo mai assuefarci a un mondo dove non esiste l'amore che porta la nostra impronta. Il rispetto che abbiamo verso tutti e verso chi non condivide la nostra scelta di fede, ci impone di qualificare sempre meglio la nostra identità per evitare di diventare erranti senza più una meta e cittadini senza più una patria.
I Padri conciliari nel Decreto sul ministero e la vita sacerdotale scrivevano: "I ministri della Chiesa, e talvolta gli stessi fedeli, si sentono quasi estranei nei confronti del mondo di oggi e si domandano angosciosamente quali sono i mezzi e le parole adatte per poter comunicare con esso. E non c'è dubbio che i nuovi ostacoli per la fede, l'apparente inutilità degli sforzi che si sono fatti finora e il crudo isolamento con cui vengono a trovarsi, possono costituire un serio pericolo di scoraggiamento" (PO 22). La forza che proviene dal Vangelo e la grazia che sostiene il nostro ministero se sono uniti a una coerente conoscenza dei fenomeni e pongono con lucidità una critica intelligente permettono di guardare al futuro con maggior realismo. Il cambiamento culturale è dinamico e sempre aperto a nuovi sviluppi; ad esso, comunque, non può mancare l'intelligenza e l'impegno dei ministri sacri che con la loro opera di formazione ed educazione alla fede danno la genuina e più coerente risposta alla perenne domanda di senso che alberga nel cuore di ogni persona. Questa risposta di senso è la vera strada da percorrere perché il cambiamento culturale in atto sia ancora una volta rivolto all'uomo nella sua integrità e non contro di lui.


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Note

[1] Presbyterorum ordinis, nn. 3.4.19.

[2] Da questa prospettiva è significativo il continuo richiamo del concilio Vaticano II al tema dei "segni dei tempi"; cfr. GS 4.11.44; cf. pure PO 9; UR 4; AA 14.

[3] Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 70.

[4] Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, n. 4.

[5] E' il tema trattato specialmente in Fides et ratio nn. 7-14.

[6] E' importante riprendere in questo contesto l'insegnamento che proviene da Dei Verbum 4 e Gaudium et spes 22.

[7] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, nn 22.

[8] Cfr. G. Lipovetsky, L'ere du vide. Essai sur l'individualisme contemperain, Paris 1993, 49-69.

[9] Un testo di una canzone, cantata dai bambini di una scuola elementare, può essere un segno di come questi inizino a pensare a Dio fin da bambini: "C'è chi prega Dio dicendo Visnù, Budda, Krishna, Allah o Jahvè, noi lo chiamiamo con Maria e Gesù, ma un solo Signore poi c'è. Padre nostro che nel cielo stai, sono tanti i nomi che hai, ma uno solo in fondo tu sei, uno soltanto per tutti noi".

[10] Si confrontino i ripetuti interventi di J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Brescia 1979, 32-37; Id., Fede verità Tolleranza, Siena 2003, 74-82.

[11] Significativo in proposito l'intervento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, nn. 7.13-14.

[12] Cfr. A. Milano, Quale verità. Per una critica della ragione teologica, Bologna 1999, 12.

[13] R. Guardini, Le virtù, Brescia, 1972, 21.


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