A scuola si deve apprendere cosa dicono le opere, non cosa dicono i critici. Tzvetan Todorov prende la distanze dallo strutturalismo per proporre la riscoperta della letteratura, perché i grandi autori parlano della condizione umana. Appunti di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /11 /2013 - 14:14 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Letteratura.

Il Centro culturale Gli scritti (10/11/2013)

«La letteratura può molto. Può tenderci la mano quando siamo profondamente depressi, condurci verso gli esseri umani che ci circondano, farci comprendere meglio il mondo e aiutarci a vivere. Non vuole essere un modo per curare lo spirito; tuttavia, come rivelazione del mondo, può anche, cammin facendo, trasformarci nel profondo. La letteratura ha un ruolo vitale da giocare, ma può ricoprirlo solo se viene presa nell’accezione ampia e pregnante che è prevalsa in Europa fino alla fine del XIX secolo e che oggi è stata messa da parte, mentre sta trionfando una concezione assurdamente ristretta. Il lettore comune, continuando a cercare nelle opere che legge come dare un senso alla propria vita, ha ragione rispetto a insegnanti, critici e scrittori quando gli dicono che la letteratura parla solo di sé, o che insegna solo a disperare. Se non avesse ragione, la lettura sarebbe condannata a scomparire nel giro di breve tempo»[1].

Così afferma Tzvetan Todorov, mettendo seriamente in discussione il suo passato da strutturalista, nel suo La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008.

Todorov era fin qui noto per il metodo strutturalista cui aveva dedicato fin qui l’intera sua ricerca. Ora rivela che la scelta di quel metodo era stata in realtà una decisione di ripiego, perché nel mondo comunista successivo alla II guerra mondiale non era concessa una libera ricerca sui contenuti della letteratura e non era nemmeno concepibile un amore alla bellezza della letteratura sganciato da una prospettiva di impegno sociale e politico:

«Come parlare di letteratura senza doversi piegare alle esigenze dell’ideologia dominante? Scelsi una delle poche vie che permettevano di sfuggire al reclutamento ufficiale. Si trattava di occuparsi di argomenti che non avessero nulla a che vedere con l’ideologia; perciò, di tutto quello che nelle opere letterarie riguardasse il testo in quanto tale e le sue forme linguistiche. Non ero il solo a tentare questa soluzione: già negli anni Venti del secolo scorso i formalisti russi avevano aperto la via, seguita poi da altri. All’università il nostro docente più interessante era, naturalmente, un esperto di versificazione. Così decisi di scrivere la mia tesi confrontando due versioni di un lungo racconto di un autore bulgaro, scritto all’inizio del XX secolo, e mi limitai all’analisi grammaticale delle modifiche che aveva apportato da una versione all’altra: i verbi transitivi sostituivano gli intransitivi, il perfettivo diventava più frequente dell’imperfettivo... In tal modo le mie osservazioni sfuggivano a ogni forma di censura! Procedendo così, non correvo il rischio di trasgredire i tabù ideologici del partito»[2].

In occasione dei suoi studi francesi Todorov si era accorto che quel tipo di approccio era a quel tempo nuovo e permetteva nuove piste non ancora battute:

«Durante i miei studi universitari avevo preso l’abitudine di andare alla ricerca degli elementi delle opere letterarie che sfuggivano all’ideologia: stile, composizione, forme narrative, quello che possiamo definire complessivamente tecnica letteraria. Convinto in un primo momento che sarei rimasto in Francia solo per un anno (era questa la durata del passaporto che mi era stato rilasciato), volevo approfittarne per apprendere il più possibile su questi argomenti: trascurati, messi al bando in Bulgaria, dove avevano il difetto di non servire la causa comunista nel modo giusto, dovevano certo essere studiati in maniera approfondita in un paese in cui regnava la libertà! Ebbene, faticavo a trovare un insegnamento di questo genere nelle facoltà di Parigi»[3].

Ma ora la situazione culturale richiede ben altro. Ciò che è da riscoprire è l’amore per la letteratura e la poesia e la loro capacità di “illuminare” la vita:

«Quando mi chiedo perché amo la letteratura, mi viene spontaneo rispondere: perché mi aiuta a vivere. Non le chiedo più, come negli anni dell’adolescenza, di risparmiarmi le ferite che potevo subire durante gli incontri con persone reali; piuttosto che rimuovere le esperienze vissute, mi fa scoprire mondi che si pongono in continuità con esse e mi permette di comprenderle meglio»[4].

Questa inversione di tendenza è particolarmente importante nell’affrontare la riforma della scuola. Lo strutturalismo ha avuto un effetto deteriore sull’insegnamento, al punto che talvolta è stato questo metodo a dettare le linee della riflessione ministeriale:

«Apro il «Bulletin officiel» del ministero della Pubblica istruzione (n. 6 del 31 agosto 2000), che contiene i programmi dei licei, in particolare quello di francese. In prima pagina, sotto il titolo «Le prospettive di studio», il programma annuncia: «Lo studio dei testi contribuisce a formare la riflessione sulla storia letteraria e culturale, i generi e i registri, l’elaborazione del significato e l’unicità dei testi, l’argomentazione e gli effetti che ogni discorso ha sui suoi destinatari». Il seguito del testo commenta queste voci e spiega in particolare che i generi «sono studiati metodicamente», che i «registri (per esempio il tragico, il comico)» sono approfonditi in prima superiore, «la riflessione sulla produzione e sulla ricezione dei testi costituisce uno studio autonomo al liceo» o che «gli elementi dell’argomentazione» saranno ora «trattati in maniera più analitica». L’insieme di queste direttive si fonda chiaramente su una scelta: gli studi letterari hanno lo scopo principale di farci conoscere gli strumenti di cui si servono. Leggere poemi e romanzi non porta a riflettere sulla condizione umana, l’individuo e la società, l’amore e l’odio, la gioia e la disperazione, ma su nozioni critiche, tradizionali o moderne. A scuola non si apprende che cosa dicono le opere, ma che cosa dicono i critici»[5].

Todorov ha ora il coraggio di affermare che lo strutturalismo e la filologia non meritano che uno vi dedichi tutto il tempo, perché altro è il cuore della letteratura. È invece la bellezza del testo letterario che deve essere messa in risalto: essa è capace di aiutare a scorgere il senso della vita ed è di questo che si deve occupare l’insegnamento:

«I risultati ottenuti dall’analisi strutturale, insieme ad altri, possono aiutare a comprendere meglio il significato di un’opera. In sé per sé, non sono più inquietanti di quelli della filologia, la disciplina che ha dominato lo studio letterario per centocinquant’anni: sono strumenti che oggi nessuno mette in discussione, ma non meritano comunque che uno vi dedichi tutto il suo tempo.

Bisogna andare oltre. Non solo si studia malamente il significato di un testo se ci si limita a un rigido approccio interno, mentre le opere esistono sempre in seno a un contesto e in dialogo con esso; non solo i mezzi non devono diventare il fine, ma la tecnica non deve nemmeno farci dimenticare l’obiettivo dell’esercizio. È necessario anche interrogarsi sulla finalità ultima delle opere che riteniamo degne di essere studiate. In linea generale il lettore non specialista, oggi come un tempo, non legge le opere per padroneggiare meglio un metodo di lettura, né per ricavarne informazioni sulla società in cui hanno visto la luce, ma per trovare in esse un significato che gli consenta di comprendere meglio l’uomo e il mondo, per scoprire una bellezza che arricchisca la sua esistenza; così facendo, riesce a capire meglio se stesso. La conoscenza della letteratura non è fine a se stessa, ma rappresenta una delle vie maestre che conducono alla realizzazione di ciascuno. Il cammino che ha intrapreso oggi l’insegnamento letterario, voltando le spalle a questo orizzonte («questa settimana abbiamo studiato la metonimia, la prossima ci occuperemo della personificazione»), rischia di condurci in un vicolo cieco – per non parlare del fatto che difficilmente farà innamorare della letteratura»[6].

La scuola deve tornare a far innamorare della letteratura, scegliendo i testi più belli – i classici! – mostrandone non la loro fredda articolazione interna, bensì il loro rapporto con la vita:

«L’effetto più importante di questo mutamento riguarda l’insegnamento della letteratura, perché esso si rivolge a tutti i bambini e, tramite loro, alla maggior parte degli adulti; ecco perché vorrei ritornarci sopra in conclusione. L’analisi delle opere che viene fatta a scuola non dovrebbe più avere lo scopo di illustrare i concetti introdotti dall’uno o dall’altro linguista o da quel teorico della letteratura e dunque di presentarci i testi come un’applicazione della lingua e del discorso; il suo compito sarebbe di farci pervenire al loro significato – perché chiediamo che esso, a sua volta, ci conduca verso una conoscenza dell’uomo che è di interesse comune. Come ho già detto, non si tratta di un’idea estranea a buona parte dello stesso corpo insegnante; ma bisogna passare dalle parole ai fatti. In un rapporto preparato dall’Associazione dei professori di Lettere leggiamo: «Lo studio della letteratura ritorna a occuparsi dell’uomo, del suo rapporto con se stesso e il mondo e del suo rapporto con gli altri». Più esattamente, lo studio dell’opera rimanda a cerchi concentrici sempre più ampi: quello degli altri scritti dello stesso autore, della letteratura nazionale, della letteratura mondiale; ma il suo contesto finale, e il più importante di tutti, ci viene fornito dall’esistenza umana stessa. Tutti i capolavori, quale che ne sia l’origine, fanno riflettere proprio su questo»[7].

L’appello di Todorov è oggi che l’insegnamento della letteratura smetta di essere qualcosa di autoreferenziale per tornare ad essere un luogo di riflessione amorosa sulla vita di cui i grandi autori parlano:

«Se si accetta questa finalità dell’insegnamento letterario, che non avrebbe più soltanto lo scopo di creare nuove schiere di insegnanti di lettere, si può facilmente concordare su quale spirito deve guidarlo: bisogna includere le opere nel grande dialogo tra gli uomini, iniziato nella notte dei tempi e a cui ciascuno di noi, per quanto insignificante sia, prende ancora parte: «È in questa comunicazione inesauribile, vittoriosa sui luoghi e sui tempi, che si afferma la portata universale della letteratura», scriveva Paul Bénichou. A noi, adulti, spetta il compito di trasmettere alle nuove generazioni questa fragile eredità, queste parole che aiutano a vivere meglio»[8].

Note al testo

[1] Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008, pp. 65-66.

[2] Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008, p. 11.

[3] Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008, p. 12.

[4] Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008, p. 16.

[5] Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008, pp. 19-20.

[6] Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008, pp. 24-25.

[7] Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008, pp. 78-79.

[8] Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008, p. 82.