L’esistenza dei quattro vangeli, con le rispettive
    specificità, è indifferente alla fede cristiana? O è, addirittura, un
    ostacolo? O, piuttosto, un evento di grazia? Che valore dare al “quadriforme
    evangelo” trasmessoci dalla Tradizione?
    
    Il prof. Romano Penna, nel testo che presentiamo, mostra come siano state affrontate queste
    questioni fin dalle origini del cristianesimo, indicandone la rilevanza per l’esegesi e
    la teologia odierna. Il brano è parte di un più vasto articolo: Romano Penna,
    Il fatto sinottico e le sue soluzione storiche, in Insegnava loro la parola.
    Miscellanea in onore di fra Angelico Poppi, ofmconv, nel suo 70° compleanno,
    G.Cappelletto (a cura di), Edizioni Messaggero Padova, 2000, pagg.61-80. L’articolo, che
    consigliamo nella sua interezza, prosegue valutando gli apporti specifici della Sinossi
    elaborata appunto dal prof.Angelico Poppi, cui è dedicato l’intero volume.
    Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di queste righe sul
    nostro sito non fosse gradite a qualcuno degli aventi diritto.
L’Areopago
La cosiddetta “questione sinottica”... consiste nel chiedersi
    come sia stato possibile storicamente il formarsi del fatto sinottico, formulando questi
    interrogativi: Matteo-Marco-Luca sono forse debitori, indipendentemente l’uno
    dall’altro, di una fonte unica a loro precedente? E questa eventuale fonte era scritta o
    solo orale? Oppure ci fu uno dei tre sinottici che scrisse per primo e gli altri due si
    servirono di lui? E allora l’eventuale priorità a chi compete? Forse a Matteo da
    cui dipenderebbero nell’ordine Luca e Marco (ipotesi Griesbach )? O forse a Marco,
    affiancato dalla suddetta fonte Q, dai quali dipenderebbero separatamente Matteo e Luca (
    teoria delle due fonti, oggi la più diffusa )?
    
    
    Noi qui ci limitiamo semplicemente a considerare le soluzioni date non alla questione
    sinottica, ma al fatto sinottico. Vogliamo vedere, cioè, come nella storia della chiesa
    ci si sia rapportati al dato della pluralità dei testi evangelici, e come si sia cercato
    di ovviare alle inevitabili difficoltà che essi pongono nel leggerli. Infatti,
    già nel secolo II, il filosofo pagano Celso traeva da ciò motivo di obiezione e
    di ironia: “Alcuni fedeli, come gente che ha bevuto troppo, giungono ad altercare fra
    loro, e alterare il testo originario del Vangelo, tre o quattro volte o più
    ancora”. Ricordiamo perciò quattro diversi tipi di soluzione adottati
    storicamente, per poi concentrarci su un quinto.
    
    
    1. Una prima soluzione radicale fu quella adottata verso la metà del secolo II da
    Marcione, figlio del vescovo di Sinope (sul Mar Nero) e vissuto a Roma dal 140 fino almeno al
    144 (quando fu scomunicato). Tra tutti i Vangeli, egli accettò come canonico solo quello
    di Luca, risolvendo così la questione alla radice: in questo modo, infatti, non si
    poneva più alcun problema di confronti o di paralleli. Per la verità, la sua
    operazione non era motivata da disagi o preoccupazioni di ordine storico-letterario, ma da
    interessi squisitamente teologici: rifiutando tutto l’Antico Testamento, egli respingeva
    la supposta idea ebraica di un Dio crudele e vendicativo, per accogliere soltanto l’idea
    cristiana di un Dio buono e misericordioso. Questa, poi, egli la trovava documentata, appunto,
    unicamente nel Vangelo secondo Luca e nel cosiddetto Apostolikon, una raccolta di dieci
    lettere dell’apostolo Paolo (di cui non sembra conoscere le tre pastorali); su questi
    scritti, poi, egli era ancora intervenuto per purificarli da presunte falsificazioni giudaiche.
    E’ evidente l’arbitrarietà di una simile operazione, che faceva scrivere
    all’indignato Tertulliano: “Marcione adopera non una penna, ma una lama,
    sfacciatamente e pubblicamente, e per comporre il suo sistema massacra le Scritture” (De
    praescr. haeret., 38). In effetti, anche si egli ebbe probabilmente il grande merito di
    suggerire l’idea di un canone cristiano delle Scritture, la sua posizione sui Vangeli non
    ottenne alcun seguito.
    
    
    2. Una seconda soluzione, già antica ma purtroppo sempre rinnovantesi, è quella
    praticata per primo dal siro Taziano (attivo a Roma verso il 170) con la sua celebre opera
    Diatéssaron (il titolo originale significava: “L’evangelo tratto dai
    Quattro” o anche “Armonia dei quattro evangeli”), purtroppo andata perduta e
    nota solo da versioni successive e soprattutto dal commento che ne fece sant’Efrem Siro
    nel IV secolo. In concreto, il metodo consiste nel ridurre i quattro Vangeli a uno solo,
    traendo materia da tutti e quattro con lo sforbiciare nelle pagine di ciascuno di essi:
    eliminando i doppioni, spostando brani, sostituendo certi passi con altri paralleli ritenuti
    migliori, mescolando in uno stesso racconto sfumature diverse desunte dalle varie redazioni. Si
    tratta di un autentico lavoro di collage. Già Eusebio di Cesarea definiva l’opera
    di Taziano “un compendio e una fusione dei Vangeli” (Hist. Eccl., IV, 29,6).
    Il lavoro, come accennato, ebbe un successo enorme, almeno in Siria. Ma esso incontrò
    pure delle feroci opposizioni. Nel secolo V i vescovi siri Rabbula di Edessa e Teodoreto di
    Ciro intervennero drasticamente per imporre come unico testo liturgico quello che chiamavano
    “Vangelo dei separati” (cioè degli evangelisti singolarmente presi),
    opponendo al “Vangelo dei mescolati”! Ed è eloquente la testimonianza di
    Teodoreto: “Non comprendendo la malizia di quella composizione, i cristiani se ne
    servivano in tutta semplicità come di un sunto; io stesso ne ho trovati più di
    duecento esemplari onorati nelle nostre chiese, ma li ho tolti tutti e ho introdotto al loro
    posto i Vangeli dei quattro evangelisti” (Migne, PG 83, 372). In realtà, i Vangeli
    non sono fatti per essere armonizzati in questo modo materiale e rozzo. Vi si oppongono almeno
    due ottimi motivi, tra loro complementari.
    
    In primo luogo, una simile operazione significherebbe un’evidente manipolazione del testo
    condotta in base a una scelta meramente umana e soggettiva, tale da distruggere nei fatti
    l’opera personale di quattro scrittori. Sarebbe come rompere quattro vasi preziosi e
    pretendere di ricostruirne con i loro cocci uno solo, che in realtà sarebbe un sonoro
    falso, non essendo prodotto da nessuno degli autori dei vasi perduti: così il
    “Vangelo dei mescolati” non è più né di Matteo, né di
    Marco, né di Luca, né di Giovanni, ma un rifacimento ibrido senza valore. In
    secondo luogo, il risultato approderebbe inevitabilmente a gettare tra i rifiuti non poche
    pagine evangeliche. Con quale diritto? Forse che la logica umana è motivo sufficiente
    per gettare al vento parti anche minime della parola di Dio? Verrebbe tragicamente meno
    l’antica preoccupazione di Samuele, il quale “non lasciò andare a vuoto una
    sola delle parole” del Signore (1Sam3,19). In effetti ogni singolo brano dei detti o dei
    fatti di Gesù, anche quando è riferito dagli evangelisti due, tre, o quattro
    volte con dettagli diversi, implica sempre un’ottica particolare dell’agiografo,
    che lo riporta non per mera acribia storiografica, ma annettendovi una sfumatura teologica
    particolare, come può rivelare il diverso contesto. Si prenda ad esempio la parabola
    della pecorella smarrita, ricorrente sia in Mt18,12-14 sia in Lc15,3-7. La redazione matteana
    la inserisce nel contesto del cosiddetto discorso ecclesiale, in cui Gesù dà
    delle direttive ai membri e ai responsabili della comunità, sicché il testo ha un
    chiaro intento pastorale (= i pastori della chiesa devono cercare di ricondurre e reintegrare
    nella comunità i cristiani traviati). La redazione Lucana, invece, pone la parabola nel
    contesto di un momento concretamente vissuto da Gesù, quando i farisei e gli scribi
    brontolavano per il fatto che egli accoglieva i peccatori e mangiava con loro, sicché
    essa acquista qui un valore polemico ed esemplare (= non bisogna opporsi a far vita comune con
    gli emarginati di ogni tipo, e la loro reintegrazione va accolta con grande festa). Come si
    vede, il taglio è diverso e rivela una tipica polisemia del testo sacro, che non va
    assolutamente perduta: il che purtroppo avviene con il sistema di Taziano.
3. Un terzo tipo di soluzione consiste nel lasciate intatti i quattro
    Vangeli, ma stanti le loro apparenti contraddizioni, si adotta nei confronti del problema un
    atteggiamento chiaramente apologetico. Ciò che colpisce sono le loro dissomiglianze, e
    allora si cerca in qualche modo di spiegarle, armonizzandole da un punto di vista non
    più materiale ma formale. Esponente di rilievo di questo comportamento fu
    sant’Agostino con il suo De consensu evangelistarum libri IV. L’opera
    è impostata così: il libro I è dedicato a questioni generali (numero e
    ordine dei Vangeli; perché Gesù non ha scritto; ecc.); il libro II prende la
    narrazione di Matteo e la segue fino all’ultima cena, confrontando con essa il racconto
    di Marco-Luca-Giovanni per dimostrarne il consenso; il libro III fa vedere la stessa concordia
    nel racconto che va dall’ultima cena fino alla fine dei Vangeli; il libro IV mostra
    infine ciò che è peculiare di Marco-Luca-Giovanni rispetto a Matteo.
    L’intento apologetico è chiaramente formulato in II,I con una punta di ironia:
    Agostino si propone di dimostrare il consensus dei Vangeli “affinché non traggano
    motivo di inciampo nella fede cristiana coloro che sono più curiosi che
    intelligenti” (Ne quid in fide christiana offendiculi patiantur, qui curiosiores quam
    capaciores sunt); e continua: “Costoro, ritenendo di aver trovato delle cose incongruenti
    e contraddittorie, pensano che esse debbano formare materia di obiezione per spirito di contesa
    più che formare materia di considerazione con spirito di prudenza”. Il suo metodo
    di procedimento può essere esposto con un paio di esempi. A proposito del battesimo di
    Gesù al Giordano, la voce dal cielo in Mt3,17 usa il pronome relativo (“Nel quale
    mi sono compiaciuto”), mentre in Mc1,11 e in Lc3,22 essa usa il pronome personale
    (“In te mi sono compiaciuto”); Agostino risolve sbrigativamente il problema,
    lasciando al lettore quel che crede meglio, purché sappia che, se non è uguale
    l’espressione scritta, lo è per il senso della sentenza (cfr.II,31: Si quaeris
    quid horum in illa voce sonuerit, quodlibet accipe, dummodo intelligas eos qui non eamdem
    locutionem retinuerunt, eamdem retulisse sententiam). Quando invece all’episodio del
    centurione di Cafarnao, in Mt8,5 si dice che egli “si avvicinò”
    personalmente a Gesù, mentre Lc7,3 scrive che “gli mandò degli
    anziani”, Agostino risolve la divergenza appellandosi alla altitudo mysticae elocutionis:
    infatti a Gesù si accede con la fede, e quindi, tenendo conto di Lc7,9 (“Non ha
    trovato tanta fede in Israele”), anche secondo Luca il centurione si avvicinò a
    Gesù con la fede (cfr.II,50: Ita et centurio quo magis credidit, eo magis accessit ad
    Dominum).
    
    Come si vede, il metodo è ben lontano da un interesse scientifico che valorizzi,
    più che eliminare, le originalità delle singole redazioni evangeliche. Non
    disponendo di una tale sensibilità critica, diventa inevitabile rifugiarsi in
    considerazioni di ordine teologico (ancorché molto interessanti) o comunque lasciarsi
    comandare dalla preoccupazione di annullare persino l’esistenza di un problema, per il
    quale non si dispone di alcuna soluzione migliore.
4. Un sistema più tecnico e rispettoso del fatto sinottico è
    quello attestato da Eusebio di Cesarea nel suo breve scritto Canones decem harmoniae
    evangeliorum. Egli si rifà ad un precedente lavoro, oggi perduto, di un certo
    Ammonio Alessandrino (citato anche da san Girolamo, De vir. il.,55, sia pure
    erroneamente confuso con il filosofo Ammonio Sacca), che suddivise il testo dei Vangeli in
    varie pericopi (355 per Matteo, 236 per Marco, 340 per Luca, 232 per Giovanni; allora non
    esisteva alcuna suddivisione né in capitoli né in versetti), tentandone una
    concordanza. Eusebio, da parte sua, riprese il tentativo e lo perfezionò. Egli
    compilò dieci tavole (dette “canoni”) di numeri in colonna, corrispondenti a
    quelli delle rispettive pericopi, allineando su una stessa linea i numeri delle pericopi
    parallele nei singoli Vangeli. Il sistema funziona così: la tavola 1 elenca le pericopi
    in cui concordano i quattro Vangeli; la tavola 2 dà le pericopi in cui concordano i
    primi tre Matteo-Marco-Luca (ed è significativamente la più lunga); tavola 3:
    Matteo-Luca-Giovanni; tavola 4: Matteo-Marco-Giovanni; tavola 5: Matteo-Luca (è la
    seconda in lunghezza); tavola 6: Matteo-Marco; tavola 7: Matteo-Giovanni; tavola 8: Luca-Marco;
    tavola 9: Luca-Giovanni; la tavola 10, infine, elenca le pericopi proprie di ciascun Vangelo.
    Il progetto era poi di apporre al testo continuo di ogni singolo Vangelo il numero della tavola
    e quello della pericope ivi enumerata, in modo da permettere, utilizzando i
    “canoni” come chiave, il ritrovamento delle pericopi parallele nei vari
    evangelisti.
    
    In questo caso, si tratta di una vera e propria “armonia evangelica”, anche se
    molto scheletrica, prototipo di “armonie” successive, che facilitano una lettura,
    per così dire, sincronica dei Vangeli. Anche se, così facendo, ciò che
    viene evidenziato sono più le concordanze che non le discordanze, occorre riconoscere
    che il sistema si può considerare in qualche modo l’antenato delle Sinossi, di cui
    ora parleremo.
    
    
  La soluzione della Sinossi 
    
    Dal greco syn-opsis, “visione simultanea”, la sinossi consiste nel riportare
    a stampa integralmente, contemporaneamente e di seguito, a colonne nella stessa pagina, il
    testo continuo dei Vangeli, così da coglierne con un solo colpo d’occhio sia i
    parallelismi sia le dissomiglianze rispettive. Il primo tentativo in assoluto di questo tipo fu
    pubblicato in Germania ad Halle nel 1776 ad opera di J.J.Griesbach. E’da allora che la
    parola “sinossi” restò acquisita nel campo degli studi sui Vangeli e si
    moltiplicarono le imprese similari, sia sul testo greco, sia nelle diverse lingue volgari.
    
    Il proprium della sinossi, tutt’altro che di attutire, è di esaltare al
    massimo il fatto sinottico. Favorendo una percezione immediata di tutte le concordanze e di
    tutte le discordanze presenti nel testo dei Vangeli, si evidenzia all’estremo la loro
    identità letteraria in reciproco confronto. La sinossi, quindi, rappresenta il sistema
    più adeguato e pertinente per rispondere al problema della pluralità dei Vangeli,
    lasciando intatto fino all’ultima parola il tenore del testo sacro e insieme
    permettendone una chiarificante visione d’insieme. Si rende così ragione di ogni
    minima sfumatura del testo stesso, offrendole anzi la possibilità di affermarsi. In
    questo modo si creano i veri presupposti per un doppio tipo di indagine: l’uno, di
    carattere storico-letterario, tende a risolvere la menzionata “questione
    sinottica”, trovando facilitata la possibilità di stabilire in quale rapporto di
    dipendenza stanno i Vangeli l’uno con l’altro; il secondo, di carattere teologico,
    conduce a prendere meglio atto documentaristicamente della ricca varietà di approcci non
    solo alla storia di Gesù, ma anche al suo mistero personale, rivelando più che
    mai che davvero egli non è un uomo ad una sola dimensione.
Introduzione al Vangelo di Marco, del prof. 
  Romano Penna
  Cosa vuol dire spirituale nella 
  fede cristiana? del prof. Romano Penna
  La chiesa di Roma prima di Pietro 
  e Paolo: Aquila, Priscilla e quelli che si radunano nella loro casa..., del 
  prof.Romano Penna 
Per altri articoli e studi del prof. Romano Penna o sul Nuovo Testamento presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici