Cosa vuol dire "spirituale" nella fede cristiana? (tpfs*)
Un articolo di Romano Penna

N.B. Romano Penna, notissimo studioso delle lettere di S.Paolo, ha scritto la sua tesi di laurea, dal titolo "Lo Spirito di Cristo", Paideia, Brescia, 1976, proprio su questo argomento. Il breve articolo che vi presentiamo, scritto per Parola, Spirito e Vita, n. 4, è una breve sintesi dell'opera maggiore. Lo mettiamo a disposizione on-line, sentito il parere del prof. Penna. Restiamo a disposizione, se altri, aventi diritti sul testo, non gradissero la messa in rete.


Lo Spirito di Gesù Cristo
di Romano Penna, da Parola Spirito e Vita, n.4.

Indice:


Il discorso che san Paolo svolge nelle sue lettere sullo Spirito ha certamente molte componenti di originalità. Ma quella che sta a monte e regge tutte le altre, è che l'apostolo attribuisce in modo diretto e personale lo Spirito a Gesù Cristo, così che essi vengono a trovarsi ambedue associati in una sola locuzione di costruzione genitivale: quella che forma il titolo di queste pagine. Nessuno prima di lui, né nell'AT, né nella letteratura intertestamentaria, né in ambiente cristiano, si era mai espresso in questo modo.
 
Per l'AT lo Spirito è essenzialmente «di Dio», anzi è un suo semplice modo di intervenire ad extra, fuori di sé: sia nella creazione, sia nella storia [1] .
È su questo sfondo che si colloca il linguaggio neotestamentario. Continua qui il tradizionale impiego biblico della formula «lo Spirito di Dio» (= 30 volte, di cui 19 in S.Paolo), secondo cui solo a Dio spetta in proprio un intervento pneumatico: sia salvifico, sia condannatorio. L'attribuzione dello Spirito-pnéuma al messia della fede cristiana, cioè a Gesù Cristo, avviene appena in sei casi, di cui quattro nelle lettere paoline, che sono i più antichi: 2Ts 2, 8; Gal 4, 6; Rm 8, 9; Fil 1, 19; At 16, 7; 1Pt 1, 11 [2] .
Qui in un primo momento, esamineremo da vicino e singolarmente i sei passi neotestamentari citati; in un secondo momento trarremo, dall'analisi fatta, alcun conclusioni di sintesi.

A) I testi

1. 2Ts 2, 8

«Allora sarà rivelato l'iniquo, che il Signore Gesù distruggerà con lo spirito della sua bocca ed eliminerà con la manifestazione della sua parusia».

Il contesto di questo passo è dato dall'intervento di Paolo presso i tessalonicesi, preoccupato per la loro febbre escatologica. Alla loro attesa di una fine imminente egli oppone la necessità del manifestarsi di alcuni segni precedenti, che sono «l'apostasia» e appunto «l'uomo iniquo, figlio della perdizione» (v. 3), cioè un anti-dio e anti-Cristo (che può essere sia una persona singola, sia una personalizzazione collettiva). Il suo apparire è «impedito» (vv. 6ss.) da qualcosa che Paolo non indica esplicitamente e che per noi è quanto mai difficile identificare (secondo alcuni autori si tratterebbe del piano divino di salvezza, che stabilisce «i tempi e i momenti»: At 1, 7). Ma quando si rivelerà, allora la sua opera distruttrice sarà contrastata e eliminata dal Signore Gesù, che si imporrà su di li semplicemente «con lo spirito della sua bocca».
Con questa espressione, che fa allusione al soffio o alito della bocca, il testo vuol dire che la cosa più debole in Gesù serve pienamente a travolgere ciò che satana ha di più forte. Da una parte, si dà un impressionante dispiegamento di potenza (cf. vv. 9-10a); dall'altra, un semplice soffio è sufficiente a rassicurare «i fratelli amati dal Signore» (v. 13), perché esso rivela sia l'inconsistente pomposità dell'iniquo, sia soprattutto l'irresistibile forza e la facile vittoria del «Signore» Gesù. È inevitabile di vedere questo testo sullo sfondo di Is 11, 4; ma in Paolo ormai il davidide atteso ha il nome ben preciso di Gesù, cui viene in più attribuito il titolo assai forte di Kyrios, avendo già alle spalle i fatti fondamentali del mistero pasquale.

2. Gal 4, 6

“E la prova che siete figli è che Dio inviò nei nostri cuori Io Spirito del Figlio suo, che grida: Abbâ, Padre!”

Il contesto riguarda l'attuale identità cristiana, che si afferma in prosecuzione con l'AT (cfr. Gal 3) e soprattutto sulla base della fede e del battesimo (cfr. in particolare 3,23-29). A Paolo preme mettere in luce come l'uomo raggiunge e ottiene la sua maggiore età, sia in senso storico-salvifico (col superamento della legge-pedagogo e con la missione del Figlio: 4, 4-5), sia in senso personale-interiore (mediante l'adozione filiale). Proprio con l'adozione filiale o filiazione adottiva è connesso l'invio dello «Spirito del Figlio suo nei nostri cuori» da parte di Dio. Anzi, proprio questo invio ci costituisce «figli» in senso vero e pieno [3] . Infatti, non si tratta soltanto di ricevere uno Spirito qualsiasi, ma precisamente «lo Spirito del Figlio», cioè di Gesù di Nazaret in quanto Figlio di Dio. Né si tratta di uno Spirito impersonale, riducibile ad un puro sentimento interiore. Questo Spirito, infatti, è soggetto di un'azione; egli «grida: Abbâ, Padre!». Se poi consideriamo che il supremo agente dell'invio dello Spirito è Dio, del quale in 4, 4 già si diceva che «inviò il Figlio suo», allora appare chiaro che ci muoviamo in un contesto trinitario.
Sullo sfondo stanno le speculazioni alessandrine circa la sapienza divina, come leggiamo in Sap 9, 17:

“Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall'alto?”.

Tuttavia, la missione dello Spirito, di cui parla la lettera ai Galati, non si riferisce certo alla pentecoste, cioè a un evento pubblico, solenne e collettivo. Qui, invece, lo Spirito è inviato «nei nostri cuori», dove l'aggettivo possessivo accomuna l'apostolo ai suoi destinatari, rinviandoli al momento della loro acquisizione della fede e del loro battesimo. Lo Spirito viene così ad essere presente nel più intimo di ciascun cristiano, coinvolgendolo in un originale e misterioso movimento circolare: lo Spirito mandato da Dio passa attraverso il mistero dei Figlio per giungere come tale fin nelle nostre più recondite profondità, in modo da ritornare poi a chi lo aveva inviato, sotto forma del grido filiale «Abbâ». Appare così l'estrema adattabilità dello Pnéuma, che esiste essenzialmente «in altri»: in Dio, nel Figlio, in noi, in modo da creare la più perfetta comunione fra tutti quelli che lo condividono. Ma la cosa più tipica è che esso ci conforma al Figlio Gesù tanto da ripetere in noi la medesima sua preghiera al Padre.

3. Rm 8, 9ss.

“Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi...”.

Il contesto di questo passo è dato da un discorso, teologicamente assai denso, sui rapporti antitetici tra la «carne» e lo Spirito, che riempie di sé la sezione 8, 1-17. Alla base di tutta la novità cristiana c'è «la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù» (v. 2), che spodesta il peccato da ciascuno di noi (cfr. v. 3; 7, 17). Questa legge o principio dinamico, che è lo Spirito stesso, si oppone in termini di irriducibile alternativa alla «carne». Con questo concetto già biblico, ma ora tipicamente paolino, si intende l'uomo intero sottomesso non solo alla caducità creaturale ma anche al peccato e non ancora redento da Cristo, non aperto all'influsso vivificante dello Spirito; perciò «quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio» (v. 8). Si tratta di un concetto strettamente correlativo a quello di «Spirito», il quale, essendo appunto «di Dio» (v. 9a) e «di Cristo» (v. 9b), non va assolutamente inteso in senso antropologico (= anima, mente, ragione) ma in senso soprannaturale e storico-salvifico.
È questo Spirito che supera e atrofizza la carne, cioè la sfera dell'orgogliosa autarchia umana, dotando l'uomo di una nuova capacità relazionale nei confronti sia di Dio che dei propri simili, fondata su di una nuova ontologia personale. Ma la cosa che maggiormente va notata nel nostro testo è che la presenza del nome di «Cristo» nei vv. 9c-10a introduce il tema dialettico morte-vita, presente appunto nei vv. 10b-11, dove alle quattro ricorrenze del concetto di morte ne corrispondono altrettante circa la vita-risurrezione. E' come se Paolo dicesse: se Cristo è in voi, allora ciò che capita a voi (corpo-morte, Spirito-vita) non può essere diverso da ciò che già capitò a Cristo stesso; cioè, la presenza di Cristo in voi si manifesta proprio mediante la vostra comunione alla sua morte e risurrezione. Perciò qui «lo Spirito di Cristo» si configura come lo Spirito che dona una vita nuova attraverso la morte. «Così il cristiano viene chiamato nella militia Christi, nella lotta tra lo Spirito e la carne, nella decisione per lo Spirito e contro la carne»; [4] ciò si verifica tanto nell'impegno morale (vv. 12-13) quanto nella quotidiana esperienza del dolore (vv. 17s).
Lo Spirito è appunto la forza divina che provoca nel cristiano sia la morte al peccato sia la vita nuova per Dio, assimilandolo così al Cristo. E come la morte, così questa vita si realizza in due momenti diversi: a livello attuale-interiore come sottrazione al dominio della carne, e a livello escatologico, come novità in pienezza che coinvolge pure i nostri corpi mortali (v. 11).

4. Fil 1, 19

“... grazie alla vostra preghiera e all'elargizione dello Spirito di Cristo”.

La frase fa parte di una pagina, in cui Paolo riferisce ai cristiani di Filippi la propria situazione di prigioniero e la ferma speranza che in ogni caso «come sempre anche ora Cristo verrà magnificato nel mio corpo, sia mediante la vita sia mediante la morte» (v. 20). Di fronte alla condizione penosa dell'apostolo in catene si pone la realtà comunitaria e viva della chiesa filippese, da cui s'innalza la «preghiera» in segno di unione col sofferente (= comunione dei santi; cfr. At 12, 5); questo intervento si dimostra efficace, poiché ottiene un atto di «elargizione», che ha come oggetto «lo Spirito di Gesù Cristo», inteso come effetto della preghiera e come unico bene necessario e sufficiente per ovviare a una situazione di necessità.
Si tratta di una elargizione che proviene certamente da Dio, ma anche dalla stessa comunità orante. Lo scopo finale di questo dono è la «salvezza» del prigioniero, da intendersi in senso lato, dove si assommano l'aspetto fisico e spirituale, con l'incrollabile certezza che in ogni modo (con o senza la liberazione) «Cristo verrà magnificato». Inoltre, va notato il contesto di testimonianza, che richiama Mc 13, 9-11:

«Vi trascineranno davanti ai sinedrii... per causa mia; ma... non siete voi a parlare, bensì lo Spirito santo».

Ma la locuzione di Fil 1, 19 in più ci dice che il testimone, proprio nei momenti in cui rende testimonianza viene unito a Cristo, modello di tutti i martiri, mediante il «suo» Spirito, più strettamente che nei momenti tranquilli della propria fede [5] . Il testimone riceve così la forza necessaria per la parresìa (v. 20), intesa come coraggio e fiducia, oltre che come franca libertà di parola.

5. At 16, 6-8

“(Paolo, Sila e Timoteo) attraversarono poi la Frigia e la regione galatica, essendo stato loro proibito dallo Spirito santo di predicare la parola nell'Asia. Venuti poi nella Misia, cercavano di incamminarsi verso la Bitinia, ma non lo permise loro lo Spirito di Gesù; percorsa quindi la Misia, scesero a Troade”.
 
Siamo nel contesto della missione apostolica (2° viaggio missionario). Una doppia proibizione rettifica i piani dei missionari. Luca non specifica come si siano verificati concretamente i due interventi divini (o per rivelazione profetica o per una illuminazione interiore di Paolo o più semplicemente per un gioco di circostanze). Ciò che lo interessa è di sottolineare che è lo Spirito a precisare e a guidare il cammino dei missionari. il passaggio dallo «Spirito Santo» (v. 6) allo «Spirito di Gesù» (v. 7) va nel senso di una maggiore identificazione del responsabile divino nel cambiamento di itinerario. Si tratta di una formula che non ricorre mai alla lettera in Paolo. Probabilmente perché Luca è più preoccupato di far notare nella vita presente della chiesa la continuità di azione dello stesso Gesù storico pre-pasquale. Comunque, non si tratta solo di «Gesù», ma del suo «Spirito», e questi è anche per Luca una realtà postpasquale di origine divina (cf. At 2, 32-33).
È caratteristica propria degli Atti la sistematica applicazione dello Spirito alla missione. Il nostro passo si pone a una svolta importante nel filo narrativo del libro: il vangelo passa per la prima volta in Europa, dove Dio intende «assumere dalle genti un popolo per il suo nome» (15, 14; cfr. 18, 6.10). In questa svolta, Luca non può tacere la necessaria componente cristologica. La formula di 16, 7, infatti, sottolinea la parte che nella missione ha non solo lo Spirito Santo in genere, ma Gesù in persona in quanto Cristo e Signore (cf. 2, 36), il quale, tutt'altro che estraneo alla vita presente della sua chiesa, la guida nel difficile compito di scegliere e attuare le mete di evangelizzazione. In fondo, è lui che l'ha «acquistata col proprio sangue» (20, 28) [6] .

6. 1Pt 1, 11

“I profeti (cercarono)... di indagare a quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle”.

Certo è sorprendente trovare la menzione dello Spirito di Cristo in un passo che riguarda l'attività dei profeti dell'AT; infatti nei passi paolini esaminati lo Spirito è attribuito al Cristo solo in quanto risorto, quindi come frutto e segno della novità cristiana, e non caratteristico del periodo precristiano. Eppure, nel II sec. d.C. lo «Spirito di Cristo» sarà addirittura assegnato già ad Adamo prima del peccato [7] . Quindi il testo di lPt 1, 11 attesta un momento storico tardivo, in cui si fa strada la preoccupazione di stabilire una continuità fra l'AT ed il NT e anzi la loro unità teologica di fondo.
In qualche modo le antiche Scritture ebraiche vengono qui battezzate, poiché già là si vede anticipata la tipica realtà pneumatologica neotestamentaria: non nel senso che essa costituisse fin da allora l'uomo nuovo, ma solo in funzione dell'ispirazione profetica, cioè di orientamento di quegli scritti e di quella economia di salvezza verso il compimento cristiano. Il nostro testo, in sostanza, equivale a Lc 24, 25-26:

“Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”.

Perciò in 1Pt 1, 11 lo Spirito è detto «di Cristo» in quanto è lo Spirito di Dio [8] che orienta i profeti a preconizzare le sofferenze e la gloria di Cristo , cioè il mistero pasquale come punto focale della nuova alleanza.

B) Il senso dei testi

1. Lo Spirito «di Dio» in Gesù Cristo

Come sarà già apparso, almeno come intuizione, dai testi finora esaminati, lo Spirito di Gesù Cristo va inteso in senso forte. Messo a parte probabilmente il solo 2Ts 2, 8, in tutti gli altri casi lo Pnéuma in questione ha una marcata valenza «personale». Ciò non va inteso subito in senso trinitario. Qui si vuol dire soltanto che il pnéuma, di cui si parla nella formula neotestamentaria «lo Spirito del Figlio, di Cristo, di Gesù», non va assolutamente collocato sul piano dei sentimenti soggettivi del battezzato. E' una formula che non si può spiegare con le parole di Fil 2, 5: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (detto in riferimento all'amore, alla compassione, all'umiltà: cfr. 2, 1-4). Si sa, sono correnti frasi come queste: adeguarsi allo spirito dei tempi, vivere secondo lo spirito dei padri, nello spirito di san Francesco o altri. In tutti questi casi la voce «spirito» finisce per essere superflua e la frase rispettiva starebbe bene anche senza di essa: adeguarsi ai tempi, vivere secondo i padri o secondo san Francesco; tutt'al più la voce «spirito» dice solo allusione al superamento della pura letteralità o imitazione meccanica, come quando si dice che il tale conosce «lo spirito delle leggi», cioè il loro contenuto essenziale o il timbro che le informa dal di dentro, sotto la pura lettera.
Ma l'attribuzione genitivale dello Spirito a Cristo non può assolutamente risolversi in un puro genitivo qualificativo, come sarebbe «lo spirito di san Francesco» (e tanto meno in un genitivo epesegetico, come «lo spirito di povertà, di mitezza», ecc., dove il primo termine si riduce in pratica al secondo). Non per nulla abbiamo scritto normalmente lo «Spirito» con l'iniziale maiuscola. Infatti, la nostra locuzione si può sciogliere nel modo seguente: «lo Spirito di Dio che è in Cristo e che opera mediante Cristo» (= genitivo possessivo strumentale). Questo significato emerge all'evidenza nel testo di Rm 15, 18-19:

“Ciò di cui oserò parlare è solo quello che per mezzo mio Cristo operò per l'obbedienza dei pagani (alla fede) in parole e opere con la potenza di segni e prodigi, con la potenza dello Spirito d Dio”.
 
Proprio e soltanto questo Spirito di Dio rappresenta tutta la possibilità di operazione del Risorto, che da esso è stato investito e che di esso è diventato ormai dispensatore, ponendosi così su un piede di uguaglianza soteriologica con Dio stesso. Per convincersene, basterebbe leggere uno di seguito all'altro questi tre passi:

“Non c'era ancora lo Spirito (nella vita terrena di Gesù), perché Gesù non era stato ancora glorificato” (Gv 7, 39); Gesù è stato “costituito figlio di Dio in potenza (= potente) secondo lo spirito di santità dalla risurrezione dai morti”. (Rm l, 4) [9] ; «innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire” (At 2, 33).
 
Da allora in poi la connotazione cristologica dello Spirito di Dio rimane una caratteristica tipica e indelebile a tutti i livelli della vita cristiana, da quello battesimale (cfr. Tt 3, 5b-6: Dio «secondo la sua misericordia ci salvò mediante un lavacro di rigenerazione e rinnovamento di Spirito Santo, che riversò su di noi abbondantemente mediante Gesù Cristo nostro salvatore»; cfr. Ef 1, 13: «In lui (= Cristo)… avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo») fino al momento escatologico della risurrezione dei morti (cfr. 1Cor 15, 45: «L'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita»; cfr. Rm 8, 11). In quest'ordine di idee è importante rilevare un'altra componente: lo Spirito e Cristo non si identificano, cioè non si dissolvono l'uno nell'altro (come voleva la Scuola religionista d'inizio secolo). Poiché lo Spirito rimane inequivocabilmente «di Dio», esso è distinto da Cristo, e il Risorto, tutt'altro che venire risucchiato in un'impersonale sfera pneumatica, resta colui che si può confessare come «Signore», anche se solo mediante lo Spirito Santo (cfr. 1Cor 12, 3), e può essere invocato nella preghiera (Ib. 1, 2b).

2. Conformazione a Gesù Cristo

Proprio perché ormai nei nuovi tempi lo Spirito non è più soltanto «di Dio» ma anche «di Cristo» (vedi l'interscambiabilità delle due formule in Rm 8, 9), esso perviene al battezzato nella sua connotazione o coloritura cristologica, divenuta ineliminabile. Ormai non è più possibile al cristiano fare un'esperienza dello Spirito, che sia disgiunta da un'esperienza di Cristo [10] 0 . Lo Spirito conforma a Gesù: alla sua vita, alla sua morte-risurrezione, alla sua preghiera, e persino al suo essere Figlio. L'uno non viene a noi senza l'altro: Gesù Cristo ci dona lo Spirito «di Dio», ma lo Spirito ci dona di diventare «conformi all'immagine del Figlio» (Rm 8, 29; cfr. 1Cor 15, 49). Tale congiunzione ci premunisce da ogni esaltazione o fanatismo, Come se fosse possibile presumere di essere direttamente stimolati o condotti da uno Spirito divino come da un assoluto disincarnato. Lo Spirito, proprio perché non è più soltanto vagamente divino ma «di Cristo» cioè cristico, non può essere oggetto di personali manipolazioni, privo di un riferimento normativo. Al contrario, il suo aggancio a Gesù di Nazaret crocifisso-risorto ne fa una realtà ben configurabile, non alienante.
La «cristicità» dello Spirito donato al cristiano impegna costui a seguire il cammino del suo maestro e Signore, a conformarsi al suo essere-nel-mondo e al suo essere-per-gli-altri, a tendere alla risurrezione passando attraverso la croce. Lo Spirito di Cristo spinge al servizio, alla diakonìa (e non è un semplice «spirito di servizio»!), così come in base alla dotazione pneumatica ricevuta nel battesimo al Giordano, «Gesù di Nazaret... passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo (At 10, 38). Si tratta di un impegno che deriva al battezzato dalla sua nuova filiazione, acquisita in analogia a quella di Cristo stesso. Il cristiano, infatti, si rivolge a Dio con la stessa invocazione che fu propria di Gesù, «Abbâ» (Mc 14, 36; Gal 4, 6; Rm 8, 15), e quindi con un analogo tono di familiarità, che è fiducia, abbandono, sicurezza. Com'è noto, in san Paolo le frequenti formule «in Cristo» e «nello Spirito» sono affini (cfr. anche «Cristo in noi» e «lo Spirito in noi»).
Però va detto che sarebbe «fuorviante interpretare l'essere-in-Cristo a partire dall'essere-nello-Spirito; soltanto il contrario è giusto e necessario» [11] 1 . A questo proposito è istruttivo l'episodio narrato in At 19, 1-6: i seguaci di Giovanni Battista, presenti a Efeso, addirittura non avevano «nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito santo» appunto perché non avevano ricevuto il battesimo cristiano; ma appena «si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù... scese su di loro lo Spirito Santo». Ciò significa che solo la fede e il battesimo in Cristo attirano in noi lo Spirito (lo Spirito di Dio mediato da Cristo) o che comunque gli conferiscono il timbro giusto e l'esatta prospettiva, non viceversa. D'altronde, «Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» (Rm 8, 9). Mettersi nella sfera d'influenza del Risorto, 1asciarsi investire e purificare dalla potenza redentrice che promana dalla sua croce gloriosa, amare come egli ha amato, erigerlo a Signore della propria vita: questo significa appartenergli. Ma ciò comporta di respirare a pieni polmoni lo Pneuma che egli detiene e distribuisce da parte del Padre, ascoltarne la voce (cfr. Gv 3, 8; Ap 2, 7) e permettergli di fruttificare a livello sia personale (cf. Gal 5, 22s) che ecclesiale (cfr. 1Cor 12, 4-11).


Testi dello stesso autore presenti sul nostro stesso sito www.gliscritti.it

Il fatto sinottico e le sue soluzioni storiche, del prof. Romano Penna
Introduzione al Vangelo di Marco, del prof. Romano Penna
La chiesa di Roma prima di Pietro e Paolo: Aquila, Priscilla e quelli che si radunano nella loro casa..., del prof.Romano Penna


Per altri articoli e studi del prof.Romano Penna o sulla Bibbia presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici


Note:

[Nota 1] Il termine ebraico rûah (su 379 ricorrenze) è connesso con uomini solo in una cinquantina di passi e per lo più in senso vitalistico (= «respiro») o psicologico (= «animo»); solo a proposito dello «spirito di Elia» (2Re 2,15) si tratta dello Spirito divino della profezia (cfr. Os 9, 7). Un discorso a parte, per quanto riguarda il messia, meriterebbe il testo di Is 11, 4. poiché è l'unico caso in cui si possa trovare nell'AT un'associazione tanto stretta tra il futuro rampollo di Iesse e la rûah. Questo testo è stato studiato poco prima (N.d.R. nello stesso numero di PSV) da S. Virgulin. Solo nel tardivo commento midrashico (Gen. R.. 2, 4 il rabbino Simeon ben Laqish (sec. III d.C.) definisce «lo Spirito di Dio» che si librava sulle acque di Gn 1, 2 come «lo Spirito del re messia», spiegato con la citazione di Is 11, 2 (secondo il contesto apocalittico del brano, la locuzione significa che al termine della storia lo Spirito di Dio, come trionfò sul caos primordiale, trionferà sugli oppressori, mediante l'intervento del messia davidico). Cfr. Penna R., Lo Spirito di C risto. Cristologia e pneumatologia secondo un'originale formulazione paolina, Brescia 1976, 127-130.

[Nota 2] Da questi passi che congiungono la pneumatologia con la cristologia escludiamo il celebre testo di 2Cor 3, 17 («dove è lo Spirito del Signore c'è libertà»); anche se discusso, ci pare di dovervi scorgere soltanto un significato strettamente teologico, cioè in riferimento a “Dio” e non a «Cristo” (cfr. Penna R., o.c., 190-205. Tra i commenti più recenti, cfr. Barbaglio G., Le lettere di Paolo, I, Roma, 1980).

[Nota 3] Nei commenti a Gal è nettamente minoritaria la posizione di coloro che attribuiscono alla congiunzione greca hoti di 4, 6 un valore causale invece che dichiarativo (facendo così dell'invio dello Spirito una conseguenza della filiazione adottiva invece che il suo costitutivo).

[Nota 4] Eichholz G., Die Theologie des Paulus im Umriss, Neukirchen Vluyn 1972, 275 (trad. ital., Brescia 1977). Circa l'evocazione pasquale del nome di «Cristo», cfr. Kramer W., Christos Kyrios Gottessohn, Zürich, 1963, 133.

[Nota 5] Cfr. Lohmayer E., Der Brief an die Philipper, Göttingen 1964, 52.

[Nota 6] Cf. Penna R., Lo «Spirito di Gesù» in Act. 16,7. Analisi letteraria e teologica, in RivB 20 (1972), 241-261.

[Nota 7] Cfr. Pseudo-Clementine, Hom. 3, 18.20: 8, 10.

[Nota 8] Cfr. 2Pt 1, 21; Eb 3, 7; 10, 15; At 4, 25; 28, 25.

[Nota 9] Su questo passo tanto denso quanto controverso, cfr. i commenti e anche Penna R., Lo Spirito di Cristo, 273-275.

[Nota 10] Cfr. Schmithals W., Esperienza dello Spirito come esperienza di Cristo, in: Aa.Vv., La riscoperta dello Spirito, Milano 1977, 119-136.

[Nota 11] Käsemann E., An die Römer, Tübingen, 1980, 214.


[Approfondimenti]