Funes il Memorioso di Jorge Luis Borges, di Stefano Tedeschi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /01 /2015 - 09:46 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo per gentile concessione dell’autore un articolo scritto per il Dizionario dei Personaggi della UTET. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Letteratura.

Il Centro culturale Gli scritti (29/1/2015)

Nessuno scrittore latinoamericano ha conosciuto un destino simile a quello di Jorge Luis Borges, autore che ha attraversato e trasformato tutta la cultura del novecento, lasciando una eredità sulla quale sono state scritte pagine innumerevoli. Dagli inizi ultraisti all’elaborazione dei suoi più famosi testi narrativi, dalle polemiche politiche degli anni cinquanta al ritorno alla poesia, dall’ostracismo di una certa parte della cultura argentina all’accoglienza entusiasta che ebbe in Europa dopo il 1960, Borges ha costruito con precisa e irrefutabile coerenza il suo mito letterario, attraverso la costruzione, libro dopo libro, di un'opera "esemplare", tanto da essere considerato un “classico vivente” , capace di superare i limiti contingenti delle epoche e delle mode letterarie. Il grande scrittore argentino si è dedicato con assiduità alla prosa, narrativa e saggistica, senza però frequentare con simile interesse il romanzo, genere dal quale si terrà sempre lontano. Se i primi libri pubblicati negli anni trenta sono infatti quasi esclusivamente raccolte di saggi, sarà in quel prodotto composito, certamente singolare che è il racconto, o meglio la “finzione”, che si potranno trovare i personaggi più indicativi dell’opera di Borges.

Tra loro merita un posto del tutto particolare Funes, il “memorioso”, poiché riassume in maniera davvero paradigmatica molti aspetti della narrativa borgesiana e della sua concezione stessa della letteratura. Il racconto appartiene alla seconda parte di Ficciones, il suo libro forse più famoso, e si presenta come un breve ricordo di una persona dalle qualità straordinarie, la cui peculiarità viene però preceduta dalla storia, a prima vista una digressione, dell’occasione dell’incontro con il narratore.

Funes viene allora presentato innanzi tutto come frutto della memoria: la ripetizione quasi in forma di litania del verbo “ricordo” (sei volte in poche righe) suggerisce fin dall’inizio il tema del racconto, lasciandolo però per il momento sullo sfondo, e lo scritto che il lettore si trova di fronte non è altro che una testimonianza, “forse la più breve e senza dubbio la più povera”, che sarà pubblicata in un immaginario volume dedicato a quell’incredibile personaggio, prematuramente scomparso.

Dunque, come spesso in Borges, la realtà esiste solo per essere inserita in un libro, solo quando può essere trasformata in parola scritta. I racconti di Borges prendono infatti spesso spunto da riferimenti libreschi (una recensione di un’opera poco nota, o inventata, o dalla analogia sorprendente tra due dati in contraddizione, o ancora da un fatto di cronaca rimasto insoluto) ed è sempre costruito con la precisione di un’operazione matematica e di una dimostrazione logica.

L'universo del reale, con le sue prodigiose coincidenze e le sue molteplici e sempre sorprendenti soluzioni è per lui il pretesto per minuziose avventure mentali che lasciano il lettore sospeso fino all’imprevedibile epilogo, anche grazie all’uso di temi e tecniche derivati dal romanzo poliziesco. Il protagonista di un tale omaggio postumo è ritenuto, per il narratore e per il pubblico dei lettori, uno straniero, anche se in fondo è solo uno straniero della porta accanto, un uruguayano dalla faccia da indio che poco si differenzia dalla “deplorevole condizione di argentino” in cui si trova il testimone del racconto.

Una tale condizione di estraneità è assai diffusa nell’opera di Borges, senza scadere però mai nell’esotismo, nel gusto per il lontano e l’ineffabile. Così anche altri protagonisti di notissimi racconti sono argentini dai cognomi bizzarri (Emma Zunz, Lönrrot, Yarmolinski, Dahlmann, Daneri etc.), a significare l’esile confine che separa la pretesa normalità dall’irrompere del fantastico, dello straordinario, dell’improbabile.

Funes non è però solo lontano nello spazio, al di là di un fiume ampio come un mare, ma appartiene anche a un tempo distante, a un passato che viene solo apparentemente fissato con la precisione del calendario: se due dei tre incontri del protagonista con lo scrittore sono registrati con puntualità notarile, il terzo rimane in sospeso, di esso nulla verremo a sapere, rivelazione possibile di un segreto che ormai ci sfuggirà per sempre.

Una terza caratteristica del personaggio del racconto rivela una costante della scrittura borgesiana, più volte segnalata dalla critica: l’uso diffuso del paradosso, forma suprema dell’ironia, per mezzo del quale si annullano i confini di spazio e di tempo, si rovescia la logica tra il prima e il dopo, tra concetti discretamente canonizzati come oggettività e soggettività, predecessore e seguace, realtà e finzione.

Il “compadrito” di Fray Bentos è infatti persona dalle umili origini, “con alcuni limiti inevitabili”, che riesce però a possedere una cultura formidabile, in grado di citare Plinio in originale senza vacillare, dopo appena pochi giorni di studio del latino: Aveva imparato senza sforzo l’inglese, il francese, il portoghese, il latino. Sospetto, nonostante tutto, che non fosse così capace di pensare. Pensare è dimenticare differenze, generalizzare, astrarre. Nell’intasato mondo di Funes c’erano solo dettagli, quasi immediati.

A buon diritto allora è stato scelto l’ossimoro come figura retorica simbolica della scrittura di Borges, in grado di avvicinare termini altrimenti inconciliabili, di far reagire tra loro elementi apparentemente lontanissimi. Una figura che permette oltretutto l’inserimento nel racconto di una realtà e del suo opposto, e di fare spazio all’uso della confutazione, altra tecnica largamente utilizzata dall’inventore delle “finzioni” e che in lui assume contorni variati e insospettati.

In gran parte dei 4 racconti di Ficciones o de El Aleph la confutazione consiste nel racconto stesso, lo occupa per intero, oppure si traduce in qualcosa che devia nella ritrattazione, nella sconfessione di dati ritenuti certi, come in molti romanzi polizieschi dai quali il narratore, con o senza ironia, attinge.

Anche Funes in fondo è un segno vivente di tale possibilità di trasformazione: un incidente, in fondo abbastanza banale, lo costringe all’immobilità fisica ma nello stesso tempo gli apre gli infiniti campi della memoria. Egli è infatti capace di ricordare tutto, ogni evento della sua vita rimane fissato in maniera indelebile nella mente, accompagnato dalle sensazioni fisiche e sensoriali che esso aveva provocato. Ancora dunque, come in molti altri esempi possibili, una metamorfosi dovuta al caso, e la moltiplicazione iperbolica delle capacità umane, in bilico sempre tra l’eccezionale (“Era il solitario e lucido spettatore di un mondo multiforme, istantaneo e quasi intollerabilmente preciso”) e il ridicolo, come quello di un sistema di numerazione stravagante, in cui nomi propri sostituiscono le cifre numeriche.

In Funes el memorioso si affacciano allora, per un evidente processo di accumulazione, gli elementi dell’universo di simboli e di immagini, vero contrassegno di tutta l'opera di Borges. La biblioteca, il sogno, la morte, lo specchio, il fiume sono solo alcune delle immagini più frequentemente utilizzate nei racconti dello scrittore argentino.

La maggior parte di questo apparato simbolico viene tratto dalle innumerevoli fonti che Borges stesso rivela, come qui la Storia Naturale di Plinio, dalla quale vengono citati i casi di memoria prodigiosa dell’antichità. Fondamentale è infatti l’apporto di Borges al tema dell’interstestualità, come emerge ad esempio delle “note ai libri immaginari” in Tlön, Uqbar, Orbis Tertius in cui il gioco intertestuale è dichiarato fuori dal testo per essere poi realizzato nel racconto, o come in El Aleph con i nomi dei protagonisti derivati dalla Commedia dantesca, o ancora attraverso l’uso della citazione colta, spesso destinata a funzionare come ironico contrappeso di vicende dichiaratamente irreali, come se l’autorità dei libri potesse reinventare la realtà stessa.

In ogni caso una tale abbondanza di riferimenti culturali non costituisce una grande novità, se essi vengono presi in considerazione singolarmente. La vera sorpresa nasce dall’accumulazione simultanea di tutti questi elementi, nella costruzione di un sistema complesso, segnato da una diffusa e spiazzante ambiguità. I simboli preferiti da Borges rimandano infatti tutti a un’inquietante visione della molteplicità del reale e della sua possibile frantumazione.

Funes può allora sì ricordare tutto, ma il peso di una tale capacità lo schiaccia, lo travolge senza pietà: la totalità del reale non può essere afferrata nella sua interezza senza cadere nella follia, la biblioteca infinita si trasformerà allora in un labirinto senza uscita.

Il giovane uruguayano vive anche un’altra ossessione tipicamente borgesiana, quale è quella dello scorrere del tempo: all’inizio viene definito come il “cronometrico Funes”, per la sua innata capacità di sapere sempre l’ora esatta, come un orologio, ma dopo l’incidente una tale prerogativa diviene una condanna, giacché tutta la sua vita, ed ogni attimo di essa, viene continuamente rivissuta nella memoria, in un tentativo impossibile di riproduzione simultanea: Due o tre volte aveva ricostruito un’intera giornata; non aveva mai dubitato, ma ogni ricostruzione gli aveva richiesto una giornata intera. … La mia memoria, signore, è come una discarica di immondizia.

Il racconto non si potrà allora concludere se non con la morte del protagonista, registrata con fredda esattezza nell’ultima riga, una morte che arriva, simbolicamente, per “congestione” polmonare, segno di un’altra, e ben più grave, congestione. L’unico spiraglio lasciato aperto sarà allora quello del misterioso terzo incontro, spazio che il lettore, sempre complice della scrittura di Borges, sarà chiamato a riempire.

È stato infatti proprio lo scrittore argentino a fondare per primo la teoria e la prassi di un testo autonomo, di una testualità aperta, spesso sfuggente, e ancora da lui viene l’idea che ogni testo è ciò che esso afferma e il suo contrario con una soluzione quanto mai complessa ai concetti di ambiguità e di opera aperta, di cui Funes el memorioso è esempio pressoché perfetto.

Attraverso lo scorrere del tempo si torna allora infine al tema della memoria, uno dei principali fili conduttori dell’affascinante avventura intellettuale dell’autore di Ficciones: memoria personale e culturale che continuamente si rincorrono, in un intreccio che solo “l’artefice“, e così s’intitolerà uno dei suoi più bei libri, sarà in grado di decifrare compiutamente: meglio di Funes sarà in grado di dialogare continuamente con autori e testi, a volte nascosti come incunaboli, a volte apertamente citati.

L’immagine della biblioteca diverrà in effetti sempre più importante: in essa si concentrano gli innumerevoli riferimenti libreschi e il narratore diviene il bibliotecario e qui si innesta il tema della memoria. Il bibliotecario è infatti colui che ricorda, colui al quale è stata affidata la missione non solo di tenere viva la memoria personale, come avviene con Funes, ma anche quella collettiva, culturale, e di conoscere le trame segrete che collegano libri e ricordi.

Se l’ombra di Funes accompagna trasversalmente tutti i libri di Borges, non di meno avviene per il sogno, o l’utopia di comprendere in un solo momento tutto l’esistente, che nelle opere più tarde diviene quasi un gioco intellettuale, una scrittura di addizione o di moltiplicazione, quasi come in un catalogo enumerativo, come ad esempio nel racconto lungo El congreso del mundo (1974) che narra la vicenda di un gruppo di persone che si riunisce per realizzare un Congresso con il compito di rappresentare la molteplicità dell’universo.

Il fallimento dell’impresa, descritto con un sapore di struggente nostalgia, si trasforma però anche in un’esaltazione dell’universo stesso, i cui termini sono infiniti e la cui descrizione è irraggiungibile attraverso l’ immaginazione, ma forse avvicinabile da una lucida fede intellettuale sconfinante nel sogno.

Bibliografia

Abad Cuesta, Jorge, Ficciones de una crisis, Madrid, 1997.

Alazraki, Jaime, La prosa narrativa de Jorge Luis Borges, Madrid, 1983.

Pérez, Alberto Julián, Poética de la prosa de J.L. Borges, Madrid, 1986.