Roberto Benigni. L’ultimo del Paradiso.
Lettura e commento del XXXIII canto del Paradiso (RAI uno, 23 dicembre 2002 ore 21.00). (tpfs*)

Presentiamo on-line una trascrizione del programma Roberto Benigni. L’ultimo del Paradiso, trasmesso da Rai 1 il 23 dicembre 2002 alle 21.00, una produzione Melampo Cinematografica, con la regia di Stefano Vicario, musiche di Nicola Piovani, scenografie di Gaetano Castelli, light designer Danilo Desideri, direttore d’orchestra Germano Mazzocchetti, produttore esecutivo Melampo Mario Cotone, costumi Patrizia Izzo, direttore della fotografia Ivan Pierri, direttore di produzione Marco Dottori, coordinamento audio Claudio Gatti, produttore esecutivo Rai Paola Portaluri.
La trascrizione, curata per L’Areopago da Giulia Balzerani e non rivista dall’autore, riguarda esclusivamente il commento e la recitazione del canto XXXIII del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri, mentre non sono state trascritte le parti introduttive e finali dello spettacolo non dedicate a Dante.
Il testo, nascendo dalla viva voce dell’autore, conserva lo stile orale. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione, se la sua messa a disposizione on-line non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

L’Areopago  


Siamo arrivati per davvero al compimento della serata, proprio a quest’ultimo del Paradiso. Lo ridico per i bambini: ragazzi stasera noi andiamo insieme in Paradiso! E’ la storia, la leggenda, la favola, la realtà. Niente è più vero della fantasia no? E si torna naturalmente, eh! Si torna subito! Si va a vedere; un signore ci porta in Paradiso a vedere come è fatto Dio, a guardarlo un momento, e poi si torna.
 
Non c’è niente di più bello al mondo di una cosa così. Dice: “Cosa vorresti?” Una cosa così! Allora io vi vorrei cominciare a parlare di questo canto. L’ultimo canto è la cosa più spettacolare che un cristiano - nel senso di essere vivente anche - abbia mai pensato come regalo. Ci ha fatto proprio un regalo che... chissà cosa si è fatto di così bello per meritarci un regalo così. Insomma, si sarà fatto qualcosa! E’ come se uno dice: “Mi sei garbato, ti regalo il Mar Tirreno, tiè!”. Ecco, questa è una cosa del genere.
 
Allora tutti conoscete un po’ la storia di Dante, di questo poeta che ha vissuto anche lui in mezzo alle guerre. Ce n’era tante: guelfi e ghibellini. Allora rimanevano sempre da una parte, si combattevano... Oggi, per rimanere nello stesso partito, bisogna cambiare spessissimo opinione. Questo poeta ha fatto questo viaggio per noi, ha sognato per noi proprio. C’era un poeta francese che scriveva sulla sua porta di casa quando andava a letto: il poeta lavora!
 
Sappiamo che Dante ha visitato tutti e tre i regni. Quando si parla della Divina Commedia o di Dante, bisogna non tanto capire, perché è semplice anche se non è sempre facile. Come è semplice l’universo, la musica di Bach: semplice ma non facilissima. E’ tutto vero; siamo lì, è come una rosa.
Ora, naturalmente quando si entra dentro a questi grandissimi canti, sappiamo tutti da dove vengono. Lui ha sognato per noi, è andato in tutti e tre i regni. Proprio ci dobbiamo credere. Io credo fermamente che Dante sia stato all’Inferno, in Purgatorio e in Paradiso. C’è proprio stato! Non è che ha fatto finta, c’è stato! Ha visto tutto quello che descrive. Non perché Dio c’è, ma perché Dio ci sia. Dopo la Divina Commedia c’è di più Dio. C’è proprio, lo si sente, lo si vede. Tutto ciò che è bello è vicino a Dio. E’ proprio la bellezza che ci porta vicino a Dio. Ci ha portato quasi a guardarlo, a vederlo.
 
Ora io proverò a parlarvi di questa cosa. Se non succede niente, non succede niente, lasciamo perdere. Però vi posso assicurare una cosa: che se succede una cosina dentro di voi, si smuove una scintilla, un sussulto, siete Dante, siete voi i poeti, siete Dio. Perché Dante è Dio mentre scrive. Si può parlare di Dio solo essendo Dio, sennò non se ne può parlare. Allora quando si parla di Dio si diventa Dio in persona. Se dentro di voi succede qualcosa, si apre una cosa che la testa non può contenere, una cosa spettacolare. La bellezza, la poesia non sta in chi scrive, ma il sublime sta nell’orecchio di chi ascolta, dentro di voi sta Dio. Non solo dentro a Dante che l’ha scritta. Lui l’ha scritta, ma se voi non lo sentite, non ha scritto niente. Quindi siete voi il poeta, siete voi Dio. Siamo noi. Insomma, è una cosa straordinaria, è una musica, un linguaggio.
 
Ci ha messo dentro miriadi di cose. E’ stato in questi tre regni. E naturalmente ha vissuto, come ripeto, un periodo dove l’hanno condannato a morte. Il fanatismo è sempre esistito. Il fanatico è la cosa più pericolosa; quando vuol piegare il mondo alla sua idea è la cosa più tremenda. Non è che il fanatico poi creda fermamente ad una cosa. No, il fanatico sembra democratico! Per il fanatico ci sono sempre due opinioni: la sua e quella sbagliata! Questa è la concezione del fanatico. E ci sono stati allora e ci sono ora. Non andranno mai via quelli. Certamente qualche rischio bisogna correrlo, non forse fino alla morte se non per difesa, quello sì, se ci toccano nelle nostre cose. Ma nelle opinioni è sempre bene stare a sentire, potrebbe essere sbagliata la nostra.
 
Così ha fatto Dante: se uno non corre qualche rischio per un’idea, o non vale niente l’idea o non vale niente lui. Lui ne ha corsi tanti. Non stiamo a parlare di quello che ha vissuto, è stato nell’Inferno, ha visto tutte le anime dannate. Non è che era un prete Dante, era uno come noi, proprio. Gli facevan male i denti proprio, uguale a noi! A volte basta un mal di denti per negare l’esistenza di Dio! A volte basta perdere l’autobus: “Ho perso l’autobus, e poi dicono c’è Dio!”
 
Dante ha visto tutti i regni. I dannati: ci ha messo dei Papi, degli amici, delle persone che non ha mai conosciuto di tutti i tempi. Ha visto il diavolo in persona, il diavolo proprio, l’ha visto, l’ha descritto minuziosamente. Ma son cose queste!
 
Poi il Purgatorio, poi è salito con la sua amatissima. A Dante quanto gli garbavano le donne non lo potete sapere! Gli piacevano le donne, le amava tanto. Ma tutte! Dalla Beatrice amata alla su’ moglie, alla su’ mamma, a tutte le donne. Chi non è capace di amare tutte le donne, non è capace di amarne nemmeno una. Lui le amava proprio tutte, era una cosa spettacolare con le donne, Dante! Fino a cantare il canto della Vergine Maria.
 
Che cosa si può dire di questa donna? Che è il culmine della creazione, l’apice proprio. Iddio ha fatto il mondo in sette giorni, ma il settimo s’è riposato. Il sesto ha fatto Adamo, e poi dopo Adamo non era contento, ci mancava qualcosa di ancora più bello. Non ci aveva neanche più materiale, non c’aveva più nulla, aveva finito tutto! Però ha detto: “Eppure mi ci vole ‘na cosa che mi garbi ancora di più!” Ha preso una costola da Adamo, tanto non era venuto già bene di suo, dice “Gli piglio quella”, e ha fatto Eva, che è l’apice. Bisogna ricordarsene, perché è l’ultima cosa che Dio ha creato, la donna. Pensa un po’ se Dante gli vorrà bene alle donne. E’ arrivato nel Paradiso, ci sono delle immagini nel Paradiso, ragazzi! Ma non è un poeta, queste sono cose che vanno al di là! E se ne va per tutti i cieli, nove, vola in alto, ha delle bellezze!
 
A un certo punto è con Beatrice, il luogo dove stanno è un’estasi talmente meravigliosa che Beatrice addirittura non sorride. Lui la guarda e per la prima volta non sorride e capisce che sarebbe un eccesso di bellezza. Il sorriso di Beatrice in quel luogo farebbe schiantare Dante, che non reggerebbe a quell’eccesso di bellezza. Pensate in che posti siamo. Ci spiega e ci dice le domande che ci siamo posti sempre: “Ma perché ci sono gli angeli?” Ci sono gli angeli? Lui dice che gli angeli li ha fatti Dio, non perché avesse bisogno di qualcuno che lo servisse, figuriamoci, o gli dicesse: “Quanto sei bello!”. Ma perché proprio non riusciva a contenere la grandezza dell’amore. E’ una cosa che ha irradiato, si è espansa, è scoppiettata in mille... Dice proprio: “S'aperse in nuovi amor l'etterno amore”. Una cosa che è talmente piena d’amore che qualsiasi scintillina intorno è una cosa d’amore straordinaria.
 
E son nati tutti gli angeli che sono un numero indeterminato ma calcolabilissimo. Gli angeli saranno proprio milioni di milioni, di milioni di miliardi che non lo potete sapere e fanno delle luminescenze, delle scie, come quando il ferro è incandescente, sono delle similitudini straordinarie. Chiede a Beatrice: ma quanti sono gli angeli?
 
più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla.
 
Inmillarsi: diventano mille e mille, più che negli scacchi. Questa è una similitudine bellissima perché c’è una grande storia conosciuta evidentemente anche all’epoca, secondo la quale lo scià di Persia o un principe indiano, aveva perso suo figlio in una battaglia. Allora un matematico per consolarlo inventò il gioco degli scacchi, facendogli vedere che a volte ogni pezzo si sacrifica per salvare la totalità dei pezzi. Lui fu talmente felice di questo regalo, gliene fu grato e disse a questo matematico: chiedimi un regalo, qualunque cosa. E colui che inventò gli scacchi - è una storia vera - disse: “Vabbè, guarda, non voglio niente. Voglio che tu mi dia un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta, sedici per la quinta, sono 64 le caselle, me li metti lì sopra”. Dice: “Ma come? Ho oro, diamanti, ti posso dare un regno, mi chiedi una cosa così umile?” “Mi basta questo, non voglio, figurati, ci mancherebbe altro”. Il principe disse ai suoi matematici: “Calcolate quanti sacchi di grano servono”. I matematici dopo due, tre orette, tornarono e gli dissero: “Ci dispiace ma non si può soddisfare la richiesta. Perché a chiedere il numero che lui ha chiesto bisognerebbe seminare tutto il pianeta a grano per 1500 anni”. E’ vero eh! Se voi calcolate è un 263+1, che è un numero incalcolabile. Allora fa questa similitudine per dire quanti sono gli angeli.
 
E poi ci racconta e ci dice come mai li ha fatti. Sapete che c’è una bellissima leggenda islamica su Dio. Che poi l’Islam è uguale, è lo stesso Dio, ma identico, non è che è un pochino diverso. Quello degli ebrei, il Dio cristiano, il Dio islamico è proprio il medesimo, identico. Lo stesso spiccicato, non c’è nessuna differenza. La leggenda islamica dice che Lucifero, che è il più bello dei suoi angeli, il più bello, non è che era geloso di Dio, amava Dio. E’ una cosa bellissima, lo amava come tutti lo amiamo, per forza. E che cosa successe? Voleva che lo guardasse per un momento. Lo sguardo di Dio è insostenibile. Non è la testa l’organo adatto per spiegare l’esistenza di Dio, è come voler sentire il sapore della cioccolata con una mano. Non siamo forniti di quell’organo, non lo conteniamo, sennò che Dio sarebbe? Allora Lucifero, il più bello degli angeli, pur di essere guardato per un momento da Dio, gli disobbedì. E Dio si volse, era la prima volta che qualcuno gli disobbediva. Si voltò e lo guardò per un momento, e quello fu incenerito per l’eternità negli inferi per la disobbedienza. Però Lucifero ha visto Dio, ha avuto lo sguardo di Dio, negli occhi addirittura. Un pochino alterato, se così si può dire. E adesso soffre per l’eternità ancora di più, non perché è giù negli inferi, ma perché ha visto Dio e non lo può rivedere. Quella è la sofferenza di Lucifero, eterna, insormontabile, insopportabile. Quando si è visto Dio non si riesce a stare senza rivederlo, è una cosa insopportabile.
 
Allora ha scritto che è arrivato fino al Paradiso, alla soglia massima, dove ci sono delle scie di angeli ed i beati che irradiano talmente tanta luce che sembravano come un lago, un disco dorato, una specie di arena e tutti quelli che sembravano fiori sono i beati. E in vetta è tutto fatto come una rosa dove ci sono anche i bambini. Ha sistemato tutto, quando ci sono i bambini... C’è quel bel verso di Pascoli che dice: la Vergine Maria piange un sorriso. Che bellezza! Le dispiace e d’altra parte ce li ha lì.
 
E’ una cosa straordinaria: ci sono tutti i bambini e su nella cima della rosa candida c’è lei, Maria, la donna più straordinaria. La bellezza di avere una donna così, da pensarci, da volerle bene, anche soltanto da salutarla: Ave Maria! Basta, ma cosa ci si può dare di più bello? E la bellezza è che, a parte Dante che ne è rapito, quella donna lì a Dio gli garba proprio. Maria, gli piace! Si sente che c’è un amore totale, proprio come noi uomini, perché Dio è anche uomo. Gli piace quella donna. E’ innamorato di Maria, e in più Maria è la madre di Cristo, che nello stesso tempo è anche suo Padre. Essendo però il Figlio, le somiglia un po’, come tutti i bambini somigliano alle loro madri, Maria somiglia un po’ a suo figlio. Nel volto di Maria c’è un po’ dell’immagine del Cristo, di Dio. E’ una cosa spettacolare. Lui la guarda: è una cosa proprio vertiginosa di bellezza. E Maria sta su, nella vetta, nel culmine di questa rosa. Sotto di lei c’è Eva. Nella simbologia popolare, Eva è la prima donna che ha il peccato originale e Maria è quella che ci ha salvato. L’arcangelo Gabriele si è rivolto a Maria dicendole: Ave! Ed Eva è l’opposto di Ave. Diciamo un po’ che Eva è la spina nella rosa di Maria, ecco, in tutta questa cosa eterna del Creato.
 
Dante si trova alla fine del viaggio, Beatrice l’ha abbandonato, si è messa sul suo scranno in questo luogo che è inimmaginabile - la descrizione dei colori e delle bellezze - ma è proprio una bellezza scandalosa, da andare al manicomio. Non è che si può rivolgere alla Madonna. Nessuno di noi può dire: “Senti Maria...” Non si può fare, perché lui era in carne ed ossa, come noi. Allora chiede a S.Bernardo che è un santo che gli piace perché lui era un servo umilissimo della Madonna. Ha scritto tante cose sulla Madonna, ma proprio zelantissimo alunno, amante intimissimo della Madonna.
 
Ha scelto questo santo, così come oggi c’è padre Pozzi - che ha scritto dei libri sull’immagine della Madonna, bellissimi - che ci ha abbandonato poco tempo fa. Persone che passano la vita su questa meraviglia del Creato, una cosa incommensurabile. E S.Bernardo dice a Dante che farà per lui questa ambasciata. Chiederà a Maria se Dante, che ha fatto tutto questo viaggio dagli inferi, dall’ultimo buco oscuro della terra, fino a lassù, può vedere Dio. Non può tornare in terra senza dire come è fatto Dio. E chiede a S.Bernardo: “Gli dici te alla Madonna se mi fa vede’ Dio un secondo? Un secondo, mica che voglio mettermi lì a discutere per carità. Se me lo fa guardare per un secondo?. Non so se è un secondo, che tempo avete voi, digli se me lo fa vedere. Alla Madonna non gli dirà mica di no Dio!” Allora S.Bernardo ci prova. Naturalmente quando ci si rivolge alla Madonna... Dice queste parole, decide di aiutare Dante, perché Dante non può tornare qua e non dirci come è fatto Dio. Ha fatto tutto questo viaggio! E la prega così S.Bernardo: versi famosissimi, è come cantare una melodia che tutti conoscono.
 
Vergine madre
 
Guardate ogni termine è l’opposto dell’altro, guardate la bellezza.
 
Vergine Madre, figlia del tuo figlio
 
Eh? Già qui, ‘sto verso, uno si ferma, s’ignuda e dice: “Fammi quello che vuoi, io sono qui a disposizione tua!” E’ una cosa... Già qui ci si ferma. Perché il mistero della Trinità è un mistero di una bellezza spettacolare... un bambino lo capisce subito. Dice: “Guarda è uno ma sono in tre, è il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo”. Noi con questo paradosso ci siamo cresciuti fin da bambini e non ci siamo mai chiesti niente. Io quando ero ragazzo dicevo: “Sì, la Madonna l’ha fatto, non c’aveva il babbo, però lui era anche il su’ figliolo, erano in tre. Sì, ho capito”. Non ho mai detto niente, io. Da grande non c’ho più capito niente, ma da bambino avevo capito tutto.
 
Vergine Madre, figlia del tuo figlio
umile e alta più che creatura
 
La più bassa e la più alta, si capisce da sé.
 
Termine fisso d’etterno consiglio,
 
Il punto d’arrivo, il momento nella storia dell’umanità, a cui tutti sempre si deve guardare per ricordarsi chi siamo e dove andiamo. Il consiglio di Dio ci ha detto che da questa donna in poi comincia una nuova era. Ho deciso di fare pace con tutto il mondo. Già da Noè, quando aveva litigato con gli uomini, ha mandato il diluvio universale e, alla fine del diluvio, con l’arcobaleno, pose la sua firma a patto con gli uomini che non si sarebbe arrabbiato mai più. La firma di Dio è l’arcobaleno e il cielo è il suo quaderno dove ci scrive qualche appunto. E’ una bella cosa, no? Solo che gli uomini non firmarono. Infatti hanno continuato; non c’è la firma degli uomini. Dio ha firmato, ma noi abbiamo continuato.
 
Tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
 
Queste son cose! Ha detto che... prega la Madonna così: l’umana natura nobilitasti così tanto che quello che l’aveva fatta... come se io faccio una cosa e dico: “Madonna com’è bella, è talmente bella che sai che faccio? Mi faccio far da lei. Mi garba così tanto ‘sta cosa che ho fatto che mi faccio fare da lei!” Talmente straordinaria che dice: ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Quanto gli garbava ‘sta donna a Dio? Pensa negli occhi di Maria che ci deve essere.
 
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
 
Ora, dicono che questo fiore vuol dire la Chiesa, ecc. Io penso che sia Cristo, mi piace di più pensare che è Gesù che è nato dentro di lei. Si sente che c’è proprio un corpo, una donna come noi. Per lo cui caldo: pensa essere nel ventre di una donna al caldo eterno. Come ci fa sentire d’esser dentro. E in più fa la rima fiore-amore, la più antica e difficile del mondo. Falla te una rima fiore-amore... sì vabbè ho capito, il cuore col dolore, il fiore con l’amore.
 
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate
 
Fiaccola meridiana. Qui dove siamo noi, in Paradiso, sei la fiaccola meridiana, una luce meravigliosa di caritate, di carità. Che poi è la pietà e l’amore, che l’ha portato Cristo. Prima di Cristo non c’erano la pietà e la carità. Questo è bene saperlo, eh? L’ha inventata lui. C’era uno per strada, gli si sputava e tutti dicevano bravo. Dopo Cristo no. Ha detto: “Non va bene ‘sta cosa qui”. E’ una cosa non da niente! Io vorrei sottolinearlo.
 
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
 
Tra noi sei di speranza fontana vivace. Uno zampillio di speranza per noi. E’ una cosa che sento rinfrescarmi, voglio mettermi sotto a questa fontana vivace di speranza!
 
Donna
 
A quel tempo voleva dire anche “signora”, però partire con “donna” ci s’impaurisce quasi.
 
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ali.
 
Se uno vuole qualcosa come ora sta pregando Dante, bisogna rivolgersi a lei, a Maria, alla Vergine Madre, sennò non vola la speranza. Bisogna rivolgersi a lei per qualsiasi cosa bella, così ha deciso Dio.
 
La tua benignità
 
(niente di personale per carità!)
 
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
fiate vuol dire volte, molte volte
liberamente al dimandar precorre.
 
Arriva prima, qualche volta addirittura non c’è neanche bisogno di chiedergli niente. Ce l’ha dato prima e noi non ce ne siamo neanche accorti. Almeno una volta al giorno bisognerebbe dire: grazie Maria. Non si sa perché, però qualcosa ce l’ha data. Questo intende dire Dante: bisognerebbe dirglielo. Qui le dice quanto è bella lei proprio direttamente.
 
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.
 
Qui finisce le sette terzine in cui gli ha detto quant’è brava ‘sta donna. E’ come se uno avesse detto: “Guarda, a me mi garbi tanto, ti voglio tanto bene”. Dante ha scritto ‘ste sette terzine.
Questo figliolo che non poteva peccare e s’è portato con sé tutti i peccati, questo Gesù, che non poteva morire ed è morto per noi, che era diverso che più diverso non si può Ormai ci siamo dimenticati che il vangelo dice che quando si dà la mano a un poveraccio, a un bistrattato, a un diverso, ci fiorisce un giglio sopra. Quando si tratta male un diverso, un altro che viene da un altro posto, che si butta via, un cherubino smette di cantare e di volare. Le vogliamo dire queste cose che dice il vangelo?
A questo punto S.Bernardo parla di Dante e dice:
 
Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,
 
Dice: guarda che questo ha fatto un viaggio Maria, mamma mia, poveraccio, viene proprio da dei postacci
 
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute.
 
Supplica te: “Fagli vedere, dagli la possibilità di vedere Dio”.
 
E io, che mai per mio veder non arsi
 
M’interessa più che lo veda lui di quanto m’interessi vederlo io.
 
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
 
speriamo che bastino
 
perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi
 
Attenzione che questo è importante. Dice alla Madonna: “Naturalmente, levagli la nube della sua mortalità”. Perché Dante era come noi, è andato lì come se ci andasse uno di noi. E non è che uno vede Dio e rimane come prima. Non si può vedere, non si può contenere, si schianta. E’ impossibile proprio, è un concetto che non ci appartiene. Allora dice a Maria di farlo trasumanare, che è un termine proprio di Dante, il più famoso, cioè passare dall’umano al divino. Fallo diventare Dio per un momento. Fallo trasumanare, cioè dall’umano al sovrumano.
 
Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli,
 
Certo, a lei tutto è permesso
 
che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.
 
Perché si rincitrullisce. Come i mistici. Hanno avuto un momento una visione e non sono più gli stessi. Guardate che Dio è Dio, non è che stiamo parlando di.... questo verso è bellissimo.
 
Vinca tua guardia i movimenti umani:
 
Fallo rimanere in sé. Fai che per un momento sia come noi che siamo delle anime, dei beati, fa che non diventi scemo, guarda tu alle sue facoltà perché regga il fatto di vedere Dio. Lo capiamo da soli.
 
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!
 
Tutti lì pregavano Maria: te ne prego, faglielo vedere un momento. Perché è uno vivo... e uno dice: “Che mi fai portare uno vivo a vedere Dio?”
 
Sentite un po’ qua. Qui finisce la preghiera di S.Bernardo, e ora dice la poesia:
 
Li occhi da Dio diletti e venerati
 
Quelli di Maria. Ma questa donna quanto gli garberà a Dio? Io mi domando: ma quanto gli piace ‘sta donna? E’ innamorato come ognuno di noi è innamorato di una donna perché s’è fatto uomo. E’ uomo, gli piace proprio ‘sta donna!
 
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati;
 
Queste parole le piacquero.
 
indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
 
La Madonna guardò Dio per un momento perché voleva quasi come il consenso anche suo. Ma pensa, una che si volta verso Dio. Tu ce l’hai davanti a te e dove guarda? Sta guardando Dio! Voi dovete immaginarvi il movimento
 
nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro
 
Lei l’ha guardato così, normalmente, ma non è possibile per nessuno al mondo! Solo gli occhi di Maria possono guardare così Dio. Si è voltata, ha fatto così. Io questo movimento me lo sogno la notte, di quando Maria per un momento guarda Dio. Roba da andare al manicomio. E Dante dice
 
E io ch’al fine di tutt’i disii
appropinquava, sì com’io dovea,
 
Ero arrivato a quello che dovevo arrivare, mi avvicinavo. Qualcuno mi aveva detto che dovevo stare là, ci sarà un destino, qualcosa
 
l’ardor del desiderio in me finii.
 
Si consumò tutto solo al pensiero che lo poteva vedere, stava già, era in un’estasi, già prima.
 
Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea
 
Prima ancora che Bernardo gli ha detto: “Madonna, te lo fa guardare”, mentre fa così Dante era già a guardare. Figuriamoci se resisteva, gli ha detto di sì!
 
ché la mia vista, venendo sincera,
 
Non si può guardare Dio così, con il nostro corpo umano normale. Già era stato come mondato da tutto, stava divenendo Dio in quel momento Dante. Perché solo essendo Dio, ripeto, si può parlare o vedere Dio.
 
ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera.
 
Quella è la verità, è la Verità. Non c’è più niente oltre Dio, quella è la Verità. Ed è scritto che un giorno tutti noi vedremo la Verità. Di più: lo saremo! Ognuno di noi sarà la Verità, sarà Dio. Questo è certo, è scritto.
 
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
ciò che io vidi fu molto superiore di ciò che io descrivo.
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio
 
Oltraggio come offesa, ma anche come andare oltre. E’ una cosa troppo “oltre”. E cede la memoria. E che ti vuoi ricordare? Come si fa a reggere dentro l’immagine e l’idea di Dio? Adesso fa una similitudine per farci capire quello che accade.
 
Qual è colüi che sognando vede,
che dopo ’l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede,
 
Quando noi sogniamo e ci svegliamo e sappiamo che abbiamo fatto un sogno potentissimo, non ci ricordiamo cosa abbiamo sognato, ma l’emozione è presente. Ci viene la pelle d’oca, non ci si ricorda niente, ma l’emozione rimane dentro.
 
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone,
 
Non ricorda quasi più niente, continuerà a dirlo, ma si ricorda bene di tutto e ce lo dirà.
 
e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.
 
Il cuore ancora distillava, continuava a pompare quella bellezza.
Sentite la similitudine che fa per dire che gli è sparito tutto dalla memoria, non ha più niente
 
Così la neve al sol si disigilla;
 
Quando il sole scioglie la neve, non ci rimane più niente, però si sente il fresco, si sente che qualcosa c’è stato.
 
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.
 
La Sibilla cumana, che tutti conoscete, a Cuma faceva i responsi. Le chiedevano le cose: “Morirò in guerra? Avrò figli?” Lei scriveva: “Non morirai in guerra, tornerai”. Bastava spostare una frase. Lei scriveva sulle foglie, nella sua grotta, i responsi. Quando entravano per avere la risposta, c’era sempre vento, Cuma era un posto ventoso, e sparpagliava tutte le foglie. Allora dei responsi non si capiva più niente, perché magari: “non morirai in guerra, avrai figli”, diventava “morirai in guerra, non avrai figli”. Non si capiva più niente di quello che c’era scritto, e questa è una similitudine spettacolare. Allora si rivolge direttamente a Dio:
 
O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,
 
non ti dico di farmi ricordare com’eri, ma un pochino di quello che mi sembrava
 
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;
 
Ripete: “Ancora un nonnulla di un nonnulla, ma lasciamelo!”
 
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.
 
Questo qui è bene che il mondo sappia, anche se è una cosa che non c’è bisogno di dimostrare, però lui glielo chiede come glielo chiederebbe ognuno di noi. E qui riparte:
 
Io credo, per l’acume ch’io soffersi
 
E’ un dolore, perché la bellezza ci trafigge come un dolore, la bellezza fa proprio male.
 
Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi.
 
Se io avessi guardato un’altra cosa. Quando si guarda Dio, come dicevo prima a proposito di Lucifero, non si può più guardare da un’altra parte. E dice che lui sarebbe morto, chissà che gli sarebbe successo se avesse guardato in un’altra direzione.
 
E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito.
 
Andai sempre più dentro a questa luce, perché il desiderio è talmente forte che non si può guardare da un’altra parte, bisogna buttarcisi il più possibile
 
Oh abbondante grazia ond’io presunsi
chiede scusa per quello che ha fatto, non si sente all’altezza.
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!
 
Si accecò, non c’era più niente. Non bisogna sottovalutare la bellezza. Nel mio paese c’era Iolanda che aveva un bambino che non ci vedeva. Mi ricordo che lo portò in paese a vedere un ciliegio in fiore. Gli chiedevano: “Iolanda che fai?” – “Ho portato Pietrino a vedere il ciliegio in fiore!” – “Ma non ci vede!” – “Ho capito, ma guarda com’è bello, come facevo? Bisognava per forza che lo vedesse!”. Così come la bellezza può far tornare la vista, così può farcela perdere. Qui c’è una terzina che uno va via, dice “vi saluto”, chiude il libro e se ne va! Ha la prima visione. Cosa vede Dante dentro Dio? Cosa abbiamo visto noi, perché l’abbiamo visto anche noi?
 
Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna
 
Lì dentro, in quel punto, c’era tutto ciò che esiste nell’universo.
 
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
 
Queste due terzine sembra passino così. Dentro Dante, legato con amore in un volume, in quel punto, dove sta Dio, cosa vede? C’è un altro grande scrittore, l’argentino Borges - che ha scritto l’Aleph - che ne ha parlato. C’è un punto che è quello di Dio da dove si vede tutto sempre.
Lì dentro, in quel momento eterno in cui Dante ha guardato dentro la luce di Dio, ha visto l’eternità da sempre in tutto: sustanze e accidenti. Ha visto l’infanzia di tutti noi, i cieli di tutti noi, gli amori che non sono andati a termine, quelli appena sbocciati, ha visto ognuna delle nostre vite, ci ha visto qui stasera che parlavamo di lui, ha visto Giulio Cesare a cavallo. Era il cavallo di Cesare, ha visto lo zoccolo del cavallo di Cesare, la terra dove lo zoccolo del cavallo di Cesare batteva, l’erba calpestata... era l’erba! Lui era l’erba sotto lo zoccolo del cavallo di Cesare, ha sentito il tonfo di una castagna che cade in ottobre, ha visto tutto il coraggio non giunto a compimento, ha visto fiori che sono cresciuti in luoghi dove nessuno ha mai posto gli occhi o le mani. Ha visto dei meli che sono cresciuti in silenzio per anni, in silenzio, senza dire niente a nessuno per l’eternità, per tutti gli anni che dovevano crescere. Ha visto gli occhi di una tigre, ha visto ogni foglia di ogni albero, è stato quella foglia di ogni albero. Ha visto una volpe che azzanna un coniglio, era i denti della volpe, era il sangue del coniglio, era i globuli del sangue di quel coniglio. Era dentro a ogni insetto del mondo, ha visto la vita di ogni insetto del mondo e ha visto anche perché sono nati e perché dovevano esserci tutti gli insetti del mondo e tutti i tipi di vita del mondo. Ha sentito tutti i profumi dell’esistenza e dell’universo, ha visto qualsiasi luce, è stato quella luce, è stato quel profumo, è stato tutte quelle cose insieme: in quel momento.
Questo dicono questi versi, è un attimo eterno, incommensurabile. Adesso lui ripete:
 
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi,
 
Non dice: “Penso, mi pare”. Dice: “Credo”, nel senso di “io credo”! Di credere perfettamente.
 
perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
 
Al solo dire questo lui gioisce, è in estasi e gli torna una piccolissima parte di quell’estasi. Poi c’è una terzina che è di una enigmatica bellezza. Non si capisce cosa voglia dire però uno dice: vabbè, dammela così com’è, mi va bene anche così!
 
Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ’mpresa
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo
 
Che vorrà dire? Non si capisce, ma già il suono... Basta la rima in Argo; ora c’è il verso libero, ma quando uno è costretto a far la rima per forza fa dei percorsi che non avrebbe mai fatto. Lui fa la rima con Argo e dice che quel solo momento butta su di lui una cosa di sonnolenza e di non ricordo, più che quando Nettuno vide l’ombra d’Argo. L’Argo era la nave con la quale gli Argonauti andavano alla conquista del vello d’oro, era la prima nave, l’inizio della civiltà. Nettuno che era abituato a stare sotto il mare, al massimo vedeva sopra di lui un legnaccio, una zatteraccia. Vide per la prima volta la chiglia di una nave. Lo stupore di un dio: che è questo? L’inizio della civiltà, addirittura del commercio, perché era una nave che andava alla conquista di una cosa per poi tornare. Dante dice che si ricorderebbe meglio questo che gli appartiene - lui è uno di quella civiltà - che quel punto là. Si ricorda di più da Argo ad ora che quel momento di Dio.
 
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.
 
Voleva solo guardare a questo punto.
 
A quella luce cotal si diventa,
 
Si diventa così
 
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta
 
Credetemi, non si guarda da un’altra parte, lo ridice.
 
però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
 
siccome il bene che è l’obiettivo della nostra volontà
 
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
 
quello lì è proprio il bene universale, più bene di così non si può proprio pensare
 
è defettivo ciò ch’è lì perfetto.
 
E che vado a guardare un’altra cosa?
 
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella.
 
Di Dio se ne può parlare, ripeto ancora, solo tornando bambini, ma bambini quando si poppa, quando si bagna la lingua alla mammella. Per descrivere Dio con il linguaggio di un bambino che ancora succhia il latte alla mammella. Com’è Dio? Si può rispondere solo con dei balbettii. E Dante così ne vuol parlare, è l’unico linguaggio possibile. E lui lo dice, si scusa di usare questa lingua, quella giusta sarebbe quella di un neonato.
 
Non perché più ch’un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal è sempre qual s’era davante;
 
Non perché la cosa che io guardavo cambiasse, era sempre la stessa
 
ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’io, a me si travagliava.
 
Lui dice che era lui che cambiava guardando là dentro. Questi due versi sono spettacolari, perché sono umanissimi. E’ una cosa che è accaduta a tutti noi, indistintamente. Lui sta guardando Dio, cioè l’amore. Dell’amore ci si innamora. Allora lui dice: quello che io vedevo era sempre uguale, non è per questo che non mi ricordo bene, ero io che cambiavo continuando a guardare. Quando una donna si innamora di un uomo, o un uomo di una donna, si guarda negli occhi di quella donna. E all’inizio è una donna come tutte, e si guarda. Poi ci si innamora di quello sguardo e gli occhi nostri vanno dentro a quello sguardo, innamorati. Lei è sempre la stessa donna di prima, ma noi non siamo più gli stessi. Quante volte con gli amici, quando ci si innamora, si guarda una donna in una maniera diversa. Ti chiedono: che ti è successo? Niente, guardavo. Lei è sempre la stessa donna, ma noi, quando ci si innamora si diventa tutta un’altra cosa. Siamo noi che siamo diversi. Figuriamoci mettere gli occhi dentro l’amore personificato: ci si innamora. E quando ci si innamora si cambia. La persona della quale siamo innamorati lì per lì è sempre uguale agli occhi degli altri, ma ai nostri occhi no, è cambiata, è diventata una cosa che non si può contenere. Questo dice Dante in queste due terzine. Ma com’era Dio?
 
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza
 
Ha visto tre giri; ora non vi immaginate tre dischetti. Stiamo parlando di Dio. Avete visto che gli angeli sono miliardi di milioni di miliardi, solo gli angeli! Immaginate cos’è Dio. Neanche gli anelli di Saturno, è una cosa che non si può immaginare, non sta nella nostra testa per l’immensità, per l’incommensurabilità, la traboccante sovrabbondanza. Vede tre giri, come tre dischi, che è la Tinità. Sono tre ma sono uno.
 
e l’un da l’altro come iri da iri
 
Iri vuol dire arcobaleno
 
parea reflesso
 
Sembrava che uno riflettesse l’altro
 
e ’l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri
 
Che venisse da uno e dall’altro, che è il Padre, il Figlio. E lo Spirito Santo. Il primo è Dio, il secondo è Gesù, il terzo è lo Spirito Santo. Non sono divisi, sono uno, sovrapposti ma uno. Ora questo Spirito Santo: bisogna fermarsi un po’. Uno dice Padre, Figlio e Spirito Santo come se niente fosse. Ma lo Spirito Santo che cos’è? E’ il Santo spiro, il respiro di Dio, la respirazione di Dio. Questo è lo Spirito Santo. E’ vivo Dio, è più vivo di tutti noi, come noi, e respira. E cos’è questo respiro? E’ l’amore del Padre per il Figlio, della madre per il Figlio, è l’amore. Il Santo Spirito è la respirazione di Dio ed è l’amore. E l’amore che cos’è? E’ il desiderio dell’amore. Amore è il desiderio di amare: amor ch’a nullo amato amar perdona. Il desiderio di amare fa sì che chiunque si ami, quell’amore non andrà mai perso. Non esiste amore sprecato. Questo è scritto. Quell’amore che noi diamo lo riceveremo di nuovo. E’ il desiderio di amore. Tutti noi desideriamo amare ed essere amati. Questo è il Santo Spirito, il desiderio di amore fra un essere e un altro. Che è irresistibile e fa sì che tutto stia insieme, è il respiro dell’amore. Una cosa bellissima il Santo Spirito.
Dopo aver detto questa cosa si ferma di nuovo e dice che non lo sa dire, si tormenta:
 
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
è tanto, che non basta a dicer "poco".
 
Non è che quello che ho detto è poco, è nulla. E ce ne ha dette di cose! Però dice che non è nulla. Poi si ritiene vinto e dice:
 
O luce etterna che sola in te sidi,
 
Che stai sola in te, solo te ti capisci
 
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!
 
Qui c’è un’altra visione, ci dice davvero chi è Dio:
 
Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,
 
Quella circolazione che pareva riflessa dalla prima, che io ho guardato molto, perché era molto luminosa, quel secondo cerchio
 
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
 
Ha visto noi! Dante ha visto il mio, il suo, il nostro viso, Dio siamo noi. Questo dice Dante. Ha visto il suo viso nel cerchio di Cristo uomo, si è visto lui. Ma nella sua faccia ha visto la nostra faccia, la faccia di tutti noi. Dio siamo noi, solo così ha potuto guardarsi. E lui vuole capire com’è possibile che guardando Dio ha visto se stesso. Voleva capire con le sue facoltà mentali che non sono proprio adatte.
 
Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
 
Come il matematico che ce la mette tutta per trovare la quadratura del cerchio, che è impossibile, perché nessun matematico ce la può fare. Voleva capire com’era possibile che la sua immagine stesse dentro a quella cosa che non ha saputo dire, ma che ha detto distintamente. Ha descritto Dio nei minimi particolari. Ce l’ha messa tutta con la sua facoltà, con la nostra testa.
 
ma non eran da ciò le proprie penne:
 
Non ce la faremo mai a capire, non siamo fatti per questo. Però era lì, lo doveva sapere, la Madonna glielo aveva promesso, tutti i santi glielo avevano promesso e hanno mantenuto la promessa.
 
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne
 
Esaudirono il mio desiderio, mi fecero avere la percezione di Dio, capire cos’è Dio. Lui crede fermamente e l’ha effettivamente avuta.
 
A l’alta fantasia qui mancò possa;
 
Si rende conto che la fantasia umana è altissima, ma non ce la fa a descrivere questa cosa. Quando lui ebbe la percezione, la Madonna ha esaudito la grazia che lui le ha chiesto, lo ha fatto rimanere sano, ha visto Dio ed è tornato in terra a raccontarcelo rimanendo sano.
 
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
 
Mentre io stavo per morire, incenerirmi nell’estasi di questa visione di aver capito cos’è Dio, la Verità, Dio stesso mi ha fatto tornare nelle mie facoltà fisiche e mentali
 
sì come rota ch’igualmente è mossa,
 
Usa l’esempio di una ruota, la cosa più semplice e che rende di più l’idea. Dice: quando uno non ce la fa più, gira tutto perfettamente equilibrato, tutto torna nell’armonia dell’essere, della meraviglia della vita, della straordinarietà di essere vivi. E’ tornato vivo dall’aver visto Dio. E chi è che lo ha fatto tornare così per intercessione della Madonna? Dio, cioè, come si chiama in una parola sola?
 
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
 
Non è l’amore. E’ l’amor che move il sole e l’altre stelle. Si chiama così Dio. Ora qui finisce con questo verso che tutto il mondo conosce, la più bella cosa scritta da un uomo che si possa dire. Siamo stati in Paradiso con lui in questo momento e abbiamo visto tutti noi Dio con i suoi occhi. Ora, questo signore settecento anni fa, in mezzo alle intemperie, ha voluto farci questo regalo di raccontarci questa storia. E’ andato in questi tre regni, ha fatto un viaggio - quello che ha passato per farci questo dono, questa meravigliosa cosa! Si è messo lì, con il passare dei giorni, al freddo, non poteva tornare dai suoi familiari ai quali voleva tanto bene, la carta non si trovava, l’inchiostro chi te lo dava, non trovava neanche dove andare, perché era pericoloso. Era condannato a morte e non tutti lo ospitavano, si è messo lì e per redimere noi dalle nostre colpe e dai nostri peccati, per farci stare qualche notte al caldo del focolare a leggere questa storia. Quante persone hanno letto questa cosa e quanto bene ha fatto. Ci ha voluto fare questo regalo e ha scritto quest’opera che finisce con questo verso e comincia con quell’altro che tutti sanno: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”. E che cosa si può dire a uno così? Io vi dico che una cosa così è assolutamente incredibile!
 
"Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,

3 termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore

6 non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace

9 così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,

12 se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,

15 sua disïanza vuol volar sanz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate

18 liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna

21 quantunque in creatura è di bontate.
Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute

24 le vite spiritali ad una ad una,
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi

27 più alto verso l’ultima salute.
E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi

30 ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,

33 sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.
Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,

36 dopo tanto veder, li affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati

39 per li miei prieghi ti chiudon le mani!".
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro

42 quanto i devoti prieghi le son grati;
indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii

45 per creatura l’occhio tanto chiaro.
E io ch’al fine di tutt’i disii
appropinquava, sì com’io dovea,

48 l’ardor del desiderio in me finii.
Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’io guardassi suso; ma io era

51 già per me stesso tal qual ei volea:
ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio

54 de l’alta luce che da sé è vera.
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,

57 e cede la memoria a tanto oltraggio.
Qual è colüi che sognando vede,
che dopo ’l sogno la passione impressa

60 rimane, e l’altro a la mente non riede,
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla

63 nel core il dolce che nacque da essa.
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi

66 si perdea la sentenza di Sibilla.
O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente

69 ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria

72 possa lasciare a la futura gente;
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,

75 più si conceperà di tua vittoria.
Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,

78 se li occhi miei da lui fossero aversi.
E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi

81 l’aspetto mio col valore infinito.
Oh abbondante grazia ond’io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,

84 tanto che la veduta vi consunsi!
Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,

87 ciò che per l’universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo

90 che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,

93 dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ’mpresa

96 che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,

99 e sempre di mirar faceasi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto

102 è impossibil che mai si consenta;
però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella

105 è defettivo ciò ch’è lì perfetto.
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante

108 che bagni ancor la lingua a la mammella.
Non perché più ch’un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch’io mirava,

111 che tal è sempre qual s’era davante;
ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,

114 mutandom’io, a me si travagliava.
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri

117 di tre colori e d’una contenenza;
e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ’l terzo parea foco

120 che quinci e quindi igualmente si spiri.
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,

123 è tanto, che non basta a dicer "poco".
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta

126 e intendente te ami e arridi!
Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,

129 da li occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:

132 per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,

135 pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne

138 l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa

141 da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,

144 sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.


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