La fede e il Barone di Münchhausen (da Joseph Ratzinger)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 /02 /2011 - 20:10 pm | Permalink | Homepage
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da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 1969, pp. 40-41

Cos'è questa fede? Ora possiamo rispondere così: è la forma, non riducibile a scienza e incommensurabile ai suoi parametri, assunta dalla posizione dell'uomo nel complesso della realtà; è l'interpretazione senza la quale l'intero uomo rimarrebbe campato in aria; è l'atteggiamento che precede il calcolo e l'azione dell'uomo, senza il quale egli in definitiva non potrebbe né calcolare né agire, perché tutto ciò egli è in grado di farlo unicamente nell'ambito d'un senso capace di sostentarlo.

L'uomo in effetti non vive del solo pane del fattibile, ma vive invece da uomo, e, proprio nella configurazione più tipica della sua umanità, vive di parola, di amore, di senso della realtà. Il senso delle cose è davvero il pane di cui l'uomo si sostenta, di cui alimenta il nucleo più centrale della sua umanità. Senza la parola, senza il senso, senza l'amore, egli vien messo in condizione di non poter più nemmeno vivere, quand'anche fosse circondato in sovrabbondanza di tutti i conforts terreni immaginabili.

Chi non sa con quanta frequenza, pur in mezzo alla più sfondata abbondanza, può insorgere la situazione del 'non ne posso proprio più'? Il senso della realtà però non si può dedurre dalla mera scienza. Il voler procacciarselo in questa maniera, cioè basandosi sul fatto che si è capaci di provare la fattibilità, finirebbe per assomigliare all'assurdo e ridicolo tentativo intrapreso dal barone di Münchhausen, quando si mise in testa di strapparsi fuori dalla palude tirandosi per i capelli.

Propendo a credere che nella comica assurdità di quella storia venga messa in luce, in maniera azzeccatissima, la situazione di fondo in cui versa l'uomo. Dal pantano dell'incertezza, dell'incapacità di vivere, nessuno è in grado di tirarsi fuori da sé; e non ce ne tiriamo fuori nemmeno con un «cogito ergo sum», come pensava ancora Descartes, ossia appigliandoci ad una catena di conclusioni imbastita col raziocinio. Un senso fasullo della realtà, in ultima analisi, non è nemmeno un senso. Il senso vero, ossia il terreno su cui la nostra esistenza possa realmente reggersi e vivere, non può venir fabbricato empiricamente, ma solo venir ricevuto dal di fuori.