Promemoria [sulla situazione della Chiesa in Germania in confronto al periodo della Riforma] del 1968, di Hubert Jedin e Konrad Repgen

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /10 /2011 - 15:53 pm | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione, offrendolo come testo da discutere, la prima parte e la conclusione del Promemoria scritto il 16 settembre 1968 dagli storici Hubert Jedin e Konrad Repgen ed inviato alla Conferenza episcopale tedesca che aveva allora per presidente il cardinale di Monaco Julius Döpfner – la parte successiva entra nel dettaglio ed è certamente molto più legata alle circostanze del tempo. La traduzione italiana che riprendiamo è apparsa su Il foglio del 23/9/2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (1/10/2011)

Nulla favorisce maggiormente la divisione della chiesa dell’illusione che la divisione non esista. La chiesa cattolica si trova oggi in una crisi profonda. Una crisi che coinvolge anche la Germania, per lo meno la Repubblica federale tedesca. Il Katholikentag di Essen ha portato alla luce questa crisi, per quanto l’enciclica Humanae vitae non debba essere vista come l’origine ma la scintilla, la miccia che l’ha fatta esplodere. A noi questa crisi induce a vedere paralleli con i precedenti storici che nel XVI secolo hanno portato alla scissione all’interno della cultura occidentale. Il che ci costringe, a sua volta, a trarre dall’esperienza storica conclusioni nella valutazione della crisi contemporanea.

I. La ricerca storica degli ultimi decenni prova che Martin Lutero non avesse intenzione di dividere la chiesa quando, nel 1517, sottopose ai vescovi competenti e poi pubblicò le sue tesi sulle indulgenze. Si era progressivamente allontanato dall’autorità ecclesiastica, a Lipsia (1519) aveva rifiutato il carattere vincolante dei concili ecumenici ordinari, ed è stato indotto infine, non ultimo dall’eco delle sue tesi nell’opinione pubblica (eco che lui stesso non aveva immaginato) a non obbedire alla condanna delle sue 41 tesi enunciata dalla Bolla “Exsurge Domine” (1520), un gesto di obbedienza, per altro già da troppo tempo rimandato. […] Per i vescovi “la disputa di Lutero” era in primo luogo una disputa tra teologi, e non capirono che stavano, non solo per essere intaccati, ma distrutti i fondamenti del concetto di chiesa cattolica. Se si prescinde da uno scarno gruppo di teologi, agli occhi dei fedeli Lutero incarnava invece il ritorno alla vera dottrina della salvezza, era colui che rinnovava la chiesa, colui che li liberava da quello che loro reputavano il gioco imposto in passato dalla chiesa. I più accesi ed efficaci paladini del movimento luterano furono gli “intellettuali di allora”, gli umanisti, secondo i quali la teologia, la scolastica costituiva un ostacolo al progresso. A questi si associarono anche numerosi sacerdoti. […] E infine alcune fasce a rischio di caduta sociale, tra queste la nobiltà dell’impero e, in una parte consistente della Germania, i contadini benestanti. A rendere possibile il successo quasi totale del movimento luterano tra il 1517 e il 1525 fu il dominio sulla stampa, uno strumento di comunicazione di cui fino ad allora la chiesa non aveva compreso a fondo il significato. Ai cosiddetti “ragionieri” vennero letteralmente strappati di mano gli scritti di Lutero, i numerosi volantini che traevano profitto dalle sue idee. Parlavano la lingua del popolo e venivano letti, anzi, letteralmente divorati; le poche voci che si levarono per mettere in guardia, voci appartenenti a teologi che vedevano più chiaramente, ma erano pessimi propagandisti, non vennero lette, furono bollate come “reazionarie”. I rappresentanti della dottrina della chiesa, il Papa e i vescovi, restarono in silenzio; il concilio, ripetutamente reclamato, non ebbe luogo. Le incertezze in tema di fede rimasero. Senza voler in alcun modo sminuire le omissioni e gli errori commessi proprio e in primo luogo dalla curia romana, va però altresì detto che è stata soprattutto la passività dell’episcopato tedesco a permettere l’avanzata praticamente incontrastata del movimento luterano, anzi ad averla resa possibile. E’ in questo modo che i vescovi tedeschi si fecero sfuggire l’occasione; perché una volta che la maggior parte delle città libere dell’impero e quelle rette dai principi ebbero abbracciato la causa luterana (dopo il 1526) fu troppo tardi. […] Il movimento luterano si organizzò e consolidò, si definì confessione e si unì in un’alleanza militare: la scissione della chiesa era diventata realtà. Oggi sappiamo che la scissione interna, la formazione di questa “confessione” è durata non anni ma decenni. Melantone e Calvino hanno rivendicato fino alla fine dei loro giorni di appartenere alla fede “cattolica”; i fedeli al vecchio credo venivano diffamati come “papisti”. Il popolo dei fedeli continuava a frequentare la messa e a invocare i suoi santi; l’ordinamento ecclesiastico luterano si appropriò di molti elementi cattolici, processioni e pellegrinaggi compresi. Per questo la massa che componeva il popolo dei fedeli non si avvide che la riforma non era semplicemente una riforma della chiesa, ma la formazione di una nuova chiesa che si reggeva su altre fondamenta. Per concludere bisogna dunque evidenziare che: nulla ha favorito maggiormente la scissione della chiesa dell’illusione che questa scissione non esistesse nemmeno. Un’illusione diffusa a Roma e soprattutto nell’episcopato tedesco, presso i teologi, tra la maggioranza dei sacerdoti e tra il popolo. Impossibile non vedere i parallelismi tra ieri e oggi. […]

II. Il nocciolo dell’attuale crisi ecclesiastica in Germania è, esattamente come nel XVI secolo, costituito dall’incertezza e dal disorientamento nella fede. La critica protestante alla Bibbia è entrata a gamba tesa e in modo diffuso nella teologia cattolica. Ma non sono tanto i titolari delle cattedre esegetiche, comunque attenti nelle loro formulazioni, quanto i loro allievi e in generale il loro uditorio, spesso teologicamente nonché filologicamente poco attrezzato, a far proprie e diffondere in modo approssimativo, nelle accademie, durante convegni, seminari e professioni di fede, le tesi di teologi evangelici radicali, come per esempio quelle di Bultmann. Usando come paravento l’ermeneutica si mette in discussione il carattere vincolante di definizioni dogmatiche dei concili ecumenici (per esempio quello della transustanziazione); viene allentato il legame tra la teologia e l’insegnamento della chiesa, se non addirittura rifiutato; l’insegnamento stesso sminuito se non addirittura reso ridicolo. A favorire la dissoluzione del concetto cattolico di chiesa è l’atteggiamento anti autoritario, il disprezzo per qualsiasi forma di obbedienza, in particolare confessionale, predominante tra i giovani, e sostenuto da molti genitori e pedagoghi.
La domanda: “Ma cos’è oggi ancora cattolico?”, non viene però formulata solo dai cattolici più anziani, i cosiddetti “cattolici tradizionalisti”, se la pone anche il nocciolo duro dei fedeli autentici e convinti. Una domanda che […] è espressione di una profonda insicurezza e conflitto di coscienza. Il potere acquisito nel frattempo dai mezzi di comunicazione non è lontanamente paragonabile a quello del XVI secolo. I mass media vengono in massima parte dominati da intellettuali, i quali spesso, e soprattutto perché sono cattolici, sostengono e diffondono il “nuovo” di per sé, ai loro occhi “progressista”, senza tener conto, approfondire il suo contenuto di verità. E lo diffondono con un linguaggio e uno stile che ammicca alla predilezione dei giovani per gli slogan (“democratizzazione della chiesa”) mentre minimizzano o addirittura abbelliscono dal piccolo schermo le loro azioni di disturbo, e in genere commentano i fatti inerenti la chiesa in uno stile ben preciso. Costruiscono, ma più correttamente si dovrebbe dire manipolano un’“opinione pubblica”, nei confronti della quale solo pochi, tra i milioni di telespettatori, sono in grado di formarsi un’opinione propria. Questa continua “irrigazione” dei fedeli attraverso i mezzi di comunicazione in mano alla “sinistra” ecclesiastica non può che mutare il rapporto dei fedeli con la chiesa, il che è già successo. Il disorientamento aumenta di mese in mese. Più dura e più aumenta il pericolo, esattamente come nel XVI secolo, di una scissione al suo interno oppure – il che sarebbe ancora più grave – di un allontanamento totale dalla chiesa.
Non pensiamo affatto che la fondazione e il sostegno a gruppi e movimenti conservatori (“Una voce”, “Nunc et semper”) sia la via giusta per scongiurare una divisione della chiesa o per arginare il pericolo di sempre più fedeli che le voltano le spalle. Lasciare in mano a una “destra” ecclesiastica la lotta contro gli eccessi di una “sinistra” ecclesiastica, equivarrebbe a una rinuncia di fatto all’autorità che la chiesa cattolica, a differenza di quella protestante, possiede grazie al fatto che la sua struttura poggia su un diritto divino. È la chiesa stessa che deve parlare in modo comprensibile e deve agire in modo deciso, anche se ne va della sua popolarità. Se lo farà, e lo deve fare presto, allora vedrà che la stragrande maggioranza del popolo tutt’ora cattolico si metterà dietro di lei. Se nei primi anni della scissione della chiesa nel XVI secolo, i vescovi tedeschi si fossero uniti in un’azione comune, insomma prima che la riforma si trasformasse in una questione politica, non si sarebbe comunque potuta evitare la scissione, che però avrebbe potuto essere ridotta semplicemente a una piccola frangia. Oggi l’episcopato non è più frenato e gravato da un’istruzione teologica insufficiente, dalla sua posizione sociale e dai conseguenti intrecci con la politica. La costituzione “Lumen gentium” ha riconosciuto all’episcopato diritti e possibilità fino ad allora inesistenti, e al contempo però anche maggiori responsabilità riguardo all’integrità della fede. Non possono più solo attendere l’intervento delle massime autorità ecclesiastiche, devono agire in prima persona. Laddove i mezzi di comunicazione erigono muri del silenzio oppure ammettono la raffigurazione di fatti reali solo attraverso una lente distorta, tocca a loro intervenire con parole chiarificatrici e conseguenti azioni. Nessun cattolico o non cattolico deve dubitare del fatto che i vescovi reputano la difesa e la custodia della fede il loro primo dovere.

[...]

IV. Nei parallelismi qui da noi enunciati e nelle proposte esemplificative da questi dedotte, abbiamo ovviamente tenuto conto del fatto che nel movimento ecclesiastico contemporaneo vi sono anche forti spinte religiose, esattamente come succedeva anche nel XVI secolo, in seguito al movimento nato sulla spinta di Lutero. Per entrambi questi movimenti vale la parola di sant’Agostino: “Nulla porro falsa doctrina est, quae non aliqua vera intermisceat” (Quaest. ev. II 40). [Non esiste falsa dottrina che non sia mescolata con elementi di quella vera]. Noi siamo però convinti che la Verità e la Bontà, scaturiti attraverso il Concilio, possano dare i loro frutti solo se separati nettamente dall’errore.
Più si aspetterà a intervenire, a praticare una netta cesura, e maggiore sarà il pericolo che forze preziose, perché amalgamate con l’erronea visione, andranno per sé. L’inevitabile conseguenza di ciò potrebbe essere non solo una scissione ma anche l’abbandono del cristianesimo.
Quanto più i sacerdoti sapranno parlare chiaramente, agire risolutamente tanto più grande è la possibilità di fortificare il movimento di rinnovamento all’interno della chiesa, e dunque la chiesa stessa.