Credere, nella fede cristiana, non significa “supporre” (da Joseph Ratzinger)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /12 /2009 - 15:29 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

da Transmission de la Foi et sources de la Foi, conferenza tenuta dall’allora cardinal Joseph Ratzinger sulla situazione della catechesi il 15 gennaio 1983 nella basilica di Notre-Dame di Fourvière a Lione ed il 16 gennaio 1983 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi (testo integrale su questo sito al link Trasmissione della fede e fonti della fede. Conferenze sulla situazione della catechesi, tenute a Lione e Parigi dall'allora cardinal Joseph Ratzinger )

L’ambiguità del termine "credere" deriva dal fatto che può indicare due atteggiamenti spirituali diversi. Nel linguaggio quotidiano, credere significa "pensare, supporre"; questo è un grado inferiore di sapere riguardo a realtà delle quali non abbiamo ancora certezza. Ora, si suppone comunemente che la fede cristiana stessa sia un insieme di supposizioni su argomenti di cui non abbiamo una conoscenza esatta.

Ma una tale opinione manca totalmente il suo obiettivo. Il più importante catechismo cattolico, il Catechismo Romano pubblicato sotto Pio V in seguito al Concilio di Trento - e al quale dovremo sovente ritornare -, in merito al fine e al contenuto della catechesi, che è la somma delle conoscenze cristiane, si esprime, infatti, conformemente a un detto di Gesù riportato da san Giovanni: "E la vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17,3).

Dicendo ciò, il Catechismo Romano intende precisare contenuto e finalità di ogni catechesi, e precisa effettivamente, in un modo fondamentale, ciò che è la fede: credere significa trovare e realizzare la vita, la vera vita. Non si tratta di un qualsiasi potere, che sarebbe lecito acquisire o lasciare da parte, ma proprio del potere di imparare a vivere, e di vivere una vita che possa rimanere per sempre. Sant’Ilario di Poitiers, che scrisse nel secolo IV un libro sulla Trinità, ha descritto in modo simile il punto di partenza della sua ricerca di Dio: aveva finalmente preso coscienza che la vita non è donata solamente per morire. Nello stesso tempo aveva compreso che i due possibili scopi della vita, che vengono proposti come il contenuto di vita, sono insufficienti: non mi bastano – egli dice - né il possesso, né il tranquillo godimento della vita. "Beni e sicurezza": di questo la vita non si può accontentare sono ciò che la vita non può accontentarsi di essere, "altrimenti l'uomo ubbidirebbe solo al suo ventre ed alla sua pigrizia".

Il vertice della vita può essere raggiunto solo là dove vi è qualche cosa di più: la conoscenza e l’amore. Si potrebbe dire anche: solo la relazione dona alla vita la sua ricchezza, la relazione con l’altro, la relazione con l'universo. Tuttavia, neppure questa duplice relazione è sufficiente, perché "la vita eterna è che conoscano te". La fede è la vita, perché è relazione, cioè conoscenza che diventa amore, amore che viene dalla conoscenza e che conduce alla conoscenza. Come la fede indica un altro potere oltre a quello di compiere alcune azioni isolate, cioè il potere di vivere, così essa possiede anche, in proprio, un altro campo oltre a quello della conoscenza degli esseri particolari, vale a dire il potere della conoscenza fondamentale stessa, grazie alla quale prendiamo coscienza del nostro fondamento, impariamo ad accettarlo, e grazie a esso possiamo vivere. Il dovere essenziale della catechesi consiste, dunque, nel condurre alla conoscenza di Dio e di Colui che Egli ha inviato, come dice giustamente il Catechismo Tridentino.