1/ L'“oikos” della Santa Famiglia per contrastare la mercificazione generale, di Fabrice Hadjadj 2/ Quel giovanilismo che fa male ai giovani, di Fabrice Hadjadj

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 17 /01 /2016 - 14:41 pm | Permalink | Homepage
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1/ L'“oikos” della Santa Famiglia per contrastare la mercificazione generale, di Fabrice Hadjadj

Riprendiamo da Avvenire del 3/1/2016 un articolo di Fabrice Hadjadj . Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.

Il Centro culturale Gli scritti (17/1/2016)

La settimana scorsa abbiamo dichiarato, con tutto il peso della nostra fallibile autorità, che il fondamento dell'ecologia e dell'economia non sta in una teoria degli ecosistemi e degli scambi commerciali ma nella pratica dell'oikos e cioè della famiglia come luogo dove la tecnica è innanzitutto vissuta come maieutica (e non come meccano), dove la cultura ha per modello l'agricoltura (e non la finanza) e infine dove il culmine dell'attività umana è percepito come sviluppo di un ordine dato e trascendente (e non come sfruttamento sistematico e titanico).

Certo, si può essere ecologisti alla Walt Disney e credere in una Madre Natura dove gli squali fraternizzano con i pesci pagliaccio e dove il leone subisce una specie di bracconaggio compassionevole essendo costretto a diventare vegetariano. Si può anche essere ecologisti transumanisti e pensare che l'uomo non ha alcun privilegio rispetto agli animali cosicché, mentre si celebrano questi ultimi, si può sottoporre il primo alle manipolazioni di un allevamento e un addestramento più efficaci.

Si può infine essere ecologisti industriali e liberali grazie ai marchi “fairtrade”, “bio” e “Ogm-free”, etichettando l'equo e monetizzando il sostenibile

Tuttavia, se non diamo ascolto alla natura nel luogo in cui ci è più vicina – e cioè nel nostro corpo, attraverso la nascita, la differenza dei sessi, la necessità del cibo –, l'ecologismo si trasforma in fantasma, in ideologia, nel culto della gallina dalle uova d'oro o di un albero tanto più monumentale quanto più privato della sua linfa.

Solo la vera oikonomia resiste davvero all'economismo, voglio dire a quel mostro che è un'economia senza oikos, dove i beni non sono più innanzitutto il frutto di una produzione e di uno scambio tra le famiglie, ma articoli che si acquistano dalle industrie, che si tratti di alimentazione, di abbigliamento, o anche di educazione e di apprendistato – quelle industrie che fanno esplodere la famiglia tutti i giorni lavorativi, arruolando i suoi membri ciascuno separatamente, come individui neutri, che essa pretende onorare retribuendoli con il denaro che non ha odore né volto.

A proposito del passaggio dall'impresa familiare alla grande industria meccanica, Marx ha scritto: «Questo potente surrogato del lavoro e degli operai [la macchina industriale], si è così trasformato subito in un mezzo per aumentare il numero degli operai salariati irreggimentando sotto l'imperio immediato del capitale tutti i membri della famiglia operaia, senza differenza di sesso e di età».

Ivan Illich ha prolungato questa osservazione in Gender, il suo libro del 1983 con il quale ha messo a segno l'ammirevole doppio colpo di perdere i suoi ammiratori di sinistra e contemporaneamente aggravare la sua reputazione presso la gente di destra: «Una società industriale può esistere solamente imponendo un postulato unisex: i due sessi sono fatti per lo stesso lavoro, percepiscono la stessa realtà e hanno gli stessi bisogni – l'abito è solamente una differenza trascurabile. […] Uomini e donne non potrebbero essere in competizione per il “lavoro” se quest'ultimo non fosse stato ridefinito come un'attività che conviene agli umani senza distinzione di sesso. La teoria economica si fonda su un soggetto che è questo umano privato del genere, senza genere».

I cattolici dovrebbero comprendere un po' meglio che la distruzione contemporanea della famiglia (e cioè la sua ricomposizione costruttivista come serbatoio di salariati e unità di consumo) non proviene essenzialmente da una cattiva lobby gay e neppure da edonisti volubili che saltano addosso a chiunque respiri (se si trattasse soltanto di questo!). La distruzione è strutturale. Fa parte della mercificazione generale. E questo non è neanche, secondo Marx, lo stadio supremo del capitalismo, ma il suo punto di partenza.

2/ Quel giovanilismo che fa male ai giovani, di Fabrice Hadjadj

Riprendiamo da Avvenire del 10/1/2016 un articolo di Fabrice Hadjadj . Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.

Il Centro culturale Gli scritti (17/1/2016)

Anonimo , Diana Benedetto - sec. XV/ XVI
Sant'Anna Metterza tra san Cosma e san Damiano

Ultimamente si è fatto molto l'elogio della vulnerabilità, probabilmente per reagire alla fascinazione del controllo e della performance. Tuttavia quasi sempre lo si fa senza interrogarsi sull'utilizzo di tale nozione, cosicché in fin dei conti non si procede a una critica profonda dei pregiudizi tecnologici, al contrario si contribuisce al loro sviluppo compassionevole.

Nella categoria dei vulnerabili, per esempio, sono classificati spontaneamente gli «anziani»: bisogna prendersene cura, poveretti, perché non sono più giovani, perché non possono più seguire la moda, perché hanno il futuro alle loro spalle…

E così, per contraccolpo, il solo risultato è quello di rafforzare il culto del giovanilismo e dell'innovazione, o – per dirlo in modo più radicale – di favorire la riduzione delle generazioni umane alla generazione di prodotti.

Nella generazione dei prodotti tecnologici, il più recente rende obsoleto quello che lo precede: il vecchio è sempre uno scarto. Nella generazione umana, in linea di principio, le cose stanno altrimenti: da una parte il più recente, e cioè il bambino, è il meno capace e il più fragile; d'altra parte, il vecchio non è superato, al contrario: se si vuole essere saggi, vivere bene, o semplicemente parlare bene la propria lingua, conviene chiedere consiglio agli anziani.

Questa superiorità dell'antico si incontra del resto in alcuni oggetti che fanno ponte tra le generazioni umane e le generazioni dei prodotti – quegli oggetti che portano l'impronta della storia, la patina del tempo e che si scovano nei mercatini antiquari o nel solaio della nonna. Qui, è facile riconoscere che un mobile antico è più bello, più presente, anche se meno funzionale, di un mobile Ikea. Ma ciò che io chiamo la riduzione della genealogia alla tecnologia ce lo fa rapidamente dimenticare.

Essa ci conduce all'inversione del vulnerabile e del venerabile – inversione che si ripercuote nel senso oggi capovolto della parola «esperienza». Ieri si trattava di avere esperienza, e questo supponeva il riconoscimento di un sapere legato al tempo, alle contingenze non riducibili ad alcuna istruzione per l'uso.

Oggi si tratta piuttosto di fare esperienze, e cioè di cercare sempre novità, senza maturazione, senza approfondimento possibile. Perché questa inversione? Per nascondere ai nostri occhi la precarietà senza precedenti nella quale si trova la gioventù. Perché è proprio la gioventù a essere la più vulnerabile.

Laddove il vecchio ha attraversato le prove della vita, e, se è bisnonno, è stato fecondo, il giovane deve ancora «dare prova di sé»: ci si chiede che ne sarà di lui, si teme che il male lo falci nel pieno della sua fioritura. Cicerone si spinge a sottolineare che non sono i vecchi, in fondo, a essere i più esposti alla violenza della morte, ma i giovani: «Laonde il morire dei giovani rassomiglia a fiamma sommersa all'improvviso nella piena dell'acque, e invece la vita manca nei vecchi, siccome fuoco, consumata l'esca, di per sé a poco a poco si estingue».

Ma siccome i giovani vivono oramai nell'angoscia estrema di non riuscire a inserirsi nel mondo della concorrenza e dei consumi e, quand'anche ci riescono, di non trovarci nient'altro che la frenesia del vuoto, li si consola facendo loro credere che la gioventù sia un valore assoluto tanto che alla fine ci credono tutti, poiché la saggezza antica può solo impallidire davanti alla scienza innovante. L'adolescente è diventato il capofamiglia: è lui che mostra ai vecchi rincoglioniti il funzionamento dell'ultimo gadget. Ma questa altezza non gli conferisce nessuna autorità viva e finisce anche per condannarlo a non mai essere maturo. Senza vecchi per raccontargli l'esistenza, gli resta solamente la schiavitù sul mercato delle macchine.