1/ Questioni storiche sulla norma di Francesco d’Assisi relativa alla predicazione e alla testimonianza di coloro che vanno in missione presso i musulmani. Breve nota di Andrea Lonardo 2/ Dai protomartiri francescani a sant’Antonio di Padova. Giornata di studio a Terni sui cinque frati Minori martirizzati in Africa nel 1220, di padre Pietro Messa

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 /07 /2019 - 14:07 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , , , , , , , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

1/ Questioni storiche sulla norma di Francesco d’Assisi relativa alla predicazione e alla testimonianza di coloro che vanno in missione presso i musulmani. Breve nota di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Francesco d’Assisi e Islam. Vedi, in particolare, Francesco predicava ore e ore nelle diverse piazze e città d'Italia. I testi delle fonti che raccontano delle sue prediche pubbliche, anche dinanzi a uccelli e lupi, di Andrea Lonardo.

Il Centro culturale Gli scritti (7/7/2019)

N.B. La presente breve nota non ha assolutamente l’intenzione di entrare nella questione di quale debba essere oggi il rapporto fra parola e testimonianza nel dialogo islamico-cristiano, bensì situare storicamente la precisa norma data ai suoi frati da Francesco d’Assisi come eccezione valida esclusivamente nella missione presso i musulmani di allora che la differenziava rispetto alla normale predicazione francescana primitiva che avveniva anche con le parole. L’intento è insomma scientifico e non pastorale.

Francisco Henriques (1508), Martirio
dei Protomartiri francescani, Museo
Nacional de Arte Antiga di Lisbona

Perché Francesco inserì precise indicazioni nella Regola non bollata del 1221 sui frati che intendessero andare in missione presso i musulmani? Perché in tale Regola si leggono le parole seguenti?

«Dl COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E GLI ALTRI INFEDELI
Dice il Signore: "Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe" (Mt 10,16).
Perciò qualsiasi frate che vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del suo ministro e servo.
Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore (Cfr. Lc 16,2), se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione.
I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1Pt 2,13) e confessino di essere cristiani.
L'altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5).
Queste ed altre cose che piaceranno al Signore, possono dire ad essi e ad altri; poiché dice il Signore nel Vangelo: "Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32); e: "Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando tornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli" (Lc 9,26).
E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che si sono donati e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: "Colui che perderà l'anima sua per causa mia la salverà per la vita eterna" (Cfr. Lc 9,24.; Mt 25,46).
"Beati quelli che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,10). Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Gv 15,20). E: "Se poi vi perseguitano in una città fuggite in un'altra (Cfr. Mt 10,23). Beati sarete, quando gli uomini vi odieranno e vi malediranno e vi perseguiteranno e vi bandiranno e vi insulteranno e il vostro nome sarà proscritto come infame e falsamente diranno di voi ogni male per causa mia (Cfr. Mt 5,11 e 12); rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli (Lc 6,23; Mt 5,12). E io dico a voi, miei amici: non lasciatevi spaventare da loro (Cfr. Lc 12,4) e non temete coloro che uccidono il corpo e dopo di ciò non possono far niente di più (Mt 10,28; Lc 12,4).
Guardatevi di non turbarvi (Mt 24,6). Con la vostra pazienza infatti salverete le vostre anime (Lc 21, 19). E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo" (Mt 10,22; 24,13)»[1].

Perché questa cautela riguardo alla presenza dei frati presso i musulmani e questo continuo richiamo al rifiuto che avrebbero incontrato e al martirio?

La risposta è semplice e inequivocabile: un anno prima cinque frati erano stati martirizzati a Marrakesh. Si tratta dei protomartiri francescani, molto venerati nell’ordine minoritico, e precisamente dei santi Berardo da Calvi, Pietro da San Gemini, Ottone da Stroncone, Accursio e Adiuto.

Costoro, giunti nelle terre dell’odierno Marocco, avevano iniziato a predicare liberamente il Cristo. Secondo le norme dell’Islam del tempo in paesi islamici era vietata dalla shari’a la predicazione della fede cristiana e la trasgressione di tale precetto era punita con la morte.

I cinque frati avevano preferito il martirio al tacere il nome di Cristo. La loro morte come martiri aveva generato grande ammirazione, al punto che la seconda “conversione” di sant’Antonio da Padova (che portava il nome di battesimo di Fernando) avvenne proprio quando egli vide la processione con le reliquie dei protomartiri francescani passare per Coimbra.  

Forse Antonio, che era agostiniano, aveva già conosciuto i cinque francescani, che erano giunti dall’Italia in Portogallo, inviati da Francesco per predicare ai musulmani dopo aver attraversato il mare, ma quando vide trasportare nel 1220 a Coimbra, in due reliquiari, i resti dei loro corpi martirizzati, per essere posti alla venerazione di tutti nella chiesa di Santa Croce (Santa Cruz) a Coimbra, decise di farsi francescano, affascinato dalla loro testimonianza.

Francesco comprese che chiunque fosse andato a predicare apertamente presso i musulmani (che egli chiama “saraceni” secondo la terminologia dell’epoca) avrebbe subito la morte, perché l’intolleranza dei regnanti del nord africa del tempo e l’utilizzo che essi facevano delle norme religiose della tradizione islamica di allora non lasciavano scampo, se non in rarissime circostanze.

Scrisse perciò le norme della Regola non bollata, innanzitutto perché i guardiani scegliessero con grande accortezza chi mandare presso i saraceni, dato il pericolo che essi avrebbero corso, citando loro numerosi versetti che ricordavano la persecuzione preannunziata da Gesù e che gli inviati presso i musulmani avrebbero certamente dovuto subire.

Invitò poi i missionari a due possibili opzioni. La prima era quella di dirsi solamente cristiani, senza predicare la conversione dei saraceni, la seconda era quella di predicare più apertamente, invitando a farsi cristiani e ad essere battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, «poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio».

L’inciso di predicare «quando vedranno che piace al Signore» è dettato proprio dalla situazione di estremo pericolo che avrebbe portato non solo al rischio della vita, ma anche alla immediata cessazione della missione stessa presso i saraceni, per l’espulsione dei frati che non fossero stati immediatamente uccisi.

Francesco avrebbe desiderato che i suoi frati potessero predicare per ore e ore nelle piazze delle città saracene, come egli faceva nelle città italiane[2], ma avendo compreso che ciò sarebbe stato loro violentemente impedito, preferì ripiegare su di una permanenza di frati presso le terre islamiche, dove la predicazione esplicita fosse proibita.

La norma, con assoluta evidenza, non è una scelta di precludersi a priori la via della predicazione aperta del Vangelo con le parole, bensì un necessario adattamento nello specifico contesto dei regni islamici del tempo da compiersi a causa del pericolo del martirio, reso evidente dall’uccisione dei protomartiri francescani.

Giova ripetere, concludendo, che queste considerazioni storiche non intendono assolutamente valere come indicazioni relative all’atteggiamento da tenere presso i paesi a maggioranza musulmana o nei quali viga la shari’a oggi e ancor meno come indicazioni relative alle modalità di evangelizzazione in ambienti laici o laicisti. Hanno puramente un intento storico-scientifico per gettare una luce sulla situazione del tempo di Francesco e sul significato delle norme che egli intese dare allora ai suoi frati.

Considerazioni sulle modalità di testimonianza cristiana nel mondo di oggi non spettano agli storici - e a questa nota -, bensì ai pastori e agli studiosi di teologia pastorale, così come al magistero e alla creatività degli evangelizzatori stessi, in fedeltà al Vangelo di Gesù.

2/ Dai protomartiri francescani a sant’Antonio di Padova. Giornata di studio a Terni sui cinque frati Minori martirizzati in Africa nel 1220, di padre Pietro Messa

Riprendiamo dall’agenzia di stampa Zenit un articolo pubblicato il 15/6/2010. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Francesco d’Assisi e Islam.

Il Centro culturale Gli scritti (7/7/2019)

Coppo di Marcovaldo, San Francesco d'Assisi e storie. 
I due riquadri in basso a sinistra rappresentano uno, nella
penultima fascia, la predica di San Francesco agli uccelli
(cioè la sua predicazione a tutti) e, in quella nell'ultima
fascia, la predicazione al Sultano e ai saraceni

ROMA, martedì, 15 giugno 2010 (ZENIT.org).- Inserita nelle celebrazioni per il 790° anniversario dal martirio dei frati Minori santi Berardo da Calvi, Pietro da San Gemini, Ottone da Stroncone, Accursio e Adiuto (1220-2010), la giornata di studio tenutasi l’11 giugno scorso è stata organizzata dalla Diocesi di Terni-Narni-Amelia in collaborazione con la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum.

Dopo i saluti del vescovo, mons. Vincenzo Paglia, e di altre autorità presenti, Isabelle Heullant Donat, dell’Università di Reims Champagne-Ardenne, ha illustrato I francescani e il martirio nel secolo XIII, mostrando la dimensione martiriale dell’apostolato minoritico. Infatti le agiografie presentano non solo il desiderio del martirio che animò san Francesco, ma anche quello dei suoi compagni, elaborando una ben precisa concezione del martirio. La cultura del martirio è ben presente in quel tempo, soprattutto nella liturgia e Francesco è animato dal desiderio del martirio di sangue, nel ben preciso contesto della predicazione ai saraceni.

Luciano Bertazzo, del Centro Studi Antoniani di Padova, da parte sua ha tenuto una relazione circa I protomartiri francescani tra storia e agiografia. Il titolo non esprime adeguatamente quanto sviluppato nell’intervento, essendo chiaro che l’incrocio tra storia e agiografia nelle fonti medievale è spesso strettamente correlato. Risulta più adeguato per la relazione un titolo come La traditio dei Protomartiri nella memoria francescana dal XIII al XV secolo. La bolla di Sisto IV Cum alias animas (7 agosto 1481) concede ai frati Minori di celebrare nelle loro chiese, il 16 gennaio, «publice et solemniter missas et officium de BB. Berardo, Petro, Othone, Accursio et Adiuto»: ricordando tra i molti miracoli avvenuti dopo la loro morte, il passaggio di s. Antonio dai canonici all’Ordine minoritico. La bolla è la conclusione di un lungo processo avviato nel 1220 con il martirio dei primi cinque frati a Marrakesh.

L’intervento ha ripercorso il lungo itinerario di questa traditio memoriae recepita con una certa difficoltà fin dalle origini nella reazione di Francesco stesso, come testimonia Giordano da Giano; velata successivamente nella mutata politica papale nei confronti dell’islam maghrebino, tesa a salvaguardare la presenza cristiana in quei territori posti sotto la dinastia almohade. Memoria quasi dimenticata nel momento in cui l’impegno missionario della Chiesa si volge verso i territori asiatici, agli inizi del Trecento, anche per l’impossibilità del recupero della Terra Santa definitivamente controllata dagli arabi dopo la caduta di S. Giovanni d’Acri (1291).

Memoria recuperata verso la metà del Trecento in un contesto di crescita del genere letterario delle compilationes, vivace in ambito non solo francescano. Due sono i testi che consacrano particolarmente la traditio memoriae: la Chronica XXIV generalium attribuita a frate Arnald de Serrant (1360 ca.) e il De conformitate di frate Bartolomeo da Pisa, composto negli anni ‘80 del XIV secolo e ufficialmente accolto nel capitolo generale di Assisi nel 1390. È una memoria che nel corso del XIV secolo si lega ad una santità diffusa nell’ordine, oltre alle tre figure ufficialmente canonizzate (Francesco, Antonio, Ludovico), costantemente ricordata perché collegata al passaggio del canonico agostiniano Fernando all’ordine minoritico con il nome di Antonio. La diffusione dell’agiografia antoniana ne ha mantenuto costante il ricordo.

Antonio Rigon, dell’Università degli Studi di Padova, ha illustrato La morte dei Protomartiri francescani e la vocazione di sant’Antonio. Favorita dal forte impatto emotivo provocato dall’arrivo delle reliquie dei primi martiri francescani in Portogallo (1220), la vocazione minoritica del canonico agostiniano Ferdinando di Martino che, entrato nel convento francescano di S. Antonio de Olivais di Coimbra, cambiò il proprio nome in Antonio e, ardendo dal desiderio di martirio, chiese di partire per il Marocco, è stata talora giudicata immatura e frutto di un fraintendimento della proposta evangelica di Francesco d’Assisi. In realtà la sete di martirio è solo una delle componenti della vocazione del santo che scaturì anche da inquietudini intellettuali, sdegno morale, personali propensioni mistico-contemplative in un contesto politico religioso fortemente turbato.

Del resto l’aspirazione a testimoniare la fede anche con il sacrificio della propria vita è comune a Francesco e alla prima generazione francescana. Tommaso da Celano torna più volte su questo aspetto; e Chiara, come Antonio, secondo alcune deposizioni rese nel corso del processo di canonizzazione, quando apprese «che a Marrochio erano stati martiriçati certi frati, epsa diceva che ce voleva andare». Gli è che nell’orizzonte religioso del primo Duecento, nel quale un posto centrale occupa l’idea di crociata, tra martirio e missione presso i Saraceni si stabilisce uno stretto legame. Dimostrando una straordinaria capacità di star dentro ai problemi del proprio tempo che imponeva un confronto con l’Islam, i Minori introdussero nella Regola un capitolo espressamente riguardante «coloro che vanno presso i Saraceni».

Nel passaggio dalla Regola non bollata alla Regola bollata e nei commenti a questo testo normativo si manifestano peraltro esigenze di “professionalità” e cautela nelle missioni. Si esorta a non cercare il martirio in sé, si insinuano dubbi sulla sua utilità, si sottolineano gli insuccessi; narra Bonaventura che «l’amico di Cristo [Francesco] cercava la morte per sé con tutte le forze e tuttavia non la trovava». Come Francesco anche Antonio aveva fallito e aveva visto vanificati i propositi di testimoniare la fede con il sangue.

Accanto al tema del martirio inappagato, nelle leggende antoniane compare sempre più anche quello della vita di penitenza del santo e della sua totale dedizione alla missione apostolica, considerata essa stessa martirio. Nel Trecento i tentativi di ricomposizione della memoria lacerata dell’Ordine si traducono anche nel recupero e nell’esaltazione dei santi e dei martiri. Se il ricordo dei frati mandati a morte in Marocco nel 1220 era rimasto fortemente ancorato alla figura di Antonio, nel XIV secolo, grazie alla Cronaca dei XXIV generali, la vicenda dei Protomartiri francescani è pienamente recuperata alla storia dell’Ordine, anche indipendentemente dal ruolo che essa ebbe nella vocazione minoritica di s. Antonio.

Mary Melone, della Pontificia Università Antonianum, illustrando Il martirio nei Sermoni di sant’Antonio evidenzia che il tema del martirio, pur non essendo né molto ricorrente né particolarmente articolato, compare nei Sermoni di Antonio di Padova con due caratterizzazioni fondamentali: da una parte, Antonio tratteggia il significato del martirio in occasione delle feste di santi martiri, come Stefano, Pietro, Paolo o i santi Innocenti, individuando nel sacrificio, nei patimenti e nel dono della vita il compimento del loro rapporto con Cristo; dall’altra, il contesto per così dire ecclesiale in cui egli pone il riferimento ai martiri chiama in causa la sua visione della Chiesa: essi, infatti, compaiono frequentemente accanto agli apostoli, ai confessori della fede e alle vergini come uno degli ordini posti a suo fondamento. Pertanto, per collocare il tema il più possibile correttamente all’interno dei Sermoni, è proposta innanzitutto una rapida recensione delle sue occorrenze; in un secondo momento, poi, prendendo in esame le concordanze e le immagini che maggiormente ricorrono nella sua presentazione, ha fatto emergere il significato che Antonio attribuisce al martirio secondo quei tre livelli di lettura che strutturano i suoi sermoni, vale a dire secondo il senso allegorico, morale ed anagogico, con cui il martirio viene considerato in rapporto al cammino di conversione personale del cristiano, al suo vissuto di appartenenza alla Chiesa e, infine, alla sua tensione verso la pienezza della vita eterna.

Giuseppe Cassio, della Diocesi di Terni-Narni-Amelia, ha illustrato L’iconografia dei Santi Protomartiri ponendosi l’obiettivo di fare chiarezza sul tema tanto delicato quanto complesso della rappresentazione figurativa dei Protomartiri a partire dai primi esempi conosciuti, che risalgono al XIV secolo, sino alle recenti interpretazioni tra contemporaneità e adesione alle fonti. Partendo dal primo prezioso approccio di padre Jürgen Werinhard Einhorn (2004) che contiene una settantina di segnalazioni si è lavorato con maggiore determinazione nella ricerca di ulteriori testimonianze artistiche attraverso una capillare indagine nei conventi maschili delle famiglie francescane tra Italia, Spagna, Portogallo, Germania, Francia e Brasile. L’indagine ha permesso di accrescere notevolmente il catalogo iconografico dei Protomartiri aprendo così la strada allo studio e al confronto di tali immagini specificandone altresì l’iconologia nonché la funzione socio-culturale sia all’interno che all’esterno dell’Ordine.

Nell’ultimo intervento, Salvatore Barbagallo della Pontificia Università Antonianum ha affrontato il tema de La liturgia dei santi Protomartiri Francescani. Il Concilio Vaticano II nel ribadire la centralità che la Pasqua ha nel corso delle celebrazioni dell’anno liturgico propone il recupero del culto dei santi all’interno della prospettiva della centralità del mistero pasquale del Cristo: «Nel giorno natalizio dei santi infatti la Chiesa proclama il mistero pasquale realizzato in essi, che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati» (SC 104). Il legame stretto tra la morte del martire e la passione del Signore, motivo per cui il martire è stato il primo a ricevere il culto ecclesiale, lega il culto del martire sia alla celebrazione eucaristica – la morte del martire, sacrificio della propria vita, e la celebrazione dell’eucaristia, sacrificio rituale della morte di Cristo – sia alla comunità ecclesiale: il martire è membro della Chiesa, Sposa di Cristo. In questa prospettiva il suo sacrificio si manifesta come la risposta della Chiesa alla carità del suo divino Sposo: il sangue versato dal martire è il sangue della Chiesa. Nella seconda parte ha preso in esame la liturgia dei santi Protomartiri francescani, analizzando l’attuale eucologia presente nel Messale Francescano e nella Liturgia delle Ore, facendo un confronto con l’eucologia dei libri liturgici prima della riforma del Vaticano II al fine di tratteggiare il significato teologico, cristologico ed ecclesiale del loro culto.

Le Conclusioni sono state fatte dal prof. Franco Cardini dell’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze il quale ha posto la domanda circa il motivo dei diversi esiti della predicazione esplicita dei frati Minori giunti in Marocco e dell’incontro di Francesco con il Sultano: mentre i primi giunsero a uno scontro culminato nel martirio, nel secondo caso ci fu rispetto reciproco. Al termine dell’incontro è stato proiettato il documentario La vocazione di Antonio prodotto da San Polo Productions e Rai Cinema, di Salvatore Braca e Andrea Cherubini per la regia di Andrea Cherubini. In occasione del convegno è stata presentata anche la nuova guida turistico-spirituale di G. Cassio, Oltre Assisi. Con Francesco nella Terra dei Protomartiri attraverso l’Umbria Ternana, Velar-ElleDiCi, Gorle 2010.

[Gli Atti saranno pubblicati dalle edizioni “Centro Studi Antoniani”]

Note al testo

[1] Francesco d’Assisi, Regola non bollata, XVI (FF 42-45; FF: si indicano così le Fonti francescane nella loro codificazione abituale).

[2] Cfr. su questo uno studio fra breve on-line su Gli scritti.